1.La nozione di “trattative”.
Relativamente alla sua formazione, il contratto può essere a formazione istantanea oppure a formazione progressiva.
Ricorre la prima fattispecie quando le parti sono presenti nello stesso luogo e nello stesso momento, oppure quando il contenuto del contratto è unilateralmente predisposto da una delle parti, senza che l’altra possa discuterne il contenuto o ottenerne la modificazione (cd. “contratti per adesione”, ex artt. 1341 e 1342 c.c.).
Si configura invece la seconda ipotesi quando alla stipulazione del contratto si arriva mediante una serie, spesso complessa, di trattative.
E’ in quest’ultima tipologia di contratti che vengono in rilievo le cd. “trattative”, ossia quei negoziati che si inseriscono in una fase antecedente ed eventuale rispetto alla stipulazione del contratto.
In tale fase, le parti sono ovviamente libere di decidere di non addivenire alla conclusione del contratto, perché la proposta e l’accettazione costituiscono atti revocabili fino al momento della conclusione del contratto (art. 1328 c.c.).
Tuttavia, l’ordinamento riconosce che, già in tale fase, tra le parti venga a stabilirsi una relazione giuridicamente qualificata, che può avere rilevanza anche notevole sul piano degli interessi di ciascuna (es.: le parti possono sostenere delle spese per mandare avanti le trattative, oppure possono rifiutare ulteriori proposte che, nel frattempo, pervengano loro da parte di altri soggetti).
Pertanto, il Codice civile riconosce la rilevanza giuridica della fase delle trattative e dedica ad essa due norme, ossia gli artt. 1337 e 1338 c.c.
- L’obbligo di comportarsi secondo buona fede in pendenza di trattative.
L’art. 1337 c.c. assoggetta il comportamento delle parti in tale fase ad un obbligo di buona fede, intesa nel senso oggettivo di lealtà e correttezza di comportamento.
Si verifica una lesione di tale canone, ad esempio, quando una parte recede ingiustificatamente dalle trattative, compromettendo il ragionevole affidamento della controparte nella stipulazione del contratto.
In tal senso, la nozione di “buona fede”, utilizzata dalla predetta norma, è affine a quella adoperata dall’artt. 1366 c.c. (in materia di interpretazione del contratto) e dall’art. 1375 c.c. (in materia di esecuzione del contratto).
Si differenzia invece dalla nozione di “buona fede” in senso soggettivo, utilizzata dal Codice civile in materia di diritti reali e possesso, da intendersi come “ignoranza”, “non conoscenza” di ledere l’altrui diritto (artt. 1147 e 1153 e ss. c.c.).
In ambito precontrattuale, altra fattispecie di lesione della buona fede oggettiva è tipizzata dal successivo art. 1338 c.c. nel comportamento di una parte che, conoscendo o dovendo conoscere l’esistenza di una causa di invalidità del contratto, ometta di darne notizia all’altra parte.
Secondo la prevalente giurisprudenza, pertanto, mentre la responsabilità di cui all’art. 1337 c.c. tutela l’affidamento di una parte nella conclusione del contratto, quella di cui all’art. 1338 c.c. tutela piuttosto l’affidamento di una parte nella validità del contratto e, quindi, l’interesse della parte a non essere coinvolta in trattative inutili, in quanto destinate a sfociare nella conclusione di un contratto invalido.
Altri esempi di lesione della buona fede precontrattuale sono costituiti dalla lesione degli obblighi di chiarezza o di non divulgazione di notizie riservate, che siano state apprese nel corso delle trattative, o, ancora, dal mancato compimento degli atti prodromici necessari per assicurare la validità e l’efficacia del contratto.
L’elencazione dei doveri imposti dall’art. 1337 c.c. non può peraltro in alcun caso rivestire carattere esaustivo.
- La risarcibilità del solo “interesse negativo”.
In caso di violazione del dovere di buona fede, la controparte contrattuale può pretendere il risarcimento del danno, che tuttavia è limitato al cd. “interesse negativo”, rappresentato dai vantaggi che si sarebbero conseguiti e dai danni che si sarebbero evitati non venendo coinvolti in una trattativa rivelatasi inutile (perché il contratto non è stato concluso o perché lo stesso, seppure concluso, è risultato affetto da un’invalidità conosciuta o conoscibile alla parte, che è tenuta al risarcimento) .
La responsabilità precontrattuale è infatti in tutto e per tutto assimilata alla responsabilità extra-contrattuale o aquiliana, costituendo un’applicazione particolare del generale dovere di neminem laedere ex art. 2043 c.c.
Il danno risarcibile comprende dunque le perdite strettamente connesse con le trattative (es.: spese di viaggio o di corrispondenza), che costituiscono il cd. danno emergente, ed il vantaggio che la parte avrebbe potuto procurarsi mediante altre contrattazioni, che costituiscono il cd. lucro cessante.
In nessun caso esso comprende il cd. “interesse positivo” (costituito dai vantaggi che si sarebbero conseguiti e dai danni che si sarebbero evitati ottenendo l’esecuzione del contratto), perché quest’ultimo è risarcibile unicamente a fronte di una responsabilità contrattuale ex art. 1218 c.c., alla quale la responsabilità pre-contrattuale ex art. 1337 c.c. non è in alcun modo assimilabile.
- L’applicabilità degli artt. 1337 e 1338 c.c. alla Pubblica Amministrazione.
La norma di cui all’art. 1337 è applicabile a qualsiasi contraente, ivi inclusa la Pubblica Amministrazione.
La responsabilità precontrattuale di quest’ultima non è responsabilità da provvedimento, bensì responsabilità da comportamento, in quanto presuppone la violazione dei doveri di correttezza e buona fede nella fase delle trattative e della formazione del contratto.
Pertanto, ciò che rileva non è la legittimità dell’esercizio della funzione pubblica, cristallizzato nel provvedimento amministrativo, ma la correttezza del comportamento complessivamente tenuto dall’Amministrazione durante il corso delle trattative e della formazione del contratto.
L’evoluzione giurisprudenziale in materia è così giunta ad una sostanziale piena equiparazione della Pubblica Amministrazione ad ogni contraente privato, fondata sulla considerazione che tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica si pongono quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale (in tal senso Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2015 n. 9636).
La giurisprudenza ammette pacificamente la responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione anche nell’ambito della procedura di gara pubblica per la scelta del contraente, nella quale l’Amministrazione, entrando in relazione con una pluralità di offerenti, instaura trattative idonee a determinare la costituzione di rapporti giuridici specifici e differenziati con uno di essi, ed è quindi tenuta al rispetto dei principi di correttezza, lealtà e buona fede oggettiva, a tutela degli interessi delle parti.
Ancora, può configurarsi responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione, a seguito dell’aggiudicazione, nel caso di omessa redazione del contratto formale senza giustificazione e, a maggior ragione, quando sia stato stipulato il contratto, nel caso di omessa trasmissione dello stesso all’autorità di controllo o nel caso in cui la Pubblica Amministrazione abbia preteso l’adempimento della prestazione prima dell’approvazione dell’autorità di controllo, quando quest’ultima non sia poi intervenuta (poiché, in tal caso, la controparte ha riposto un legittimo affidamento nella conclusione di un contratto, che non si è poi in realtà perfezionato).
Pertanto, in pendenza del procedimento di controllo ed approvazione del contratto stipulato con il privato, la Pubblica Amministrazione deve tenere quest’ultimo costantemente informato delle vicende attinenti al procedimento di controllo, in modo che egli sia posto in grado di evitare i pregiudizi connessi agli sviluppi e alle tempistiche del predetto procedimento, a prescindere dagli strumenti di tutela che il privato ha a disposizione in caso di eventuale esito negativo del controllo (i.e.: recesso e/o rimborso delle spese sostenute).
Più controversa risulta invece l’applicabilità alla Pubblica Amministrazione della norma di cui all’art. 1338 c.c.
La responsabilità in essa prevista, come si è visto, tutela l’affidamento di una parte non già nella conclusione, bensì nella validità del contratto: conseguentemente, non è configurabile una responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione ex art. 1338 c.c., laddove l’invalidità del contratto derivi dall’applicazione di norme generali, che devono presumersi note alla generalità dei consociati e, quindi, tali da escludere l’affidamento incolpevole della parte adempiente (Cass. civ., sez. I, 27 marzo 2007 n. 7481).
Al di fuori di tale fattispecie, la responsabilità di cui all’art. 1338 c.c. è applicabile anche alla Pubblica Amministrazione, relativamente a tutte le ipotesi di invalidità del contratto, e pertanto non solo a quelle di nullità, ma anche a quelle di nullità parziale e di annullabilità, nonché alle ipotesi di inefficacia del contratto (Cass. civ., sez. III, 08 luglio 2010 n. 16149), tra le quali rientra la mancata approvazione del contratto stipulato da una Pubblica Amministrazione.
L’art. 1338 c.c. riconosce il risarcimento del danno in favore della parte che abbia confidato nella validità del contratto “senza sua colpa”.
Ciò significa che la parte che è in colpa, perché a conoscenza della causa di invalidità o di inefficacia del contratto, non può addossare alla controparte il danno (quanto meno per l’intero), alla luce anche dei principi desumibili dall’art. 1227 c.c.
E’ evidente peraltro che, estendendo eccessivamente il dovere di diligenza a carico della parte che dovrebbe ricevere l’informazione circa la causa di invalidità o di inefficacia del contratto, sarebbe compromesso il fondamento stesso dell’art. 1338 c.c., il quale pone a carico di una sola delle parti- quella che, in ragione delle circostanze di fatto e tenuto conto della sua posizione sociale e professionale, conosca o debba conoscere l’esistenza di una causa di invalidità o di inefficacia del contratto- l’obbligo specifico di informare l’altra parte, la quale vanta un vero e proprio diritto a ricevere l’informazione e, in mancanza, ad essere risarcita del danno subito per avere ragionevolmente confidato nella validità ed efficacia del contratto.
La parte obbligata ha ovviamente facoltà di dimostrare che l’altra parte aveva confidato nella validità e nell’efficacia del contratto in maniera colpevole: a tal fine, dovrà dedurre fatti e circostanze specifici che dimostrino come, in quel determinato e concreto rapporto, la controparte fosse effettivamente a conoscenza della causa che viziava il contratto concluso o da concludere.
L’obbligo della chiarezza (cd. “clare loqui”), ossia di comunicare alla controparte tutte le cause di invalidità o inefficacia negoziale di cui abbia o debba avere conoscenza, è imposto alla Pubblica Amministrazione anche in ragione della sua funzione istituzionale di rappresentanza e, quindi, di protezione degli interessi di coloro che entrano in rapporto con essa, a tutela dell’affidamento delle imprese che partecipano alla procedura di gara.
Proprio in tale ottica, nel caso di annullamento dell’aggiudicazione con caducazione del contratto (cui è assimilabile anche la mancata registrazione del contratto da parte della Corte dei Conti), la giurisprudenza amministrativa ha ammesso la tutela dell’imprenditore che, a norma dell’art. 1338 c.c., abbia fatto legittimo affidamento nell’aggiudicazione dell’appalto e nella successiva stipulazione del contratto e che abbia ignorato, senza sua colpa, una causa di invalidità dello stesso.
Conseguentemente, è stata riconosciuta la responsabilità dell’Amministrazione appaltante per non essersi astenuta dalla stipulazione del negozio che essa doveva sapere essere affetto da una causa di invalidità, rientrando nei suoi poteri quello di conoscere le cause di illegittimità dell’aggiudicazione e, nonostante ciò, avendo essa ingenerato nell’impresa l’incolpevole affidamento nella validità ed efficacia del contratto (Cass. civ., sez. I, 12 maggio 2015 n. 9636).