Operare con i bitcoin, per l’Agenzia delle Entrate, è equivalente all’utilizzo di una moneta estera. 

Al fine di comprendere la disciplina della tassazione dei redditi derivanti da tale attività, occorre preliminarmente osservare come la risoluzione n. 72/E/AE del 2 settembre 2016 definisca il bitcoin “una tipologia di moneta ‘virtuale’, o meglio ‘criptovaluta’, utilizzata come ‘moneta’ alternativa a quella tradizionale avente corso legale emessa da una Autorità monetaria”, la cui circolazione, quale pezzo di pagamento, “si fonda sull’accettazione volontaria da parte degli operatori del mercato che, sulla base della fiducia, la ricevono come corrispettivo nello scambio di beni e servizi, riconoscendone, quindi, il valore di scambio indipendentemente da un obbligo di legge”.

In assenza di uno specifico richiamo legislativo al sistema delle criptovalute, l’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione soprarichiamata, rispondeva all’esigenza di chiarimenti in merito al trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di servizi relativi all’acquisto ed alla cessione di monete virtuali. 

Con riguardo a quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella sentenza del 22 ottobre 2015 n. C-264/14, quale punto di riferimento sul tema, che in merito alle operazioni di scambio di valuta tradizionale in bitcoin e viceversa, se svolte in modo professionale ed abituale, riteneva tali attività rilevanti ai fini IVA, IRES, IRAP, in quanto assimilate alle operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” ai sensi dell’art. 135, comma 1, lett. e) della direttiva CE n. 112/2006, l’Agenzia delle Entrate ritiene l’attività di società che, operanti trading di bitcoin, vengano remunerate attraverso commissioni pari alla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente e la miglior quotazione reperita sul mercato, debbano essere considerate prestazione di servizi esenti IVA ai sensi dell’art. 10, comma 1, n. 3) DPR 633/1972, ed assoggettate ad imposizione diretta con riferimento alle componenti di reddito derivanti dall’attività di intermediazione effettuata, al netto dei costi.

Ulteriormente, l’Agenzia precisa che in mancanza di finalità speculative, le società esercenti l’attività di intermediazione di valute virtuali detenute dai clienti al di fuori dell’attività d’impresa, ai fini delle imposte sul reddito dei clienti, non generando redditi imponibili, non sono tenute ad alcun adempimento quali sostituti d’imposta.

Tale Risoluzione, scaturita proprio in mancanza di una normativa specifica in merito, lascia aperta la questione relativa alla disciplina applicabile al privato cittadino che intenda compiere tali operazioni finanziarie.

Tale tematica viene affrontata dalla Commissione Tributaria Regionale del Veneto, chiamata ad esprimersi in merito ad una controversia relativa alla richiesta di rimborso IRPEF delle somme versate dal contribuente a titolo di imposta pari al 26% delle plusvalenze realizzate, successivamente dallo stesso ritenute non dovute.  

Il Collegio, partendo dal dettato della Corte di Giustizia Europea secondo cui le operazioni di acquisto/vendita di bitcoincostituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali in un abbiano altre finalità oltre a quelli di un mezzo di pagamento” (Sentenza n. C-264/14 del 22 ottobre 2015), ritiene tale moneta virtuale compresa tra le “valute”.  

D’eco, le plusvalenze prodotte da tali attività costituiscono redditi diversi ex art. 67, lett c-ter) TUIR, sono determinate dalla differenza tra il costo di acquisto della valuta ed il valore della vendita ottenuto nell’anno ai sensi dell’art. 68, commi 5 e 6, TUIR, e concorrono alla formazione del reddito imponibile, da sottoporre perciò a tassazione applicando al differenziale dichiarato dal contribuente l’aliquota del 26%.

Dunque, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 1505 del 6 dicembre 2021, con riferimento all’ipotesi in cui sia il privato cittadino a compiere operazioni di acquisto-vendita di valute tradizionali/bitcoin e viceversa, ritiene che la generazione di plusvalenze rilevanti, tali da qualificare tali operazioni come speculative, rientrino nella previsione di cui agli artt. 67 e 68 TUIR e siano dunque assoggettate a IRPEF con aliquota 26% quali redditi diversi.

 

Dott.ssa Francesca Visonà