Convegno Pontremoli, 27 settembre 2019
“Responsabilità e discrezionalità nell’attività di riscossione locale”
SOMMARIO:
Parte Prima: §. 1 Definizione di “danno erariale”. §. 2 Evoluzione giurisprudenziale: dalla rilevanza della qualità del soggetto danneggiante a quella della natura del danno e degli scopi perseguiti dalla Pubblica Amministrazione. §. 3 I requisiti oggettivi e soggettivi del danno erariale. §. 4 Le principali fattispecie di limitazione della responsabilità. §. 5 La prescrizione del danno erariale.
Parte Seconda: §. 6 Le principali figure giurisprudenziali di danno erariale: il “danno da tangente”. §. 7 Segue: il “danno da disservizio”. §. 8 Segue: il “danno da mobbing”. §. 9 Segue: il “danno da perdita di chance”. §. 10 Il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione pre e post D.lgs. 26.08.2016 n. 174. §. 11 La questione di legittimità costituzionale della previgente disciplina del danno all’immagine: manifesta infondatezza. §. 12 Il discrimine temporale tra la normativa previgente e quella attuale. §. 13 La quantificazione del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione.
- . 6 Le principali figure giurisprudenziali di danno erariale: il “danno da tangente”.
L’estensione del novero dei soggetti passibili di responsabilità per danno erariale – non più limitata ai soli dipendenti pubblici, ma altresì estesa a chi intrattenga con la Pubblica Amministrazione un rapporto di servizio, anche di natura occasionale- ha comportato l’elaborazione, da parte della giurisprudenza, di nuove figure di danno erariale, non direttamente tipizzate dalla norma.
Tra esse vi è il danno erariale da tangente.
Esso si fonda sul presupposto che l’esistenza di tangenti nell’ambito degli appalti pubblici finisca inevitabilmente per rincarare il costo di questi ultimi, falsando la concorrenza tra le imprese che partecipano all’appalto e determinando la corresponsione di un prezzo finale più elevato a carico della Pubblica Amministrazione.
Di conseguenza, superato il precedente orientamento che considerava la tangente come un mero indizio del danno patrimoniale subito dalla Pubblica Amministrazione, danno che doveva poi essere verificato nel caso concreto (Corte dei Conti Toscana, 10.03.2000 n. 476), la giurisprudenza contabile più recente appare invece univocamente incline a ritenere che, laddove risulti accertata l’esistenza di un’erogazione patrimoniale illecita, il cd. “danno da tangente” sia in re ipsa e debba essere liquidato in via equitativa ex art. 1226 c.c., con una cifra in ogni caso non inferiore all’importo oggetto di illecita retribuzione tangentizia.
In tal senso, tra le altre, Corte dei Conti Piemonte, 06.07.2010 n. 96, secondo cui “in un sistema libero da corruzione il denaro utilizzato per pagare tangenti si sarebbe tradotto in uno sconto per la PA sul prezzo di acquisito, e quindi un minor costo; perciò, risulta evidente che lo storno della somma per arricchire il funzionario infedele determina un danno per l’amministrazione per il maggior costo della fornitura”, e Corte dei Conti Lombardia, 01.02.2010 n. 18, secondo cui “è ipotizzabile un danno erariale da erogazione tangentizia a favore di pubblici funzionari connessa ad aggiudicazione di appalti, in quanto nessun imprenditore ragionevole corrisponde una “mazzetta” ad un amministratore se non per ottenere un vantaggio superiore, o almeno pari, a tale erogazione, non potendo un homo economicus (definito dalle scienze sociali ed economiche come soggetto “razionale” che persegue come obiettivo la massimizzazione del suo proprio benessere, definita da una certa funzione matematica detta funzione di utilità, nella maniera più ampia possibile e con i costi minori) partecipare a gare e lavori pubblici per munifico spirito liberale o per diletto e, dunque, in perdita o in pareggio, sottraendo, irragionevolmente, all’utile di impresa le erogazioni tangentizie a funzionari corrotti: queste ultime devono fatalmente e logicamente essere accollate alla P.A., o attraverso una lievitazione dei prezzi di aggiudicazione (gonfiati per rifarsi della tangente versata o conseguiti con ribassi esigui o inesistenti), o con perizie suppletive o varianti in corso d’opera”.
In materia di prescrizione del danno erariale da tangente, si ritiene generalmente che essa possa iniziare a decorrere solo dal momento in cui il Pubblico Ministero penale conclude la fase di indagine e formula la richiesta di rinvio a giudizio: solo in tale momento, con la discovery degli atti di indagine penale, la Pubblica Amministrazione danneggiata ed il Pubblico Ministero contabile assumono compiuta conoscenza del danno erariale.
In tal senso si è espressa, tra le altre, Corte dei Conti Sicilia, 10.10.2008 n. 2745 (“in ipotesi di danno da tangente, il dies a quo della prescrizione decorre dal momento della scoperta del fatto, momento coincidente con la richiesta di rinvio a giudizio emessa dal PM penale che è anche il momento della discovery degli atti di indagine penale”).
In merito alla quantificazione di tale tipologia di danno, si sono pronunciate Corte dei Conti Centrale, sez. I, 19.12.2007 n. 531 (“va riconosciuto che la percezione di tangenti nell’ambito di pubblici appalti espone l’Amministrazione a costi superiori nella contrattazione dell’appalto; pertanto la quantificazione del pregiudizio economico sofferto va correttamente rapportata, ex art. 1226 c.c., in ragione della consistenza, anche numerica, degli episodi tangentizi”) e Corte dei Conti Centrale, sez. I, 19.11.2007 n. 451 (“in materia di pubblici appalti il costo della dazione in denaro sopportata dagli appaltatori si trasferisce sul costo dall’appalto, incrementandolo; sicché è corretto valutare l’incidenza economica di tale danno secondo criteri equitativi ed in misura parametrata alla effettiva percezione delle tangenti”).
- . 7 Segue: il “danno da disservizio”.
Ulteriore fattispecie di danno erariale elaborata dalla giurisprudenza contabile è costituita dal cd. “danno da disservizio”.
Esso deriva, da un lato, dall’accertata grave inadempienza rispetto al rapporto d’ufficio, servizio o lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione, ed è quindi certamente pari alla non giustificata retribuzione percepita dal pubblico dipendente o dal soggetto legato alla Pubblica Amministrazione da un rapporto di servizio.
D’altro lato, tuttavia, non si esaurisce con essa, in quanto l’azione o l’omissione commessa dal dipendente pubblico con dolo o colpa grave incide in maniera negativa sull’intero assetto organizzativo della Pubblica Amministrazione di appartenenza, creando così un ulteriore danno patrimoniale risarcibile, identificabile con i costi generali sopportati dalla Pubblica Amministrazione per effetto del mancato conseguimento della legalità, dell’efficacia, dell’efficienza, dell’economicità e della produttività dell’azione pubblica.
In tal senso Corte Centrale dei Conti, Sezione III, 22.06.2016 n. 243, secondo cui “il danno da disservizio è un istituto, elaborato dalla giurisprudenza della Corte dei conti, il quale presuppone un pubblico servizio al quale correlarsi, e consiste nell’effetto dannoso causato all’organizzazione e allo svolgimento dell’attività amministrativa dal comportamento illecito di un dipendente (o amministratore), che abbia impedito il conseguimento della attesa legalità dell’azione pubblica e abbia causato inefficacia o inefficienza di tale azione”.
La predetta sentenza chiarisce peraltro che tale tipologia di danno non può fondarsi su prove presuntive o indiziarie, poiché deve costituire un pregiudizio economico certo nell’an: pertanto, deve essere fornita prova, da parte del Pubblico Ministero contabile, che il perseguimento di fini diversi da quelli istituzionali abbia comportato una perdita patrimoniale tangibile nelle casse dell’ente, in termini di somme inutilmente spese per perseguire gli obiettivi stabiliti, ma non raggiunti, o di spese sostenute per ripristinare l’efficienza perduta.
Il danno da disservizio costituisce infatti un pregiudizio di natura patrimoniale: pertanto, indipendentemente dalla presenza di comportamenti costituenti reato, occorre che venga dimostrata la sussistenza di un danno emergente o di un lucro cessante a carico dell’Amministrazione, che sia conseguenza immediata e diretta di prestazioni da parte del presunto responsabile, che non siano corrispondenti a quelle connesse ai propri obblighi di servizio (Corte dei Conti, Sezione I Appello, 05.02.2018 n. 35).
Affinché sia configurabile tale tipologia di danno, non sono peraltro sufficienti singoli ed isolati episodi di devianza dal modello legale, ma è necessario che vi sia una gestione complessivamente improntata a grave negligenza, e quindi una continuità della condotta illecita, un modus operandi abitualmente difforme dal modello legale (Corte dei Conti, sez. II Appello, 02.08.2016 n. 829).
Costituiscono fattispecie tipiche di danno da disservizio:
- lo spreco di risorse, che determini il mancato raggiungimento delle utilità che normalmente possono trarsi dall’impiego delle stesse (Corte dei Conti Sicilia, Sezione Appello, 28.11.2016 n. 183);
- l’ingiustificata assenza dal lavoro di un dipendente pubblico (Corte dei Conti, Sezione II Appello, 12.01.2017 n. 8);
- l’ingiustificato allontanamento del dipendente pubblico dal luogo di lavoro, avvenuto senza autorizzazione e senza registrazione dell’uscita con il cartellino marcatempo (Corte dei Conti , delib., 08.05.2019 n. 18: la predetta deliberazione ha chiarito che, in tali casi, il pubblico dipendente deve risarcire all’Ente di appartenenza il danno causato, pari allo squilibrio nel sinallagma contrattuale tra le retribuzioni corrisposte e le prestazioni rese; a ciò si aggiunge anche il danno da disservizio, corrispondente alle risorse inutilmente spese per l’attivazione e la conclusione del procedimento disciplinare che il detto comportamento ha innescato);
- la prestazione resa in modo soltanto apparente nei confronti dell’utenza (Corte dei Conti Veneto, 06.07.2017 n. 96): in tal caso, il danno da disservizio consiste nel pregiudizio subito dall’utenza per non aver potuto fruire del servizio nei termini previsti;
- la prestazione caratterizzata dall’esercizio illecito e penalmente rilevante di una funzione pubblica (Corte dei Conti Veneto, 06.07.2017 n. 96): in tal caso, il danno da disservizio consiste nella spesa effettuata per l’organizzazione e per lo svolgimento di un’attività amministrativa priva di risultati o addirittura caratterizzata da risultati contra legem.
- . 8 Segue: il “danno da mobbing”.
Nell’ambito dei danni erariali di natura non patrimoniale, deve ricordarsi il cd. “danno da mobbing”, derivante dalla sottoutilizzazione o dalla marginalizzazione di alcune unità di personale.
Si tratta di una fattispecie emblematica di danno erariale indiretto.
Infatti, in ambito civilistico, tale comportamento determina a carico della Pubblica Amministrazione (datrice di lavoro) una responsabilità verso il dipendente sottoutilizzato o marginalizzato, ai sensi dell’art. 2087 c.c. (che impone a qualsiasi datore di lavoro, incluso quello pubblico, di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore). Tale obbligo non è peraltro circoscritto al solo rispetto della legislazione prevenzionistica, ma si estende al dovere di astenersi da qualunque comportamento lesivo dell’integrità psico-fisica del lavoratore (Corte Centrale dei Conti, sez. III, 25.10.2005 n. 623).
La Pubblica Amministrazione, che sia stata condannata ex art. 2087 c.c. a risarcire il danno al dipendente marginalizzato o sottoutilizzato, può quindi rivalersi mediante azione per danno erariale indiretto nei confronti del funzionario, dirigente o altro dipendente cui tale sottoutilizzazione o marginalizzazione sia imputabile.
Parimenti, rispondono di danno erariale indiretto i funzionari che abbiano condotto al demansionamento di un dipendente attraverso atti o provvedimenti illegittimi (Corte dei Conti del Lazio, Sezione giurisdizionale, 08.07.2015 n. 330).
In materia, deve peraltro segnalarsi una recente pronuncia di orientamento più restrittivo (Corte dei Conti, Sezione I Appello, 16.02.2015 n. 150, secondo cui “non rientra tra i compiti di una pubblica amministrazione quello di fornire supporto psicologico al personale, pur comprendendo la finalità dell’intervento volta sicuramente a migliorare l’ambiente lavorativo da un punto di vista dei rapporti personali e, conseguentemente, ad efficientare l’iter amministrativo interno e, pertanto, l’amministratore di un ente pubblico che abbia conferito un incarico esterno per il servizio di supporto psicologico al personale dell’ente, in considerazione dello stress ed in relazione al contrasto del mobbing e delle molestie sessuali risponde del danno conseguente all’indebita spesa effettuata dall’ente”).
- . 9 Segue: il “danno da perdita di chance”.
Nell’ambito della disamina delle principali figure di danno erariale, elaborate negli ultimi anni dalla giurisprudenza contabile, deve infine menzionarsi il cd. “danno da perdita di chance”, ossia della possibilità per la Pubblica Amministrazione di conseguire, secondo un criterio di regolarità causale (id quod plerumque accidit), offerte più vantaggiose, risultati economici più proficui o risparmi di spesa mediante la riduzione dei prezzi negoziati. In tali casi, si verifica una lesione al diritto della Pubblica Amministrazione all’integrità del proprio patrimonio, che deve necessariamente essere accertata sulla base di elementi di valutazione di tipo prognostico, secondo il calcolo delle probabilità (Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale del Lazio, 13.02.2005 n. 2921) e valutata in maniera equitativa ex art. 1226 c.c.
Tale tipologia di danno è stata riconosciuta esistente in caso di omissione di procedure concorsuali, “in quanto, la perdita delle condizioni più favorevoli non costituisce mera ipotesi da provare, ma rappresenta una ragionevole probabilità” (Corte dei Conti Liguria, 20.12.2010 n. 332).
Infatti, il funzionario che ometta di indire una procedura concorsuale impedisce alla Pubblica Amministrazione di poter beneficiare (e, di conseguenza, di poter scegliere) delle migliori offerte conseguibili, che divengono possibili a seguito di una procedure di gara pubblica, rivolta ad una platea più vasta di imprese (Corte dei Conti, Sezione I Appello, 06.03.2015 n. 218).
Analoga responsabilità si realizza nel caso in cui la gara pubblica venga indetta, ma sia in qualsiasi modo effettuata in maniera irregolare (Corte dei Conti Liguria, 07.05.2010 n. 152).
- . 10 Il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione pre e post D.lgs. 26.08.2016 n. 174.
Tipologia particolarmente significativa e dibattuta di danno erariale è infine rappresentata dal danno all’immagine della Pubblica Amministrazione.
Tale fattispecie di danno, a differenza delle precedenti, viene espressamente tipizzata dal Legislatore, e risulta oggetto di una disciplina differente anteriormente e posteriormente all’entrata in vigore del nuovo Codice della Giustizia contabile (D.lgs. 26.08.2016 n. 174, entrato in vigore il 07 ottobre 2016).
La prima norma che ha tipizzato il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione è stato l‘art. 17, comma 30-ter, D.L. 01.07.2009 n. 78, inserito dalla Legge di conversione 03.08.2009 n. 102 (cd. “lodo Bernardo”) e successivamente modificato dapprima dall’art. 1, comma 1, lettera c), numero 1) D.L. 03.08.2009 n. 103, convertito con modificazioni in Legge 03.10.2009 n. 141 e successivamente dall’art. 4, comma 1, lettera h) Allegato 3 D.lgs. 26.08.2016 n. 174.
L’attuale primo periodo di tale norma (divenuto tale a seguito dell’abrogazione di cui all’art. 4, comma 1, lettera h) Allegato 3 D.lgs. 174/2016) stabilisce che “Le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97….”.
L’art. 7 Legge 27.03.2001 n. 97 (ad oggi abrogato) disponeva che “La sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti indicati nell’art. 3 per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro II del codice penale è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova entro trenta giorni l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato”.
Dal combinato disposto di tali norme discendeva che l’azione erariale per danno all’immagine fosse esercitabile solo in presenza di una sentenza irrevocabile di condanna penale del pubblico dipendente per uno dei delitti contro la Pubblica Amministrazione previsti dal Libro II, Titolo II, Capo I Codice penale (artt. 314- 335 bis c.p.).
Si trattava di una serie di reati, per lo più propri del pubblico ufficiale e/o dell’incaricato di pubblico servizio: a titolo esemplificativo, si trattava dei delitti di peculato (art. 314 c.p.), peculato mediante profitto dell’errore altrui (art. 316 c.p.), malversazione ai danni dello Stato (art. 316-bis c.p.), indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.), concussione (art. 317 c.p.), corruzione impropria (art. 318 c.p.) e propria (art. 319 c.p.), istigazione alla corruzione (art. 322 c.p.), abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), utilizzazione di invenzioni o scoperte conosciute per ragione d’ufficio (art. 325 c.p.), rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio (art. 326 c.p.), rifiuto o omissione di atti d’ufficio (art. 328 c.p.), rifiuto o ritardo di obbedienza commesso da un militare o da un agente della forza pubblica (art. 329 c.p.), interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità (art. 331 c.p.), sottrazione o danneggiamento di cose sottoposte a sequestro disposto nel corso di un procedimento penale dall’autorità amministrativa (art. 334 c.p.), violazione colposa di doveri inerenti alla custodia di cose sottoposte a sequestro nel corso di un procedimento penale dall’autorità amministrativa (art. 335 c.p.).
In assenza di una sentenza irrevocabile di condanna penale del pubblico dipendente per uno di tali delitti, l’azione erariale per il risarcimento del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione non poteva essere esercitata.
Lo stesso art. 17, comma 30-ter, D.L. 01.07.2009 n. 78, inserito dalla Legge di conversione 03.08.2009 n. 102, dispone ulteriormente che “… il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta”.
L’esercizio dell’azione erariale per danno all’immagine della Pubblica Amministrazione in assenza di una sentenza irrevocabile di condanna penale del pubblico dipendente per un delitto di cui al Libro II, Titolo II, Capo I Codice penale dava quindi luogo ad una fattispecie di nullità assoluta, rilevabile in qualsiasi momento da qualsiasi interessato (fatto salvo il caso in cui, al momento dell’entrata in vigore della Legge di conversione, fosse già stata emessa sentenza di condanna al risarcimento per danno all’immagine, anche non passata in giudicato).
L’art. 7 Legge 27.03.2001 n. 97 è stato abrogato dal nuovo Codice della Giustizia contabile (art. 4, comma 1, lettera g), Allegato 3 D.lgs. 26.08.2016 n. 174, entrato in vigore il 7 ottobre 2016).
Di conseguenza, è venuto meno anche il richiamo ad esso effettuato dall’art. 17, comma 30-ter, attuale primo periodo, D.L. 78/2009 convertito in Legge 102/2009: quest’ultimo, pur essendo rimasto formalmente in vigore, di fatto ha perduto la propria ragion d’essere, contenendo il rinvio ad una norma non più in vigore.
Tuttavia, secondo l’art. 4, comma 2, Allegato 3 D.lgs. 26.08.2016 n. 174, “Quando disposizioni vigenti richiamano disposizioni abrogate dal comma 1, il riferimento agli istituti previsti da queste ultime si intende operato ai corrispondenti istituti disciplinati nel presente codice”.
Ad oggi, la sola norma del Codice di giustizia contabile che fa riferimento al danno di immagine è quella dell’art. 51, comma 6, D.lgs. 26.08.2016 n. 174, secondo cui “La nullità per violazione delle norme sui presupposti di proponibilità dell’azione per danno all’immagine è rilevabile anche d’ufficio”.
Tale norma si limita quindi a confermare il carattere assoluto, e quindi la rilevabilità d’ufficio, della nullità derivante dalla violazione delle norme sui presupposti di proponibilità dell’azione per danno all’immagine.
In mancanza di ulteriori specificazioni normative, i nuovi “presupposti” di proponibilità della domanda di risarcimento del danno all’immagine (alla luce dell’abrogazione espressa dell’art. 7 Legge 97/2001 e del conseguente venir meno del richiamo ad esso operato dall’art. 17, comma 30-ter, attuale primo periodo, D.L. 78/2009) devono essere necessariamente individuati nell’art. 51, comma 7, D.lgs. 26.08.2016 n. 174.
Tale norma dispone che “la sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nonché degli organismi e degli enti da esse controllati, per i delitti commessi a danno delle stesse, è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto dall’articolo 129 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271”.
A decorrere dall’entrata in vigore del nuovo Codice di Giustizia contabile (07 ottobre 2016), per l’azione erariale di risarcimento del danno all’immagine viene meno la limitazione alle sole fattispecie di condanna penale irrevocabile per un delitto contro la Pubblica Amministrazione (Libro II, Titolo II, Capo I).
Tale azione è estesa a tutte le fattispecie in cui vi sia una sentenza irrevocabile di condanna penale nei confronti di un dipendente della Pubblica Amministrazione o di un organismo o ente da essa controllato per un delitto commesso “a danno” della Pubblica Amministrazione stessa (anche estraneo alle fattispecie di cui al Libro II, Titolo II, Capo I).
Resta fermo il necessario presupposto della sentenza irrevocabile di condanna penale.
Quest’ultima può tuttavia avere ad oggetto non solo uno dei delitti di cui al Libro II, Titolo II, Capo I Codice penale, bensì qualsiasi delitto commesso “a danno” della Pubblica Amministrazione, ossia che veda la Pubblica Amministrazione quale persona offesa.
- . 11 La questione di legittimità costituzionale della previgente disciplina del danno all’immagine: manifesta infondatezza.
In merito alla disciplina del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione previgente al D.lgs. 26.08.2016 n. 174, devono segnalarsi le recenti ordinanze Corte Costituzionale 09.07.2019 n. 167 e n. 168.
Queste ultime hanno dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, rispetto agli artt. 3, 97 e 103 Costituzione, dell’art. 17, comma 30-ter, D.L. 01.07.2009 n. 78, convertito con modificazioni in Legge 03.08.2009 n. 102, come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera c), numero 1) D.L. 03.08.2009 n. 103, convertito con modificazioni in Legge 03.10.2009 n. 141.
Malgrado l’art. 7 Legge 97/2001, richiamato dalla disposizione normativa censurata, sia stato abrogato dal Codice di giustizia contabile (art. 4, comma 1, lettera g), dell’allegato 3 del D.lgs. 26.08.2016 n. 174), lo stesso risultava comunque applicabile alla fattispecie considerata, dal momento che il giudizio principale era stato instaurato anteriormente all’entrata in vigore della norma abrogatrice.
La circostanza che la norma escluda il risarcimento del danno all’immagine, nelle ipotesi in cui il pubblico dipendente commetta reati che, seppur gravi, siano estranei alle fattispecie di cui al Libro II, Titolo II, Capo I Codice Penale, non viola né i principi di eguaglianza e ragionevolezza di cui all’art. 3 Costituzione, né il principio di buon andamento della Pubblica Amministrazione di cui all’art. 97 Costituzione, né la riserva di giurisdizione contabile di cui all’art. 103 Cost.
Non vale, in contrario, il fatto che, in epoca successiva, siano state introdotte singole disposizioni che consentono l’esercizio di tale tipologia di azione, in presenza di fatti di reato meno gravi, o addirittura in presenza di condotte che non integrano alcuna fattispecie di reato. Infatti, per ciò che concerne l’ambito oggettivo di applicazione della norma, rientra “nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non manifesta irragionevolezza e arbitrarietà della scelta, conformare le fattispecie di responsabilità amministrativa, valutando le esigenze cui si ritiene di dover fare fronte”.
In particolare, non è manifestamente irragionevole la scelta del Legislatore di consentire il risarcimento del danno all’immagine “soltanto in presenza di condotte illecite, che integrino gli estremi di specifiche fattispecie delittuose, volte a tutelare, tra l’altro, proprio il buon andamento, l’imparzialità e lo stesso prestigio dell’amministrazione“, quali appunto le fattispecie di reato di cui al Libro II, Titolo II, Capo I del Codice penale.
Due sono in particolare le fattispecie prese a raffronto, nelle quali la normativa successiva ha espressamente consentito l’azione per il risarcimento del danno di immagine alla Pubblica Amministrazione, pur in presenza di condotte non costituenti reato, o comunque integranti reati meno gravi di quelli che avevano originato il giudizio a quo.
La prima è quella di cui all’art. 55-quinquies, comma 2, D.Lgs. 30.03.2001 n. 165 (inserito dall’art. 69, comma 1, D.Lgs. 27.10.2009 n. 150), che prevede la condanna del dipendente pubblico al risarcimento dei danni all’immagine subiti dall’Amministrazione di appartenenza in conseguenza di sue assenze ingiustificate dal lavoro.
Come già affermato dalla pronuncia Corte Costituzionale n. 15.12.2010 n. 355, rientra infatti nella discrezionalità legislativa “riconoscere l’esistenza di diritti “propri” degli enti pubblici e conseguentemente ammettere forme peculiari di risarcimento del danno non patrimoniale nel caso in cui i suddetti diritti vengano violati“. Pertanto, “in questa prospettiva, non è manifestamente irragionevole ipotizzare differenziazioni di tutele, che si possono attuare a livello legislativo, anche mediante forme di protezione dell’immagine dell’amministrazione pubblica a fronte di condotte dei dipendenti, specificamente tipizzate, meno pregnanti rispetto a quelle assicurate alla persona fisica“.
La seconda fattispecie concerne invece la previsione di cui all’art. 1, comma 12, Legge 06.11.2012 n. 190, che ammette la proponibilità dell’azione risarcitoria per danno all’immagine della Pubblica Amministrazione nel caso in cui, all’interno di essa, sia accertato con sentenza definitiva un reato di corruzione.
Il fatto che, in tale ipotesi, l’esercizio dell’azione risarcitoria per danno all’immagine sia consentito nei confronti del dirigente di ruolo designato quale “Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza” (art. 1, comma 7, Legge 190/2012) non realizza una scelta legislativa manifestamente irragionevole, poiché i particolari poteri e compiti attribuiti dall’ordinamento a tale figura giustificano un’affermazione di responsabilità conseguente alle relative omissioni, che hanno sostanzialmente vanificato le misure a difesa dell’Amministrazione, non impedendo la commissione del delitto di corruzione.
Al di là di tali fattispecie eccezionali, espressamente tipizzate dal Legislatore a tutela di particolari interessi pubblici, la risarcibilità del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, nella vigenza della precedente normativa, doveva invece rimanere confinata alle sole ipotesi di sentenza irrevocabile di condanna penale del pubblico dipendente per uno dei delitti previsti dal Libro II, Titolo II, Capo I Codice Penale.
- . 12 Il discrimine temporale tra la normativa previgente e quella attuale.
In merito al discrimine temporale tra la previgente e l’attuale normativa in materia di azione per il risarcimento del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, in dottrina e in giurisprudenza si contrappongono tuttora due differenti ricostruzioni.
La prima, muovendo dal carattere processuale delle norme del nuovo Codice della Giustizia Contabile, ritiene che la nuova normativa possa applicarsi a tutti gli inviti a dedurre notificati dopo la data di entrata in vigore del D.lgs. 174/2016 (07 ottobre 2016), in forza del generale principio per cui tempus regit actum (Corte dei Conti Lombardia, 15.03.2017 n. 33; Corte dei Conti Piemonte, 30.06.2017 n. 56; Corte dei Conti Liguria, 25.01.2018 n. 16; Corte dei Conti Veneto, 17.05.2019 n. 73).
Secondo tale indirizzo, per poter applicare la nuova normativa sarebbe infatti sufficiente che l’attività istruttoria del Pubblico Ministero contabile si sia conclusa dopo l’entrata in vigore del Codice della giustizia contabile, mentre la commissione dei fatti e perfino la sentenza irrevocabile di condanna penale per un reato “a danno” della Pubblica Amministrazione, anche diverso da quelli “propri” di cui al Libro II, Titolo II, Capo I Codice Penale, potrebbero essere anche anteriori all’entrata in vigore del nuovo Codice della Giustizia contabile.
Tale ricostruzione, pertanto, ha evidentemente come effetto quello di estendere la portata applicativa della nuova disciplina, che diviene applicabile anche a fatti commessi e a sentenze penali passate in giudicato prima della sua entrata in vigore, a condizione che l’attività istruttoria del Pubblico Ministero contabile si sia conclusa (mediante la formulazione dell’invito a dedurre) successivamente.
Secondo altro orientamento, invece, la nuova disciplina del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione avrebbe carattere sostanziale.
Pertanto, essa sarebbe applicabile solo a fatti di reato non necessariamente “propri” (ex Libro II, Titolo II, Capo I) commessi successivamente all’entrata in vigore del Codice della Giustizia Contabile.
Tale ricostruzione restringe l’ambito applicativo temporale della Novella (Corte dei Conti Veneto, 19.12.2016 n. 219; Corte dei Conti Toscana, 10.07.2018 n. 174; Corte dei Conti, Sezione II Appello, 21.11.2017 n. 114; Corte dei Conti, Sezione I Appello 5 febbraio 2018 n. 52 e 53; Corte dei Conti, Sezione I Appello, 1 marzo 2018 n.96).
Il principale argomento in favore di tale indirizzo è quello secondo cui l’abrogazione della normativa previgente, ampliando l’ambito di risarcibilità del danno all’immagine, ha introdotto un regime peggiorativo per i convenuti, sicché per il principio del favor rei – principio di certezza giuridica di origine penale, ma di generale applicabilità anche nell’ambito della responsabilità erariale -, detto regime innovativo può applicarsi solo per fatti commessi a decorrere dall’entrata in vigore del nuovo Codice della Giustizia Contabile.
Dalla natura sostanziale, e non processuale, della previsione normativa, deriva il perseverare dell’applicabilità della disciplina anteriore alle fattispecie nelle quali i fatti, da cui è derivato il danno erariale, sono accaduti nel corso della sua vigenza.
- . 13 La quantificazione del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione.
Ad oggi, l’art. 1, commi 1-sexies e 1-septies, Legge 14.01.1994 n. 20 (aggiunti dall’art. 1, comma 62, Legge 06.11.2012 n. 190, cd. “legge Severino anti-corruzione”) stabiliscono che:
“1-sexies. Nel giudizio di responsabilità, l’entità del danno all’immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.
1-septies. Nei giudizi di responsabilità aventi ad oggetto atti o fatti di cui al comma 1-sexies, il sequestro conservativo è concesso in tutti i casi di fondato timore di attenuazione della garanzia del credito erariale”.
La predetta norma, oltre ad agevolare la concessione del sequestro conservativo sui beni dell’incolpato (per la quale è sufficiente un fondato timore anche di mera attenuazione, e non solo di perdita, della garanzia del credito erariale), pone soprattutto un criterio legale di determinazione del danno all’immagine, ossia un limite al potere di liquidazione equitativa in capo al giudice ex art. 1226 c.c., disponendo che il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione si presume pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente.
Si tratta tuttavia di una presunzione relativa, per la quale è ammessa la prova contraria, posta a carico della parte che abbia interesse a fornirla.
In mancanza di un’espressa deroga al principio di irretroattività e stante il carattere non meramente processuale della norma, quest’ultima è pacificamente applicabile solo ai fatti commessi dopo l’entrata in vigore della Legge 06.11.2012 n. 190.
Al contrario, per i fatti commessi in epoca anteriore, continua a trovare integrale applicazione il criterio equitativo di liquidazione del danno di cui all’art. 1226 c.c. (Corte dei Conti, Sez. I Appello, 05.02.2018 n. 53).
Dott.ssa Cecilia Domenichini
Unicusano- Roma