Convegno Pontremoli, 27 settembre 2019

“Responsabilità e discrezionalità nell’attività di riscossione locale”

SOMMARIO: 

Parte Prima: §. 1 Definizione di “danno erariale”. §. 2 Evoluzione giurisprudenziale: dalla rilevanza della qualità del soggetto danneggiante a quella della natura del danno e degli scopi perseguiti dalla Pubblica Amministrazione. §. 3 I requisiti oggettivi e soggettivi del danno erariale. §. 4 Le principali fattispecie di limitazione della responsabilità. §. 5 La prescrizione del danno erariale. 

Parte Seconda: §. 6 Le principali figure giurisprudenziali di danno erariale: il “danno da tangente”. §. 7 Segue: il “danno da disservizio”. §. 8 Segue: il “danno da mobbing”. §. 9 Segue: il “danno da perdita di chance”. §. 10 Il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione pre e post D.lgs. 26.08.2016 n. 174. §. 11 La questione di legittimità costituzionale della previgente disciplina del danno all’immagine: manifesta infondatezza. §. 12 Il discrimine temporale tra la normativa previgente e quella attuale. §. 13 La quantificazione del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione.

  • . 1 Definizione di “danno erariale”.

Il danno erariale (soggetto alla giurisdizione della Corte dei Conti) consiste nella perdita di beni o denaro (danno emergente) o nel mancato conseguimento di incrementi patrimoniali (lucro cessante) subito dalla Pubblica Amministrazione per effetto della condotta di un proprio dipendente o di un soggetto ad essa legato da un rapporto di servizio anche occasionale, che abbia violato i propri obblighi di impiego o di servizio.

Il danno subito dalla Pubblica Amministrazione può quindi configurarsi sia come perdita subita (danno emergente), sia come mancato guadagno (lucro cessante), analogamente a quanto previsto in via generale per il danno civilistico dall’art. 1223 c.c. 

Sempre analogamente a quanto avviene in ambito civilistico (art. 1227, comma 1, c.c.), nel caso di concorso di colpa della Pubblica Amministrazione il risarcimento subisce una diminuzione secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate. 

Il danno erariale può derivare in maniera immediata e diretta dal comportamento del pubblico dipendente (danno diretto) oppure può dipendere dalla condanna che la Pubblica Amministrazione abbia riportato in un’altra sede, civile o penale, in conseguenza della condotta del dipendente pubblico (danno indiretto). 

Quest’ultima tipologia di danno trova fondamento nell’art. 28 Costituzione, il quale prevede, da un lato, la responsabilità diretta dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti compiuti in violazione dei diritti, secondo le leggi penali, civili e amministrative e, dall’altro, dispone che in tali casi la responsabilità civile si estenda allo Stato e agli enti pubblici. 

In tali fattispecie, dunque, la Pubblica Amministrazione è chiamata (nell’ambito di un giudizio civile o in qualità di responsabile civile nel processo penale) a risarcire il terzo, che sia stato danneggiato dal proprio dipendente, e dunque subisce un “danno indiretto” dalla condotta antigiuridica di quest’ultimo.

A titolo di esempio, la giurisprudenza contabile ha ritenuto configurabile il danno erariale indiretto nel caso di un danno cagionato all’Ente Locale (nella fattispecie, un Comune) dalla condotta tenuta dal Comandante della Locale Polizia Municipale oggettivamente idonea a limitare in modo diretto e/o indiretto le libertà sindacali, colpendo congiuntamente e/o disgiuntamente il sindacato ed il lavoratore (Corte dei Conti Sicilia, Sezione giurisdizionale, 27.04.2018 n. 377).

Ancora, risponde di danno erariale indiretto, per colpa grave, in concorso con il primario presente in sala operatoria, l’aiuto primario ostetrico che, avendo in cura la partoriente, non abbia eseguito il parto con taglio cesareo in presenza di condizioni della madre e del feto che lo rendevano opportuno dal punto di vista clinico, ove dal parto naturale siano derivate lesioni al neonato (Corte dei Conti, sez. II, 21.02.2013 n. 100).

In merito ai rapporti tra il giudizio civile, che veda quale convenuta la Pubblica Amministrazione, ed il giudizio erariale, nel quale il Pubblico Ministero contabile agisca per il risarcimento del danno erariale subito da quest’ultima, la regola generale è quella della tendenziale reciproca autonomia, sia in materia di prove, sia in materia di tempistiche.

Sotto il primo aspetto, si è ritenuto ad esempio che, nel giudizio di accertamento della responsabilità per danno erariale indiretto a carico di un insegnante per un incidente occorso ad un alunno, non possa operarsi un mero recepimento delle statuizioni intervenute in sede di giudizio civile. In particolare, nell’ambito della giurisdizione contabile, non trova applicazione la presunzione di colpevolezza dettata a carico di maestri e precettori dall’art. 2048, comma 2, c.c., ma deve essere fornita un’accurata prova della colpa grave di questi ultimi (Corte dei Conti Lombardia, Sezione giurisdizionale, 19.03.2015 n. 41).

Sotto il profilo delle tempistiche dei due giudizi, non sussiste un obbligo di sospensione del processo erariale in attesa del passaggio in giudicato della sentenza civile di condanna a carico della Pubblica Amministrazione, poiché il danno e la connessa decorrenza del termine di prescrizione dell’azione di responsabilità amministrativa sono configurabili già a partire dall’emissione del titolo di pagamento a carico dell’Amministrazione, costituito dalla sentenza provvisoriamente esecutiva di primo grado emessa nei confronti della stessa Amministrazione (Corte dei Conti Piemonte, 28.09.2012 n. 140).

Il danno erariale ha inoltre subito un’ulteriore estensione in base al disposto dell’art. 1, comma 4, Legge 14 gennaio 1994 n. 20, che ha introdotto l’ipotesi del cd. danno obliquo, prevedendo la risarcibilità del danno erariale anche quando quest’ultimo sia stato cagionato ad amministrazioni o ad enti pubblici diversi da quelli di appartenenza del dipendente che lo ha cagionato.

Tale previsione è applicabile unicamente ai fatti avvenuti dopo l’entrata in vigore della predetta norma.

Il danno ad enti diversi provocato anteriormente all’entrata in vigore di tale norma sfugge invece alla giurisdizione contabile.

Peraltro, la giurisprudenza ha ritenuto che l’irretroattività della disposizione normativa che estende … la giurisdizione della Corte dei conti al cd. “danno obliquo”, vale a dire al danno arrecato ad ente diverso da quello di appartenenza, opera soltanto quando gli elementi fattuali di comportamento e di danno si siano interamente verificati prima dell’entrata in vigore della suddetto L. n. 20 del 1994” (Corte dei Conti, sez. II, 27.09.2001 n. 320/A).

Per poter configurare una fattispecie di cd. “danno erariale obliquo” è inoltre necessario che l’ente danneggiato sia effettivamente ed oggettivamente diverso rispetto a quello di appartenenza del dipendente che ha causato il danno.

Così, ad esempio, la giurisprudenza ha escluso la ricorrenza di tale tipologia di danno in riferimento ai danni subiti dalle Unità Sanitarie locali di destinazione del personale illegittimamente inquadrato dagli amministratori degli enti ospedalieri di provenienza.

In tal caso, infatti, si è ritenuto che l’ente di appartenenza coincidesse con l’ente danneggiato, con conseguente giurisdizione contabile su tale tipologia di danno anche in riferimento a condotte realizzate e a danni verificatisi prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 4, Legge 14.01.1994 n. 20 (Corte dei Conti, sez. III PCS, 22.11.2001, n. 311/A).

 

  • . 2 Evoluzione giurisprudenziale: dalla rilevanza della qualità del soggetto danneggiante a quella della natura del danno e degli scopi perseguiti dalla Pubblica Amministrazione.

Negli ultimi anni, la giurisprudenza in materia di danno erariale ha mostrato la tendenza a spostare l’attenzione dalla qualità del soggetto che procura il danno alla natura del danno e agli scopi perseguiti dalla Pubblica Amministrazione, che subiscono uno sviamento in conseguenza della condotta antigiuridica di chi è in qualsiasi modo tenuto a cooperare alla loro realizzazione.

In tal modo, il soggetto che causa il danno erariale non è più soltanto il pubblico dipendente, ossia il soggetto legato alla Pubblica Amministrazione da un rapporto di impiego di natura stabile, con vincolo di subordinazione gerarchica, ma può essere anche il privato ad essa legato da un rapporto di servizio meramente occasionale.

Tipica ad esempio è la fattispecie di danno erariale causata da un soggetto, che abbia ricevuto un contributo pubblico, e che lo abbia impiegato per finalità diverse da quelle per le quali il contributo era stato concesso. Tale soggetto realizza uno sviamento dalle finalità pubbliche, alle quali era chiamato a cooperare mediante la concessione del contributo, e dunque realizza un danno erariale, pur non essendo legato alla Pubblica Amministrazione da alcun rapporto di impiego di natura stabile.

In tal senso si è espressa Cass. civ., Sezioni Unite, ord., 01.03.2006 n. 4511, secondo cui il criterio per discriminare la giurisdizione ordinaria da quella contabile non va ravvisato nella qualità del soggetto (che può ben essere un privato o un ente pubblico non economico), ma nella natura del danno e degli scopi perseguiti, cosicché ove il privato, per sua scelta, incida negativamente sul modo d’essere del programma imposto dalla pubblica amministrazione, alla cui realizzazione egli è chiamato a partecipare con l’atto di concessione del contributo e l’incidenza sia tale da poter determinare uno sviamento dalle finalità perseguite, realizza un danno per l’ente pubblico”.

Nel medesimo senso, in epoca più recente, si è pronunciata anche Cass. civ., Sezioni Unite, 31.07.2017 n. 18991, che ha ritenuto configurabile un rapporto di servizio tra la Pubblica Amministrazione erogatrice di un contributo ed i legali rappresentanti della società che lo aveva percepito. Questi ultimi, disponendo della somma erogata in modo diverso da quello preventivato, avevano infatti frustrato lo scopo perseguito dalla Pubblica Amministrazione, distogliendo le risorse conseguite dalle finalità alle quali le stesse erano preordinate. 

La predetta pronuncia ha ulteriormente chiarito che l’eventuale responsabilità della società (come soggetto giuridico autonomo) o di altri soggetti non era sufficiente, di per sé, a far venir meno la responsabilità dei legali rappresentanti, potendo tutt’al più operare il concorso di cui all’art. 2055 c.c. (secondo cui, se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno; colui che lo ha risarcito ha regresso contro ciascuno degli altri nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall’entità delle conseguenze che ne sono derivate; nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali). 

Alla responsabilità per danno erariale dei legali rappresentanti della società non potevano infine essere di ostacolo neppure gli artt. 75, comma 3, c.p.p. e 538 c.p.p. in materia di azione civile nel processo penale, posto che la prima di tali norme non si applica al giudizio contabile e la seconda può essere interpretata nel senso che al giudice contabile è riservata in via esclusiva la giurisdizione in punto di condanna specifica al risarcimento del danno.

Anche l’erogazione di contributi comunitari, che sia avvenuta sulla base di dichiarazioni non veritiere del percettore in merito alla sussistenza dei requisiti richiesti, configura un’ipotesi di danno erariale soggetto alla giurisdizione contabile (Cass. civ., Sezioni Unite, ord., 10.09.2013 n. 20701 e Cass. civ., Sezioni Unite, 27.01.2016 n. 1515).

La prima di tali pronunce ha chiarito in particolare che, in caso di azione di responsabilità erariale promossa per la restituzione alla Commissione europea dei contributi comunitari erogati in via diretta, l’alveo della giurisdizione del giudice contabile non è limitato al solo danno arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico nazionale, ma si estende all’intero importo finanziato. Infatti, l’estensione della responsabilità erariale al cd. “danno obliquo” di cui all’art. 1, comma 4, Legge 14.01.1994 n. 20 non consente una discriminazione applicativa in funzione del carattere sovranazionale dell’Amministrazione tutelata o della natura del contributo erogato.

Al contrario, in applicazione del cd. “principio di assimilazione”, in forza del quale gli interessi finanziari europei sono assimilati a quelli nazionali, per la loro tutela  devono essere utilizzabili le medesime misure previste dal diritto interno. Da ciò consegue la giurisdizione della Corte dei Conti anche in materia di azione di responsabilità erariale promossa per la restituzione alla Commissione europea dei contributi comunitari erogati in via diretta.

Sempre nel medesimo senso estensivo della giurisdizione contabile, la Suprema Corte ha concluso per la sussistenza di quest’ultima in presenza di un rapporto concessorio tra struttura ospedaliera privata ed ente pubblico, non essendo a ciò di ostacolo il regime dell’accreditamento: per effetto di quest’ultimo, infatti, la prima viene inserita in modo continuativo e sistematico nell’organizzazione della Pubblica Amministrazione ed assume la qualifica di soggetto erogatore di un servizio pubblico, con la conseguenza che la domanda di risarcimento del danno erariale cagionato dall’accreditato in seguito alla violazione delle regole stabilite dal predetto regime è devoluta alla giurisdizione della Corte dei Conti (Cass. civ., Sezioni Unite, 19.06.2019 n. 16336).

 

  • . 3 I requisiti oggettivi e soggettivi del danno erariale.

Sotto il profilo oggettivo, il danno erariale deve presentare i requisiti della certezza, attualità e concretezza.

Il primo di tali requisiti implica che il danno possa considerarsi verificato solo nel momento in cui la sottrazione patrimoniale si sia realizzata in tutte le proprie componenti; il secondo postula che il danno debba sussistere sia al momento della proposizione della domanda da parte dell’organo requirente contabile, sia al momento della decisione della controversia; il terzo, infine, impone che la perdita economica per la Pubblica Amministrazione o il suo mancato guadagno non risultino meramente presupposti, ma si siano effettivamente tradotti in realtà. In altri termini, il requisito della concretezza del danno erariale esclude qualsiasi rilievo del danno meramente presunto o ipotetico.

Sotto il profilo soggettivo, l’art. 1, comma 1, Legge 14.01.1994 n. 20 definisce la responsabilità erariale personale e limitata ai fatti commessi con dolo (ossia con coscienza e volontà della condotta) o con colpa grave (intesa come macroscopica trascuratezza dei propri doveri istituzionali, che si estrinsechi in condotte negligenti, imprudenti o imperite, superficiali in modo percepibile per chiunque, senza necessità di particolari specifiche cognizioni). 

Tale limitazione di responsabilità trova peraltro diretto riscontro nell’art. 23 D.P.R. 10.01.1957 n. 3 (“Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”), secondo cui costituisce danno ingiusto, suscettibile di dare luogo alla responsabilità dell’impiegato civile, quello derivante da ogni violazione dei diritti dei terzi che l’impiegato abbia commesso per dolo o colpa grave.

 

  • . 4 Le principali fattispecie di limitazione della responsabilità.

Alcune limitazioni di responsabilità sono previste dalla medesima norma dell’art. 1 Legge 14.01.1994 n. 20 o da altre disposizioni di legge speciale.

Lo stesso art. 1, comma 1, Legge 20/1994 fa espressamente salva l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. 

Specifica inoltre che è in ogni caso è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo

La gravità della colpa e ogni conseguente responsabilità sono in ogni caso escluse per ogni profilo se il fatto dannoso trae origine da decreti che determinano la cessazione anticipata, per qualsiasi ragione, di rapporti di concessione autostradale, allorché detti decreti siano stati vistati e registrati dalla Corte dei conti in sede di controllo preventivo di legittimità svolto su richiesta dell’amministrazione procedente

L’art. 1, comma 1-ter, Legge 20/1994 prevede ancora limitazioni di responsabilità nel caso di deliberazioni di organi collegiali (nell’ambito delle quali la responsabilità si imputa esclusivamente a coloro che hanno espresso voto favorevole) e nel caso di atti che rientrano nella competenza propria degli uffici tecnici o amministrativi (nel cui ambito la responsabilità non si estende ai titolari degli organi politici che in buona fede li abbiano approvati ovvero ne abbiano autorizzato o consentito l’esecuzione).

Altre limitazioni soggettive di responsabilità sono previste in favore di funzionari pubblici che adottino particolari misure deflative del contenzioso tributario o fallimentare. 

In particolare, l’art. 29, comma 7, D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modificazioni in Legge 30 luglio 2010 n. 122, stabilisce che “Con riguardo alle valutazioni di diritto e di fatto operate ai fini della definizione del contesto mediante gli istituti previsti dall’articolo 182-ter del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (concordato preventivo e accordi di ristrutturazione del debito), dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218 (accertamento con adesione), dall’articolo 48 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, e successive modificazioni (conciliazione tributaria), dall’articolo 8 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, e successive modificazioni (ruling internazionale, oggi abrogato), dagli articoli 16 e 17 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e successive modificazioni (procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative), nonché al fine della definizione delle procedure amichevoli relative a contribuenti individuati previste dalle vigenti convenzioni contro le doppie imposizioni sui redditi e dalla convenzione 90/436/CEE, resa esecutiva con legge 22 marzo 1993, n. 99, la responsabilità di cui all’articolo 1, comma 1, della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni, è limitata alle ipotesi di dolo. 

Analogo regime è previsto anche per i funzionari dell’Ente o dell’Agente della Riscossione che concludano accordi di reclamo-mediazione, in forza della previsione di cui all’art. 39, comma 10, D.L. 06 luglio 2011 n. 98, convertito in Legge 15 luglio 2011 n. 111 (“Ai rappresentanti dell’ente e dell’agente della riscossione che concludono la mediazione o accolgono il reclamo si applicano le disposizioni di cui all’articolo 29, comma 7, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122”). 

Tale limitazione di responsabilità, che nella versione originaria della norma era riferita solo ai funzionari dell’ente, è stata espressamente estesa anche ai funzionari dell’Agente della riscossione da parte dell’art. 10, comma 3, D.L. 24 aprile 2017 n. 50, convertito con modificazioni in Legge 21 giugno 2017 n. 96

Come chiarito dalla Circolare Agenzia delle Entrate 22 dicembre 2017 n. 30/E, la predetta aggiunta normativa “appare coerente con l’estensione dell’ambito di applicazione del reclamo/mediazione agli atti emessi dall’agente della riscossione, operata dall’art. 9, comma 1, lettera l) del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156 e risponde alla necessità di evitare una ingiustificata disparità di trattamento, rispetto agli enti impositori, dell’agente della riscossione”.

L’attuale testo dell’art. 39, comma 10, D.L. 98/2011, ancora oggi, non menziona invece i funzionari dei soggetti iscritti all’albo di cui all’art. 53 D.lgs. 446/1997 che accolgano un reclamo o formulino una proposta di mediazione. La norma appare quindi ad oggi ancora lacunosa; tuttavia, l’estensione anche a tali soggetti della limitazione di responsabilità alle sole fattispecie di dolo, qualora accolgano un reclamo o formulino una proposta di mediazione ex art. 17-bis D.lgs. 546/1992, appare una soluzione imposta da ragioni di uniformità di trattamento, tanto più considerando che gli atti suscettibili di reclamo-mediazione appaiono identici sia per l’Agente della Riscossione, sia per i Concessionari privati.

Oltre che nell’an, sono inoltre previste alcune limitazioni nel quantum del risarcimento. In particolare, in caso di decesso di colui che ha causato il danno erariale, il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei soli casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi (art. 1, comma 1, Legge 20/1994).

Ancora, nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione del giudice contabile, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti dall’amministrazione di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità (art. 1, comma 1-bis, Legge 14.01.1994 n. 20, che prevede quindi espressamente una fattispecie di compensatio lucri cum damno).

Affinché tale istituto risulti applicabile, sono necessari alcuni elementi, mutuati dall’analogo istituto civilistico, quali, in particolare:

  • l’effettività del vantaggio per l’amministrazione o la comunità amministrata;
  • l’identità causale tra il fatto produttivo del danno e quello produttivo del vantaggio;
  • la rispondenza del vantaggio ai fini istituzionali dell’Amministrazione o della comunità interessata.

In particolare, secondo la giurisprudenza contabile, la compensazione del danno con i vantaggi conseguiti dall’Amministrazione o dalla comunità amministrata presuppone necessariamente l’esistenza di un rapporto di identità causale tra il fatto illecito ed il vantaggio conseguito

In applicazione di tale principio, la compensatio lucri cum damno è stata esclusa in una fattispecie relativa al pagamento di accessori retributivi non consentiti, essendo in questo caso escluso dallo stesso divieto di legge il rapporto causale del pagamento con le prestazioni retribuite (Corte dei Conti, sez. III Appello, 22.11.2010 n. 791).

Allo stesso modo, le prestazioni professionali svolte da un dipendente pubblico, che sia stato assunto illegittimamente, dietro presentazione di falso titolo di studio, comportano un danno risarcibile per l’Amministrazione, e la compensatio lucri cum damno non può operare, se non limitatamente alla quota di retribuzione riconducibile a mansioni generiche e non professionalmente caratterizzate dal possesso di uno specifico titolo di studio e/o di specializzazione (Corte dei Conti Sicilia, Sezione Appello, 23.04.2010 n. 127).

Analogamente, “risponde di danno erariale il pubblico dipendente che svolge, presso un’azienda ospedaliera pubblica, attività medico-sanitaria in carenza del titolo di studio; in tal caso il sinallagma tra prestazione e retribuzione è irrimediabilmente interrotto e non sussistono i presupposti per la compensatio lucri cum damno(Corte dei Conti Lombardia, Sezione giurisdizionale, 13.06.2012 n. 321).

La compensatio lucri cum damno non è stata ritenuta applicabile neppure nella fattispecie di danno erariale indiretto derivante da cd. “accessione invertita”, perché la realizzazione dell’opera pubblica non può essere collegata causalmente alla condotta illecita (Corte dei Conti Campania, Sezione giurisdizionale, 26.03.2010 n. 531).

Infine, se il fatto dannoso è causato da più persone, la Corte dei conti, valutate le singole responsabilità, condanna ciascuno per la parte che vi ha preso. 

In tal caso, la responsabilità solidale è limitata ai soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o che abbiano agito con dolo (art. 1, comma 1-quater e comma 1-quinquies, Legge 20/1994).

 

  • . 5 La prescrizione del danno erariale.

Il diritto al risarcimento del danno erariale si prescrive in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso oppure, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta (art. 1, comma 2, Legge 20/1994). 

Qualora la prescrizione del diritto al risarcimento sia maturata a causa di omissione o ritardo della denuncia del fatto, rispondono del danno erariale i soggetti che hanno omesso o ritardato la denuncia. In tali casi, l’azione è proponibile entro cinque anni dalla data in cui la prescrizione è maturata (art. 1, comma 3, Legge 20/1994).

La prevalente giurisprudenza contabile ritiene peraltro che la norma di cui all’art. 1, comma 2, Legge 20/1994 debba essere interpretata alla luce dell’art. 2935 c.c. (secondo cui “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”). 

Pertanto, ai fini della decorrenza della prescrizione, non è sufficiente il solo compimento della condotta illecita, ma occorre (anche) un evento dannoso avente i caratteri della concretezza, dell’attualità e della conoscibilità obiettiva da parte della Pubblica Amministrazione (Corte dei Conti Toscana, 13.04.2017 n. 79;  Corte dei Conti Toscana, 01.08.2019 n. 321). 

Il dies a quo della prescrizione è quindi costituito dal momento della esteriorizzazione obiettiva del danno ingiusto, perché solo nel momento in cui lo stesso si manifesta all’esterno diviene obiettivamente percepibile e conoscibile, con la conseguenza che, prima di questo momento, non è configurabile una inerzia giuridicamente rilevante, in capo al titolare del diritto, nel farlo valere.

L’atto di costituzione in mora, interruttivo del termine prescrizionale, può venir posto in essere sia dalla Pubblica Amministrazione danneggiata (in quanto titolare del diritto al risarcimento), sia dal Pubblico Ministero contabile (in quanto soggetto legittimato in via esclusiva alla tutela giudiziale di tale diritto).

In tal senso Corte dei Conti, sez. III Appello, 10.05.2010 n. 335. 

Tale pronuncia evidenzia in particolare che la legittimazione del Pubblico ministero contabile a porre in essere atti interruttivi della prescrizione  non esclude che l’originario diritto sussista in capo all’Amministrazione danneggiata, con i relativi poteri.

Pertanto, costituiscono validi atti interruttivi della prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale sia l’atto di costituzione di parte civile dell’Amministrazione danneggiata nel processo penale, per effetto del quale la prescrizione resta altresì interrotta fino alla definizione di quest’ultimo, sia gli atti stragiudiziali con i quali l’Amministrazione costituisce in mora il responsabile.

In materia di atti interruttivi della prescrizione posti in essere dal Pubblico Ministero contabile, l’art. 67, comma 8, D.lgs. 26.08.2016 n. 174 (“Codice di giustizia contabile”) stabilisce che “nell’invito a dedurre, il pubblico ministero può costituire in mora il presunto responsabile, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1219 e 2943 del codice civile”.

Viene così espressamente codificata la facoltà dell’organo requirente contabile di costituire in mora il presunto responsabile, a fini interruttivi della prescrizione- facoltà peraltro già ammessa dalla giurisprudenza, anche anteriormente all’entrata in vigore del D.lgs. 174/2016, a condizione che l’invito a dedurre  precisasse la fonte ed il quantum del diritto erariale fatto valere, facesse espresso riferimento agli artt. 1219 e 2943 c.c. e presentasse in concreto  tutti i caratteri di un’intimazione a risarcire il danno erariale rivolta al presunto responsabile (si vedano, in tal senso, Corte dei Conti, sez. II, 05.06.2002 n. 180; Corte dei Conti Lazio, Sezione giurisdizionale, 30.06.2004 n. 2009 e Corte dei Conti Veneto, Sezione giurisdizionale, 02.03.2010 n. 133).

 

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano- Roma