Convegno Pontremoli, 21 febbraio 2020
“Prime riflessioni sulla riscossione delle entrate locali mediante accertamento esecutivo, ai sensi della L. 160/19”
L’utilizzo delle tecnologie informatiche, consentendo lo snellimento delle pratiche burocratiche, rappresenta uno degli obiettivi prioritari perseguiti dal Legislatore al fine del conseguimento di una maggiore efficienza ed economicità dell’azione amministrativa. La digitalizzazione e dunque la dematerializzazione dei flussi documentali, infatti, è uno dei principali strumenti di semplificazione dell’attività della Pubblica Amministrazione in quanto consente la creazione di un vero e proprio circuito all’interno del quale i pubblici uffici possono interagire più rapidamente e in modo più trasparente sia tra loro che con i privati, con risparmio di tempo, ma anche di costi.
Una delle tappe fondamentali di questo processo di implementazione dell’utilizzo delle tecnologie informatiche è rappresentata dall’entrata in vigore del Codice dell’Amministrazione Digitale (c.d. CAD) di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82, che, come riportato nel suo art. 2, comma 2, si applica “a) alle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nel rispetto del riparto di competenza di cui all’art. 117 della Costituzione, ivi comprese le autorità di sistema portuale, nonché alle autorità amministrative indipendenti di garanzia, vigilanza e regolazione; b) ai gestori di servizi pubblici, ivi comprese le società quotate, in relazione ai servizi di pubblico interesse; c) alle società a controllo pubblico, come definite nel decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, escluse le società quotate di cui all’art. 2, comma 1, lettera p), del medesimo decreto che non rientrino nella categoria di cui alla lettera b)”; soggetti, questi, tenuti ad organizzarsi e ad agire “utilizzando con le modalità più appropriate e nel modo più adeguato al soddisfacimento degli interessi degli utenti le tecnologie dell’informazione e della comunicazione”, al dichiarato fine di assicurare la disponibilità, la gestione, l’accesso, la trasmissione, la conservazione e la fruibilità dell’informazione in modalità digitale (art. 2, comma 1).
Ai sensi dell’art. 3 viene infatti sancito che chiunque ha diritto di usare, in modo accessibile ed efficace, le soluzioni e gli strumenti offerti dal CAD, anche ai fini dell’esercizio dei diritti di accesso e della partecipazione al procedimento amministrativo. E proprio allo scopo di favorire lo scambio di informazioni e di documenti in modalità digitale nel CAD vengono sancite la validità e l’efficacia probatoria del documento informatico nonché la validità della firma digitale.
Inoltre, l’art. 3-bis del CAD impone in capo a determinati soggetti – i professionisti tenuti all’iscrizione in albi ed elenchi e i soggetti tenuti all’iscrizione nel registro delle imprese e i soggetti indicati nell’articolo 2, comma 2 dello stesso CAD – l’ obbligo di dotarsi di un domicilio digitale, prevedendo, invece, per ogni altro soggetto non ricompreso nell’elenco succitato, la facoltà di eleggerlo (comma art. 3-bis, comma 1-bis).
Più specificamente, come espressamente previsto dall’art. 6-bis del CAD, per i professionisti e le imprese il domicilio digitale è rappresentato dall’indirizzo di posta elettronica certificata comunicato dagli stessi agli ordini o collegi professionali o al Registro delle Imprese e tali indirizzi sono inseriti nel pubblico elenco denominato Indice nazionale dei domicili digitali (INI-PEC) delle imprese e dei professionisti, tenuto dal Ministero per lo sviluppo economico.
Per quanto riguarda le pubbliche amministrazioni e i gestori di pubblici servizi, invece, l’art. 6-ter del CAD dispone l’inserimento dei loro domicili digitali nell’Indice dei domicili digitali della pubblica amministrazione e dei gestori di pubblici servizi (IPA), la cui realizzazione e gestione è affidata all’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID). Invece, per le persone fisiche e gli altri soggetti che non risultano iscritti in albi professionali o nel registro delle imprese, ma che abbiano comunque eletto un proprio domicilio digitale, l’art. 6-quater del CAD prevede che i loro indirizzi digitali sono contenuti nel Pubblico elenco dei domicili digitali delle persone fisiche e degli altri enti di diritto privato non tenuti all’iscrizione in albi professionali o nel registro delle imprese, la cui realizzazione e gestione è affidata all’AgID, la quale, una volta completata l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR), provvederà poi a trasferire in essa tali domicili.
Ebbene, proprio il Codice dell’Amministrazione Digitale ha aperto la strada alla notifica degli atti e dei provvedimenti amministrativi a mezzo PEC, ossia attraverso quel particolare strumento di comunicazione disciplinato dal D.P.R. 11 febbraio 2005 n. 68 (Regolamento recante disposizioni per l’utilizzo della posta elettronica certificata), che consente la trasmissione di un messaggio di posta elettronica dal mittente al destinatario, attraverso l’intermediazione dei gestori del servizio PEC ossia di soggetti, pubblici o privati, qualificati, inseriti in un apposito elenco pubblico tenuto da DigitPA, i quali garantiscono la provenienza, l’integrità e l’autenticità dei messaggi PEC, attraverso la sottoscrizione con firma elettronica avanzata delle buste di trasporto dei messaggi stessi (art. 9 del D.P.R. n. 68/2005). Più precisamente, il mittente predispone il proprio messaggio di PEC, composto dal testo del messaggio e dagli eventuali documenti allegati, e lo invia al proprio gestore, che a sua volta lo invia al gestore di PEC di cui si avvale il destinatario, il quale poi provvede a consegnarlo nella casella di posta elettronica certificata di quest’ultimo (art. 5 del D.P.R. n. 68/2005) e la spedizione e la ricezione del messaggio PEC vengono attestate, rispettivamente, dalla ricevuta di accettazione rilasciata dal gestore pec del mittente e dalla ricevuta di avvenuta consegna, rilasciata dal gestore pec del destinatario; ricevute che hanno pieno valore legale e che certificano, oltre all’avvenuta trasmissione del messaggio, anche il momento esatto (giorno e ora) in cui è stata compiuta la spedizione e in cui si è avvenuta la consegna. Dunque, tali ricevute costituiscono prove legali opponibili a terzi, atte a dimostrare il perfezionamento della trasmissione del messaggio pec e la tempestività o meno della stessa.
E’ proprio per queste caratteristiche che la posta elettronica certifica è stata equiparata alla raccomandata con avviso di ricevimento ed è stata fatta rientrare tra i mezzi di notifica.
Il CAD, all’art. 48 dispone infatti che la trasmissione del documento informatico per via telematica effettuata via pec equivale alla notificazione per mezzo della posta, salvo che la legge disponga diversamente.
Ebbene, nel nostro ordinamento giuridico si riscontrano, invero, varie disposizioni normative che consentono di effettuare la notifica a mezzo della posta elettronica certificata. E non solo con riguardo agli atti processuali. L’implementazione delle tecnologie informatiche e l’utilizzo della pec ha inciso infatti anche sul processo di notificazione dei provvedimenti amministrativi (si pensi ad esempio all’introduzione dell’obbligo di utilizzare la pec per la notifica dei verbali di contestazione delle violazioni del Codice della Strada previsto dal Decreto interministeriale del 18 dicembre 2017 che dà attuazione al disposto dell’art. 20, comma 5 quater del D.L. n. 69/2013, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 98/2013) e, più specificamente, degli atti tributari.
In particolare, giova evidenziare come la notifica a mezzo pec non sia riservata solo e soltanto all’ufficiale giudiziario ai sensi dell’art. 149 bis c.p.c. (in base a tale disposizione “se non è fatto espresso divieto dalla legge, la notificazione può eseguirsi a mezzo posta elettronica certificata, anche previa estrazione di copia informatica del documento cartaceo” da parte dell’ ufficiale giudiziario, il quale trasmette sia la copia informatica dell’atto sottoscritta con firma digitale che la relazione di notificazione redatta su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale all’indirizzo pec del destinatario risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, per poi restituire sia l’atto notificato che la relata che le ricevute di accettazione e di consegna al soggetto richiedente la notifica), essendo infatti prevista anche la notifica c.d. “diretta” da parte del soggetto competente ad emettere l’atto da notificare.
E ciò anche nel settore tributario, sebbene, in un primo momento, in assenza di specifiche disposizioni normative in tal senso, la possibilità di notificazione diretta via pec dei provvedimenti tributari – ossia di atti che vanno ad incidere così direttamente sulla sfera patrimoniale del cittadino contribuente da dover essere portati a conoscenza di quest’ultimo attraverso una regolare e legittima procedura notificatoria affinché lo stesso possa approntare le proprie difese e in modo tale che la stessa pretesa tributaria possa divenire certa ed esigibile – è stata messa in discussione. Si rilevava, invero, come la posta elettronica certificata, di per se stessa, con riguardo all’effettiva ricezione dell’atto da parte del contribuente, non offrisse le stesse garanzie né della notifica a mezzo ufficiale giudiziario o messo comunale o messo notificatore né della notifica a mezzo raccomandata (basti pensare all’ipotesi di smarrimento della password della casella pec).
Peraltro, la possibilità della notifica via pec in assenza di specifiche disposizioni di carattere tributario che la consentissero espressamente, di fatto poggiava esclusivamente su una norma generale quale l’art. 48 del CAD. E il fatto che tale disposto potesse legittimare la modalità “digitale” della notifica di un atto tributario non era poi così pacifico, non trovando unanime consenso giurisprudenziale. Se, infatti, la Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, con sentenza n. 166/2016, riguardo la validità di una notifica via pec di una cartella di pagamento emessa da Equitalia, asseriva che, stante l’equiparazione pec – raccomandata a/r di cui all’art. 48 del CAD, nei casi in cui risulta legittima la notifica mediante servizio postale avrebbe dovuto dirsi pienamente legittima anche la notifica via pec, purché eseguita in modo regolare e salvo contrarie disposizioni normative (in tal senso anche CTP Matera, sentenza n. 447/2015), di contrario avviso, invece, si mostrava la Commissione Tributaria Provinciale di Milano, la quale, rispetto a degli avvisi di accertamento e in rettifica, escludeva categoricamente che si potesse procedere alla loro notifica via pec in assenza di un’espressa previsione normativa. Invero, richiamando il principio per il quale “una notificazione può dirsi giuridicamente inesistente quando il relativo atto esce completamente dallo schema legale degli atti di notificazione, ossia quando difettano totalmente gli elementi caratterizzanti che consentono la qualificazione di atto sostanzialmente conforme al modello legale delle notificazioni” la Commissione Tributaria Provinciale di Milano concludeva che “la notifica via pec se non espressamente prevista da una norma deve ritenersi esca fuori dal modello legale delle notificazioni e nessuna norma autorizza possa avvenire la notifica di un accertamento e/o di una rettifica a mezzo pec” (CTP Milano, sentenza n. 6087/2014).
In ogni caso, a porre fine a tale contrasto interpretativo interveniva prima il D. Lgs. 24 settembre 2015 n. 159 recante “Misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione“, e poi il D.L. 22 ottobre 2016, n. 193 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili”.
Il D.Lgs. n. 159/2015, infatti, al dichiarato fine di potenziare la diffusione dell’utilizzo della posta elettronica certificata nell’ambito delle procedure di notifica, nell’ottica del massimo efficientamento operativo, della riduzione dei costi amministrativi e della tempestiva conoscibilità degli atti da parte del contribuente, andava a modificare l’art. 26 del D.P.R. n. 602/1973, prevedendo espressamente l’obbligo, in capo agli uffici competenti, di procedere alla notifica a mezzo PEC degli atti di riscossione nei confronti dei professionisti e delle imprese individuali o società. E il D.L. 193/2016 sanciva la possibilità di notifica diretta via pec anche per gli atti dell’accertamento tributario a decorrere dal 1º luglio 2017.
In particolare, l’art. 7 ter del D.L. n. 193/2016 interveniva sull’articolo 60 del DPR 600/1973, mediante l’aggiunta del settimo ed ultimo comma, che prevede in capo all’ufficio competente all’emissione dell’atto dell’accertamento tributario la facoltà di notificare direttamente a mezzo pec sia nei confronti dei professionisti e delle imprese individuali, sia nei confronti di quei soggetti che, pur non essendo tenuti ad avere un indirizzo pec da inserire nell’INI-PEC, abbiano comunque richiesto di ricevere le comunicazioni mediante posta elettronica certificata. Inoltre, il Decreto Legge 193/2016 andava a modificare il succitato art. 26 del DPR 602/1973, eliminando l’obbligo della notifica via pec degli atti di riscossione e prevedendo, così come per gli atti dell’accertamento, la mera facoltà di procedere alla notifica digitale. A fronte delle modifiche di cui si è appena detto, l’art. 26 del DPR, infatti, così recita: “la notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), ovvero, per i soggetti che ne fanno richiesta, diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, all’indirizzo dichiarato all’atto della richiesta. In tali casi, si applicano le disposizioni dell’articolo 60 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600”.
E’ dunque l’ultimo comma dell’art. 60 del D.P.R. 600/1973 a disciplinare la notifica diretta via pec degli atti tributari in generale, ivi compresi quelli della riscossione. Ai sensi di tale disposizione, la notifica “può essere effettuata direttamente dal competente ufficio con le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo di posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC)”. Qualora la casella di posta elettronica risulti satura, l’ufficio effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio; se anche a seguito di tale tentativo la casella di posta elettronica risulta satura oppure se l’indirizzo di posta elettronica del destinatario non risulta valido o attivo, la notificazione deve essere eseguita mediante deposito telematico dell’atto nell’area riservata del sito internet della società InfoCamere Scpa nonché attraverso pubblicazione per quindici giorni del relativo avviso di deposito nello stesso sito. Tale pubblicazione deve essere effettuata entro il secondo giorno successivo a quello di deposito telematico dell’atto. Inoltre, l’ufficio deve dare notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto anche a mezzo di lettera raccomandata.
Per quanto concerne invece la notifica via pec nei confronti dei soggetti diversi da quelli obbligati ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata da inserire nell’INI-PEC, ma che abbiano comunque richiesto di ricevere le notifiche in modalità digitale, il messaggio può essere spedito all’indirizzo pec intestato al richiedente oppure all’indirizzo pec di uno dei soggetti di cui all’articolo 12, comma 3, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (soggetti abilitati all’assistenza tecnica nell’ambito del processo tributario, quali, ad esempio, avvocati, commercialisti, consulenti del lavoro) o del coniuge, di un parente o affine entro il quarto grado, che sia stato specificamente incaricato di ricevere le notifiche per conto degli interessati. Qualora la casella pec del contribuente risulti satura, l’ufficio effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio e se anche a seguito di tale tentativo la casella è satura o nei casi in cui l’indirizzo di posta elettronica del contribuente non sia valido o attivo, si applicano le disposizioni in materia di notifica analogica.
Ma dato che l’art. 60 non si riferisce espressamente ai tributi locali, anche a seguito dei suddetti interventi normativi rimaneva comunque il dubbio circa la possibilità, per gli enti locali, di effettuare la notifica a mezzo PEC con riguardo agli atti tributari di loro competenza. Infatti, il comma 161 dell’art. 1 della legge n. 296/2006 (Finanziaria 2007) prevede, sì, la possibilità di notifica diretta mediante posta con raccomandata con avviso di ricevimento, ma nessuna specifica disposizione contemplava l’utilizzo della pec. Questo fino all’emanazione del D. Lgs. 13 dicembre 2017 n. 217, entrato in vigore dal 27 gennaio 2018, che con il suo art. 7 è andato a modificare l’art. 6 del CAD aggiungendo il comma 1-quater, che così dispone: “I soggetti di cui all’articolo 2, comma 2” – e dunque anche gli enti locali in quanto ricompresi nel richiamato elenco di cui all’art 1 del D.Lgs. 165/2001 – “notificano direttamente presso i domicili digitali di cui all’articolo 3-bis i propri atti, compresi i verbali relativi alle sanzioni amministrative, gli atti impositivi di accertamento e di riscossione e le ingiunzioni di cui all’articolo 2 del regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, fatte salve le specifiche disposizioni in ambito tributario”.
Ebbene, una volta ammessa e riconosciuta la possibilità di notifica a mezzo pec degli atti della riscossione e degli atti tributari in genere, ivi compresi quelli degli enti locali, occorre però domandarsi cosa debba contenere il messaggio pec affinché la notifica digitale possa considerarsi valida e legittima.
A tal proposito, una delle questioni più dibattute riguarda il formato dell’allegato contenente l’atto oggetto di notifica. E’ controverso, infatti, se il documento informatico allegato al messaggio pec debba necessariamente presentarsi con l’estensione “.p7m”, tipica dei file sottoscritti digitalmente con firma CAdES-BES, oppure se si ammesso anche il formato “.pdf”. Sul punto, l’orientamento che per anni è risultato prevalente in giurisprudenza afferma che la notifica via pec non è valida se l’atto da notificare è contenuto in un file .pdf anziché in un file con estensione .p7m (ex multis CTP Napoli, Sent. n. 15193/2016; CTP Lecce, sent. n. 611/2016 e sent. n. 1817/2016; CTP Napoli sent. n. 611 del 26/02/2016; CTP Varese, sent. n. 416/2017; CTP Frosinone n. 869/16; CTP Roma sent. n. 1715/2017, CTP Savona n. 100/2017; CTP Pisa, sent. n. 531/2017; CTP Salerno, sent. n. 4124/2017; CTR Campania, sentenze del 9/11/2017, n. 9515 e n. 9464; CTP Reggio Emilia sent. n. 204/2017; CTP Milano sent. n. 1023 del 3/02/2017; CTP Savona, sent. 11100/2017 e sent. 101/2017; CTP Milano, sent. 24/02/2017 n. 163; CTP La Spezia Sez. I, sent. 09/10/2017; CTR Liguria, sent. 7/12/2017, n. 1745).
Secondo tale indirizzo, infatti, solo il formato .p7m, proprio in virtù dell’apposizione della firma digitale CAdES-BES, garantirebbe sia l’integrità e l’immodificabilità del documento informatico che l’identificabilità del suo autore e dunque la paternità. La giurisprudenza di questo avviso osserva che attraverso la notifica via pec di un file in formato .pdf non viene trasmesso l’ originale dell’atto debitamente firmato, ma solo e soltanto una copia dello stesso, priva, pertanto, di per se stessa e in mancanza di attestazione di conformità rilasciata da un Pubblico Ufficiale, di alcun valore legale. Invece, l’estensione “.p7m” costituisce la c.d. “busta crittografica” contenete al suo interno il documento originale, l’evidenza informatica della firma e la chiave per la sua verifica. Pertanto, qualora l’atto non rechi detta estensione la notifica dovrà ritenersi inesistente e l’atto stesso deve considerarsi affetto da nullità insanabile ed improduttivo di effetti giuridici. Infatti, nel caso in cui venga trasmesso un file .pdf privo di firma digitale e senza l’attestazione di conformità, non viene in discussione solo la legittimità della notifica, ma viene meno la stessa validità del provvedimento inoltrato attraverso il messaggio di posta elettronica, non potendosi invocare la sanatoria per raggiungimento dello scopo prevista dall’art. 156 c.p.c..
La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli ha evidenziato che “la notifica via PEC di atti della Pubblica Amministrazione, pur oggi consentita dalla legge, presuppone, in ogni caso, che il documento trasmesso rechi l’apposizione della firma elettronica qualificata o digitale del Responsabile del Procedimento, nonché, se in copia, l’attestazione di conformità. Tal ché, la notifica a mezzo PEC non è valida se effettuata tramite messaggio di posta certificata contenente il file della cartella con estensione diversa da “.p7m” o comunque non firmato digitalmente o validato da certificazione di conformità. (…) Dunque, “il file .pdf allegato al messaggio PEC, ma non firmato digitalmente e comunque privo di ogni asseverazione di conformità all’originale cartaceo deve essere annullato, dal momento che in tale ipotesi il messaggio PEC «non contiene l’originale dell’atto inviato, ma solo una copia priva di attestazione di conformità e non offre, quindi, le garanzie tipiche della raccomandata tradizionale» (cfr. Commissione Tributaria di Milano, sentenza 1638 del 2017)” (Comm. Trib. Prov. Napoli Sezione/Collegio 4, sentenza del 12/04/2018 n. 3790).
Dunque, seguendo tale orientamento, sarebbe necessario firmare digitalmente in CAdES-BES il documento informatico contenente l’atto da notificare, e, qualora tale documento fosse rappresentato da una copia informatica dell’originale cartaceo, occorrerebbe altresì allegare l’attestazione di conformità.
Si evidenzia però che, con riguardo alla notifica di una copia informatica di una cartella di pagamento estratta da un originale cartaceo mediante scansione e notificata via pec in formato .pdf, la Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa con Sentenza del 13/02/2018 n. 881, chiamata a pronunciarsi sulla sua validità, ha addirittura affermato che “l’agente della riscossione può avvalersi del servizio di posta elettronica certificata, ma a condizione che l’invio telematico abbia ad oggetto solo ed esclusivamente il documento informatico e non già una copia informatica (ossia una scansione del documento precedentemente emesso in forma cartacea)” in quanto l’art. 26, comma 2, del D.P.R. n. 602/73, escludendo l’applicazione dell’art. 149 bis c.p.c., “non riconosce l’equipollenza tra documento informatico e copia (informatica) del documento cartaceo, per cui l’esattore può e deve trasmettere solamente il documento informatico (…) il quale, ai sensi dell’art. 20 del D. Lgs n. 82/2005 (Codice dell’Amministrazione Digitale), a differenza della copia informatica, necessita di una firma digitale che lo rende immodificabile”. Al contrario, la Commissione Tributaria Regionale per il Lazio recentemente ha osservato che “la specialità della disciplina contenuta nell’art. 26 del D.P.R. n. 602 del 1973 in materia di notifica delle cartelle di pagamento, contiene una espressa deroga all’applicabilità dell’art. 149-bis c.p.c. ed agli adempimenti ivi previsti per il caso della notifica a mezzo pec, per cui l’invocata sottoscrizione digitale dell’allegato, contemplata dal citato art. 149-bis c.p.c., è espressamente esclusa, con conseguente infondatezza della doglianza di inesistenza della notifica stessa” (CTR Lazio Roma Sez. III, Sent. 29 novembre 2019, n. 6655).
In ogni caso, proprio con riferimento all’apposizione della firma digitale, occorre comunque sottolineare che a seguito della pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 10266 del 27 aprile 2018, è ormai pacifica l’equiparazione tra la firma in CAdES-BES, che può essere applicata ad ogni genere di file e che dà origine al formato .p7m, e quella in PAdES-BES, che può essere apposta solo sui file in formato .pdf e che mantiene inalterata tale estensione. Sul punto, è intervenuta recentemente anche la Commissione Tributaria Regionale del Piemonte con sentenza 957/3 del 19/09/2019, la quale, in tema di notifiche via pec della cartella di pagamento, ha ribadito che il formato PDF/A sottoscritto con firma digitale PAdES-BES è legittimamente utilizzabile in quanto anche tale formato, al pari del formato CAdES-BES ossia il P7M, assolve alla duplice esigenza di assicurare l’immodificabilità dello stesso, attraverso l’impossibilità di modificare il testo dell’atto con programmi di scrittura, e di garantire la provenienza certa del documento, tramite l’apposizione della firma digitale, con la conseguenza che l’indicazione .P7M deve considerarsi esemplificativa e non esclusiva, esaustiva e tassativa dei formati da utilizzare rispetto ai file non nativi PDF.
E proprio il riconoscimento dell’equivalenza delle firme CadES-BES e PAdES-BES ha contribuito a far sì che la giurisprudenza rivedesse il proprio orientamento circa l’invalidità della notifica effettuata mediante allegazione di un file in formato .pdf.
Ad esempio, la Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia – Milano Sez. XIII, con sentenza del 14/01/2019 ha ritenuto legittima la notifica di una cartella di pagamento, attraverso PEC, con l’atto stesso allegato in formato .pdf, anziché in .p7m, in quanto idoneo anch’esso a garantire l’autenticità del documento trasmesso. E pure la Commissione Tributaria Regionale per l’Emilia Romagna, Sezione/Collegio 1, con sentenza n. 630 del 28/03/2019, ha affermato che “è da disattendere che l’allegazione di una copia della cartella in formato .Pdf, priva di firma digitale, al messaggio di posta elettronica non realizzi gli standards di sicurezza richiesti dalla legge, ottenibili invece con l’estensione c.d. “p7m” del file con firma digitale (busta CAdES)”. A dire dei Giudici, infatti, quando la cartella è allegata ad un messaggio pec come normale .pdf’ e non nel formato .p7m “nulla cambia per il contribuente in quanto la cartella altro non è che la manifestazione del ruolo depositato presso l’ente esattore ed è emessa in unico esemplare”, con la conseguenza che il formato .p7m, “in quanto si risolve nella maggior sicurezza di conservazione (…) sarebbe da riferire alla cartella e non alla copia che viene consegnata al contribuente, dalla cui impugnazione si evince che l’atto ha raggiunto il suo scopo, quello dì portare a conoscenza il contribuente del suo debito, indipendentemente dalla sottoscrizione”; sottoscrizione che non risulta affatto necessaria anche perché il sistema di trasmissione a mezzo Pec si distingue dalla posta normale proprio per il suo carattere della certificazione ovvero della paternità.
Anche la Commissione Tributaria di II grado di Bolzano, Sezione/Collegio 1 con la Sentenza n. 93 del 25/10/2018 aveva dichiarato la validità di una notifica digitale di una cartella di pagamento trasposta in formato .pdf, non sottoscritto digitalmente e privo di attestazione di conformità, evidenziando come non fosse affatto pertinente invocare il formato .p7m quale unico formato atto a garantire la sottoscrizione dell’emittente e che “anche la notificazione tradizionale mediante consegna di copia, pacificamente corretta, non avrebbe dato maggiori garanzie, in quanto le cartelle di pagamento non sono per prassi firmate da persona abilitata, né si tratta di requisito indefettibile (cfr. recentemente Cass. n. 545/2018)”. A sostegno della propria decisione, la Commissione Tributaria rilevava inoltre che i requisiti di garanzia di riferibilità dell’atto all’amministrazione finanziaria e conformità all’originale apparivano pienamente soddisfatti anche con il formato prescelto e che il contribuente non avesse mai sostenuto la mancata ricezione della notifica né avesse disconosciuto la conformità dell’allegato all’originale. Invero, il mancato disconoscimento della conformità conferisce alla copia informatica la medesima efficacia dell’originale, come disposto dell’art. 22 del CAD, che così recita: “Le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico nel rispetto delle Linee guida hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte se la loro conformità all’originale non è espressamente disconosciuta“.
E proprio questo filone giurisprudenziale, che esclude l’inesistenza o comunque la nullità insanabile della notifica via pec qualora il documento informatico allegato sia in formato .pdf o comunque non risulti firmato e/o non sia munito di attestazione di conformità all’originale, è stato recentemente avallato dalla Corte di Cassazione, la quale, mostrando di voler privilegiare l’utilizzo e la funzione della pec, di fatto sostiene che la riferibilità dell’atto al soggetto notificante e il raggiungimento dello scopo della notifica, ossia la produzione del risultato della conoscenza dell’atto notificato, privano di significativo rilievo la presenza di meri vizi di natura procedimentale qualora gli stessi non abbiano comportato una lesione del diritto di difesa del contribuente o altro pregiudizio.
La Suprema Corte di Cassazione, infatti, con Ordinanza n. 6417 del 05 marzo 2019, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, sez. distaccata di Salerno, che aveva dichiarato l’illegittimità della notifica di una cartella di pagamento effettuata mediante PEC per il fatto che il file contenente la cartella fosse con estensione “.pdf” non firmato digitalmente, ha evidenziato che fosse irrilevante il fatto che l’atto non fosse contenuto in un file con estensione .p7m, in quanto l’omessa sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non determina affatto l’invalidità dell’atto, la cui esistenza dipende non tanto “dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile” ma dalla circostanza che sia riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo. E ciò tanto più in considerazione del fatto che, a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 25, la cartella, quale documento per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli, deve essere predisposta secondo il modello approvato con decreto del Ministero competente, che non prevede la sottoscrizione dell’esattore, ma solo la sua intestazione e l’indicazione della causale, tramite apposito numero di codice, come già evidenziato in Cass. 5 dicembre 2014 n. 25773. Peraltro, proprio la natura vincolata del ruolo, che non presenta in fase di formazione e redazione margini di discrezionalità amministrativa, comporta l’applicazione del generale principio di irrilevanza dei vizi di invalidità del provvedimento, ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, “sicché non può che operare la presunzione generale di riferibilità dell’atto amministrativo all’organo da cui promana, con onere della prova contraria a carico del contribuente, che non può limitarsi ad una generica contestazione dell’esistenza del potere o della provenienza dell’atto, ma deve allegare elementi specifici e concreti a sostegno delle sue deduzioni”. Inoltre, richiamando alcuni propri precedenti (Cass. 28 settembre 2018 n. 23620 e Cass. 18 aprile 2016, n. 7665), la Suprema Corte precisava che in ogni caso l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo pec non ne comporta la nullità se la consegna dello stesso ha comunque prodotto il risultato della sua conoscenza e determinato così il raggiungimento dello scopo legale, stante la sanatoria di cui all’art. 156 c.p.c.; disposizione quest’ultima applicabile anche con riguardo agli atti tributari, in quanto “la natura sostanziale e non processuale dell’atto non osta all’applicazione di istituti appartenenti al diritto processuale, soprattutto quando vi sia un espresso richiamo di questi nella disciplina tributaria” quale è il rinvio operato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 5, al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, il quale, a sua volta, rinvia alle norme sulle notificazioni nel processo civile.
E ancor più recentemente, la Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza del 27 novembre 2019, n. 30948, ha dichiarato la validità della notifica via pec della copia informatica di una cartella di pagamento formata in origine su supporto cartaceo, trasmessa al contribuente mediante file in formato .pdf realizzato attraverso copia per immagini ossia per scansione, sebbene privo di sottoscrizione digitale e di attestazione di conformità. I Giudici della Suprema Corte infatti, dopo aver spiegato che il documento informatico da notificare può essere costituito sia da un duplicato informatico dell’atto originario (il c.d. “atto nativo digitale”) sia da una “copia informatica” dell’originale, hanno evidenziato che è nella sicura facoltà del notificante allegare la copia per immagini di un documento in origine analogico e che non solo nessuna norma di legge impone che tale copia debba necessariamente essere sottoscritta con firma digitale e/o munita di attestazione di conformità a pena di invalidità della notifica, ma che, anzi, ai sensi dell’art. art. 22, comma 3, del CAD, le copie per immagine su supporto informatico di documenti originali formati in origine su supporto analogico hanno la stessa efficacia probatoria degli originali da cui sono tratte a meno che la loro conformità all’originale non venga espressamente disconosciuta. Il tutto puntualizzando che comunque, in caso di irritualità della notifica, opera la sanatoria per raggiungimento dello scopo ex art. 156 c.p.c..
Anche la giurisprudenza di merito si è espressa in tal senso, asserendo che “la inosservanza di talune modalità di utilizzo di detta forma di notifica, e cioè la inosservanza di talune delle disposizioni contenute nel regolamento di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68 richiamato nel predetto art. 26, inosservanza che si sostanzierebbe, (…), nella mancanza della firma digitale sull’atto allegato al messaggio di PEC (che consentirebbe al destinatario del messaggio di verificare l’identità del mittente e di avere la certezza che il messaggio non ha subìto alterazioni nel passaggio dal mittente al destinatario) e nella mancata attestazione di conformità della copia informatica all’originale mediante la firma digitale da parte di un notaio o di altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato, non rende inesistente giuridicamente la notifica in questione, con conseguente applicazione del principio generale espresso dall’art.156 c.p.c. che preclude la declaratoria di nullità per raggiungimento dello scopo di destinazione” (CTP Frosinone Sez. II, Sent., 19 dicembre 2019, n. 651). Per la CTP di Frosinone, infatti, non rileva che la cartella sia priva dell’attestazione di conformità all’originale in quanto il giudice può attribuire rilevanza probatoria anche alle copie informi esibite dalle parti quando riconosca che esse corrispondono all’originale. Inoltre, la Commissione evidenziava che il contribuente, limitandosi esclusivamente a contestare il valore legale della copia, non aveva addotto eventuali indizi dai quali desumere una possibile non conformità e che la copia informatica in questione proveniva dall’Agente delle Riscossione ossia da un soggetto che riveste un ruolo del tutto particolare nell’ambito del procedimento di riscossione dei tributi e che la stessa non era manoscritta e, dunque, trattandosi di fotocopia, era ancor più da escludersi un possibile dubbio sulla conformità della stessa all’originale.
In sintesi, sulla base dell’indirizzo di cui si è dato conto, qualora venga allegato un mero file in formato .pdf, nemmeno la mancanza dell’attestazione di conformità può comportare, di per se stessa, l’invalidità, l’inesistenza o la nullità insanabile della notifica, essendo comunque onere del contribuente disconoscere la conformità del documento informatico notificato rispetto all’originale.
Ed anche con riguardo alla prova del perfezionamento della notifica, per parte della giurisprudenza è onere del contribuente disconoscere formalmente le copie cartacee delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna che vengono prodotte in giudizio senza la relativa attestazione di conformità agli originali informatici. E ciò sulla base dell’art. 23, comma 2, del CAD, il quale prevede che “le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loto conformità non è espressamente disconosciuta”, fermo restando l’obbligo di conservazione dell’originale informatico.
In tal senso si è espressa ad esempio la Commissione Tributaria di Napoli, la quale, pronunciandosi su un ricorso di un contribuente che lamentando la mancata ricezione di una cartella di pagamento emessa da Equitalia notificatagli via pec, contestava il valore probatorio della copia analogica delle ricevute di accettazione e di avvenuta consegna prodotte dalla stessa Equitalia, in quanto prive di attestazione di conformità ai rispettivi originali informatici, con sentenza del 17 novembre 2016, n. 21038 ha osservato che tali ricevute cartacee “non essendo state formalmente oggetto di disconoscimento da parte del ricorrente, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale da cui sono estratte“. E pure per la Commissione Tributaria Provinciale per la Lombardia – Milano Sez. XXI, Sent., 01-06-2017, n. 3940 ha statuito che “in difetto di contestazione della conformità della copia analogica dei documenti informatici da parte del contribuente, deve ritenersi validamente fornita la prova della notifica a mezzo pec della cartella esattoriale attraverso la produzione delle ‘stampe’ delle ricevute pec di accettazione e di avvenuta consegna”. E la Commissione Tributaria Regionale per la Lombardia, più di recente, con sentenza n. 1847 depositata il 17 aprile 2019, ha precisato che la copia cartacea della ricevuta di avvenuta consegna è sufficiente a dimostrare il perfezionamento della notifica “senza che altro (dunque l’effettiva apertura e presa visione dei documenti) possa essere richiesto, in senso analogo a quanto avviene per le notifiche non a mezzo pec”, e che in caso di disconoscimento delle stesse, il Giudice è comunque tenuto a valutarne la conformità agli originali, potendo egli apprezzarne l’efficacia rappresentativa poiché “il disconoscimento della conformità di una copia fotografica o fotostatica all’originale di una scrittura, ai sensi dell’art. 2719 c.c., non ha gli stessi effetti del disconoscimento della scrittura privata previsto dall’art. 215 c.c., comma 1, n. 2), giacché mentre quest’ultimo, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude l’utilizzabilità della scrittura, la contestazione di cui all’art. 2719 c.c. non impedisce al giudice di accertare la conformità all’originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni“.
In senso contrario invece si era espressa la Commissione tributaria provinciale di Roma, la quale aveva statuito che la prova della ricezione da parte del contribuente, della cartella esattoriale ad esso notificata a mezzo pec “non può ritenersi (…) raggiunta nell’ipotesi in cui in giudizio vengono prodotte, in luogo dei richiamati documenti informatici in originale, solo le stampe di dette ricevute, in quanto non idonee a comprovare quale atto è stato effettivamente allegato al messaggio originale inviato al destinatario, perché trattasi di semplici fogli di carta dai quali non è possibile in alcun modo riconoscere l’origine; tali stampe in effetti possono essere artatamente create attraverso programmi di redazione testo oppure di foto ritocco” (CTP Roma, Sez. XIII Sent., 26/01/2017).
Ovviamente, la prova dell’avvenuta ricezione della pec assume fondamentale rilevanza in quanto attestando il perfezionamento della notifica, in base ad essa si verifica sia la tempestività dell’azione dell’Amministrazione che della “reazione” del contribuente. Ebbene, proprio con riguardo al momento del perfezionamento della notifica via pec, l’ultimo comma dell’art. 60 del DPR 600/1973 dispone che “ai fini del rispetto dei termini di prescrizione e decadenza, la notificazione si intende comunque perfezionata per il notificante nel momento in cui il suo gestore della casella di posta elettronica certificata gli trasmette la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio, mentre per il destinatario si intende perfezionata alla data di avvenuta consegna contenuta nella ricevuta che il gestore della casella di posta elettronica certificata del destinatario trasmette all’ufficio oppure nel quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione dell’avviso nel sito internet della società InfoCamere Scpa”. Dunque, anche per le notifiche via pec opera il principio della scissione degli effetti della notifica per il notificante e per il destinatario. Principio peraltro affermato recentemente dalla Corte Costituzionale anche con riguardo alla notifica via pec degli atti processuali effettuata oltre le ore 21:00. La Consulta, infatti, con sentenza del 19 marzo – 9 aprile 2019, n. 75, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 16-septies del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, nella parte in cui prevede che la notifica eseguita con modalità telematiche la cui ricevuta di accettazione e’ generata dopo le ore 21:00 ed entro le ore 24:00 si perfeziona per il notificante alle ore 7:00 del giorno successivo, anziché al momento di generazione della predetta ricevuta.
In ogni caso, affinché la notifica via pec possa dirsi correttamente compiuta, è necessario che gli indirizzi del mittente e del destinatario siano indirizzi di posta elettronica certificata risultanti dai pubblici elenchi, quali quelli di cui agli art. 6-bis e 6-quater del CAD, di cui si è dato conto sopra.
Con riguardo all’indirizzo del mittente, la Sentenza del 26/08/2019, n. 379 della Commissione Tributaria Provinciale di Perugia, chiamata a esprimersi sulla validità di cartelle di pagamento notificate via pec da un indirizzo non ricompreso nei pubblici registri, rifacendosi alle pronunce della Corte Suprema di Cassazione Civ., Sez. VI Sez., sent. 27/06/2019, n. 17346/19, ha affermato che “la notifica della cartella esattoriale è nulla, perché prodotta da un soggetto che non si conosce, e cioè da un indirizzo PEC diverso da quello contenuto nei pubblici registri”, i quali devono considerarsi “gli unici validi per scopi notificatori” ai sensi dell’art. 16 ter del D.L. 179/2012, convertito in legge n. 221/2012, che dispone che a decorrere dal 15/12/2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in maniera civile, e penale, amministrativa e stragiudiziale, si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli art. 4 e 16 comma 12, del presente decreto. Il primo comma dell’art. 6 ter del D.L. 179/2012 dispone infatti che “a decorrere dal 15 dicembre 2013, ai fini della notificazione e comunicazione degli atti in materia civile, penale, amministrativa, contabile e stragiudiziale si intendono per pubblici elenchi quelli previsti dagli articoli 6-bis, 6-quater e 62 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, dall’articolo 16, comma 12, del presente decreto, dall’articolo 16, comma 6, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito con modificazioni dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, nonché il registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal Ministero della giustizia”.
Giova comunque far presente anche l’assunto di segno opposto, contenuto nella Sentenza, n. 651 del 19/12/2019 della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone Sez. II, per la quale, invece, “non è (…) rilevante che l’indirizzo PEC di partenza non si rinvenga nel registro INI-PEC; se, infatti, la funzione di tale registro è di dare certezza al destinatario circa la provenienza, con riferimento a quanto gli pervenga, da una determinata pubblica amministrazione o da un determinato concessionario di pubblico servizio, con ciò scongiurando che possa trattarsi, come esemplificato dalla stessa ricorrente, del c.d. phishing, è agevole concludere che, nel caso, nessun dubbio può sussistere in proposito, sia perché la ricorrente ha individuato senz’altro l’ente di provenienza di quanto pervenutole, sia perché tale ente, destinatario della notifica del ricorso, nulla ha opposto in proposito mediante un eventuale disconoscimento, sia, ancora, perché l’Agenzia delle Entrate, resistente, ha difeso, per quanto di sua competenza, il contenuto della cartella in discussione”.
Per quanto concerne l’indirizzo del destinatario, invece, non v’è alcun dubbio che lo stesso debba essere ricompreso nei pubblici elenchi previsti dalla legge e che sia onere del mittente provare che l’estrazione degli indirizzi sia avvenuta in conformità del disposto normativo. La Commissione Tributaria Regionale per la Toscana, con Sentenza del 17/10/2019 n. 1441/8, nel pronunciarsi sul ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso una sentenza della CTP di Siena che aveva dichiarato l’invalidità della notifica di una cartella di pagamento poiché non era stato provato che l’indirizzo del contribuente fosse stato legittimamente estratto dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge, ha comunque affermato che è da ritenersi sufficiente la produzione, da parte del mittente, della visura camerale per dimostrare la corrispondenza dell’indirizzo presso cui è stata effettuata la notifica con l’indirizzo pec depositato dal contribuente presso la Camera di Commercio e risultante dal registro INIPEC. Registro, quest’ultimo, del tutto valido ai fini delle notifiche via pec, come recentemente ed opportunamente puntualizzato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 29749 del 15 novembre 2019, emessa a correzione dell’errore materiale contenuto nella precedente ordinanza n. 24160 del 27 settembre 2019 nella parte in cui, di fatto, veniva ribadito quanto già affermato dalla stessa Cassazione con la discussa sentenza n. 3709 del 28 febbraio 2019; sentenza che aveva negato la validità di una notifica via pec in quanto eseguita verso un indirizzo estratto dall’INI-PEC anziché dal ReGIndE. La Suprema Corte, infatti, sconfessando tale assunto, con l’ordinanza n. 29749 del 15 novembre 2019 ha precisato che “l’affermazione generica della inattendibilità di quello che si definisce elenco INI-PEC” costituisce un ”obiter dictum che, sebbene all’apparenza appoggiato al precedente, isolato n. 3709, non è suscettibile di mettere in discussione il principio enunciato dalla S.U. n. 23620/2018 (ma nello stesso senso, già Cass. n. 30139/2017), per cui ‘In materia di notificazioni al difensore, in seguito all’introduzione del domicilio digitale, previsto dall’art. 16 sexies del d.l. n. 179 del 2012 (…) è valida la notificazione al difensore eseguita presso l’indirizzo PEC risultante dall’albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all’art. 6 bis del d.lgs. n. 82 del 2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest’ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest’ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia”.
Giuliana Bucchioni
Avvocato in Massa