Uno dei temi che sta generando maggiori incertezze tra gli operatori degli uffici e studiosi della dottrina nel campo della fiscalità locale è sicuramente quello sorto in conseguenza dell’emanazione da parte dell’Autorità di Regolazione per l’Energia Reti e Ambiente (ARERA) della delibera 15/2022/R/rif in materia di regolamentazione della qualità del servizio rifiuti. In particolare funzionari degli enti, giuristi ed esperti del settore in questi ultimi mesi si confrontano e si pongono l’interrogativo se le prescrizioni dettate da ARERA e contenute nel Testo unico per la regolazione della qualità del servizio di gestione dei rifiuti urbani (TQRIF) approvato con la citata delibera n. 15/2022 siano o meno vincolanti ai fini dell’adeguamento dei regolamenti comunali.

La questione è quanto mai di attualità soprattutto alla luce della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 31 maggio scorso, del decreto ministeriale 30 maggio 2023 con cui è stato ulteriormente differito il termine per l’approvazione del bilancio di previsione 2023-2025 dal 31 maggio al 31 luglio 2023. Si rammenta infatti che per la TARI, dal 2022 opera una norma speciale che ha “sganciato” il termine di approvazione delle delibere tariffarie e dei regolamenti inerenti il tributo da quello previsto per l’approvazione del bilancio di previsione, fissandolo al 30 aprile dell’anno di riferimento.  Tuttavia, a mente dell’articolo 3, comma 5-quinquies, del Dl 228/2021, nel caso di differimento del termine di approvazione del bilancio di previsione degli enti ad una data successiva, anche le tariffe e parimenti i regolamenti Tari seguono lo stesso termine. In virtù di tale disposizione dilatoria quindi i comuni hanno tempo fino alla fine di luglio per intervenire sui regolamenti ed eventualmente adeguarli alle nuove prescrizioni dettate da ARERA. Regolamenti che, lo ricordiamo, se approvati entro tale termine acquisteranno efficacia dal 1° gennaio 2023, consentendo agli enti di essere in linea con le prescrizioni dettate dalla delibera ARERA n. 15/2022 anch’esse efficaci a partire da tale data.

Come noto, il legislatore ha attribuito funzioni di regolazione e controllo inerenti al sistema di gestione dei rifiuti urbani ad ARERA per mezzo dell’art. 1 comma 527 della Legge 205/2017 (Legge di bilancio 2018). Le finalità di tale delega sono quelle di garantire accessibilità, fruibilità e trasparenza del servizio di gestione dei rifiuti omogenee all’interno dell’intero territorio nazionale nonché adeguati livelli di qualità in condizioni di efficienza ed economicità della gestione.  Nel perseguire tale obiettivo, l’Autorità ha pertanto emanato una serie di deliberazioni riguardanti diversi aspetti del servizio di raccolta dei rifiuti in forza della delega ottenuta per legge. Benché nel regolamentare la materia ARERA si sia generalmente posta in linea di continuità con i provvedimenti normativi andando ad integrarli, è d’obbligo rilevare come con la delibera 15/2022 la stessa abbia invece emanato una serie direttive non pienamente in linea con la disciplina tributaria TARI e con quella riguardante l’ordinamento degli Enti locali in generale. L’Autorità infatti con la delibera 15/2022/R/rif è intervenuta in maniera articolata nella disciplina del tributo sui rifiuti, ponendo i comuni nella condizione di dover adeguare dal 2023 i propri regolamenti al Testo unico per la regolazione della qualità del servizio di gestione dei rifiuti urbani (Tqrif), operazione questa che, come anticipato in premessa, sta generando non pochi dubbi ed incertezze interpretative.

Scopo di tale scritto non è, ovviamente, quello fornire una ricostruzione analitica ed esaustiva che vada ad indagare la collocazione delle deliberazioni ARERA all’interno della gerarchia delle fonti ed il suo rapporto con gli atti di rango regolamentare degli enti; operazione questa peraltro sommariamente già realizzata dall’IFEL nella nota di lettura alla delibera 15/2022/R/rif emanata il 6 aprile 2022. Pur tuttavia, prima di esaminare in dettaglio le specifiche questioni oggetto di questo scritto, anche al fine di meglio comprenderle, appare doveroso in ogni caso, fornire un sintetico quadro esplicativo circa la collocazione sistemica degli atti emanati dall’Autorità all’interno dell’ordinamento ed in particolare definire quale relazione sussiste tra le deliberazioni ARERA ed i regolamenti comunali.

Come accennato in precedenza infatti, ARERA fonda i suoi poteri sull’art. 1, comma 527, legge 205/2017 (legge di bilancio 2018), norma che di per sé, non autorizza esplicitamente, in alcuna parte del suo contenuto, deroghe o modifiche di norme aventi forza di legge. In merito è da ritenere che la legge attributiva dei poteri normativi ad ARERA in materia di TARI, trattando un ambito specifico e ben definito, abbia carattere speciale rispetto alla legge attributiva del generale potere regolamentare dei comuni (art. 52 D.Lgs. 446/1997). Giova a tal proposito ricordare che, i comuni, in virtù della potestà regolamentare ad essi attribuita proprio dall’articolo 52, Dlgs 446/1997, possono disciplinare con proprio regolamento tutti gli aspetti delle entrate proprie, anche tributarie, con le sole eccezioni della fattispecie imponibile, dell’aliquota massima e dei soggetti passivi. Ebbene sin dall’emanazione della delibera ARERA n. 15/2022 si è posta la questione relativa al rapporto tra la norma tributaria e le previsioni in materia di qualità introdotte dall’Autorità. La stessa ARERA nelle premesse alla delibera in questione ritiene che l’esercizio delle competenze regolatorie ad essa attribuite dalla citata L. 205/2017 in materia di livelli di qualità del servizio di gestione dei rifiuti, consenta alla medesima Autorità di regolare aspetti finora disciplinati dai comuni nell’esercizio della potestà regolamentare in materia di entrate. L’Autorità ha altresì ritenuto che, la potestà regolamentare degli enti locali in ordine alle proprie entrate debba essere esercitata da questi nel rispetto delle disposizioni regolatorie e degli standard di qualità dalla stessa stabiliti.

Dalla disamina delle disposizioni ARERA non si può non rilevare in effetti come la prerogativa di determinare con proprio regolamento gli aspetti del tributo è stata indubbiamente sottoposta ad una serie di compressioni che, per usare un gergo calcistico, possono essere considerate vere e proprie “invasioni di campo” da parte di ARERA nei confronti della potestà regolamentare degli enti. Gli interventi deliberativi dell’Autorità infatti appaiono essere in alcuni casi indubbiamente invasivi delle prerogative comunali, sino a giungere a regolamentazioni di dettaglio che dovrebbero invece essere rimesse appunto all’autonomia regolamentare dei singoli enti.

La stessa IFEL, nella nota del 6 aprile 2022 già richiamata in precedenza, sembra non condividere le conclusioni di ARERA, giungendo ad affermare che in tutti i casi in cui “si prospetti una sovrapposizione tra norme di legge e prescrizioni dell’Autorità, si ritiene che la legislazione ordinaria debba sempre prevalere rispetto alle determinazioni dell’ARERA. Ciò in ottemperanza al principio della gerarchia delle fonti del diritto, che sancisce la prevalenza della fonte di rango superiore rispetto a quella di livello inferiore, precludendo a quest’ultima di derogarvi o di porsi in contrasto con il contenuto della fonte sovraordinata”. Benché quindi i comuni siano tenuti ad adeguarsi alla disciplina ARERA, resta fermo il fatto che nessuna regolamentazione deve essere in contrasto con la norma tributaria, la quale deve essere sempre e comunque rispettata. Sempre l’IFEL, nella nota appena citata, mette in evidenza come ARERA “si proponga di esercitare il proprio potere regolatorio attraverso determinazioni che in campo fiscale tendono ad ignorare il principio della riserva di legge. Infatti, “se nella forma enunciata nelle premesse di ciascuna delibera pare esserci contezza dei limiti di questo genere, nell’articolato i limiti sono superati attraverso prescrizioni difficilmente sostenibili”.

A giudizio di chi scrive però, a ben vedere si tratta di due piani d’intervento differenti seppur comunicanti. Le regole del rapporto tributario infatti continuano ad essere disciplinate dalla legge e dalle previsioni regolamentari dei singoli comuni, mentre la deliberazione ARERA si pone il fine di individuare le modalità qualitative di erogazione del servizio. I regolamenti degli enti dovrebbero recepire pertanto le regole previste da ARERA per ottemperare alla necessità di assicurare proprio il rispetto dei parametri qualitativi di erogazione del servizio dettati dall’Autorità. Del resto, da una lettura comparata delle due disposizioni, quella della norma tributaria e quella dettata dall’Autorità regolatoria emerge con evidenza il diverso obiettivo a cui esse sono orientate. La disciplina di ARERA è votata alla regolazione della qualità, e volendo fare un riferimento concreto alla questione oggetto di questo scritto, anche formalmente il rapporto tra ente ed utente è regolato dalla richiesta di quest’ultimo (richiesta di attivazione, variazione o cessazione del servizio) e dalla conseguente risposta dell’ente in evasione alla suddetta richiesta. Schema questo che si rifà chiaramente a quello contrattuale della proposta e dell’accettazione di stampo civilistico ex art. 1326 c.c. e che mal si concilia con lo schema tipico della dichiarazione fiscale di cui la normativa in tema di dichiarazione TARI fa parte pieno titolo e che invece è caratterizzato da elementi stringenti e tipizzati nella forma, nel contenuto e nei termini temporali. Questa diversità di approccio è riscontrabile anche dalle evidenti differenze terminologiche utilizzate, ARERA utilizza infatti il termine “richiesta di attivazione del servizio” che viene presentata da parte “dell’utente”, mentre nella normativa tributaria ci si riferisce sempre al contribuente o soggetto passivo e lo stesso è tenuto a presentare non una richiesta, ma una dichiarazione con cui di fatto porta a conoscenza l’ente del sorgere dell’obbligazione tributaria.

Una volta definito il quadro d’insieme entro cui le disposizioni di ARERA ed i regolamenti dei singoli comuni debbano mantenersi in equilibrio reciproco è possibile andare ad indagare le fattispecie per cui il raggiungimento di tale equilibro appare maggiormente critico. Ebbene, uno degli aspetti in cui appare particolarmente difficile il bilanciamento che gli enti devono trovare nei propri atti regolamentari tra le disposizione ARERA  e la disciplina dettata dalla normativa TARI è dato dal termine per la presentazione della richiesta di attivazione del servizio ex articolo 6 del Tqrif, che corrisponde in termini tributari alla dichiarazione di inizio occupazione e che,  così come previsto parimenti per quelle di cessazione o variazione, viene fissato da ARERA in 90 giorni solari dall’inizio dell’occupazione stessa, in luogo del 30 giugno dell’anno successivo stabilito invece dalla norma tributaria per mezzo del comma 684 della legge 147/2013.

Quella che ARERA definisce come “richiesta di attivazione del servizio” infatti altro non è che la dichiarazione iniziale di occupazione già disciplinata dalla legge n.147/2013. Come detto ad oggi, il termine per la presentazione della dichiarazione TARI è però quello previsto dall’articolo 1, co. 684, della legge 147/2013, ossia il 30 giugno dell’anno successivo alla data di inizio del  possesso o  della detenzione  dei  locali e  delle aree assoggettabili al tributo.  E’ altresì pacifico che i comuni,   nel  solco  dell’autonomia  regolamentare ad essi attribuita, possono con proprio regolamento determinare  un diverso e più stringente termine per la presentazione della dichiarazione.  Un  diverso  termine  perentorio, stabilito però in questo caso non dal comune ma dall’Autorità, rappresenta di fatto da un lato un elemento di compressione della potestà regolamentare nel caso in cui l’ente opti  per la scelta di adeguare il proprio regolamento a tale prescrizione, dall’altro un potenziale elemento di inadempienza nei confronti dell’Autorità qualora l’ente non intenda al contrario, adeguare la propria previsione regolamentare e decida di rifarsi esclusivamente al termine per la presentazione della dichiarazione previsto dalla legge. Il tema è stato sottoposto al MEF in occasione di Telefisco 2023 tramite la presentazione di un quesito che riguardava in dettaglio la scadenza di presentazione delle denunce TARI, per le quali la delibera Arera ha come detto, fissato una periodicità difforme da quella di legge. Come sottolineato in occasione della formulazione di tale specifico quesito, quella di ARERA è una prescrizione di carattere regolatorio in palese contrasto alla normativa primaria sulla TARI, che non risulta formalmente modificata e che non può ritenersi derogata dalla delibera Arera n. 15/2022, considerata peraltro la riserva di legge in materia di finanza locale (articolo 150 del Tuel). Ci si chiede quindi come debbano regolarsi i comuni in sede di adeguamento dei regolamenti del tributo a questa specifica prescrizione dettata da Arera.  Gli enti possono disattendere questa, così come le altre prescrizioni in contrasto alla normativa primaria TARI, ed allineare i regolamenti solo alle prescrizioni  che invece intervengono in ambiti non disciplinati dalla legge (tra cui ad esempio quelle sull’invio del documento di riscossione ex articolo 26.1 del Tqrif, l’ulteriore rateizzazione ex articolo 27.1 Tqrif o la rettifica degli importi addebitati ex articolo 28.1 del Tqrif), oppure sono tenuti ad adeguarsi in ogni caso alle prescrizioni dettate da ARERA? In tale occasione è stato rilevato come si sia venuto a creare un corto circuito applicativo, considerato che il mancato rispetto delle prescrizioni dettate dall’Arera è soggetto a conseguenze sanzionatorie (da 2.500 euro a 154,9 milioni di euro), ma il dipartimento delle Finanze potrebbe altresì esercitare il suo potere di controllo ex articolo 52, comma 4, del Dlgs 446/97 impugnando le modifiche regolamentari che dovessero risultare in contrasto con la normativa tributaria. Inoltre, qualora si dovesse ritenere applicabile il termine di 90 giorni per la presentazione della dichiarazione TARI, quali conseguenze si avrebbero dal punto di vista dell’irrogazione della sanzione per omessa dichiarazione e del termine di decadenza ai fini dell’attività di accertamento?

Questi i principali interrogativi generati dall’intervento di ARERA, a cui il dipartimento delle Finanze ha tentato di dare una risposta che è apparsa però sin troppo prudente e per questo a nostro avviso non risulta fornire una risposta esaustiva alla questione. La premessa del MEF infatti è che i quesiti in esame attengono ai rapporti intercorrenti tra ARERA e gli enti locali, questioni queste, così come quelle che potrebbero scaturire circa le relative conseguenze anche di tipo sanzionatorio nel caso le direttive di ARERA fossero disattese dagli enti, che non rientrano nella sfera di competenza del Ministero. In sostanza, il Mef ritiene che il problema relativo alle conseguenze sanzionatorie per i comuni che non intendano aderire alle indicazioni della delibera Arera 15/2022, semplicemente non rientri nel campo delle proprie competenze.

Sempre nel corso dell’ultimo Telefisco il Mef ha altresì rilevato come sia indubbio che i comuni hanno pieno potere regolamentare sull’individuazione dei termini di presentazione della dichiarazione TARI; nella materia degli adempimenti infatti, la potestà regolamentare dei comuni è stata più volte riconosciuta dallo stesso Ministero (vedi risoluzione 2/DF/2019) ed è pacifico che i comuni possano dunque disciplinare le scadenze dichiarative agendo correttamente nell’ambito della potestà regolamentare a loro attribuita  a norma dell’articolo 52 del Dlgs 446/1997. Anche sulla base di quanto affermato dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato (ordinanza 28 agosto 2001, n. 4989), gli enti locali possono disciplinare questi particolari aspetti diversamente da quanto previsto dalla legge. A questo proposito, si richiama, ad esempio, il comma 685 dell’articolo 1 della legge 147/2013, il quale dispone che «la dichiarazione, redatta su modello messo a disposizione dal comune, ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati dichiarati da cui consegua un diverso ammontare del tributo; in tal caso, la dichiarazione va presentata entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello in cui sono intervenute le predette modificazioni». Al riguardo, già con la risoluzione n. 2/DF del 6 agosto 2019, il Mef aveva chiarito che il termine di presentazione della dichiarazione Tari rimane «fermo al 30 giugno o al diverso termine stabilito dal Comune nell’ambito dell’esercizio della propria potestà regolamentare».

Atteso quindi che tale potestà regolamentare può essere esercitata entro i limiti sopra delineati, tuttavia altra è la tematica sottesa al quesito, vale a dire se gli stessi enti siano obbligati al rispetto delle prescrizioni derivanti dalle delibere dell’ARERA; tematica che, come anticipato, non attiene alla competenza del Mef. In merito, l’amministrazione finanziaria coglie l’occasione per richiamare l’attenzione sulla circostanza che, a norma dell’articolo 2, comma 20, punto c) della legge 481/1995, nello svolgimento delle proprie funzioni, l’Autorità irroga sanzioni amministrative pecuniarie, salvo che il fatto costituisca reato, in caso di inosservanza dei propri provvedimenti o in caso di mancata ottemperanza da parte dei soggetti esercenti il servizio, alle richieste di informazioni o a quelle connesse all’effettuazione dei controlli, ovvero nel caso in cui le informazioni e i documenti acquisiti non siano veritieri. Pertanto, sebbene sia pacifico affermare che alcune disposizioni dettate da ARERA sono in palesemente incongruenti rispetto alla normativa del Tributo TARI, gli enti, ed i loro funzionari, nel decidere di non voler adeguare i propri regolamenti a tali disposizioni, devono pertanto tenere in debita considerazione la possibilità di venire raggiunti dalle possibili sanzioni eventualmente irrogate dall’Autorità.

A fronte dell’introduzione regolamentare dell’obbligo di presentazione da parte dell’utente della richiesta di attivazione del servizio, in luogo di quello della dichiarazione fiscale da parte del contribuente, si pone poi il problema se sia o meno possibile applicare le sanzioni previste per omessa e infedele dichiarazione ai sensi dei commi 696 e 697 dell’art. 1 della L. 147/2013. Sul punto il Mef osserva che, qualora il Comune abbia deliberato la riduzione del termine di presentazione della denuncia a 90 giorni, nei confronti del contribuente inadempiente si rendono comunque applicabili le sanzioni di legge. È chiaro, d’altro canto, che se il Comune non si adegua ad ARERA, nessuna sanzione può essere comminata al contribuente che si attiene alle prescrizioni locali. Osserva infatti il MEF, che nel caso in cui il regolamento comunale abbia previsto il termine di 90 giorni per la presentazione della dichiarazione TARI ed il contribuente non abbia tempestivamente adempiuto all’obbligo, nei confronti del contribuente stesso andrebbero comunque applicate le disposizioni ordinarie relative alle sanzioni irrogabili per omessa dichiarazione e ai termini di decadenza fissati per l’attività di accertamento.

In conclusione l’adeguamento dei regolamenti TARI, seppur con i dubbi sopra enunciati, risulta senz’altro opportuno, visto l’interesse dei comuni ad avvicinare temporalmente il momento dichiarativo rispetto a quello in cui si viene a realizzare il presupposto del tributo. Nel fare questo, gli enti dovranno però porre molta attenzione nel valutare gli effetti che tale adeguamento avrà sull’aspetto relativo alla riduzione del termine per l’attività di accertamento nei casi di omessa o infedele denuncia che rimane in ogni caso determinato ai sensi dell’art. 1 comma 161 della Legge 296/2006 e decorre dall’anno successivo a quello di scadenza della dichiarazione stessa.

Ulteriori aspetti inerenti la necessità di adeguare i regolamenti comunali alle regole del TQRIF dettate da ARERA  ed i conseguenti risvolti sull’operatività degli uffici preposti alla gestione del tributo TARI  saranno oggetto di trattazione nella seconda parte del presente articolo che a breve sarà oggetto di pubblicazione su questa Rivista.

Dott. Francesco Foglia