Convegno Lerici, 05 aprile 2019

“LE ENTRATE LOCALI  tra procedimenti deflattivi, sanzionatori e responsabilità erariale”

SOMMARIO: (1^ PARTE) 1. Natura e contenuto dell’ordinanza ingiunzione; 2. Il procedimento ,2.1. La contestazione e notifica della violazione e gli adempimenti successivi; 2.2. La notifica del verbale di accertamento della violazione nelle contravvenzioni stradali; 2.3. La struttura dell’ordinanza ingiunzione; 3. Profili problematici del procedimento nell’elaborazione giurisprudenziale; 3.1. Il termine per la notifica della violazione; 3.2. Modalità di notifica della violazione; 3.3. La notifica del verbale di accertamento nei confronti dei coobbligati in solido; 3.4. Non impugnabilità del verbale di accertamento; 3.5. Il termine per la notifica dell’ordinanza ingiunzione; (2^ PARTE) 4. Orientamenti giurisprudenziali sul contenuto necessario dell’ordinanza ingiunzione; 4.1. La violazione commessa; 4.2. Le generalità e gli altri elementi che valgano ad identificare il suo autore e gli eventuali soggetti coobbligati; 4.3. la motivazione del provvedimento; 4.4. La somma che costituisce la sanzione irrogata; 4.5. La sottoscrizione; 5. Ulteriori profili di rilievo affrontati dalla giurisprudenza; 5.1. Onere della prova. Valenza probatoria del verbale di accertamento e querela di falso; 5.2. La notifica dell’ordinanza ingiunzione;  5.3. La prescrizione della sanzione; 5.4. Applicazione della sanzione da parte del giudice; 5.5. Brevi cenni sull’ingiunzione fiscale.

  1. Orientamenti giurisprudenziali sul contenuto necessario dell’ordinanza ingiunzione.

 

Passiamo quindi alle problematiche relative al c.d. contenuto necessario dell’ordinanza ingiunzione, ossia l’indicazione dell’autorità che ha emesso l’atto, la violazione commessa, le generalità e gli altri elementi che valgano ad identificare il suo autore e gli eventuali soggetti coobbligati, la motivazione del provvedimento e la somma che costituisce la sanzione irrogata.

4.1. La violazione commessa.

L’indicazione della violazione commessa deve comprendere una seppur sommaria descrizione della condotta incriminata (con specificazione, laddove possibile, delle circostanze di tempo e di luogo nelle quali si è verificato il fatto) e un’esatta indicazione delle norme di legge violate.

La mancata indicazione della data della violazione può rilevare ai fini della declaratoria della prescrizione, ove eccepita ed ove l’amministrazione non abbia sanato l’irregolarità:

In tema di sanzioni amministrative, quando il giorno nel quale è stata commessa la violazione non risulti dall’ordinanza-ingiunzione, e neppure “per relationem” dagli atti acquisiti al giudizio in conseguenza dell’opposizione proposta dall’ingiunto, e quest’ultimo abbia eccepito la maturazione del termine di prescrizione del diritto a riscuotere la sanzione, spetta all’autorità opposta che ha emesso il provvedimento amministrativo impugnato sanare l’irregolarità della contestazione con la precisazione di tale giorno e, in caso di omissione di detto adempimento, il giudice non può porre la prova di esso a carico dell’ingiunto e disattendere la data da lui, invece, indicata, ove questa non sia stata specificamente contestata dalla P.A. opposta e non risulti assolutamente incompatibile con le emergenze processuali. (Nella specie, la S.C. ha, in base all’enunciato principio, cassato la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, ha annullato l’ordinanza-ingiunzione opposta, relativa all’assunta violazione degli artt. 10 e 16 della legge n. 46 del 1990, emergendo dagli atti allegati dall’opponente che, al momento dell’emissione del provvedimento sanzionatorio, era già maturata l’eccepita prescrizione, senza che la Camera di commercio opposta fosse stata in grado di confutare adeguatamente tale risultanza).  (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 10200 del 28/04/2010, Rv. 612407 – 01).

Non comporta invece alcuna invalidità la mancanza della data dell’ordinanza ingiunzione, quando la decorrenza degli effetti dell’atto possa essere altrimenti desunta (ad esempio, dalla data di notificazione all’interessato: v. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20401 del 20/09/2006, Rv. 594132 – 01).

Quanto all’indicazione delle norme violate, la giurisprudenza è incline ad ammettere che con l’ordinanza-ingiunzione possano correggersi eventuali errori nell’indicazione, contenuti nel verbale di accertamento, a condizione che ciò non comporti una violazione del diritto di difesa:

In tema di violazioni amministrative, l’obbligo di contestazione prescritto dall’art. 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689 a tutela del diritto di difesa del trasgressore, deve ritenersi osservato anche in presenza, nel relativo verbale, di errori circa la individuazione della norma applicabile in concreto, poi emendati con il provvedimento irrogativo della sanzione, ove risulti che detti errori non abbiano in concreto implicato un pregiudizio per il diritto di difesa dell’incolpato, in relazione alle facoltà accordategli dagli artt. 16 e 18 della citata legge.  (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 7123 del 29/03/2006, Rv. 590943 – 01).

D’altronde, l’ordinanza ingiunzione può sempre richiamare norme sanzionatorie diverse da quelle contestate con la notifica della violazione, purché non muti il fatto materiale posto a fondamento dell’addebito rettificato:

In tema di sanzioni amministrative, il mutamento dei termini della contestazione rispetto all’originario verbale di accertamento della violazione non è causa di illegittimità del provvedimento sanzionatorio qualora riguardi, come nella specie, soltanto la qualificazione giuridica del fatto oggetto dell’accertamento, sulla base della quale l’ente irrogatore della sanzione ritenga di passare dalla contestazione di un illecito ad un altro, purchè non sia posto a fondamento del rettificato addebito alcun fatto nuovo; in questa ipotesi non si verifica alcuna violazione del diritto di difesa, mantenendo il trasgressore la possibilità di contestare l’addebito in relazione all’unico fatto materiale accertato nel rispetto delle garanzie del contraddittorio. (La S.C. ha confermato sul punto la sentenza di merito di rigetto dell’opposizione, in una fattispecie in cui era stato in un primo momento contestato l’illecito di cui all’art. 54, primo comma, del d.lgs. n. 152 del 1999 -superamento dei limiti tabellari di inquinamento delle acque – e successivamente il Comune trasgressore era stato sanzionato per violazione del precetto di cui all’art. 54, quarto comma, del medesimo decreto, per la mancata adozione delle misure necessarie ed evitare un aumento anche temporaneo dell’inquinamento, in dipendenza però del medesimo fatto, consistente nella rilevata presenza nello scarico del depuratore comunale di azoto ammoniacale in concentrazioni superiori a quelle consentite).  (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 6638 del 20/03/2007, Rv. 596263 – 01).

Qualora, invece, risultino mutati gli elementi costitutivi del fatto contestato, l’amministrazione è tenuta a disporre una nuova notifica degli estremi della violazione:

In tema di sanzioni amministrative, l’amministrazione che, a seguito dell’accoglimento anche solo in parte delle contestazioni svolte dall’interessato in sede amministrativa in merito all’entità del fatto ovvero ai suoi elementi costitutivi, riformuli il fatto medesimo, è tenuta, pena l’illegittimità dell’ordinanza ingiunzione per vizio del relativo procedimento, a disporre una nuova notifica degli estremi della violazione al trasgressore, al fine di consentirgli di avvalersi della facoltà di estinguere l’illecito mediante il pagamento in misura ridotta.  (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 25253 del 29/11/2006, Rv. 593335 – 01).

4.2. Le generalità e gli altri elementi che valgano ad identificare il suo autore e gli eventuali soggetti coobbligati.

Con riferimento ai soggetti coobbligati, è opportuno evidenziare che, a norma dell’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione e che, essendo il sistema ispirato al principio generale della natura personale della responsabilità, l’istituto della solidarietà, previsto dall’ art.6, è rigorosamente circoscritto alle fattispecie contemplate da detta norma.

Ne consegue che, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone, non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 26238 del 06/12/2011, Rv. 619805 – 01).

Né possono essere chiamati a rispondere della violazione i soci di una società di capitale, non rientrando nelle fattispecie contemplate dall’art. 6 cit. ai fini dell’estensione della responsabilità solidale (v. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 11206 del 07/05/2008, Rv. 603062 – 01).

Di seguito, si riportano, a titolo esemplificativo, stralci di pronunce del Tribunale della Spezia, in procedimenti aventi ad oggetto, tra gli altri profili, la verifica del contributo degli amministratori e soci sanzionati nella determinazione della violazione contestata:

         Trib. La Spezia, Sent. 18.11.2016:

Il ricorso proposto da … è meritevole di accoglimento, per l’assorbente motivo dell’estraneità della ricorrente – benché formalmente fosse rimasta socia – alla gestione della … s.n.c. nel periodo di commissione degli illeciti sanzionati.

Ed invero, la predetta opponente ha allegato che, nel mese di gennaio 2009, si era separata di fatto dal marito …, trasferendosi a vivere con il figlio in altra abitazione e cessando tutti i rapporti collegati alla società, che, da quella data, era stata gestita unicamente dal ….

La circostanza non è smentita – ed anzi, appare confermata – dalle risultanze dell’istruttoria documentale ed orale, […].

D’altronde, l’allegazione dell’estraneità ai fatti della ricorrente non è stata contestata dalla convenuta, che si è limitata ad evidenziarne l’irrilevanza, stante la responsabilità solidale di entrambi i soci.

Senonché, deve osservarsi che, contrariamente a quanto dedotto sul punto dalla DTL, “in tema di sanzioni amministrative, a norma dell’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689, è responsabile di una violazione amministrativa solo la persona fisica a cui è riferibile l’azione materiale o l’omissione che integra la violazione; ne consegue che, qualora un illecito sia ascrivibile in astratto ad una società di persone (nella specie una s.n.c.), non possono essere automaticamente chiamati a risponderne i soci amministratori, essendo indispensabile accertare che essi abbiano tenuto una condotta positiva o omissiva che abbia dato luogo all’infrazione, sia pure soltanto sotto il profilo del concorso morale” (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 26238 del 06/12/2011, Rv. 619805).

Poiché, nella specie, la ricorrente … è stata ritenuta corresponsabile delle violazioni contestate in considerazione della sua sola qualità di socio amministratore della …, senza che sia stata allegata e provata una sua qualsiasi condotta che abbia dato luogo all’infrazione (che anzi appare smentita dalla documentazione in atti e dagli esiti dell’istruttoria svolta), ne consegue, in applicazione del principio giurisprudenziale riportato, l’annullamento nei suoi confronti delle ordinanze ingiunzioni opposte.

         Trib. La Spezia, Sent. 15.4.2014:

Le violazioni e le conseguenti sanzioni sono state contestate sia alla sig.ra …, quale presidente del CDA dall’8.3.2004 e quale amministratore unico dal 14.12.2004, sia alla sig.ra … nella sua qualità di datore di lavoro di fatto.

L’art. 5 della Legge n. 689/81 in tema di concorso nella consumazione dell’illecito amministrativo prevede che “quando più persone concorrono in una violazione amministrativa, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per questo disposta, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge”.

La norma recepisce i principi fissati in materia dal codice penale, rendendo applicabile la pena pecuniaria a tutti coloro che abbiano offerto un contributo alla realizzazione dell’illecito,  concepito come una struttura unitaria, nella quale confluiscono tutti gli atti dei quali l’evento punito costituisce il risultato, anche se detti atti, autonomamente considerati, possono non essere illeciti (cfr. Cass., sez. III, 4.8.2006, n. 17681).

La ricorrente, come detto, sostiene di non avere concorso nell’illecito essendo rimasta estranea alla gestione della società.

A tale proposito, si osserva che, nell’ipotesi di concorso dell’amministratore di diritto nel reato commesso dall’amministratore di fatto, è stato stabilito il principio (applicabile anche alla presente fattispecie, data la natura del concorso nell’illecito amministrativo) per cui “L’amministratore di una società risponde del reato omissivo contestatogli quale diretto destinatario degli obblighi di legge, anche se questi sia mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, atteso che la semplice accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo, il cui mancato rispetto comporta responsabilità penale o a titolo di dolo generico, per la consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, o a titolo di dolo eventuale per la semplice accettazione del rischio che questi si verifichino” (Cass. Pen., sez. III, 6.4.2006, n. 22919).

Vero è che la qualifica di amministratore formale non comporta un automatico giudizio di colpevolezza per violazioni compiute da altri. La colpevolezza del legale rappresentante della società deve essere esclusa, infatti, quando la concreta gestione da parte dell’amministratore di fatto — quale dominus della società, imprenditore occulto o procuratore ad negotia — sia così complessiva e sostitutiva da ridurre l’amministrazione legale ad un mero atto formale, nominale. In queste ipotesi, plasticamente  riconducibili alle categorie del “prestanome’’, dell’amministratore apparente e dell’“uomo di paglia”, si staglia, da una parte, l’innocenza del legale rappresentante, al quale non è attribuibile alcuna attività specifica, e, dall’altra parte, la colpevolezza dell’amministratore di fatto, unico gestore e unico autore delle violazioni contestate (cfr. Cass. Pen., sez. V, 17.1.1996).

È tuttavia altrettanto vero che, a fronte di una investitura formale, alla quale sono ricollegabili oneri, obblighi ed attività di gestione, grava sul legale rappresentante l’onere della prova contraria.

Per adempiere detto onere e per essere quindi esonerato da responsabilità per violazioni obiettivamente accertate, l’amministratore di diritto, che abbia mantenuto l’incarico formale, non può limitarsi ad indicare la presunta esistenza di amministratori di fatto. Deve infatti fornire indicazioni sulla concreta attività altrui di carattere gestionale, allegando e provando una concreta gestione da parte dell’amministratore di fatto che sia così complessiva e sostitutiva da ridurre l’amministrazione legale ad un mero atto formale.

Nella specie, la ricorrente si è limitata ad allegare, da un lato, di essere rimasta totalmente estranea all’amministrazione ed a qualsiasi atto di gestione della società e, dall’altro, di avere accettato di ricoprire la carica di presidente del CDA per imposizione dell’amministratrice di fatto, sig.ra …

Quest’ultimo profilo non rileva ai fini di causa, atteso che la responsabilità per le violazioni accertate discende dalle modalità operative con cui si è estrinsecato il ruolo di legale rappresentante, prima che dalle motivazioni che hanno portato alla decisione di ricoprirlo.

Quanto invece alla rilevata estraneità dall’amministrazione della società, si tratta di allegazione estremamente generica, non dandosi conto né delle attività svolte dalla ricorrente in luogo di quelle relative alla carica ricoperta, né tantomeno delle circostanze che dovrebbero condurre a ritenere che l’amministratrice di fatto della società fosse la sig.ra …

Le allegazioni di cui al ricorso introduttivo non sono quindi state ritenute sufficienti ed idonee a consentire alla parte gravata di vincere la presunzione di responsabilità dell’amministratore formale dimostrando l’esistenza di un amministratore di fatto e la sua colpevolezza.

Dal richiamato principio della personalità della sanzione amministrativa discende che, in ipotesi di morte dell’autore della violazione, l’obbligazione si estingue anche per l’obbligato solidale:

In tema di sanzioni amministrative, il disposto dell’art. 7 della legge 689 del 1981 (per il quale “L’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi”) e quello dell’ultimo comma dell’art. 6 (secondo cui l’obbligato solidale che ha pagato “ha diritto di regresso per l’intero nei confronti dell’autore della violazione”) sono espressione del principio della personalità della sanzione amministrativa, per il quale la morte dell’autore della violazione determina non solo l’intrasmissibilità ai suoi eredi dell’obbligo di pagare la somma dovuta per la sanzione, ma anche l’estinzione dell’obbligazione a carico dell’obbligato solidale. (Nella specie, la S.C., enunciando il principio sopra indicato, ha confermato la sentenza di merito che aveva annullato l’ordinanza ingiunzione con la quale la Direzione provinciale del lavoro aveva preteso, dopo la morte dell’autore della violazione e nei confronti dell’obbligato solidale, il pagamento della sanzione amministrativa per violazione della disciplina del collocamento).  (Cass., Sez. L, Sentenza n. 1193 del 21/01/2008, Rv. 601483 – 01).

4.3. la motivazione del provvedimento.

Per ciò che riguarda il requisito della motivazione, si ammette la motivazione per relationem ad altri atti preventivamente notificati e dunque già in possesso del privato, tra i quali, in particolare il verbale di accertamento, purché gli addebiti siano del tutto coincidenti con quelli originariamente contestati.

Il contenuto dell’obbligo imposto dall’art. 18, comma secondo, della legge 24 novembre 1981, n. 689, di motivare l’atto applicativo della sanzione amministrativa, va individuato in funzione dello scopo della motivazione stessa, che è quello di consentire all’ingiunto la tutela dei suoi diritti mediante l’opposizione. Pertanto, il suddetto obbligo deve considerarsi soddisfatto quando dall’ingiunzione risulti la violazione addebitata, in modo che l’ingiunto possa far valere le sue ragioni e il giudice esercitare il controllo giurisdizionale, con la conseguenza che è ammissibile la motivazione “per relationem” mediante il richiamo di altri atti del procedimento amministrativo e, in particolare, del verbale di accertamento, già noto al trasgressore in virtù della obbligatoria preventiva contestazione; l’obbligo di motivazione non si estende, invece, alla concreta determinazione della sanzione, cioè ai criteri adottati dall’autorità ingiungente per liquidare l’obbligazione, atteso che al giudice dell’opposizione, eventualmente investito della questione della congruità della sanzione, è espressamente attribuito il potere di determinarla, applicando direttamente i criteri di legge.  (Sez. L, Sentenza n. 20189 del 22/07/2008, Rv. 604673 – 01).

L’ordinanza-ingiunzione di pagamento che faccia riferimento, “per relationem”, al verbale di accertamento, per essere adeguatamente motivata, deve necessariamente riguardare addebiti del tutto coincidenti con quelli originariamente contestati con il verbale stesso, di modo che essi siano esattamente individuabili. (Nella fattispecie, la Corte ha cassato la sentenza con la quale si era omesso di considerare il difetto di motivazione dell’ordinanza- ingiunzione che rinviava “per relationem” al verbale pur contenendo una contestazione delle violazioni diversa, perché inferiore a quella originariamente formulata nel verbale).  (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 28238 del 26/11/2008, Rv. 605762 – 01).

Peraltro, il vizio in esame è censurabile solamente in caso di assenza di motivazione, non quando la stessa sia solamente insufficiente:

L’ordinanza-ingiunzione con cui la P.A., disattendendone le deduzioni difensive, irroghi al trasgressore una sanzione amministrativa è censurabile dal giudice dell’opposizione, sotto il profilo del vizio motivazionale, unicamente nel caso in cui sia del tutto priva di motivazione (ovvero questa sia solo apparente) e non anche se la stessa risulti insufficiente, atteso che l’eventuale giudizio di inadeguatezza motivazionale involge una valutazione di merito che non compete al giudice ordinario, concernendo il giudizio di opposizione non l’atto della P.A., ma il rapporto sottostante.  (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2959 del 16/02/2016, Rv. 638872 – 01).

Il rilievo per cui il giudizio di opposizione non concerne l’atto impugnato, ma il rapporto sottostante, conduce altresì ad escludere la necessità che il provvedimento indichi analiticamente le eventuali ragioni espresse in sede amministrativa dall’interessato, alle quali è eventualmente opportuno un generico riferimento, posto che l’interessato ha comunque la facoltà, impugnando l’ingiunzione, di sottoporre le stesse ad un completo vaglio giudiziario:

In tema di opposizione ad ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative, i vizi di motivazione in ordine alle difese presentate dall’interessato in sede amministrativa non comportano la nullità del provvedimento, e quindi l’insussistenza del diritto di credito derivante dalla violazione commessa, in quanto il giudizio di opposizione non ha ad oggetto l’atto ma il rapporto, con conseguente cognizione piena del giudice, che potrà (e dovrà) valutare le deduzioni difensive proposte in sede amministrativa (eventualmente non esaminate o non motivatamente respinte), in quanto riproposte nei motivi di opposizione, decidendo su di esse con pienezza di poteri, sia che le stesse investano questioni di diritto che di fatto.  (Sez. 2 – , Sentenza n. 12503 del 21/05/2018, Rv. 648753 – 01).

In passato, la giurisprudenza, con un orientamento maggiormente rigoroso, riteneva che l’ordinanza ingiunzione dovesse riscontrare le osservazioni del privato, quantomeno nel caso in cui le stesse introducessero fatti ulteriori rispetto a quelli già presi in considerazione nel verbale di accertamento:

L’obbligo di motivazione dell’ordinanza ingiunzione, con specifico riguardo alle deduzioni sollevate dall’interessato in via amministrativa, previsto dall’art. 18, secondo comma, della legge n. 689 del 1981, ha una diversa estensione e consistenza a seconda che con il ricorso amministrativo vengano contestati fatti già presi in considerazione nel verbale di accertamento ovvero vengano allegati fatti nuovi e diversi, tali da inficiare l’esistenza dei presupposti costitutivi della violazione contestata ovvero da eliminare al fatto commesso ogni elemento di antigiuridicità. Mentre in quest’ultimo caso, l’obbligo di motivazione impone di prendere in esame tali deduzioni, illustrando le ragioni del loro mancato accoglimento, nei casi di contestazione dei fatti già esposti nel verbale, invece, può ritenersi sufficiente, al fine della loro confutazione, il richiamo al contenuto del corrispondente verbale, costituendo la motivazione “per relationem” una modalità di esposizione delle ragioni del provvedimento amministrativo, in linea di principio, senz’altro corretta e legittima, oltre che conforme al principio di speditezza dell’azione amministrativa, laddove l’autore del provvedimento ritenga di far proprio, ribadendolo, il giudizio o l’accertamento posto in essere nel corso del procedimento amministrativo.  (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 871 del 16/01/2007, Rv. 594890 – 01)

Quanto all’eventuale richiesta di audizione della parte, la giurisprudenza più risalente era incline a ritenere che la mancata audizione dell’interessato, da parte dell’autorità competente, costituisse violazione di una regola procedimentale la cui osservanza è prescritta, in via generale, dall’art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689 e, in particolare per le violazioni al codice della strada, dall’art. 204 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, a tutela del diritto di difesa del presunto trasgressore nella fase amministrativa, con la conseguente illegittimità, in caso di inosservanza, dell’ordinanza di ingiunzione emessa a conclusione di detta fase (v. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 15292 del 06/07/2007, Rv. 598503 – 01).

Il ridetto rilievo per cui il giudizio di opposizione non riguarda l’atto ma il rapporto ha poi indotto la Suprema Corte a rivedere tale orientamento, sino al revirement intervenuto con la pronuncia delle Sezioni Unite del 2010:

In tema di ordinanza ingiunzione per l’irrogazione di sanzioni amministrative – emessa in esito al ricorso facoltativo al Prefetto, ai sensi dell’art. 204 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, ovvero a conclusione del procedimento amministrativo ex art. 18 della legge 24 novembre 1981, n. 689 – la mancata audizione dell’interessato che ne abbia fatto richiesta in sede amministrativa non comporta la nullità del provvedimento, in quanto, riguardando il giudizio di opposizione il rapporto e non l’atto, gli argomenti a proprio favore che l’interessato avrebbe potuto sostenere in sede di audizione dinanzi all’autorità amministrativa ben possono essere prospettati in sede giurisdizionale.  (Cass., Sez. U, Sentenza n. 1786 del 28/01/2010, Rv. 611244 – 01).

4.4. La somma che costituisce la sanzione irrogata.

Per costante giurisprudenza, la sanzione va determinata in base alla legge vigente al momento della commissione della violazione, restando irrilevante l’eventuale sopravvenienza di discipline più favorevoli:

In materia di illeciti amministrativi, l’operatività dei principi di legalità, di irretroattività e di divieto di analogia, risultante dall’art. 1 della legge n. 689 del 1981, comporta l’assoggettamento della condotta considerata alla legge del tempo del suo verificarsi, con conseguente inapplicabilità della disciplina posteriore più favorevole e, al fine di escludere l’applicabilità della norma sopravvenuta, resta determinante il momento della commissione dell’illecito (come per il decorso della prescrizione ai sensi dell’art. 28, legge n. 689 del 1981), integrando l’ordinanza – ingiunzione non un provvedimento amministrativo costitutivo, ma un atto puramente esecutivo, preordinato soltanto alla riscossione di un credito già sorto per effetto della violazione commessa; pertanto, l’art. 116, dodicesimo comma, della legge n. 388 del 2000 non è applicabile in relazione alle violazioni commesse precedentemente alla sua entrata in vigore, a prescindere dal momento in cui sia intervenuta la comunicazione della relativa ordinanza-ingiunzione.  (Cass., Sez. L, Sentenza n. 14771 del 13/07/2005, Rv. 583360 – 01; nello stesso senso, v. anche Cass., Sez. L, Sentenza n. 1105 del 26/01/2012, Rv. 620802 – 01).

Il Giudice dell’opposizione, laddove emerga nel corso del giudizio la sussistenza di una violazione diversa rispetto a quella contestata, non può confermare la sanzione, ma deve procedere all’annullamento dell’atto opposto:

Poichè il giudizio d’opposizione avverso verbale di contestazione di infrazione al codice della strada (o anche avverso ordinanza-ingiunzione emessa dal Prefetto) ha ad oggetto la fondatezza della pretesa punitiva della P.A., quale contestata all’autore della violazione, nei limiti dei motivi dedotti dall’opponente nel ricorso, è precluso al giudice dell’opposizione, ove accerti in fatto l’insussistenza della fattispecie contestata, applicare una sanzione per la diversa fattispecie emersa nel giudizio d’opposizione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza del G.d.P. che aveva sostituito alla contestazione originaria dell’infrazione di cui all’art. 145 cod. strada, relativa alla mancata precedenza nelle intersezioni, quella diversa prevista dal comma 3 dell’art. 141 cod. strada, relativa ai limiti di velocità in prossimità di curve o intersezioni).  (Sez. 2, Sentenza n. 8892 del 14/04/2009, Rv. 607829 – 01; nello stesso senso, v. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1233 del 20/01/2005, Rv. 579710 – 01, in cui la Corte ha cassato la sentenza del Giudice di pace che, a fronte della violazione dell’art. 148, 11, cod. str., contestata nell’ordinanza ingiunzione con riferimento all’ipotesi di sorpasso di veicoli fermi effettuato con invasione dell’opposta corsia di marcia, ha ritenuto sanzionabile la diversa e mai contestata violazione dell’art. 148, comma primo, cod. str., per avere l’opponente effettuato un sorpasso in prossimità di un incrocio).

Il giudice dell’opposizione, investito della questione relativa alla congruità della sanzione, può rideterminare la sanzione applicando direttamente i criteri previsti dall’art. 11 della legge 24 novembre 1981, n. 689, restando all’interno dei limiti del minimo e del massimo previsti dalla norma sanzionatoria:

In tema di sanzioni amministrative pecuniarie, ove la norma indichi un minimo e un massimo della sanzione, spetta al potere discrezionale del giudice determinarne l’entità entro tali limiti, allo scopo di commisurarla alla gravità del fatto concreto, globalmente desunta dai suoi elementi oggettivi e soggettivi. Peraltro, il giudice non è tenuto a specificare nella sentenza i criteri adottati nel procedere a detta determinazione, né la Corte di cassazione può censurare la statuizione adottata ove tali limiti siano stati rispettati e dal complesso della motivazione risulti che quella valutazione è stata compiuta.  (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9255 del 17/04/2013, Rv. 626333 – 01)

In tema di sanzioni amministrative, il potere del giudice dell’opposizione di modificare l’ordinanza ingiunzione relativamente all’entità della sanzione dovuta (ai sensi dell’art. 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689) può essere esercitato unicamente nell’ambito dei limiti prestabiliti dal legislatore, di tal che non è consentito al giudice dei ridurre l’entità della sanzione ad un importo inferiore al minimo edittale previsto per la specifica contestazione.  (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13286 del 07/06/2006, Rv. 589767 – 01).

Il giudice dell’opposizione ha inoltre il potere di rideterminare la misura della sanzione in caso di concorso formale di illeciti ovvero di continuazione tra gli stessi, mentre l’eventuale rateizzazione può essere disposta solamente nelle ipotesi previste dall’art. 24 della legge n. 689/1981:

In presenza di più violazioni di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, spetta al giudice di merito valutare se ricorrano, in concreto, gli estremi del “concorso formale” di illeciti amministrativi ovvero della “continuazione” tra gli stessi, ai sensi, rispettivamente, del primo e del secondo comma dell’art. 8 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Compete, pertanto, al giudice di merito l’annullamento, anche limitatamente all’entità della sanzione dovuta, dell’ordinanza – ingiunzione opposta, e, ove ravvisi un concorso formale di illeciti amministrativi, la sostituzione del cumulo di sanzioni, inflitte per ciascuno degli illeciti, con la sanzione edittale prevista per la violazione più grave, aumentata fino al triplo, nonché la determinazione, in concreto, dell’entità della sanzione, entro i limiti prospettati ed alla stregua dei criteri prescritti dall’art. 11 della citata legge n.689 del 1981, dandone conto in motivazione.(Fattispecie concernente l’assunzione di una pluralità di lavoratori in violazione della normativa sul collocamento).  (Cass., Sez. L, Sentenza n. 4970 del 08/03/2005, Rv. 580534 – 01).

Il potere di disporre il pagamento rateale della sanzione pecuniaria, su richiesta dell’interessato che si trovi in condizioni economiche disagiate, spetta, a norma dell’art. 26 della l. n. 689 del 1981, all’autorità giudiziaria e/o amministrativa che ha applicato la sanzione; pertanto, poiché questa è irrogata dall’autorità giudiziaria nella sola ipotesi prevista dall’art. 24 (connessione obiettiva tra violazione amministrativa e reato), il termine “autorità giudiziaria”, indicato nell’art. 26 cit., va riferito al solo caso del giudice penale competente ex art. 24, né argomento contrario può trarsi dal potere del giudice dell’opposizione ad ordinanza ingiunzione di determinare in concreto la misura della sanzione, eventualmente anche riducendola, perché tale potere è attività diversa, concettualmente e cronologicamente, dalla rateizzazione della sanzione, che inerisce alle modalità di pagamento e non può essere disposta dal predetto giudice civile.  (Cass., Sez. 2 – , Ordinanza n. 25621 del 27/10/2017, Rv. 645949 – 01).

4.5. La sottoscrizione.

 

Essendo ammessa la sottoscrizione a stampa dell’ordinanza-ingiunzione, il difetto di sottoscrizione autografa non è causa di nullità dell’atto.

L’autografia della sottoscrizione non è configurabile come requisito di esistenza giuridica degli atti amministrativi, quanto meno quando i dati esplicitati nel contesto documentativo dell’atto consentano di accertare la sicura attribuibilità dello stesso a chi deve esserne l’autore secondo le norme positive, come è confermato dall’art. 6 “quater” del d.l. n. 6 del 1991, convertito, con modif., nella legge 15 marzo 1991, n. 80, con riguardo agli atti degli enti locali, e dall’art.3 del d.lgs. 12 febbraio 1993, n. 39 con riguardo agli atti di qualsiasi P.A., i quali, prevedendo, nel caso di emanazione di atti amministrativi attraverso sistemi informatici e telematici, che la firma autografa sia sostituita dall’indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile, ribadiscono sul piano positivo l’inessenzialità ontologica della sottoscrizione autografa ai fini della validità degli atti amministrativi. Tuttavia, in caso di contestazione sul punto da parte dell’interessato (nella specie in sede di opposizione ad ordinanza – ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa) il giudice deve accertare l’esistenza, nell’originale del provvedimento, della sottoscrizione del soggetto a ciò abilitato o di un suo delegato, in guisa da risultare in modo non equivoco la provenienza dell’atto dall’ufficio competente.  (Sez. 1, Sentenza n. 11499 del 31/05/2005, Rv. 584051 – 01).

D’altronde, la provenienza dell’atto dall’amministrazione competente può anche emergere da altri atti del procedimento, restando in tal caso irrilevante il difetto di sottoscrizione autografa dell’ordinanza ingiunzione:

L’atto amministrativo esiste come tale allorché i dati emergenti dal procedimento amministrativo consentano comunque di ritenerne la sicura provenienza dall’amministrazione e la sua attribuibilità a chi deve esserne l’autore secondo le norme positive, salva la facoltà dell’interessato di chiedere al giudice l’accertamento dell’effettiva provenienza dell’atto stesso dal soggetto autorizzato a formarlo. Ne consegue che il difetto di sottoscrizione autografa dell’atto amministrativo non è, di per sé, motivo di invalidità dello stesso. (Nella specie, la S.C., nell’affermare il principio su esteso, ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la validità di un’ordinanza ingiunzione che, pur priva di sottoscrizione autografa, era stata notificata al destinatario unitamente a nota di trasmissione del provvedimento medesimo, regolarmente sottoscritto).  (Cass., Sez. L, Sentenza n. 13375 del 10/06/2009, Rv. 608779 – 01).

È la parte opponente che contesti l’insussistenza della delega di firma in capo al funzionario sottoscrivente che deve provare detto fatto negativo, eventualmente mediante richiesta al giudice di acquisizione di informative ex art. 213 c.p.c.:

L’opponente ad ordinanza-ingiunzione di pagamento di somme a titolo di sanzione amministrativa, il quale ne deduca l’illegittimità per insussistenza della delega di firma in capo al funzionario che, in sostituzione del prefetto o del vice-prefetto vicario, ha emesso il provvedimento, ha l’onere di provare detto fatto negativo, con la conseguenza che, nel caso in cui non riesca a procurarsi la pertinente relativa attestazione da parte dell’Amministrazione, è tenuto comunque a sollecitare il giudice ad acquisire informazioni ex art. 213 c.p.c. ovvero ad avvalersi dei poteri istruttori di cui all’art. 23, comma 6, della l. n. 689 del 1989 presso l’Amministrazione medesima, la quale non può esimersi dalla relativa risposta. Ne consegue, ulteriormente che, se l’opponente rimanga del tutto inerte processualmente, la presunzione di legittimità che assiste il provvedimento sanzionatorio non può reputarsi superata.  (Cass., Sez. 1 – , Sentenza n. 23073 del 11/11/2016, Rv. 642652 – 02).

  1. Ulteriori profili di rilievo affrontati dalla giurisprudenza.

5.1. Onere della prova. Valenza probatoria del verbale di accertamento e querela di falso.

Ai sensi dell’art. 6, comma 11, d.lgs. n. 150/2011, “Il giudice accoglie l’opposizione quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente”.

Tali prove devono essere fornite dall’amministrazione:

In tema di sanzioni amministrative, l’onere di provare tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dell’illecito amministrativo sanzionato con l’ordinanza ingiunzione opposta grava sull’autorità che ha emesso il provvedimento impugnato, escluso il ricorso a presunzioni legali che non possono ritenersi stabilite a favore della stessa autorità se non quando i fatti sui quali esse si fondano siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come la conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità.  (Sez. 2, Sentenza n. 17615 del 10/08/2007, Rv. 600172 – 01)

Benché l’onere della prova sia in capo all’autorità che ha emesso il provvedimento, la contumacia dell’amministrazione opposta non determina di per sé la mancata prova della violazione ed il conseguente accoglimento dell’opposizione, dovendo il giudice analizzare comunque gli atti del procedimento e, in particolare, l’ordinanza ingiunzione, che dev’essere prodotta dall’opponente:

Nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa di cui alle legge n. 689 del 1981, il giudizio assolutorio, emesso ai sensi dell’art. 23, dodicesimo comma, della legge citata, che prevede l’accoglimento dell’opposizione “quando non vi sono prove sufficienti della responsabilità dell’opponente”, non può trovare giustificazione adeguata nel solo fatto che l’Amministrazione opposta non si sia costituita, ostandovi il prioritario obbligo del giudice di esaminare gli atti del contesto, che non solo detta Amministrazione, sebbene non costituita, è tenuta a far pervenire ed il giudice, comunque, ad acquisire, ma che lo stesso opponente, quanto meno relativamente al provvedimento impugnato, è tenuto ad allegare al ricorso, in forza della disposizione di cui all’art. 22, comma terzo, della medesima legge n. 689, la quale, pur menzionando l’ordinanza-ingiunzione, è applicabile, in virtù del rinvio contenuto nell’ art. 204-bis cod. strada, anche ai ricorsi in opposizione avverso verbali di infrazione al codice della strada e, in tale ipotesi, deve intendersi come riferita alla necessità dell’opponente di allegare la copia del verbale opposto.  (Sez. 2, Sentenza n. 23079 del 30/10/2009, Rv. 610598 – 01).

La prova della responsabilità del trasgressore può anche essere tratta da elementi ulteriori rispetto a quelli risultanti dal verbale:

Nel procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione previsto dalla l. n. 689 del 1981, il giudizio di responsabilità dell’opponente può basarsi anche su elementi probatori ulteriori rispetto a quelli risultanti dal verbale di accertamento, purchè ritualmente acquisiti, come si ricava dalla lettura dell’art. 23, comma secondo, l. n. 689 cit., secondo cui l’Amministrazione che ha emesso il provvedimento opposto ha il dovere di depositare “copia del rapporto con gli atti relativi all’accertamento”. (In applicazione del principio, la S.C. ha confermato la sentenza del giudice di pace che aveva respinto l’opposizione avverso un verbale di accertamento di infrazioni al codice della strada, sulla scorta sia delle dichiarazioni rese dal trasgressore sia del riferimento alla posizione dei veicoli coinvolti in un sinistro, non risultanti dal verbale di accertamento ma da altra relazione di servizio, depositata dall’Amministrazione nel giudizio di opposizione).  (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8764 del 13/04/2010, Rv. 612658 – 01)

Quanto alla valenza probatoria degli atti del procedimento, nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa, il verbale di accertamento dell’infrazione fa piena prova, fino a querela di falso, con riguardo ai fatti attestati dal pubblico ufficiale rogante come avvenuti in sua presenza e conosciuti senza alcun margine di apprezzamento o da lui compiuti, nonché alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni delle parti, mentre la fede privilegiata non si estende agli apprezzamenti ed alle valutazioni del verbalizzante né ai fatti di cui i pubblici ufficiali hanno avuto notizia da altre persone, ovvero ai fatti della cui verità si siano convinti in virtù di presunzioni o di personali considerazioni logiche. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha riconosciuto valore di piena prova al verbale ispettivo dell’INPS, i cui funzionari avevano personalmente esaminato il libro paga e matricola, nonché le denunce contributive ed i pagamenti dell’impresa edile artigiana dell’opponente, accertando il mancato rispetto dei minimi retributivi, con conseguente indebito conguaglio degli sgravi, ed il versamento di contributi su una retribuzione inferiore a quella corrispondente all’orario normale di lavoro previsto dalla contrattazione collettiva: cfr. Cass., Sez. L, Sentenza n. 23800 del 07/11/2014; v. anche Cass., Sez. U, Sentenza n. 17355 del 24/07/2009, in cui la Corte ha ritenuto assistita da fede privilegiata l’indicazione nel verbale del mancato uso della cintura di sicurezza da parte del trasgressore, in quanto oggetto diretto della constatazione visiva del pubblico ufficiale accertatore).

In particolare, il verbale di accertamento può assumere diverso valore probatorio, a seconda del contenuto:

Nel giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione irrogativa di una sanzione amministrativa pecuniaria, il verbale di accertamento dell’infrazione può assumere un valore probatorio disomogeneo, che si risolve in un triplice livello di attendibilità: a) il verbale fa piena prova fino a querela di falso relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza, o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi, fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, ai fini della decisione dell’opposizione proposta dal trasgressore, e può essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità, o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quelle dichiarazioni siano comunque state ricevute dall’ufficiale giudiziario.  (Sez. 2, Sentenza n. 6565 del 20/03/2007, Rv. 596066 – 01)

Nel giudizio di opposizione, sono pertanto ammesse la contestazione e la prova unicamente delle circostanze di fatto, inerenti alla violazione, che non siano attestate nel verbale di accertamento come avvenute alla presenza del pubblico ufficiale o rispetto alle quali l’atto non è suscettibile di fede privilegiata per una sua irrisolvibile contraddittorietà oggettiva (ossia ove si intenda contestare la verità sostanziale di quanto dichiarato dalle parti medesime, o i giudizi valutativi espressi dal pubblico ufficiale, ovvero quelle circostanze dallo stesso menzionate relativamente ai fatti avvenuti in sua presenza, che possono risolversi in apprezzamenti personali perché mediati attraverso l’occasionale percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono così repentinamente da non potersi verificare e controllare secondo un metro obiettivo: cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 20441 del 21/09/2006), mentre sono riservati al giudizio di querela di falso, nel quale non sussistono limiti di prova e che è diretto anche a verificare la correttezza dell’operato del pubblico ufficiale, la proposizione e l’esame di ogni questione concernente l’alterazione nel verbale della realtà degli accadimenti e dell’effettivo svolgersi dei fatti, pur quando si deducano errori od omissioni di natura percettiva da parte dello stesso pubblico ufficiale (v. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 3705 del 14/02/2013, Rv. 624937 – 01).

A prescindere dai motivi di opposizione dedotti dalla parte ricorrente, è rilevabile d’ufficio l’illegittimità del provvedimento opposto per violazione del principio di legalità di cui all’articolo 1 della medesima legge n. 689 del 1981, secondo il quale nessuno può essere assoggettato a sanzione amministrativa se non in forza di una legge che sia in vigore al momento in cui ha commesso il fatto (v. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17403 del 25/06/2008, Rv. 604099 – 01).

5.2. La notifica dell’ordinanza ingiunzione.

 

La forma della notifica dell’ordinanza ingiunzione è regolata dall’art. 18, comma terzo, della legge 24 novembre 1981, n. 689, che rinvia all’art. 14 della medesima legge.

Pertanto, “la notifica di ordinanza – ingiunzione di pagamento, ex art. 14 della legge n. 689 del 1981, può essere anche effettuata da un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione contestata, senza che detto funzionario sia vincolato alle modalità di notificazione previste dal codice di rito, avendo, invece, facoltà di scelta tra vari mezzi previsti dalla legge. Ne consegue che la notificazione di ordinanza – ingiunzione eseguita a mezzo del servizio postale, con plico raccomandato recante la indicazione dell’effettivo destinatario ed il domicilio, pur in assenza della compilazione della relata di notifica, prevista dal codice di rito, ove l’atto sia stato regolarmente ricevuto, in guisa da consentire all’ingiunto una tempestiva e rituale opposizione, non può comportare la inesistenza dell’atto stesso, ma, eventualmente, la sua nullità, comunque sanata dal raggiungimento dello scopo cui esso era preordinato” (Sez. 5, Sentenza n. 2079 del 30/01/2008, Rv. 601393 – 01).

La rituale notificazione a mezzo del servizio postale del verbale di accertamento della violazione amministrativa e della conseguente ordinanza – ingiunzione, ai sensi degli artt. 14 e 18 della legge 24 novembre 1981 n. 689, attestata dai rispettivi avvisi di ricevimento, implica la conoscenza legale di tali atti in capo al destinatario, dovendosi, pertanto, escludere che spetti al mittente l’onere di fornire la prova anche del contenuto del plico notificato (v. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 13259 del 26/07/2012, Rv. 623432 – 01).

Quanto alla sanatoria di eventuali nullità della notifica per raggiungimento dello scopo, si veda la seguente pronuncia della Suprema Corte:

La nullità della notifica dell’ordinanza ingiunzione di pagamento di sanzioni amministrative è sanata, per raggiungimento dello scopo, dalla proposizione di tempestiva e rituale opposizione a norma dell’art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689, atteso che l’art. 18, quarto comma, della stessa legge, disponendo che la notificazione è eseguita nelle forme richieste dall’art. 14, il quale, al quarto comma, richiama le modalità previste dal codice di procedura civile, rende applicabile l’art. 160 dello stesso, che fa salva l’applicazione dell’art. 156 sulla rilevanza della nullità, restando ininfluente, ai fini della sanatoria, la conoscenza in concreto, giacché la notificazione è preordinata alla conoscenza presunta. (Nella specie, in cui la notifica era stata eseguita ad un indirizzo diverso dalla residenza anagrafica del destinatario ed a persona legata a questo da rapporti di stretta parentela, pur in presenza di un domicilio eletto nell’indicata residenza per il procedimento in cui la notifica doveva aver luogo, la Corte ha ravvisato un caso di nullità della notifica, ed ha quindi applicato il suddetto principio, e non di inesistenza della stessa).  (Sez. 1, Sentenza n. 16822 del 21/07/2006, Rv. 591427 – 01).

D’altronde, è stato ripetutamente osservato come la notificazione dell’ordinanza-ingiunzione non costituisca un elemento intrinseco, integrante la stessa, nè – in assenza di alcuna disposizione in tal senso rinvenibile nella legge n. 689 del 1981 – una condizione di validità della medesima, bensì un mero adempimento di carattere estrinseco che, come per la generalità degli atti amministrativi, è finalizzato a renderlo noto ai destinatari, agli effetti della relativa efficacia e a quelli dell’impugnabilità (cfr. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 13207 del 05/06/2006, Rv. 590015 – 01).

Da tale rilievo discende che:

–          l’omissione o l’invalidità della notificazione non comportano l’inesistenza del provvedimento impugnato, rilevabile d’ufficio ( v. Cass., sent. n. 13207/2006, cit.);

–         Poiché la notifica ha la sola funzione di far decorrere il termine per l’opposizione giudiziale, la sua mancanza non inficia la validità e l’efficacia dell’atto, ma, semplicemente, impedisce il decorso del termine di decadenza per l’opposizione. Ne consegue che, qualora il contravventore, venuto in qualsiasi modo a conoscenza dell’ordinanza-ingiunzione – anche attraverso una consegna informale dell’atto – intenda impugnarla, non è ravvisabile un interesse a censurare la mancanza o l’invalidità della notifica (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4593 del 25/02/2010, Rv. 611755 – 01).

5.3. La prescrizione della sanzione.

La notifica dell’ordinanza ingiunzione al responsabile e agli eventuali coobbligati in solido deve avvenire nel termine di prescrizione di 5 anni dalla commissione della violazione (art. 28 Legge n. 689/1981).

Pur essendo pacifico che la prescrizione possa essere interrotta anche mediante comunicazione alla parte di atti diversi ed ulteriori rispetto all’ordinanza ingiunzione, si dibatte in ordine all’ampiezza del catalogo degli atti idonei all’interruzione.

In particolare, secondo un orientamento maggiormente restrittivo, la prescrizione può essere interrotta solamente mediante la notifica di uno degli atti tipici del procedimento sanzionatorio:

In tema di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa, soltanto agli atti tipici del procedimento sanzionatorio può essere attribuita efficacia interruttiva della prescrizione stessa, ai sensi del secondo comma dell’art. 28 della legge 24 novembre 1981, n. 689, con conseguente irrilevanza di atti atipici di intimazione. (Nella fattispecie, la S.C. ha negato efficacia interruttiva alla richiesta di pagamento della sanzione pecuniaria formulata a mezzo lettera raccomandata anteriormente alla necessaria emissione dell’ordinanza ingiunzione) (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5063 del 09/03/2006, Rv. 589506 – 01).

Secondo un diverso orientamento, la prescrizione può essere invece validamente interrotta da qualsiasi atto che valga a costituire in mora il debitore, come previsto dall’art. 2943 c.c.:

Atteso che l’ordinanza-ingiunzione ha la funzione di consentire la riscossione coattiva del credito mediante la formazione di un titolo esecutivo stragiudiziale, la notificazione della stessa è certamente atto idoneo ad interrompere la prescrizione, ma tale efficacia va riconosciuta anche ad atti diversi (quali la notificazione del verbale di contestazione dell’infrazione) – comunque da individuarsi specificamente quanto a tutte le concrete caratteristiche e alla data – e in generale, in forza del rinvio operato dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981, a tutti gli atti previsti dagli artt. 2943 e 2944 cod. civ., con la conseguenza che la valida notificazione dell’ordinanza-ingiunzione non è indispensabile per interrompere la prescrizione.  (Cass., Sez. L, Sentenza n. 17054 del 19/08/2005, Rv. 583315 – 01).

L’amministrazione può annullare d’ufficio in autotutela l’ordinanza ingiunzione, senza che ciò comporti rinuncia alla pretesa sanzionatoria (v. Cass., Sez. 2, Sentenza n. 23297 del 17/11/2005, Rv. 584680 – 01).

In tal caso, così come nel caso in cui l’ordinanza ingiunzione sia stata annullata in sede giudiziale per un vizio procedimentale, può essere emessa una nuova ordinanza ingiunzione, purché il procedimento giunga a conclusione nel termine quinquennale di prescrizione della pretesa sanzionatoria:

In tema di sanzioni amministrative in base alla legge 24 novembre 1981 n. 689, il principio del “ne bis in idem” non è applicabile al potere di reiterare un provvedimento sanzionatorio nel caso in cui il provvedimento precedente sia stato annullato per un vizio attinente all'”iter” procedimentale che ha condotto all’emissione dell’ordinanza ingiunzione. Infatti, tale vizio ben può essere emendato dallo stesso organo pubblico attraverso un nuovo procedimento correttamente svolto, a condizione che questo giunga a conclusione nel termine quinquennale di prescrizione della pretesa sanzionatoria previsto dall’articolo 28 della suddetta legge 24 novembre 1981 n. 689 (nella fattispecie è stata ritenuta legittimamente emessa dal comune nuova ordinanza ingiunzione nel quinquennio, dopo che la precedente per lo stesso fatto era stata dal giudice annullata con sentenza, causa la mancata audizione in sede amministrativa dell’interessato).  (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 2310 del 31/01/2008, Rv. 601698 – 01).

Avendo l’ordinanza ingiunzione natura di atto sostanziale, non è applicabile il principio della scissione tra i momenti di perfezionamento della notifica, per cui l’effetto interruttivo della prescrizione si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario, a nulla rilevando il precedente momento in cui l’amministrazione ha portato l’atto alla notifica:

         Trib. La Spezia, Sent. 4.5.2016:

[…] Tra le altre censure, l’opponente eccepiva la prescrizione quinquennale ex art. 28 legge n. 689/1981del diritto a riscuotere le somme di cui all’atto opposto.

Rilevava, a tale proposito, che il verbale di accertamento da cui trae origine l’ordinanza ingiunzione era stato notificato in data 4 agosto 2008, mentre l’atto opposto era stato notificato in data 27 agosto 2013, ossia dopo il decorso del termine quinquennale di prescrizione.

L’amministrazione convenuta deduceva l’infondatezza dell’eccezione avversaria, osservando che l’ordinanza ingiunzione era stata consegnata all’ufficio postale per la notifica in data 26 agosto 2013 [rectius, 26 luglio 2013, v. all. 1 conv.], data in cui la prescrizione non era ancora maturata.

A sostegno del proprio assunto, la convenuta invoca il principio della scissione tra i due momenti di perfezionamento della notifica, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto.

Nella specie, è pacifico che il verbale di accertamento presupposto è stato notificato all’opponente in data 4 agosto 2008, mentre la successiva ordinanza ingiunzione è stata consegnata all’ufficiale giudiziario in data 26 luglio 2013 ed è pervenuta alla controparte in data 27 agosto 2013.

Diventa quindi dirimente, al fine di verificare la fondatezza dell’eccezione di prescrizione, stabilire se il principio della scissione degli effetti della notificazione possa o meno trovare applicazione nella presente fattispecie.

Ritiene questo giudice che la questione vada risolta nel senso dell’inapplicabilità del predetto principio.

Vero è che, secondo un primo orientamento giurisprudenziale, in tema di avviso di accertamento notificato a mezzo posta, ai fini della verifica del rispetto del termine di decadenza che grava sull’Amministrazione finanziaria, occorre avere riguardo alla data di spedizione dell’atto e non a quella della ricezione dello stesso da parte del contribuente, atteso che il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il notificato si applica in tutti i casi in cui debba valutarsi l’osservanza di un termine da parte del notificante e, quindi, anche con riferimento agli atti d’imposizione tributaria  (cfr. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 22320 del 21/10/2014, Rv. 632741).

Senonché, con una successiva pronuncia, le Sezioni Unite della Suprema Corte, dirimendo il contrasto giurisprudenziale in atto, hanno chiarito che la regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario, sancita dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo agli atti processuali e non a quelli sostanziali, si estende anche agli effetti sostanziali dei primi ove il diritto non possa farsi valere se non con un atto processuale, sicché, in tal caso, la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica, mentre in ogni altra ipotesi tale effetto si produce solo dal momento in cui l’atto perviene all’indirizzo del destinatario (Cass., Sez. U, Sentenza n. 24822 del 09/12/2015, Rv. 637603).

Orbene, nella specie, si ritiene che – diversamente da quanto sostenuto dalla convenuta nelle proprie note – non possa riconoscersi all’ordinanza ingiunzione natura di atto processuale, tali essendo esclusivamente gli atti posti in essere dalle parti all’interno del processo civile, mente il provvedimento opposto nasce e si sviluppa al di fuori del procedimento giurisdizionale, potendo diventare accidentalmente oggetto di giudizio solamente in caso di opposizione.

Alla natura sostanziale dell’atto in questione consegue dunque che, sulla scorta di quanto statuito dalle Sezioni Unite, l’effetto interruttivo della prescrizione si produce solo dal momento in cui l’atto medesimo perviene all’indirizzo del destinatario.

Pertanto, essendo l’ordinanza ingiunzione opposta pervenuta al destinatario in data 27 agosto 2013, ossia oltre il quinquennio dalla notifica del precedente verbale di accertamento, l’atto opposto va annullato per intervenuta prescrizione delle sanzioni comminate.

5.4. Applicazione della sanzione da parte del giudice.

Ai sensi dell’art. 24 della legge n. 689 cit., “Qualora l’esistenza di un reato dipenda dall’accertamento di una violazione non costituente reato, e per questa non sia stato effettuato il pagamento in misura ridotta, il giudice penale competente a conoscere del reato è pure competente a decidere sulla predetta violazione e ad applicare con la sentenza di condanna la sanzione stabilita dalla legge per la violazione stessa”.

In tal caso, pertanto, competente ad emettere la sanzione non è l’organo amministrativo, ma il giudice penale.

Affinché vi sia lo spostamento della competenza, tuttavia, è necessario che l’accertamento dell’organo amministrativo costituisce antecedente logico necessario per l’esistenza del reato contestato:

         Trib. La Spezia, Sent. 12.12.2017:

A sostegno delle proprie domande, il ricorrente deduceva i seguenti motivi di opposizione:

         Illegittimità dell’ordinanza ingiunzione in quanto emessa da organo privo di competenza, atteso che, laddove vi sia pregiudizialità tra l’accertamento di una violazione amministrativa e l’accertamento di un fatto reato da essa discendente, è il giudice penale competente a conoscere del reato l’organo che deve decidere anche sull’applicazione della sanzione amministrativa;

         […]

L’eccezione di incompetenza dell’organo che ha emesso le sanzioni impugnate non può trovare accoglimento.

Ed invero, come evidenziato dallo stesso opponente, la connessione obiettiva dell’illecito amministrativo con un reato, ai sensi dell’art. 24 della legge 24 novembre 1981, n. 689, rileva esclusivamente, determinando lo spostamento della competenza all’applicazione della sanzione dall’organo amministrativo al giudice penale, nel caso in cui l’accertamento del primo costituisca l’antecedente logico necessario per l’esistenza dell’altro, mentre, in difetto di tale rapporto di pregiudizialità, la pendenza del procedimento penale non fa venir meno detta competenza all’irrogazione della sanzione amministrativa (così Cass., sez. 1, Sentenza n. 23925 del 09/11/2006).

Nella specie, l’accertamento dell’organo amministrativo, avente ad oggetto la sussistenza di rapporti di lavoro in assenza delle prescritte registrazioni e comunicazioni obbligatorie e l’omessa consegna al personale dei tesserini di riconoscimento, non costituisce antecedente logico necessario per l’esistenza del reato contestato al medesimo opponente (che ha ad oggetto la diversa fattispecie dell’occupazione di lavoratori extracomunitari privi del permesso di soggiorno), prescindendo l’illecito amministrativo dalla presenza regolare o meno del lavoratore sul territorio nazionale.

5.5. Brevi cenni sull’ingiunzione fiscale.

L’ingiunzione fiscale consiste “nell’ordine, emesso dal competente ufficio dell’ente creditore, di pagare entro trenta giorni, sotto pena degli atti esecutivi, la somma dovuta” (art. 2 R.D. 14.04.1910 n. 639).

L’emissione di un’ingiunzione fiscale presuppone come già avvenuta l’attività di liquidazione della somma, che viene effettuata con l’ordinanza ingiunzione o (nel caso di sanzioni per contravvenzioni stradali) con il verbale di accertamento.

Altra rilevante differenza tra l’ordinanza-ingiunzione e l’ingiunzione fiscale concerne i soggetti legittimati alla loro emissione: l’ordinanza ingiunzione può infatti essere emessa unicamente da un organo diretto della Pubblica Amministrazione, mentre l’ingiunzione fiscale può essere emessa non solo dagli Enti locali che procedano in proprio alla riscossione delle proprie entrate, ma anche dai soggetti terzi cui l’Ente locale abbia affidato, anche disgiuntamente, l’accertamento e la riscossione delle proprie entrate ex art. 52, comma 5, lettera b), D.lgs. 15.12.1997 n. 446, e che agiscono pertanto come organi indiretti della Pubblica Amministrazione

Si riporta di seguito stralcio di una recente  pronuncia del Tribunale locale in materia di notifica, motivazione ed utilizzabilità dell’atto da parte del concessionario nel procedimento di riscossione di sanzioni amministrative:

         Trib. La Spezia, Sent. 8.2.2019:

Con atto di citazione notificato … proponeva appello avverso la sentenza del Giudice di Pace della Spezia n. …, chiedendo, in riforma dell’impugnata sentenza e previa sospensione dell’esecutorietà della stessa, dichiararsi la nullità, annullabilità, illegittimità e/o comunque l’inefficacia dell’ingiunzione di pagamento opposta, ovvero, in subordine, della sanzione ex art. 27 legge n. 689/1981.

L’appellante affidava il gravame ai seguenti motivi di impugnazione:

1)      Inesistenza della notifica dell’ingiunzione fiscale per mancata compilazione della relata;

2)      Illegittimità dell’ordinanza ingiunzione per vizio di motivazione e violazione dell’art. 112 c.p.c.;

3)      Inutilizzabilità dell’ingiunzione fiscale al procedimento di riscossione di sanzioni amministrative e violazione dell’art. 112 c.p.c.;

4)      Illegittimità dell’ingiunzione per carenza di potere del concessionario;

5)      illegittimità della maggiorazione semestrale ex art. 27 legge 689/81 per inapplicabilità della stessa ai verbali di contestazione.

Gli appellati …, ritualmente intimati, si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello, stante l’infondatezza delle doglianze avversarie e la correttezza della sentenza impugnata.

L’appello proposto non può trovare accoglimento, per le ragioni che si vanno ad esporre.

Anzitutto, dev’essere rilevata la tardività dei motivi, introdotti dall’appellante solamente nelle comparsa conclusionale del presente grado, relativi alla pretesa incompetenza territoriale del concessionario ed alla decadenza della ingiunzione di pagamento impugnata, atteso che la deduzione di ulteriori motivi di invalidità dell’atto opposto integra domanda nuova, inammissibile per mutamento della causa petendi.

Venendo all’esame dei motivi di impugnazione tempestivamente proposti dall’appellante, si osserva quanto segue.

Con il primo motivo di appello, il ricorrente lamenta l’inesistenza della notifica dell’ingiunzione fiscale per mancata compilazione della relata.

Il motivo è infondato.

Ed invero, con riferimento alla notifica della cartella di pagamento ex art. 26 DPR n. 602/1973 (applicabile anche all’ingiunzione di pagamento), la giurisprudenza è costante nel ritenere che la notifica possa avvenire “anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del comma 1 dell’art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973 prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal penultimo comma del citato art. 26, secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione” (in questi termini Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17248 del 13/07/2017; nello stesso senso, v. anche Cass. 19 marzo 2014, n. 6395 e, più recentemente, Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8086 del 03/04/2018, in un quadro ormai consolidato).

La notifica dell’ingiunzione di pagamento a mezzo posta va pertanto considerata valida ed efficace.

Quanto al secondo motivo di gravame, con il quale l’appellante si duole dell’illegittimità dell’ingiunzione per vizio di motivazione, si osserva che l’obbligo di motivare l’atto applicativo della sanzione amministrativa deve considerarsi soddisfatto quando dall’ingiunzione risulti la violazione addebitata, in modo che l’ingiunto possa far valere le sue ragioni e il giudice esercitare il controllo giurisdizionale. Ne consegue che è ammissibile la motivazione “per relationem” mediante il richiamo di altri atti del procedimento amministrativo, purché tale richiamo consenta l’instaurazione del giudizio di merito sull’esistenza e sulla consistenza del rapporto obbligatorio (in questi termini Cass., sez. lav., sent. n. 17104 del 22.7.2009). Per essere adeguatamente motivata, l’ingiunzione di pagamento che faccia riferimento, “per relationem”, al verbale di accertamento deve dunque riguardare addebiti coincidenti con quelli originariamente contestati con il verbale stesso, di modo che essi siano esattamente individuabili (cfr. Cass., sez. II, sent. n. 28238 del 26.11.2008).

Né risulta necessario che gli atti del procedimento richiamati per relationem nell’ingiunzione di pagamento siano notificati unitamente all’ordinanza stessa, purché gli stessi siano conoscibili dall’interessato entro il termine concesso per la proposizione della opposizione davanti al giudice (cfr. Cass., sez. II, sent. n. 20882 del 27.10.2005).

Nella specie, l’ingiunzione di pagamento opposta riporta gli estremi dei verbali presupposti, che peraltro risultano essere stati regolarmente notificati al contravventore, come riconosciuto dal Giudice di Pace con statuizione non specificamente contestata dall’appellante e come emerge, in ogni caso, dalla documentazione depositata in primo grado dal Comune convenuto.

Pertanto, non sussiste il lamentato vizio di motivazione, dovendosi presumere la conoscenza in capo al ricorrente dei verbali presupposti richiamati nell’atto impugnato, stante la regolare notifica degli stessi e considerato, anche a voler prescindere dalla previa notifica, che la menzione degli estremi dei verbali consentiva alla parte l’esercizio del diritto all’accesso agli stessi.

Parimenti infondati sono il terzo ed il quarto motivo, con i quali l’appellante sostiene l’inutilizzabilità dell’ingiunzione fiscale al procedimento di riscossione di sanzioni amministrative e l’illegittimità dell’ingiunzione per carenza di potere del concessionario, essendosi riconosciuto che “Le somme dovute a titolo di sanzione amministrativa per violazione delle norme del codice della strada rientrano tra le “altre entrate di spettanza delle province e dei comuni” per le quali l’art. 52, comma 6, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446 … prevede la possibilità di procedere alla riscossione coattiva anche con la procedura indicata dal r.d. 14 aprile 1910, n. 639, atteso che il riferimento alle “altre entrate” è compiuto in modo ampio, senza alcuna distinzione, e che l’art. 15, comma 8-quinquiesdecies, del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 3 agosto 2009, n. 102, nel dettare disposizioni finalizzate ad incrementare l’efficienza del sistema della riscossione dei comuni, fa espresso riferimento agli importi iscritti a ruolo ovvero per i quali è stata emessa l’ingiunzione di pagamento ai sensi del testo unico di cui al r.d. 14 aprile 1910 n. 639, per sanzioni amministrative derivanti dalle violazioni al codice della strada, di cui al d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285” (in questi termini Cass., sez. II, sent. n. 8460 del 9.4.2010).

Quanto alla legittimazione del concessionario, si consideri che, ai sensi dell’art. 4, comma 2 sexies, DL n. 209/2002, “I comuni e i concessionari iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, … procedono alla riscossione coattiva delle somme risultanti dall’ingiunzione prevista dal testo unico di cui al regio decreto 14 aprile 1910, n. 639, secondo le disposizioni contenute nel titolo II del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in quanto compatibili”

Pertanto, deve concludersi nel senso che i Comuni, ai fini del recupero delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa per violazione delle norme del codice della strada, possano avvalersi della procedura di riscossione coattiva tramite ingiunzione, di cui al r.d. n. 639 del 1910, anche affidando il relativo servizio ai concessionari iscritti all’albo di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 44 del 1997, essendo tale affidamento consentito dall’art. 4, comma 2 sexies DL n. 209 cit. (così Cass., sez. II, ord. n. 22710 del 28.9.2017; nello stesso senso, si veda anche, da ultimo, Cass., sez. II, sent. n. 24722/2018, in cui si ribadisce che “la legge consente … ai comuni di utilizzare lo strumento dell’ingiunzione disciplinata dal r.d. n. 639 del 1910 per il recupero di somme dovute a titolo di sanzione amministrativa per violazione del codice della strada, e di farlo a mezzo di concessionari del servizio riscossione”).

[…] L’appello viene pertanto respinto, con conferma della sentenza impugnata e dell’ingiunzione opposta.

 

Dott. Gabriele Romano

(Magistrato del Tribunale della Spezia)