Cass. civ., sez. V, 09 marzo 2020, sent. n. 6569


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. Con sentenza depositata il 15 gennaio 2015 n. 299/45/2015, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale di Napoli accoglieva l’appello proposto dalla “S. P. S.R.L.” avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Caserta l’11 novembre 2013 n. 496/1/2013, con compensazione delle spese giudiziali. Il giudice di appello rilevava che: a) il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento con la quale il Comune di Aversa (CE) aveva preteso il versamento della T.A.R.S.U. per gli anni 2010 e 2012 nella misura complessiva di Euro 159.210,00, a titolo di imposta e relativi accessori, da parte della “S. P. S.R.L.”, nella qualità di gestore delle aree di sosta a pagamento senza custodia del territorio comunale, in forza di contratto di appalto del 22 luglio 2009; b) la Commissione Tributaria Provinciale aveva rigettato il ricorso della contribuente sul presupposto della titolarità del servizio di gestione delle aree scoperte destinate a parcheggio e dell’occupazione delle aree in questione sin dal 22 luglio 2009. La Commissione Tributaria Regionale riformava la decisione di primo grado, rilevando la carenza di legittimazione passiva della “S. P. S.R.L.”, essendo stati assunti gli obblighi contrattuali nei confronti del Comune di Aversa (CE) dall’associazione temporanea di imprese tra il “Consorzio U. V. L. C.” e l’ “I. CONSORZIO COOPERATIVE SOCIALI S.c.a.r.l.”.
  2. Avverso la sentenza di appello, il Comune di Aversa (CE) proponeva ricorso per cassazione, consegnato per la notifica il 25 giugno 2015 ed affidato ad un unico motivo; la “S. P. S.R.L.”  si costituiva con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Con un unico motivo, il Comune di Aversa (CE) denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507, art. 62, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché l’insufficiente esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stato erroneamente individuato il soggetto passivo destinatario della cartella di pagamento nell’associazione temporanea di imprese tra il “CONSORZIO U. V. L. C.” e l’”I. CONSORZIO COOPERATIVE SOCIALI S.c.a.r.l.”, anziché nella “S. P. S.R.L.”, la quale era l’unica titolare del servizio di gestione delle aree scoperte destinate a parcheggio e, in quanto tale, aveva provveduto all’occupazione delle medesime aree (in base alla stessa denuncia di inizio attività).
  2. Preliminarmente, si rileva che Il motivo è fondato.

Secondo il giudice di appello, “il soggetto che ha assunto gli obblighi contrattuali nei confronti del Comune di Aversa non è la S. P. S.R.L., che è una semplice impresa consorziata, ma la stessa ATI, a mezzo della capogruppo, Consorzio U. V. L. C.”, per cui “l’ente pubblico, conseguentemente, avrebbe dovuto rivolgere la pretesa tributaria proprio nei confronti di quest’ultima”. Secondo l’opinione di questa Corte, il contratto di consorzio di cui all’art. 2602 c.c. non comporta l’assorbimento delle imprese contraenti in un organismo unitario, con la creazione di un rapporto di immedesimazione organica tra il consorzio e le imprese consorziate, ma unicamente la costituzione di una organizzazione comune per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive attività dei contraenti, avente essa stessa carattere strumentale rispetto a quella delle imprese consorziate (in termini: Cass., Sez. 1, 27 gennaio 2014, n. 1636).

Ciò non di meno, con la modifica dell’art. 2602 c.c., introdotta dalla L. 10 maggio 1976 n. 377, e l’entrata in vigore della L. 21 maggio 1981 n. 240 – che hanno realizzato un ampliamento della causa storica del contratto di consorzio – specifiche fasi dell’attività dei consorziati vengono affidate ad un’organizzazione autonoma, che, per la gestione che deve compiere, non può non avere rilevanza esterna. Pertanto, il consorzio, contrattando con i terzi, ex art. 2615 c.c., comma 2, e coerentemente ai principi di cui agli artt. 2608 e 2609 c.c., opera quale mandatario dei consorziati (in termini: Cass., Sez. 1, 26 luglio 1996, n. 6774), senza bisogno di spendita del nome degli stessi (così: Cass., Sez. 1, 16 marzo 2001, n. 3829), l’obbligazione dei quali sorge, quindi, direttamente in capo agli stessi, per il solo fatto che sia stata assunta nel loro interesse (così: Cass., Sez. 3, 21 febbraio 2006, n. 3664).

Ne discende l’irrilevanza della stipulazione del contratto di appalto da parte dell’associazione temporanea di imprese tra il “CONSORZIO U. V. L. C.” e l’”I. CONSORZIO COOPERATIVE SOCIALI S.c.a.r.l.”. Invero, in tale sede, il “CONSORZIO U. V. L. C.”, in qualità di capogruppo – mandatario dell’associazione temporanea di imprese, aveva espressamente assunto “la gestione tecnica ed amministrativa del servizio, che dovrà avvenire a mezzo dell’impresa consorziata “S. P. S.R.L.” (…)”, per cui la “S. P. S.R.L.” era stata espressamente indicata come consorziata affidataria del servizio medesimo. Dunque, l’obbligazione tributaria non poteva che insorgere in capo alla “S. P. S.R.L.”, in qualità di aderente al “CONSORZIO U. V. L. C.”, il quale ne aveva specificamente speso la denominazione nei confronti del Comune di Aversa (CE) come affidataria del servizio di parcheggio a pagamento. Non a caso, la stessa consorziata aveva presentato all’Ufficio di Polizia Amministrativa del Comune di Aversa (CE) la denuncia di inizio dell’attività di parcheggio il 12 novembre 2009.

Pertanto, non può che individuarsi nella “S. P. S.R.L.”  il soggetto passivo dell’obbligazione tributaria, a cui la cartella di pagamento è stata correttamente notificata.

Come è noto, il D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507, art. 62, comma 1 e comma 2, stabilisce che “la tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti (…)” e che “non sono soggetti alla tassa i locali e le aree che non possono produrre rifiuti o per la loro natura o per il particolare uso cui sono stabilmente destinati (…)”.

In linea generale, questa Corte ha chiarito come, con riguardo alla T.A.R.S.U., il presupposto impositivo è costituito, ai sensi del D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507, art. 62, comma 1, dal solo fatto oggettivo della occupazione o della detenzione del locale o dell’area scoperta, a qualsiasi uso adibiti, e prescinde, quindi, del tutto dal titolo, di diritto o di fatto, in base al quale l’area o il locale sono occupati o detenuti, con la conseguenza che è dovuta la tassa dal soggetto che occupi o detenga un’area per la gestione di un parcheggio affidatagli dal Comune in concessione, restando del tutto irrilevante l’eventuale attinenza della gestione stessa alla fase sinallagmatica del rapporto con il Comune (ex multis: Cass., Sez. 5, 23 gennaio 2004, n. 1179; Cass., Sez. 5, 16 maggio 2012, n. 7654; Cass., Sez. 5, 25 luglio 2012, n. 13100; Cass., Sez. 5, 13 marzo 2015, n. 5047).

Peraltro, pur considerando che il D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507, art. 62, comma 2, nell’escludere dall’assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti “per il particolare uso cui sono stabilmente destinati”, chiaramente esige che sia provata dal contribuente non solo la stabile destinazione dell’area ad un determinato uso (quale, nella fattispecie, il parcheggio), ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti (in termini: Cass., Sez. 5, 18 dicembre 2003, n. 19459; Cass., Sez. 5, 1 luglio 2004, n. 12084; Cass., Sez. 5, 13 marzo 2015, n. 5047; Cass., Sez. 5, 1 agosto 2019, n. 18226), questa Corte ha precisato che il concessionario deve pagare la tassa per i parcheggi, oltre che per la mancanza di denuncia, in quanto i parcheggi sono aree frequentate da persone e, quindi, produttive di rifiuti in via presuntiva (in termini: Cass., Sez. 5, 15 novembre 2000, n. 14770; Cass., Sez. 5, 13 marzo 2015, n. 5047; Cass., Sez. 5, 16 maggio 2019, n. 13185).

Nè è necessaria una completa sottrazione fisica dell’area o la titolarità di un diritto reale di godimento. Neppure assume rilievo giuridico la circostanza che il Comune, in forza della convenzione, possa estendere o diminuire le aree assegnate o introdurre delle restrizioni per soddisfare esigenze pubbliche (in termini: Cass., Sez. 5, 1 agosto 2019, nn. 20764, 20765, 20767, 20768).

Tale peculiarità rende inconferente (per eterogeneità di ratio) il richiamo all’orientamento giurisprudenziale in tema di T.O.S.A.P. per la medesima fattispecie, secondo cui l’affidataria è esonerata da tassazione allorquando sia soltanto attribuito – quale sostituta dell’ente nello sfruttamento dei beni – il mero servizio di gestione del parcheggio, con il potere di esazione delle somme dovute dai singoli per l’uso, quale parcheggio dei loro veicoli, dell’area pubblica a ciò destinata dal Comune, dovendosi ravvisare, in tal caso, un’occupazione temporanea ad opera del singolo e non della concessionaria, che non sottrarrebbe al pubblico uso l’area (non oggetto, in quanto tale, della concessione e rimasta, anche di fatto, nella disponibilità del Comune) (ex plurimis: Cass., Sez. 5, 21 giugno 2004, n. 11553; Cass., Sez. 5, 15 settembre 2009, n. 19841; Cass., Sez. 5″, 21 luglio 2017, n. 18102; Cass., Sez. 5″, 15 gennaio 2020, n. 613).

Difatti, si può affermare che la soggezione alla T.A.R.S.U. trova sufficiente giustificazione nella strumentalità delle aree pubbliche – di cui l’affidataria del servizio ha, comunque, la detenzione, sebbene nell’interesse del Comune, per l’assolvimento dei compiti previsti dal contratto di appalto all’esercizio di un’attività imprenditoriale con finalità lucrativa (per tale aspetto: Cass., Sez. 5, 21 giugno 2017, n. 15440), cioè alla gestione del parcheggio a pagamento, che è oggettivamente idonea (per l’afflusso quotidiano delle autovetture dei fruitori del servizio) alla produzione di rifiuti.

  1. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata; non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, u.p., con pronuncia di rigetto del ricorso originario della contribuente.
  2. Possono essere interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio del merito, tenuto conto dell’andamento del medesimo e della progressiva consolidazione della giurisprudenza di questa Corte sulle questioni trattate, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente; compensa per intero tra le parti le spese dei giudizi di merito; condanna la contribuente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’amministrazione, liquidandole nella misura complessiva di Euro 7.000,00, oltre spese forfettarie e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2020


COMMENTO:

La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, si è pronunciata sull’assoggettamento alla TARSU di un’area di proprietà comunale adibita a parcheggio a pagamento gestito da una società privata in virtù di un contratto di appalto stipulato dal Comune con un’ATI, la cui capogruppo era rappresentata da un consorzio di cui faceva parte la suddetta società affidataria del servizio di gestione del parcheggio.

Il consorzio, infatti, in qualità di capogruppo-mandatario dell’associazione temporanea di imprese, stipulava il contratto di appalto specificando che la gestione tecnica ed amministrativa del servizio sarebbe stata in capo alla sua consorziata. 

In ragione dell’affidamento della gestione del parcheggio alla consorziata, il Comune pretendeva proprio da quest’ultima il pagamento della TARSU e, a tal fine, le notificava una cartella di pagamento; cartella che veniva però impugnata dalla contribuente, la quale sosteneva di non poter essere considerata soggetto passivo del tributo, in quanto l’appalto era stato stipulato dall’ATI, la quale, pertanto, aveva assunto su di sé ogni obbligazione nascente dal contratto.

La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso della consorziata, ma, in appello, la Commissione Tributaria Regionale riformava la decisione di primo grado, individuando nell’ATI il soggetto tenuto al pagamento della TARSU. Il Comune impugnava la sentenza di secondo grado davanti alla Corte di Cassazione, la quale, al fine di dirimere la controversia sottoposta alla sua attenzione, si è trovata così ad affrontare due questioni:

  1. a) l’individuazione del soggetto tenuto al pagamento della TARSU, tra l’ATI che aveva stipulato il contratto d’appalto per la gestione del parcheggio e la consorziata cui era stata in concreto affidata la gestione del servizio; 
  2. b) la possibilità di assoggettare all’obbligo del pagamento del tributo il mero gestore del servizio che non risulti anche concessionario dell’area su cui ricade il parcheggio.

Con riguardo al primo tema, gli Ermellini si sono concentrati sul rapporto intercorrente tra consorzio ed imprese consorziate; rapporto che viene qualificato in termini di mandato. Il consorzio, infatti, agisce quale mandatario dei soggetti consorziati, i quali, pertanto, assumono ogni obbligazione nascente dai contratti che il consorzio stesso stipula nel loro interesse. Dalla sentenza in commento è stata infatti ricavata la seguente massima: “Il contratto di consorzio di cui all’art. 2602 c.c. comporta non già l’assorbimento delle imprese consorziate in un organismo unitario, realizzativo di un rapporto di immedesimazione organica con le singole contraenti, bensì la costituzione tra le stesse di un’organizzazione comune per lo svolgimento di determinate fasi delle loro attività, ciascuna delle quali, in seguito all’ampliamento della causa storica di tale contratto intervenuta con la modifica dell’art. 2606 c.c., introdotta dalla l. n. 377 del 1976, e l’entrata in vigore della l. n. 240 del 1981, è affidata ad un’organizzazione autonoma avente, nell’attività di gestione svolta, rilevanza esterna, sicché il consorzio, coerentemente coi principi di cui agli artt. 2608 e 2609 c.c., nel contrattare con i terzi, ai sensi dell’art. 2615, comma 2, c.c., opera quale mandatario dei consorziati senza bisogno di spenderne il nome, con la conseguenza che l’obbligazione sorge in capo ad essi per il solo fatto che sia stata assunta nel loro interesse”. 

Ebbene, proprio sulla base di tale assunto, i Giudici di Piazza Cavour, andando a decidere il caso di specie, hanno statuito che l’obbligo tributario non potesse che gravare sulla consorziata affidataria della gestione del servizio di parcheggio. 

Ma il soggetto affidatario della mera gestione del parcheggio può essere tenuto al pagamento della TARSU qualora non risulti anche concessionario dell’area? Al riguardo, la Suprema Corte ha ribadito il suo consolidato orientamento, in base al quale un’area pubblica adibita a parcheggio a pagamento può essere assoggettata a TARSU e il soggetto passivo del tributo può essere individuato nell’affidatario del solo servizio di parcheggio. 

Infatti, ai sensi dell’art. 62, comma 1, del D.Lgs. n. 597/1993, la tassa è dovuta per l’occupazione o la detenzione di locali e aree scoperte, a qualsiasi uso adibite, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali alle abitazioni. E se è pur vero che il presupposto della TARSU é costituito dalla produzione di rifiuti e che, ai sensi del secondo comma della suddetta disposizione normativa, è escluso l’assoggettamento al tributo dei locali e delle aree che non sono idonee a produrre rifiuti “per il particolare uso cui sono stabilmente destinati”, è altrettanto innegabile che la destinazione a parcheggio, di per sé, non possa escludere in assoluto tale idoneità. Anzi, come ha sottolineato la Suprema Corte, si presume che in un parcheggio vengano prodotti dei rifiuti, dato che tale area viene utilizzata dai vari soggetti che la utilizzano per posteggiare i loro veicoli. E se così non fosse, per potersi legittimamente sottrarre al pagamento del tributo, il contribuente dovrebbe comunque darne dimostrazione. E’ onere del contribuente, infatti, provare sia la circostanza della stabilità della destinazione dell’area ad un particolare utilizzo, sia la circostanza che sull’area così destinata non vengano e non possano venire prodotti rifiuti. 

Inoltre, la Cassazione, richiamando alcune sue pronunce del 2019 (Cass. Sez. 5, 1° agosto 2019, nn. 20764, 20765, 20767, 20768), ha precisato che, ai fini dell’assoggettamento alla TARSU, non è necessaria la completa sottrazione fisica dell’area da parte del contribuente né la titolarità di un diritto reale di godimento in capo ad esso. Così come l’obbligazione tributaria non viene meno qualora il Comune proprietario dell’area possa estendere o ridurre le aree assegnate al gestore del servizio di parcheggio e/o introdurre delle restrizioni temporali alla sosta a pagamento, per soddisfare esigenze pubbliche. 

Pertanto, anche l’affidatario del servizio di parcheggio, che opera nell’interesse del Comune, senza poter sfruttare liberamente l’area destinata alla sosta dei veicoli, può essere tenuto al pagamento della tassa sui rifiuti. 

Nel suffragare la propria decisione, la Cassazione ha evidenziato, infatti, come, trattando di TARSU e dunque dovendo applicare la disciplina normativa relativa a tale tributo, non potesse rilevare né potesse trovare seguito, “per eterogeneità di ratio”, quell’orientamento giurisprudenziale in materia di TOSAP che, invece, esclude l’assoggettamento impositivo del mero affidatario del solo servizio di parcheggio a pagamento su di un’area pubblica. Secondo tale indirizzo, invero, in caso di affidamento del solo servizio di parcheggio – e dunque non nell’ipotesi di concessione della superficie adibita alla sosta dei veicoli – l’area rimane nella disponibilità del Comune, venendo occupata temporaneamente solo dai singoli fruitori del parcheggio e non dall’affidataria del servizio, che non la sottrae affatto all’uso della collettività. 

Nel richiamare tale orientamento, la Cassazione fa espresso riferimento ad una sua pronuncia di poco precedente, l’Ordinanza 15 gennaio 2020 n. 613, con la quale ha escluso il pagamento della TOSAP da parte dell’affidatario del solo servizio di gestione dell’area pubblica destinata a parcheggio, in quanto da considerarsi “mero sostituto del Comune, che resta l’unico e solo occupante della sede stradale”. Come precisato nell’Ordinanza in parola, infatti, “il presupposto impositivo della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (TOSAP) è costituito, ai sensi degli artt. 38 e 39 del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, dalle occupazioni, di qualsiasi natura, di spazi ed aree, anche soprastanti e sottostanti il suolo, appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei Comuni e delle Province, che comporti un’effettiva sottrazione della superficie all’uso pubblico” e “nel caso di area del demanio comunale, appartenente alla rete viaria della città, adibita a parcheggio di autoveicoli, in concessione a società privata, rileva in concreto se quest’ultima occupi l’area, sottraendola all’uso pubblico, integrando, così, il presupposto della TOSAP, ovvero se ad essa società sia soltanto attribuito – quale sostituto dell’ente nello sfruttamento dei beni – il mero servizio di gestione del parcheggio, con il potere di esazione delle somme dovute dai singoli per l’uso, quale parcheggio dei loro veicoli, dell’area pubblica a ciò destinata dal comune, dovendosi ravvisare, in tal caso, un’occupazione temporanea ad opera del singolo e non della concessionaria, che non sottrarrebbe al pubblico uso l’area (non oggetto, in quanto tale, della concessione e rimasta, anche di fatto, nella disponibilità del Comune), con esenzione di quest’ultima dalla tassazione in forza dell’art. 49, comma 1, lett. a), del D.L.vo 15 novembre 1993 n. 507, salvo che dall’atto di concessione non emerga una diversa volontà pattizia (in tal senso: Cass., Sez. 5^, 21 giugno 2004, n. 11553; Cass., Sez. 5^, 15 settembre 2009, n. 19841; Cass., Sez. 5^, 21 luglio 2017, n. 18102)”. Dunque, posto che il presupposto dell’applicazione della TOSAP è rappresentato dalla sottrazione all’uso della collettività dello spazio pubblico utilizzato dal concessionario, ai fini dell’individuazione del soggetto tenuto al pagamento del tributo in parola, come evidenziato dalla stessa Cassazione in un’altra Ordinanza di poco successiva alla sentenza in commento, “fondamentale appare la interpretazione del contratto intervenuto tra le parti (…) per individuare se esso si riferisca alla concessione di un’area che verrebbe così sottratta all’uso pubblico a vantaggio del privato o alla concessione non dell’area ma della gestione del servizio di parcheggio e di riscossione degli inerenti incassi”, poiché “in presenza di un provvedimento di concessione o di autorizzazione, per mezzo del quale il Comune o la Provincia acconsente ad un privato di occupare il proprio suolo, sarà quest’ultimo (concessionario o autorizzato) il soggetto passivo della Tosap. Al contrario, quando il contratto che connette al Comune il privato ha ad oggetto la gestione di parcometri elettrici per la disciplina e l’esazione delle tariffe per la sosta di autovetture, la rimozione dei veicoli e la custodia dei veicoli rimossi, non si configura come una vera e propria concessione di utilizzo degli stalli, bensì appare un appalto di servizi di gestione” (Cass. n. 28340 del 2019)” (Cass. Ordinanza n. 2655 del 5 febbraio 2020). 

Ma se così è per la TOSAP, per quanto concerne, invece, l’applicazione della TARSU, non occorre indagare se l’area, oltre ad essere occupata e detenuta dal contribuente, risulti effettivamente sottratta all’uso della collettività, in quanto presupposto impositivo, oltre all’occupazione o alla detenzione dell’area, è semplicemente l’idoneità di quest’ultima alla produzione di rifiuti. Dunque, poiché  nel caso di specie la società consorziata affidataria della gestione del parcheggio a pagamento deteneva l’area adibita alla sosta dei veicoli, esercitandovi un’attività di impresa a scopo di lucro, e dato che tale area era idonea alla produzione di rifiuti, la Cassazione, con la sentenza in commento, ha statuito che tale società fosse obbligata al pagamento del tributo.

Per completezza, si segnala che la Commissione Tributaria Regionale del Molise, con sentenza n. 562/2018, aveva però escluso l’applicazione della TARES su di un parcheggio a pagamento costituito da una serie di stalli posizionati su aree comunali e, più precisamente, disposti in alcune piazze e lungo pubbliche vie, in quanto gestito da un’impresa privata non in forza di un contratto di concessione dell’area pubblica, ma in virtù di un contratto d’appalto di servizi, che prevedeva l’obbligo, in capo al gestore, di fornire parcometri, realizzare e curare la segnaletica orizzontale ed esigere le tariffe per la sosta, da versare – previa trattenuta di una percentuale a titolo di corrispettivo per il servizio reso – al Comune, il quale poteva aumentare e diminuire l’estensione del parcheggio di propria iniziativa e prevedere limitazioni orarie per la sosta a pagamento. Infatti, alla luce delle previsioni contenute nel contratto d’appalto – che, a dire dello stesso Collegio giudicante, riducevano l’affidatario del servizio a mero esattore della tariffe destinate al Comune – la Commissione Tributaria Regionale aveva negato che l’obbligo tributario gravasse sul gestore del parcheggio, poiché “non è possibile affermare che detenesse ovvero occupasse le pubbliche vie o le piazze ove erano dislocati i parcheggi a pagamento (o, meglio ancora, quelle porzioni di strade e piazze destinate a parcheggio a pagamento, nemmeno tutto l’anno e nemmeno per l’intera giornata) indistintamente e contemporaneamente utilizzate e fruite dall’intera collettività, con la conseguenza che non c’è possibilità di distinzione tra rifiuti prodotti dall’automobilista che parcheggia e quelli prodotti da passanti o automobilisti in transito”. La Commissione Tributaria Regionale concludeva, dunque, asserendo che “quando i parcheggi sono situati lungo le pubbliche vie e le piazze liberamente e contestualmente fruite dall’intera collettività, non è possibile affermare che il gestore del servizio a pagamento occupi o detenga le relative superfici ai fini dell’imposta sui rifiuti né che i rifiuti prodotti nell’area siano a lui attribuibili” (CTR Molise, sent. 11 settembre 2018, n. 562).

Giuliana Bucchioni

Avvocato in Massa