L’acquisto dell’eredità e la rinuncia.
I soggetti legittimati all’acquisto.
L’ordinamento italiano non ammette l’esistenza di acquisti coattivi: pertanto, è erede solo chi voglia essere tale.
Unica eccezione a tale principio generale è rappresentata dall’acquisto dell’eredità cd. “vacante” (ossia in mancanza di altri successibili) da parte dello Stato, che diviene così erede necessario (art. 586 c.c.).
Presupposto necessario per l’acquisto dell’eredità è l’esistenza della delazione a favore del chiamato.
La chiamata a succedere, che acquista concretezza con la delazione, diventa efficace unicamente con l’accettazione, mezzo tecnico attraverso cui il chiamato acquista l’eredità.
L’accettazione: nozione, natura giuridica e tipologie.
Il diritto di accettazione (jus delationis) è il diritto del chiamato ad acquistare l’eredità.
Esercitando tale diritto, il chiamato all’eredità diviene erede.
Si tratta di un diritto potestativo di natura personale con conseguenze patrimoniali (MESSINEO).
L’accettazione è la dichiarazione di volontà del chiamato diretta all’acquisto dell’eredità: essa costituisce un diritto, ma anche un onere per il chiamato che, in mancanza di essa, non può divenire erede.
Essa ha natura di negozio giuridico unilaterale non recettizio, non suscettibile di apposizione di condizioni o termini (actus legitimus), irrevocabile e non suscettibile di essere fatta in forma parziale (ossia limitatamente ad alcuni beni o per una frazione dell’eredità).
I suoi effetti retroagiscono fin dal momento dell’apertura della successione (art. 459 c.c.), in quanto l’ordinamento non vuole soluzioni di continuità tra la titolarità dei rapporti giuridici in capo al de cuius 196
e quella dei medesimi rapporti in capo all’erede.
Quanto al contenuto, l’accettazione dell’eredità può essere (art. 470 c.c.):
- pura e semplice (determina la confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede e, conseguentemente, la responsabilità di quest’ultimo per i debiti e i pesi ereditari anche ultra vires hereditatis, ossia oltre il valore dei beni che gli sono pervenuti in successione);
- con beneficio di inventario (impedisce la confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede e fa sì che la responsabilità di quest’ultimo per i debiti e i pesi ereditari sia limitata intra vires hereditatis, ossia solo nei limiti di valore dei beni che gli sono pervenuti in successione).
Quanto alla forma, l’accettazione dell’eredità può essere:
- espressa (art. 475 c.c.: si ha quando, in un atto pubblico o in una scrittura privata, il chiamato all’eredità dichiara di accettarla oppure assume il titolo di erede);
- tacita (art. 476 c.c.: si ha quando il chiamato all’eredità compie un atto che presuppone necessariamente la sua volontà di accettare e che non avrebbe il diritto di fare se non nella qualità di erede, cd. pro herede gestio).
Parte della dottrina aggiunge altresì una forma di accettazione presunta o legale, che si verifica quando il chiamato pone in essere atti di disposizione considerati, con presunzione assoluta, non suscettibile di prova contraria, atti di implicita alienazione. In tale categoria rientrerebbero le fattispecie di cui agli artt. 477 c.c. (donazione, vendita e cessione dei diritti di successione) e 478 c.c. (rinunzia che importa accettazione, in quanto fatta verso corrispettivo o in favore di alcuni soltanto dei chiamati).
Altra parte della dottrina qualifica invece tali fattispecie come ipotesi di accettazione e tacita ex art. 476 c.c., tipizzate dalla norma.
Costituiscono infine fattispecie di acquisto senza accettazione quelle in cui il legislatore considera un soggetto erede, a prescindere da un suo comportamento concludente. Rientrano in tale categoria:
- l’acquisto dell’eredità da parte dello Stato, quale ultimo successibile ed erede necessario (art. 586 c.c.);
- la mancata redazione dell’inventario nei termini di legge da parte del chiamato all’eredità, che si trovi nel possesso dei beni ereditari (art. 485 c.c.);
- la sottrazione dei beni ereditari (art. 527 c.c.).
197 L’acquisto dell’eredità ela rinuncia
L’accettazione con beneficio di inventario.
L’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario impedisce la confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede e fa sì che la responsabilità di quest’ultimo per i debiti e i pesi ereditari sia limitata intra vires hereditatis, ossia solo nei limiti di valore dei beni che gli sono pervenuti in successione.
Il fondamento di tale istituto è quello di incentivare il più possibile il chiamato ad accettare l’eredità, evitando così allo Stato (quale ultimo successibile ed erede necessario) il gravoso compito della liquidazione del patrimonio ereditario.
L’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario costituisce quindi una facoltà per ogni chiamato, esercitabile anche a dispetto di eventuali divieti del testatore, che restano privi di valore (art. 470 c.c.).
Essa richiede una forma solenne, dovendo effettuarsi mediante dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e inserita nel registro delle successioni conservato nello stesso tribunale.
In mancanza di forma solenne, l’accettazione si considera pura e semplice, tranne nei confronti dei soggetti per i quali l’ordinamento impone l’accettazione beneficiata come un vero e proprio obbligo (minori, interdetti, minori emancipati, inabilitati, persone giuridiche, associazioni, fondazioni ed enti non riconosciuti, con la sola eccezione delle società).
Entro un mese dall’inserzione nel registro delle successioni, la dichiarazione di accettazione dell’eredità con beneficio di inventario deve essere trascritta, a cura del cancelliere, presso l’ufficio dei registri immobiliari del luogo in cui si è aperta la successione.
La predetta dichiarazione deve essere preceduta o seguita dall’inventario, nelle forme prescritte dal Codice di procedura civile.
Se l’inventario è fatto prima della dichiarazione, nel registro deve menzionarsi anche la data in cui esso è stato compiuto.
Se esso è fatto dopo la dichiarazione, il pubblico ufficiale che lo ha redatto deve, nel termine di un mese, far inserire nel registro l’annotazione della data in cui esso è stato compiuto.
I termini per effettuare l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario risultano differenziati a seconda che il chiamato si trovi oppure no nel possesso dei beni ereditari.
Infatti:
- ai sensi dell’art. 485 c.c., il chiamato all’eredità, che a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità. Se entro questo termine lo ha cominciato ma non è stato in grado di completarlo, può ottenere dal tribunale del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non deve eccedere i tre mesi. Trascorso tale termine senza che l’inventario sia stato compiuto, il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice. Compiuto l’inventario, il chiamato che non abbia ancora fatto la dichiarazione a norma dell’art. 484 c.c. ha un termine di quaranta giorni da quello del compimento dell’inventario medesimo, per deliberare se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia deliberato, è considerato erede puro e semplice. Durante il periodo necessario per la redazione dell’inventario e la successiva deliberazione se accettare o rifiutare l’eredità, il chiamato ha i poteri di cui all’art. 460 c.c. e può stare in giudizio come convenuto per rappresentare l’eredità (art. 486 c.c.);
–ai sensi dell’art. 487 c.c., il chiamato all’eredità, che non è nel possesso di beni ereditari, può fare la dichiarazione di accettare con il beneficio d’inventario, fino a che il diritto di accettare non è prescritto, e dunque entro il termine di prescrizione decennale di cui all’art. 480 c.c. Quando ha fatto la dichiarazione, deve compiere l’inventario nel termine di tre mesi dalla dichiarazione, salva la proroga accordata dall’autorità giudiziaria; in mancanza, è considerato erede puro e semplice. Quando ha fatto l’inventario non preceduto da dichiarazione di accettazione, questa deve essere fatta nei quaranta giorni successivi al compimento dell’inventario; in mancanza, il chiamato perde il diritto di accettare l’eredità.
Gli effetti dell’accettazione con beneficio di inventario sono:
- la mancata confusione tra il patrimonio del defunto e quello dell’erede beneficiato, che pertanto si mantengono separati;
- la sopravvivenza dei diritti e degli obblighi che l’erede aveva verso il de cuius;
- la limitazione della responsabilità patrimoniale dell’erede beneficiato intra vires hereditatis (ossia nei limiti del valore dell’eredità) e cum viribus hereditatis (ossia soltanto con i beni che gli sono pervenuti in successione). L’erede beneficiato non può essere costretto al pagamento dei debiti e dei pesi ereditari con i propri beni, se non quando è stato costituito in mora a presentare il conto e non ha ancora soddisfatto a quest’obbligo. Dopo la liquidazione del conto, non può essere costretto al pagamento con i propri beni se non fino alla concorrenza delle somme di cui è debitore (art. 497 c.c.);
199 L’acquisto dell’eredità ela rinuncia
- la prelazione dei creditori e dei legatari sul patrimonio del defunto: a seguito dell’accettazione beneficiata, i creditori del de cuius e i legatari acquistano il diritto di essere soddisfatti sui beni ereditari con preferenza rispetto ai creditori personali dell’erede beneficiato. Questi ultimi possono soddisfarsi sul patrimonio ereditario solo nei limiti di ciò che residua dopo l’estinzione delle passività ereditarie;
- il divieto di iscrivere ipoteca giudiziale sui beni ereditari (art. 2830 c.c.). Tale divieto ha lo scopo di tutelare la par condicio creditorum.
L’erede beneficiato diviene amministratore del patrimonio ereditario, anche nell’interesse dei creditori del de cuius e dei legatari, ai quali deve rendere conto.
Egli deve inoltre mantenere la destinazione dei beni ereditati alla soddisfazione dei creditori: di conseguenza, può compiere sugli stessi atti di straordinaria amministrazione a carattere conservativo o liquidativo solo previa autorizzazione del giudice.
Sono cause di decadenza dall’accettazione con beneficio di inventario:
- omissioni o inclusioni dolose nell’inventario (art. 494 c.c.);
- alienazioni di beni o costituzioni di garanzie reali su essi senza autorizzazione del giudice (art. 493 c.c.);
- inosservanze procedurali, in fase di liquidazione (art. 495 c.c.).
L’art. 510 c.c. stabilisce infine che “l’accettazione con beneficio d’inventario atta da uno dei chiamati giova a tutti gli altri, anche se l’inventario è compiuto da un chiamato diverso da quello che ha fatto la dichiarazione”.
Sono agevolati da tale norma i semplici delati (ossia coloro che ancora non hanno né accettato, né rifiutato l’eredità), mentre non possono giovarsene coloro che hanno già accettato l’eredità puramente e semplicemente.
La separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede.
La separazione dei beni del defunto da quelli dell’erede costituisce un istituto introdotto dal legislatore (artt. 512-518 c.c.) a tutela dei legatari e dei creditori del de cuius.
Esso, infatti, assicura il soddisfacimento, con i beni del defunto, dei creditori di lui e dei legatari che l’hanno esercitata, con preferenza sui creditori dell’erede.
Legittimati a chiedere la separazione (cd. “separatisti”) sono i creditori del de cuius e i legatari, anche se provvisti di altre garanzie sui beni del defunto.200
L’utilità pratica dell’istituto si manifesta nel caso in cui l’erede gravato da debiti accetti l’eredità puramente e semplicemente oppure rinunci al beneficio di inventario o decada dallo stesso.
La separazione non impedisce ai creditori e ai legatari, che l’hanno esercitata, di soddisfarsi anche sui beni propri dell’erede.
Pertanto, a differenza dell’accettazione beneficiata, essa non crea patrimoni separati, ma costituisce unicamente una ragione di preferenza, nel soddisfacimento sui beni ereditari, a favore dei creditori e dei legatari “separatisti”, rispetto sia ai creditori dell’erede, sia ai creditori del de cuius e ai legatari cd. “non separatisti”.
Per tale ragione, l’accettazione beneficiata prevale sempre sulla separazione, in ragione della maggiore ampiezza dei suoi effetti (mantenimento di due patrimoni del tutto separati).
I creditori del defunto possono esercitare la separazione anche rispetto ai beni che formano oggetto di legato di specie (art. 513 c.c.).
Il diritto alla separazione deve essere esercitato entro il termine di tre mesi dall’apertura della successione (art. 516 c.c.). Si tratta di un termine perentorio, stabilito a pena di decadenza.
Le modalità di esercizio della separazione si differenziano, a seconda che la stessa abbia ad oggetto beni mobili oppure beni immobili.
Nel primo caso, il diritto alla separazione si esercita mediante domanda giudiziale, da proporsi con ricorso al tribunale del luogo dell’aperta successione, il quale ordina l’inventario, se non è ancora fatto, e dà le disposizioni necessarie per la conservazione dei beni stessi. Riguardo ai beni mobili già alienati dall’erede, il diritto alla separazione comprende soltanto il prezzo non ancora pagato (art. 517 c.c.).
Nella seconda fattispecie, il diritto alla separazione si esercita mediante l’iscrizione del credito o del legato sopra ciascuno dei beni immobili, da eseguirsi nei modi stabiliti per iscrivere le ipoteche, con l’indicazione del nome del defunto e di quello dell’erede (se conosciuto) e con dichiarazione che l’iscrizione stessa viene presa a titolo di separazione dei beni. Non vi è invece necessità di esibire il titolo. Le iscrizioni a titolo di separazione, anche se eseguite in tempi diversi, prendono tutte il grado della prima e prevalgono sulle trascrizioni ed iscrizioni contro l’erede o il legatario, anche se anteriori. Alle iscrizioni a titolo di separazione sono applicabili le norme sulle ipoteche (art. 518 c.c.).
La separazione giova solo a chi l’ha promossa (art. 512, comma 1, c.c.).
La preferenza rispetto ai creditori e ai legatari “non separatisti” si applica peraltro integralmente solo quando la parte non separata sarebbe stata sufficiente a soddisfare i “non separatisti” stessi.
In caso contrario, essa risulta mitigata, in quanto:201 L’acquisto dell’eredità ela rinuncia
- in caso di separazione di tutti i beni ereditari, “separatisti” e non concorrono alla pari sui beni, in quanto i “non separatisti” non avrebbero comunque avuto altri beni da separare;
- in caso di separazione solo di alcuni beni, quando gli altri beni non separati non coprono il valore dei crediti dei “non separatisti”, si deve verificare in che misura proporzionale sarebbe stato soddisfatto ogni creditore, se non fosse stata fatta la separazione, non considerando il concorso dei creditori dell’erede. Ogni “separatista” in tale proporzione potrà soddisfarsi sui beni separati, mentre i “non separatisti” potranno, nella predetta proporzione, soddisfarsi sul residuo dei beni separati e su quelli non separati (subendo però, rispetto a questi ultimi, il concorso dei creditori dell’erede).
Quando la separazione è esercitata da creditori e legatari, i creditori sono preferiti ai legatari.
L’erede può in ogni caso impedire o far cessare la separazione pagando i creditori e i legatari, e dando cauzione per il pagamento di quelli il cui diritto è sospeso da condizione o sottoposto a termine, oppure è contestato (art. 515 c.c.).
L’azione di petizione ereditaria e le altre azioni a tutela dell’erede.
La petizione ereditaria è l’azione mediante cui l’erede chiede il riconoscimento della propria qualità ereditaria contro chiunque possiede tutti o parte dei beni ereditari a titolo di erede o senza titolo alcuno, allo scopo di ottenere la restituzione dei beni medesimi (art. 533 c.c.).
Presupposti dell’azione sono:
- l’accettazione dell’eredità da parte dell’erede;
- il possesso dei beni ereditari da parte di un terzo, a titolo di erede (possessor pro herede) o senza alcun titolo (possessor pro possessore).
La legittimazione attiva spetta:
- all’erede;
- al coerede;
- al suo creditore (ivi incluso l’acquirente di eredità), il quale può, in presenza dei presupposti di legge, agire in via surrogatoria.
La legittimazione passiva spetta:
- a colui che possiede i beni ereditari a titolo di erede (e quindi a chi si afferma erede in base ad un testamento o per legge);
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- a chi li possiede senza alcun titolo, né ereditario, né di altro tipo.
Diversamente, se il soggetto passivo possiede in base ad un titolo diverso da quello di erede (es.: a titolo di proprietario), l’azione da esercitare sarà quella di rivendica (art. 948 c.c.).
La dottrina prevalente ritiene che legittimato passivo della petizione ereditaria possa essere anche il mero detentore dei beni ereditari.
Inoltre, legittimati passivi sono anche gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo (art. 534 c.c.).
L’azione di petizione dell’eredità è imprescrittibile, salvi gli effetti dell’usucapione rispetto ai singoli beni.
Essa comporta i seguenti effetti:
- il riconoscimento della qualità ereditaria in capo all’attore;
- il conseguimento del possesso dei beni ereditari mediante restituzione a colui che agisce in petizione.
Gli effetti della restituzione si differenziano a seconda che il possessore dei beni ereditari sia stato in buona o in mala fede.
L’art. 535 c.c. stabilisce infatti che al possessore di beni ereditari si applicano le disposizioni in materia di possesso, per quanto riguarda la restituzione dei frutti, le spese, i miglioramenti e le addizioni.
Il possessore in buona fede, che ha alienato pure in buona fede una cosa dell’eredità, è obbligato soltanto a restituire all’erede il prezzo o il corrispettivo ricevuto. Se il prezzo o il corrispettivo è ancora dovuto, l’erede subentra nel diritto di conseguirlo.
È possessore in buona fede colui che ha acquistato il possesso dei beni ereditari, ritenendo per errore di essere erede. La buona fede non giova se l’errore dipende da colpa grave.
È tuttavia sufficiente che essa sussista al momento dell’acquisto del possesso (mala fides superveniens non nocet).
Analogamente all’azione di rivendica della proprietà, la petizione ereditaria è un’azione reale (ossia esperibile direttamente sui beni), imprescrittibile e assoluta (in quanto esercitabile erga omnes).
Se ne differenzia, invece, perché:
- l’azione di rivendica è particolare, perché limitata al recupero dei soli beni del proprietario, quella di petizione ereditaria è universale, perché mira al riconoscimento dello status di erede, con tutti i connessi diritti ed obblighi;
- in materia di rivendica, l’attore deve provare la proprietà sul bene, mentre per la petizione ereditaria è sufficiente la prova della propria qualità di erede e dell’appartenenza dei beni all’asse ereditario.
Oltre all’azione di petizione ereditaria, l’erede può altresì esercitare, a tutela dei beni ereditari:203 L’acquisto dell’eredità ela rinuncia
- azioni possessorie (artt. 1168 c.c.);
- azioni cautelari (artt. 1171-1172 c.c.);
- eventuali azioni spettanti in precedenza al de cuius, a tutela dei singoli beni e diritti compresi nell’asse ereditario.
La tutela dei diritti del terzo nella successione. L’erede apparente.
L’art. 534 c.c. stabilisce la legittimazione passiva nell’azione di petizione ereditaria anche in capo agli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo.
La norma fa tuttavia salvi i diritti acquistati dai terzi a condizione che gli stessi:
- abbiano acquistato per effetto di convenzione a titolo oneroso;
- abbiano acquistato dall’erede apparente, ossia da un soggetto che, in base a circostanze oggettive attendibili (es.: possesso di beni ereditari, comportamento come erede nei rapporti con i terzi, ecc.), appariva all’esterno come erede;
- provino di essere stati in buona fede, ossia di avere ignorato che il loro dante causa non era erede.
Il fondamento di tale disposizione risiede nella oggettiva difficoltà, per i terzi, di verificare con certezza la qualità di erede in capo al proprio dante causa: pertanto, essi possono fare salvo il proprio acquisto, quando abbiano acquistato a titolo oneroso (e si trovino quindi nella condizione di dover evitare un danno, che deriverebbe loro da un inutile esborso), abbiano acquistato da un soggetto che appariva erede in base a circostanze oggettive, tali da trarre in inganno una persona di media attenzione ed avvedutezza, e provino di essere stati in buona fede (in tal fattispecie, la buona fede soggettiva non è presunta, ma deve essere provata dal terzo, in quanto elemento costitutivo del suo diritto).
Tale disposizione non si applica ai beni immobili e ai beni mobili iscritti nei pubblici registri, se l’acquisto a titolo di erede e l’acquisto dall’erede apparente non sono stati trascritti anteriormente alla trascrizione dell’acquisto da parte dell’erede o del legatario vero, o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente.204
La rinuncia all’eredità: nozione, natura giuridica e tipologie.
La rinuncia all’eredità costituisce un negozio unilaterale tra vivi, non recettizio, mediante il quale si dichiara di non voler accettare l’eredità.
Tale atto provoca la cessazione della delazione: a seguito di esso, il delato resta del tutto estraneo alla successione che si è aperta, con la conseguenza che nessun creditore del de cuius potrà agire verso il rinunciante, né quest’ultimo potrà acquistare alcun bene ereditario, né esercitare alcuna azione ereditaria.
Ai sensi dell’art. 519 c.c., la rinunzia all’eredità richiede una forma solenne, nel senso che deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondario in cui si è aperta la successione, e deve essere inserita nel registro delle successioni.
La rinunzia fatta gratuitamente a favore di tutti coloro ai quali si sarebbe devoluta la quota del rinunziante non ha effetto finché, a cura di alcuna delle parti, non siano osservate le predette forme.
La rinuncia può ovviamente essere fatta solo successivamente all’apertura della successione (poiché, in caso contrario, si avrebbe una violazione dell’art. 458 c.c., che vieta il patto successorio rinunciativo), mentre la legge non fissa un termine finale per la stessa (che, dunque, può essere fatta finché il diritto di accettare l’eredità non si è prescritto o si è perso per il verificarsi di una causa di decadenza).
Alla rinuncia non possono essere apposti condizioni o termini (art. 520 c.c.): di conseguenza, essa è un actus legitimus.
Essa non può essere parziale (art. 520 c.c.), ed è invece limitatamente revocabile.
L’art. 525 c.c. stabilisce infatti che i chiamati all’eredità, che vi hanno rinunziato, fino a quando il diritto di accettare non è prescritto nei loro confronti, possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, ed in ogni caso senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità.
Gli effetti della rinuncia.
La rinuncia è un negozio con effetti retroattivi, nel senso che “chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato” (art. 521, comma 1, c.c.).
Ai sensi del secondo comma della predetta norma, il rinunziante può 205 L’acquisto dell’eredità ela rinuncia
tuttavia ritenere la donazione o domandare il legato a lui fatto sino alla concorrenza della porzione disponibile, salve le disposizioni degli artt. 551 e 552 c.c. (che disciplinano, rispettivamente, il legato in sostituzione di legittima e le donazioni e i legati in contro di legittima).
Gli effetti della rinuncia si differenziano peraltro parzialmente, a seconda che essa riguardi una successione legittima oppure una successione testamentaria.
Nel caso di successione legittima, “la parte di colui che rinunzia si accresce a coloro che avrebbero concorso col rinunziante, salvo il diritto di rappresentazione e salvo il disposto dell’ultimo comma dell’articolo 571. Se il rinunziante è solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse” (art. 522 c.c.).
La norma prevede quindi, nell’ordine:
- la rappresentazione;
- l’accrescimento;
- la devoluzione ai successivi chiamati per legge.
Nel caso di successione testamentaria, “se il testatore non ha disposto una sostituzione e se non ha luogo il diritto di rappresentazione, la parte del rinunziante si accresce ai coeredi a norma dell’articolo 674, ovvero si devolve agli eredi legittimi a norma dell’articolo 677” (art. 523 c.c.).
La norma prevede quindi, nell’ordine:
- le sostituzioni ordinarie eventualmente previste dal testatore;
- la rappresentazione;
- l’accrescimento;
- la devoluzione agli eredi legittimi.
Impugnativa, revoca e decadenza dalla rinuncia.
La rinunzia all’eredità è impugnabile da parte del rinunciante se è l’effetto di violenza o di dolo.
L’azione si prescrive in cinque anni dal giorno in cui è cessata la violenza o è stato scoperto il dolo (art. 526 c.c.).
Al di fuori di tale ipotesi, è anche possibile un’impugnativa della rinuncia da parte dei creditori del rinunciante.
Infatti, se taluno rinunzia, benché senza frode, a un’eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti (art. 524 c.c.). Anche tale azione è soggetta ad un termine di prescrizione quinquen206
nale e giova unicamente ai creditori che l’hanno esercitata (e non al rinunciante, il quale non acquista alcunché a seguito della stessa).
Sulla natura giuridica dell’impugnazione della rinuncia da parte dei creditori del rinunciante, la dottrina è divisa: secondo alcuni Autori, si tratterebbe di un rimedio conservativo, analogo alle azioni surrogatoria e revocatoria; secondo altri, costituirebbe invece una figura autonoma, in quanto con essa non si ripara all’inerzia del debitore delato (diversamente che nell’azione surrogatoria), né occorre provare la frode (diversamente che nell’azione revocatoria).
Ai sensi dell’art. 525 c.c., la revoca della rinuncia all’eredità è possibile, purché:
- non sia decorso il termine di prescrizione per l’accettazione dell’eredità (pari a 10 anni, ex 480 c.c.);
- l’eredità non sia già stata acquistata da altro dei chiamati.
Il fondamento di tale previsione risiede nel fatto che la rinuncia non produce il venir meno della delazione, la quale viene meno solo con l’accettazione del chiamato successivo.
La revoca della rinuncia costituisce quindi una vera e propria accettazione tardiva, che lascia comunque impregiudicati i diritti legittimamente acquistati dai terzi sui beni ereditari.
Trattandosi di un’accettazione tardiva, essa potrà compiersi sia in modo espresso, sia in modo tacito.
L’eredità non può più essere rinunciata (per decadenza) e si intende accettata puramente e semplicemente quando il chiamato:
- abbia sottratto o nascosto beni ereditari (art. 527 c.c.);
- sia nel possesso di beni ereditari, e siano trascorsi tre mesi dall’apertura della successione, senza che egli abbia fatto l’inventario o la dichiarazione di rinuncia o di accettazione nei quaranta giorni successivi (art. 485 c.c.).