Cass. civ., sez. V, ord., 08 maggio 2024 n. 12637
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO:
Rilevato che
- La “XXX” S.r.l. impugnava la sentenza con la quale la CTP di Roma aveva dichiarato l’inammissibilità del ricorso per tardività da essa proposto avverso un avviso di accertamento relativo ad IMU 2012. In sede di gravame, l’appellante evidenziava di aver già impugnato il precedente avviso di accertamento notificatole il 20 febbraio 2016 di cui ad un separato e distinto giudizio iscritto al n. di R.G. 7190/16, nell’ambito del quale il Concessionario per la Riscossione aveva depositato un nuovo avviso in sostituzione del primo notificato via pec il 19 luglio 2017, sicché il ricorso notificato il successivo 18 ottobre di cui al presente giudizio era da considerarsi tempestivo.
- La CTR del Lazio, dopo aver rilevato che l’avviso di rettifica in contestazione era stato tempestivamente impugnato dalla società appellante, rigettava il gravame, affermando, per quanto qui ancora rileva, che non erano ravvisabili né la violazione dell’art. 7 dello Statuto dei diritti del contribuente né il difetto motivazionale, atteso che l’appellante aveva potuto impugnare l’avviso di accertamento e dispiegare adeguatamente le proprie eccezioni nel merito della pretesa tributaria, e che l’eccezione sull’errato cumulo delle sanzioni non era accoglibile, in quanto risultavano contestati sia il parziale pagamento dell’imposta che l’infedele dichiarazione e, dunque, due violazioni distinte per le quali la disciplina legislativa dell’imposta municipale unica prevedeva espressamente la sanzionabilità di entrambe ai sensi dell’art. 1, commi 695 e 697, del d.lgs. n. 147 del 2013.
- Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione la “XXX” S.r.l. sulla base di due motivi. La Società concessionaria della riscossione ha resistito con controricorso. Il Comune di “omissis” non ha svolto difese. In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che
- Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli 7, nn. 1 e 2, l. n. 212 del 2000, 1, comma 162, l. n. 296 del 2006, 3 l. n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., per aver la CTR ritenuto erroneamente, a suo dire, che l’avviso di accertamento impugnato fosse adeguatamente motivato.
- Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 d.lgs. n. 472 del 1997 e 13 d.lgs. n. 471 del 1997, in relazione all’art. 360, primo comma, 3), cod. proc. civ., per aver la CTR ritenuto legittimo il cumulo materiale delle sanzioni di dichiarazione infedele e di parziale versamento dell’imposta, comminate con l’avviso di accertamento in esame.
- Preliminarmente, occorre rilevare che, in tema di contenzioso tributario, l’annullamento parziale adottato dall’Amministrazione in via di autotutela o comunque il provvedimento di portata riduttiva rispetto alla pretesa contenuta in atti divenuti definitivi, non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del lgs. n. 546 del 1992 e non è quindi impugnabile, non comportando alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento, laddove, invece, deve ritenersi ammissibile un’autonoma impugnabilità del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7511 del 15/04/2016; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 29595 del 16/11/2018).
L’atto impugnato con il ricorso originario è stato notificato via pec in data 19.07.2017 ed è un provvedimento assunto in autotutela dalla concessionaria e a seguito dei rilievi mossi dalla contribuente in sede di ricorso avverso l’avviso originario.
Invero, a seguito della proposizione del ricorso di primo grado ed in base alle eccezioni nello stesso articolate, la concessionaria, nell’esercizio del potere di autotutela, rettificava in diminuzione l’atto opposto stralciando dalla tassazione gli immobili contraddistinti al Foglio XX mappali 326, 325, 277 e 276. Pertanto, l’atto oggetto di impugnazione non costituisce nuovo esercizio del potere impositivo, ma bensì un semplice atto di autotutela con il quale, accertata l’erroneità dell’avviso di accertamento originario in ordine all’individuazione del presupposto oggettivo (sostanzialmente, gli immobili imponibili risultavano in numero minore), è stata semplicemente rinunciata una parte dell’originaria pretesa già contenuta nell’avviso di accertamento originario, a sua volta oggetto di separata impugnativa.
Orbene, in tema di accertamento delle imposte, la modificazione, in diminuzione, dell’originario avviso non esprime una nuova pretesa tributaria, ma una riduzione di quella originaria, sicché non costituisce atto nuovo, ma revoca parziale di quello precedente. Pertanto, in sede processuale, tale evenienza non può comportare la cessazione della materia del contendere, in quanto permane l’interesse della pubblica amministrazione a veder riconosciuto il proprio credito tributario e quello del contribuente a negare la pretesa, con la conseguenza che l’autorità giudiziaria è tenuta a pronunciarsi sulla fondatezza della residua pretesa erariale (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 18625 del 07/09/2020).
In tema di processo tributario, l’inammissibilità del ricorso introduttivo è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio; la relativa eccezione non può essere sollevata per la prima volta in Cassazione solo allorché il suo esame implichi un accertamento in fatto, come tale rimesso al giudice di merito (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 7410 del 31/03/2011; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17363 del 19/08/2020).
Dalle considerazioni che precedono deriva l’inammissibilità del ricorso proposto avverso il provvedimento adottato in sede di autotutela. Ne consegue che, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 382 cod. proc. civ., la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, non potendo la causa essere proposta.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in € 7.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
COMMENTO – La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 12637 depositata l’8 maggio 2024, è intervenuta in materia di atti impugnabili nel processo tributario. In particolare, ha riaffermato il principio secondo cui il provvedimento di rettifica in diminuzione di un atto impositivo, anche quando emesso in sede di autotutela dall’Amministrazione Finanziaria, non è impugnabile.
La vicenda in questione ha coinvolto una società a responsabilità limitata che aveva ricevuto un avviso di accertamento relativo all’IMU per l’anno 2012. La contribuente aveva impugnato tale avviso, ma i giudici di primo grado avevano dichiarato inammissibile il ricorso per tardività. Successivamente, la società ha presentato appello, sostenendo che il nuovo avviso di accertamento, notificato via PEC il 19 luglio 2017, sostituiva il primo avviso notificato il 20 febbraio 2016. Secondo la società, il ricorso notificato il 18 ottobre 2017 doveva quindi considerarsi tempestivo.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) del Lazio ha accolto l’argomentazione della società e considerando pertanto il ricorso tempestivo. Tuttavia, la CTR laziale ha rigettato il gravame, affermando che non vi erano violazioni dello Statuto dei diritti del contribuente né difetti motivazionali nell’avviso di accertamento in questione. La stessa CTR ha inoltre ritenuto legittimo il cumulo delle sanzioni per dichiarazione infedele e parziale versamento dell’imposta, previste dall’art. 1, commi 695 e 697, del d.lgs. n. 147 del 2013.
Non soddisfatta della decisione della CTR, la società ha presentato ricorso per cassazione basato essenzialmente su due motivi. In primo luogo, ha denunciato la violazione e falsa applicazione degli articoli 7, nn. 1 e 2, della legge n. 212 del 2000, dell’art. 1, comma 162, della legge n. 296 del 2006, e dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990, sostenendo che l’avviso di accertamento impugnato fosse inadeguatamente motivato. In secondo luogo, ha contestato la violazione e falsa applicazione degli articoli 12 del d.lgs. n. 472 del 1997 e 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, ritenendo illegittimo il cumulo delle sanzioni per dichiarazione infedele e parziale versamento dell’imposta.
La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, confermando che il provvedimento di rettifica in diminuzione non costituisce un nuovo esercizio del potere impositivo, ma una semplice revoca parziale dell’originario avviso di accertamento. In particolare, i giudici hanno sottolineato che il provvedimento di rettifica in diminuzione non esprime una nuova pretesa tributaria, ma rappresenta una riduzione di quella originaria. Pertanto, tale atto non può essere considerato un nuovo esercizio del potere impositivo e non è impugnabile.
La Corte ha ribadito che, in tema di accertamento delle imposte, la modificazione in diminuzione dell’originario avviso non costituisce un atto nuovo, bensì una revoca parziale di quello precedente. Conseguentemente, in sede processuale, questa evenienza non comporta la cessazione della materia del contendere. Infatti, permane l’interesse della pubblica amministrazione a vedere riconosciuto il proprio credito tributario e quello del contribuente a negare la pretesa. Di conseguenza, l’autorità giudiziaria è tenuta a pronunciarsi sulla fondatezza della residua pretesa erariale.
Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione ha confermato i due seguenti principi di diritto:
- Rettifica in Diminuzione: La modificazione in diminuzione dell’originario avviso di accertamento non costituisce una nuova pretesa tributaria, ma una riduzione di quella originaria. Non si tratta di un atto nuovo, bensì di una revoca parziale di quello precedente. Pertanto, in sede processuale, questa evenienza non comporta la cessazione della materia del contendere, poiché persiste l’interesse della pubblica amministrazione a vedere riconosciuto il proprio credito tributario e quello del contribuente a negare la pretesa.
- Inammissibilità del Ricorso: In tema di processo tributario, l’inammissibilità del ricorso introduttivo è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio. La relativa eccezione non può essere sollevata per la prima volta in Cassazione solo allorché il suo esame implichi un accertamento in fatto, come tale rimesso al giudice di merito.
La Corte ha inoltre ribadito che l’annullamento parziale adottato in via di autotutela o il provvedimento riduttivo dell’atto impositivo non rientra nella previsione di cui all’art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992 e non è quindi impugnabile. Tale provvedimento non comporta alcuna effettiva innovazione lesiva degli interessi del contribuente rispetto al quadro a lui noto e consolidato per la mancata tempestiva impugnazione del precedente accertamento. Tuttavia, è ammissibile l’impugnabilità autonoma del nuovo atto se di portata ampliativa rispetto all’originaria pretesa.
Per i motivi sopra esposti la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso condannando il ricorrente al rimborso delle spese di giudizio.
La decisione in commento ha importanti implicazioni per il processo tributario. In particolare, chiarisce che i provvedimenti di rettifica in diminuzione emessi in sede di autotutela dall’Amministrazione Finanziaria non sono impugnabili, in quanto non costituiscono atti nuovi. Ciò significa che i contribuenti non possono contestare tali provvedimenti, ma possono solo continuare a impugnare l’originario avviso di accertamento.
La sentenza evidenzia anche l’importanza di presentare tempestivamente i ricorsi avverso gli avvisi di accertamento. La mancata tempestiva impugnazione dell’avviso di accertamento originario preclude la possibilità di contestare eventuali provvedimenti di rettifica in diminuzione successivamente emessi dall’Amministrazione Finanziaria.
In conclusione, la sentenza n. 12637 dell’8 maggio 2024 della Corte di Cassazione ribadisce che i provvedimenti di rettifica in diminuzione emessi in sede di autotutela dall’Amministrazione Finanziaria non sono impugnabili. Questi provvedimenti non costituiscono nuovi atti impositivi, ma rappresentano una riduzione dell’originaria pretesa tributaria. Pertanto, i contribuenti non possono contestare tali provvedimenti, ma possono solo impugnare l’originario avviso di accertamento. Come detto in precedenza poi, la sentenza sottolinea infine l’importanza di presentare tempestivamente i ricorsi avverso gli avvisi di accertamento per evitare di perdere la possibilità di contestare eventuali provvedimenti successivi.
Dott. Francesco Foglia