CTR Lombardia, Sezione Distaccata Brescia, sez. XXVI, 13.06.2018 n. 2733


 

Svolgimento del processo

Concisa esposizione ex art. 36, c.2, n.2, D.Lgs. n. 546 del 1992

Si dà atto della trattazione in pubblica udienza; il Giudice relatore espone al Collegio i fatti e le questioni controverse, come riportati nei contrapposti atti defensionali; successivamente il Presidente ammette le parti costituite presenti alla discussione.

Oggetto del processo sono gli avvisi di accertamento indicati in frontespizio, emessi per gli anni d’imposta 2006 e 2007 dalla Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Bergamo nei confronti della G. S.r.l. (Attività esercitata: commercio all’ingrosso di macchinari industriali), per indebita deduzione dei costi indicati nelle fatture emesse dalla ” V. s.r.l.”, relative ad operazioni oggettivamente inesistenti; in particolare, si accertava:

– per il periodo di imposta 2006 un maggior reddito d’impresa pari ad Euro 272.837,00, con una conseguente maggiore imposta pari ad Euro 90.036,00 (il reddito di impresa dichiarato in Euro 98.938,00 veniva aumentato per il mancato riconoscimento dei costi per operazioni inesistenti pari ad Euro 847.000,00, detratta la perdita residua utilizzabile di Euro 574.163,00). Ai fini IRAP, il valore dichiarato per Euro 1.110.608,00 veniva rideterminato in Euro 1.957.608.00. Ai fini IVA veniva accertata l’indebita detrazione di imposta pari ad Euro 169.400,00.

– per il periodo di imposta 2007, un maggior reddito d’impresa pari ad Euro 223.950,00, con una conseguente maggiore imposta pari ad Euro 73.904,00. Ai fini IRAP, il valore dichiarato per Euro 1.272.809,00 veniva rideterminato in Euro 1.496.759,00, Ai fini IVA, veniva accertata l’indebita detrazione di imposta pari ad Euro 44.790,00.

Tali accertamenti analitici-induttivi, emessi ai sensi dell’art.39, c.1, con le modalità di cui all’art. 41bis, D.P.R. n. 600 del 1973, e dell’art.54, c.2, D.P.R. n. 633 del 1972, scaturiscono da attività investigative esterne, condotte dalla Guardia di Finanza di Treviglio, documentate con il PVC elevato il 7 novembre 2013, per verificare le annualità 2006, 2007 e 2008, conseguentemente ad una segnalazione qualificata trasmessa dalla Guardia di Finanza di Olgiate Comasco, che aveva condotto precedenti indagini nei confronti della ” V. s.r.l.”, risultata operante in un ampio contesto illecito, finalizzato all’evasione fiscale ed alla truffa in danno di istituti di credito, mediante l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti. Durante tali operazioni era emersa l’emissione di fatture anche nei confronti della ” G. s.r.l.” per l’importo complessivo di Euro 847.000,00. La ” V. s.r.l.” non risulta aver presentato la dichiarazione IVA per il periodo di imposta 2006, mentre per i periodi di imposta 2007 e 2008 aveva dichiarato un volume di affari pari ad Euro 1,00 e una perdita pari ad Euro 1,00, senza allegare alcun elenco clienti/fornitori; risultava, altresì, priva di una struttura aziendale idonea a realizzare qualsiasi macchinario industriale, per cui tutte le fatture emesse relative a vendite di beni strumentali sono state ritenute relative ad operazioni “oggettivamente inesistenti”, ed oggetto di comunicazione di notizia di reato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como.

Contro tali avvisi di accertamento, la G. s.r.l. presentava distinti ricorsi alla Ctp, chiedendone l’annullamento, dolendosi del modus operandi della Guardia di Finanza in sede di verifica, e degli accertatoli nella fase istruttoria dell’accertamento, senza particolarmente argomentare e/o documentare nel merito della pretesa impositiva, se non asserendone l’avvenuta decadenza per uso strumentale della denuncia penale ai fini del c.d. “raddoppio dei termini”. Insisteva inoltre sulla incolpevole ignoranza dell’attività della fornitrice ” V. s.r.l.”.

Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Bergamo si costituiva regolarmente in giudizio, contestando tutto quanto ex adverso dedotto con le medesime motivazioni indicate nell’avviso di accertamento, asserendone la piena legittimità. Concludeva per il rigetto dei ricorsi con vittoria di spese.

L’impugnata sentenza del primo giudice, dopo aver riunito i 2 ricorsi – per essere connessi ai sensi dell’art. 29, c.1, D.Lgs. n. 546 del 1992- riteneva e considerava che “palesemente infondato risulta essere il richiamo a pretese irregolarità dell’espletamento dei controlli effettuati dalla Guardia di Finanza di Treviglio ben compendiato dal processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza al cui interno vi è l’esatta descrizione delle operazioni compiute e della documentazione richiesta esaminata; pertanto la doglianza risulta palesemente infondata e l’argomentare della Guardia di Finanza di Treviglio risulta chiaramente dal processo verbale di constatazione consegnato alla ricorrente. Pienamente dimostrata, altresì, la fondatezza dei rilievi posti alla base della pretesa fiscale. Invero, dalle indagini condotte emerso chiaramente l’indisponibilità da parte della V. S.r.l. di 1 struttura aziendale idonea a realizzare qualsiasi macchinario industriale. Pertanto, le fatture emesse per la cessione di macchinari industriali e/o struttura complessa devono essere ritenute relative ad operazioni, oggettivamente inesistenti, emesse allo scopo di ottenere indebitamente l’erogazione di prestiti finanziari in assenza dei requisiti necessari e al fine di consentire agli utilizzatori delle fatture di evadere l’imposta. Del resto, la V. S.r.l. non risulta aver presentato alcuna dichiarazione Iva per l’anno 2006 mentre per il periodo d’imposta 2007 2008 ha dichiarato 1 volume di affari pari a Euro 1 e non ha presentato alcun elenco dei clienti e fornitori. Dal canto suo, anche in sede contenziosa, la ricorrente non esibita alcuna documentazione relativa alle operazioni di contestazione; conseguentemente la mancata esibizione della documentazione richiesta conferma la fittizietà delle fatture e dell’operazione in essere descritte quali operazioni oggettivamente inesistenti in senso assoluto”. Concludeva respingendo i ricorsi riuniti e liquidando spese di lite per Euro 5.000/00, oltre spese generali ed accessori si è dovuti.

Contro questa sentenza:

  1. S.r.l., ha proposto tempestivo appello, censurandone le motivazioni e deducendo i medesimi argomenti del primo grado perché “i motivi riportati nella Sentenza 449 del 23.02.2015, in risposta alle richieste della ricorrente, appaiono a volte un po’ generici, e pertanto vengono riproposti”. Ribadisce in particolare che:” l’attività ispettiva effettuata il 07.11.2013 dalla. G.d.F. Compagnia di Treviglio come da Processo Verbale di Constatazione (PVC) è stata “avviata a seguito di segnalazione, da parte di altro reparto del Corpo, relativamente ai rapporti commerciali intercorsi tra la verificata e la società V. SRL IN FALLIMENTO-P.I. (…)” riporta già all’apertura degli aspetti non chiari:
  2. Quale è l’altro reparto del Corpo” che ha fatto tale segnalazione ??
  3. Quali fatti e perché sono stati segnalati ???
  4. Da chi, come e quando sono state svolte le “altre ispezioni” riportate anche nell’avviso di accertamento ???
  5. 1 militari della G.d.F. Comando di Treviglio perché hanno chiesto in visione gli originali dei registri IVA e dei Libri Giornali che la G.d.F. Nucleo di P.T. di Verbania aveva sequestrato il 28/06/2010 ???
  6. L’attività ispettiva mirata alle fatture oggetto della segnalazione ha previsto “l’analisi a campione di altra documentazione acquisita, per rilevare eventuali criticità non ravvisate. ” Quale altra documentazione è stata controllata e perché se la segnalazione riguardava i rapporti commerciali tra la ricorrente e la V. SRL IN FALLIMENTO ???
  7. L’analisi prioritaria delle sole fatture, dava adito al fatto che possa essere un mero controllo di natura contabile, poi invece nel PVC si specifica altro limitando al contribuente la possibilità e/o la fattibilità stessa di esibire altri documenti inerenti il rapporto commerciali tali da attestare l’esistenza, lo svolgimento degli stessi e la diligenza del ricorrente nello svolgimento delle operazioni aziendali.”

Continuava ritenendo che: “sembrerebbe che i militari della G di F abbiano dedotto l’inesistenza della struttura aziendale e/o comunque non hanno portato a conoscenza il ricorrente dei luoghi verificati, dei tempi in cui hanno svolto tali verifiche, dei modi e di quanto rilevato in tali sopralluoghi. Le contestazioni contenute nel PVC, invece, riguardano le annualità 2006, 2007 e 2008 … nella quale la V. S.r.l. ben poteva disporre di una struttura attrezzata; se i controlli fossero stati fatti nel 2006 e/o 2007 è facile dedurre che l’ufficio avrebbe notificato dell’accertamento la del 9 maggio 2014 !!! Qualsiasi accesso sui luoghi per riverberare effetti sulla incolpevole contribuente ricorrente, avrebbe dovuto essere effettuato nell’anno 2006, oggetto di controllo e non nel 2013 quando la V. S.r.l. era già fallita”. Conclude per l’annullamento dell’accertamento, in parziale riforma dell’impugnata sentenza, con vittoria di spese per ambedue i gradi di giudizio.

Agenzia delle Entrate – Direzione provinciale di Bergamo si è costituita per resistere all’appello di controparte, riproponendo tutte le argomentazioni già controdedotte in primo grado per la difesa dei propri avvisi di accertamento, asserendo la piena legittimità della pretesa impo-sanzionatoria e, per il resto, la correttezza della sentenza impugnata; sostiene, in particolare, che: “anche in sede di appello la società passa precisare e ad analizzare in maniera non pertinente, a parere di questa difesa, il quando e il come delle indagini condotte nei confronti della V. S.r.l., sostenendo, sempre a suo dire, inopportunità dell’azione della p.a., che avrebbe emesso nei confronti della V. S.r.l. 1 avviso di accertamento quando la stessa sera già in situazione di dichiarato fallimento”… “Le indagini eseguite nei confronti della V. S.r.l. evidenziavano che la stessa aveva emesso fatture nei confronti dell’odierna ricorrente, per cui la Guardia di Finanza, comando di Treviglio, nel corso della verifica eseguita nei confronti di quest’ultima società, chiedeva alla stessa di esibire la documentazione commerciale riguardante i costi relativi alle fatture ricevute dalla V. S.r.l., costi che erano stati imputati al mastro acquisto merci. La mancata esibizione della documentazione richiesta confermava la fittizietà della fattura e delle operazioni in esse descritte …”. Concludeva per la conferma della sentenza del 1 giudice, con vittoria di spese.

Dopo aver sentite le parti, che hanno precisato in udienza le proprie rispettive conclusioni, riportandosi alle istanze e deduzioni già svolte in atti, visti gli atti di causa ed esaminati i documenti prodotti dalle parti, acquisiti sufficienti elementi istruttori, il Collegio si ritira in camera di consiglio e pone la causa in decisione.

Motivi della decisione

Succinta esposizione delle ragioni di fatto e dei motivi di diritto della decisione ex art. 36, c.2, n.4, D.Lgs. n. 546 del 1992

L’appello è infondato e la sentenza del primo giudice va confermata, atteso che risulta congruamente motivata in tutti i suoi passaggi, dando conto delle ragioni per le quali gli argomenti – come illustrati in narrativa e qui riproposti dall’appellante a motivi d’impugnazione- siano stati tutti disattesi. D’altronde, i motivi d’appello dedotti in questa sede sono la riproposizione delle censure avverso gli accertamenti e la condotta degli operanti, già vagliati dal 1 giudice. Preliminarmente, quindi, il Collegio ritiene e considera che, il giudice del gravame è chiamato a rivalutare devolutivamente la controversia decisa dal primo giudice ed a verificare la giustizia della sentenza alla luce e negli stretti ambiti definiti dagli specifici motivi di impugnazione ritualmente dedotti dall’appellante, “essendo l’appellante tenuto a fornire la dimostrazione della fondatezza delle singole censure mosse alle singole soluzioni offerte dalla sentenza impugnata, il cui riesame è chiesto per ottenere la riforma del capo decisorio appellato, l’appello da lui proposto, in mancanza di tale dimostrazione deve essere, in base ai principi, respinto, con conseguente conferma sostitutiva dei capi di sentenza appellati, quale che sia stata la posizione da lui assunta nella precedente fase processuale (Cass. Ss.Uu. 24498/2005).

I motivi specifici dell’impugnazione sono volti a “confutare e contrastare le ragioni addotte dal giudice (Cass. Ss.Uu. 16/2000) ed a incrinare il ragionamento logico-giuridico che sorregge la statuizione della sentenza impugnata Cass. 1924/2011 e 22.193/2010) pertanto, “la mera acritica riproposizione nell’atto di appello delle circostanze e ragioni già dedotte ed argomentate in 1 grado, che non consideri le diverse ragioni poste a base della sentenza rende inammissibile il ricorso in appello per carenza di oggetto (Cass. 4001/2011)”. Tuttavia, anche se l’atto di appello deve contenere, a pena di inammissibilità ex art. 53, c.1, D.Lgs. n. 546 del 1992, l’indicazione dei motivi specifici del gravame, al fine di determinarne il “quantum appellatum ” (come quando, secondo dottrina, “alle argomentazioni svolte nella sentenza vengono contrapposte argomentazioni dell’appellante volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime”), la Suprema Corte, con sentenza n. 7671/2012, ha affermato che “l’indicazione dei motivi di appello nel processo tributario, ai sensi dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992, non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione a sostegno del gravame, essendo, per contro, sufficiente un’esposizione chiara e univoca -sia pure sommaria- della domanda rivolta al giudice di appello e delle ragioni della doglianza. Ne discende che i motivi di appello ben possono essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto d’impugnazione considerato nel suo complesso”. Secondo recentissima Cass. sentenza 11 maggio 2018, n. 11472: “Va d’altra parte richiamato, in proposito, l’orientamento secondo cui “in tema di contenzioso tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, nel processo tributario, dell’appello, mezzo quest’ultimo non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito” (Cass. 1200/16, ord); si è inoltre affermato che: “nel processo tributario, la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado – in quanto ritenute giuste e idonee al conseguimento della pretesa fatta valere – assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione imposto dall’art. 52 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza” (Cass. 14908/14, ord. ed altre). ” (ex plurimis, Cass, civ., Ordinanze nn. 21438/2017, 125/2017,16163/2016,1200/2016,227/16; 8185/15; 14908/2014; 3064/2012). Infine, Cass. 6^ ord. 227/2016: “Questa Corte ha, anche di recente, ribadito che allorché “il dissenso della parte soccombente investa la decisione impugnata nella sua interezza” ed “esso si sostanzi proprio in quelle argomentazioni che suffragavano la domanda disattesa dal primo giudice”, la sottoposizione al giudice d’appello delle medesime argomentazioni adempie pienamente l’onere di specificita’ dei motivi (Cass. n.8185/15; Cass. n. 14908/2014). In particolare, ai sensi dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992, il ricorso in appello deve contenere i “motivi specifici dell’impugnazione” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito (Cass. n. 3064/12)”. Tuttavia, non può revocarsi in dubbio che, la riproposizione in appello delle medesime censure già rivolte -nel giudizio di prime cure- all’atto oggetto del processo, non assistite -in sede di revisio prioris istantiae- da argomentazioni volte ad incrinarne le avverse rationes decidendi, come ritenute dal primo giudice, consente al giudice del gravame di far propria, semplicemente per relationem, la motivazione adottata dal primo giudice, atteso che mancano argomenti avversi privi di risposta. La motivazione della sentenza per relationem è ammissibile, ben potendo il giudice far riferimento ad altri documenti acquisiti agli atti, purché dalla giustapposizione del testo redatto dal giudice e di quello cui quest’ultimo fa rinvio risulti con sufficiente chiarezza e precisione il suo ragionamento (Cass. n. 3920/2011). Giova, altresì, rilevare come per il raggiungimento dei propri fini istituzionali, il fisco possa discrezionalmente porre in essere differenziate attività istruttorie: interne (invio di questionario da compilare, richiesta di presentazione documenti, invito al contraddittorio, indagini finanziarie, etc.) ed esterne (sopralluoghi, accessi brevi, accessi mirati, ispezioni documentali, verifiche della posizione fiscale: globale o parziale, del contribuente etc.); ciascuno di tali atti – endoprocedimentali – può essere funzionale ad alcuni e non ad altri dei distinti provvedimenti (archiviazioni di P.V.C., accertamenti, rettifiche, irrogazioni di sanzioni, revoche di regimi/agevolazioni/benefici fiscali, liquidazioni di rimborsi etc.) previsti per la chiusura dei diversi procedimenti, lato sensu di accertamento dell’an e/o del quantum dell’obbligazione tributaria. Nel caso che qui ci occupa non è dato ravvisare alcuna irregolarità procedimentale, idonea ad inficiare la validità dei provvedimenti impugnati; i controlli effettuati dalla Guardia di Finanza di Treviglio sono ben compendiati nel processo verbale di constatazione con analitica descrizione delle operazioni compiute e della documentazione esaminata. Limitando la trattazione alle sole questioni rilevanti ai fini della decisione concretamente adottata, il Collegio concorda “in toto” con i giudici di prime cure sulle ragioni giuridiche del rigetto dell’impugnazione degli atti in frontespizio, condividendo la valutazione degli elementi di prova già posti a fondamento dell’impugnata sentenza; dalle indagini condotte è emersa chiaramente l’indisponibilità da parte della V. S.r.l. di strutture aziendali idonee alla produzione di macchinario industriale, falsamente indicato come oggetto dell’operazione oggettivamente inesistente, le cui fatture furono emesse al fine sia di ottenere indebiti finanziamenti sia di consentire evasioni d’imposta ai loro utilizzatori. Quanto ritenuto trova conforto nella circostanza che la V. S.r.l. non ha presentato alcuna dichiarazione Iva per l’anno 2006 mentre per il periodo d’imposta 2007 2008 ha dichiarato un volume di affari pari a Euro 1 e non ha presentato alcun elenco dei clienti e fornitori; a conferma della fittizietà delle fatture e dell’operazione descritte, la ricorrente non ha versato in atti alcuna documentazione contraria. Alla soccombenza segue la condanna alle spese -tenendo conto della natura e complessità dell’affare, dell’importanza anche economica delle questioni trattate, del pregio dell’opera, dell’urgenza della prestazione, dei risultati del giudizio e dei vantaggi conseguiti, nonché del valore della controversia determinato (ex art. 5, c.4, D.M. sotto indicato) in conformità all’importo delle imposte, tasse, contributi e relativi accessori oggetto di contestazione, con il limite di un quinquennio in caso di oneri poliennali, in deroga all’art.12, c.2, D.Lgs. n. 546 del 1992- liquidandole complessivamente, per ciascun grado di giudizio -ex art. 15, c.2-ter, D.Lgs. n. 546 del 1992, introdotto dalla novella del D.Lgs. n. 156 del 2015- in base ai parametri disciplinati dal D.M. Min. Giustizia 10.09.2014, n. 55, recante “Determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense ai sensi dell’art. 13 comma 6 della L. 31 dicembre 2012, n. 247“, come da dispositivo.

P.Q.M.

La Commissione Tributaria Regionale di Milano, sezione 26^ (BS), definitivamente pronunciando,

respinge

l’appello,

conferma

la sentenza n. 449/8/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, depositata il 21/5/2015.

dichiara

legittimi gli atti impositivi in frontespizio.

Condanna

altresì, la parte privata, appellante soccombente, alle spese del grado, qui liquidate in Euro 6.812/50 (per: esborsi sostenuti, diritti ed onorari) oltre il 15% di spese generali, il tutto ridotto del 20% ex art. 15, c. 2-sexies, D.Lgs. n. 546 del 1992.

Così deciso in Brescia, nella camera di consiglio del 12 giugno 2018.


 

COMMENTO

Nel processo tributario, l’appello ha pieno carattere devolutivo, non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza, ma volto ad ottenere l’integrale riesame della controversia nel merito. Pertanto, anche se l’atto di appello deve contenere, a pena di inammissibilità ex art. 53, comma 1, D.Lgs. 546/1992, l’indicazione dei “motivi specifici” del gravame, quest’ultima non deve necessariamente consistere in una rigorosa e formalistica enunciazione a sostegno del gravame, essendo invece sufficiente un’esposizione chiara e univoca, seppure sommaria, della domanda rivolta al giudice di appello e delle ragioni della doglianza.  Pertanto, i motivi di appello possono essere ricavati, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso. Inoltre, la riproposizione in appello delle stesse argomentazioni poste a sostegno della domanda disattesa dal giudice di primo grado assolve l’onere di specificità dei motivi di impugnazione, ben potendo il dissenso della parte soccombente investire la decisione impugnata nella sua interezza (si veda, in senso contrario, CTR di Bologna 11.12.2013, sent. n. 89, che ha decretato l’inammissibilità dell’appello contenente la “riproposizione pedissequa” delle argomentazioni già svolte in primo grado e respinte dalla pronuncia impugnata; in senso conforme si è invece espresso l’indirizzo assolutamente maggioritario: ex multis, Cass. civ., 29.02.2012, sent. n. 3064; Cass. civ., 22.01.2016, ord. n. 1200; Cass. civ., 16.03.2016, sent. n. 5144; Cass. civ., 27.05.2016, sent. n. 10965; Cass. civ., 30.05.2016, ord. n. 11090; Cass. civ., 16.06.2016, ord. n. 12496; Cass. civ., 22.06.2016, ord. n. 12929; Cass. civ., 20.09.2016, sent. n. 18442; Cass. civ., 10.02.2017, sent. n. 3593). Tale indirizzo risulta suffragato dalla circostanza che l’art. 54, comma 3-bis, D.L. 22.06.2012 n. 83, convertito con modificazioni in Legge 07.08.2012 n. 134, escluda espressamente l’applicazione al processo tributario delle norme sul cd. “filtro in appello”, previste nel rito civile dagli artt. 342 e 348-bis c.p.c. (come rispettivamente modificato e introdotto dall’art. 54, comma 1, D.L. 83/2012 convertito in Legge 134/2012).Tuttavia, la riproposizione in appello delle medesime censure già rivolte nel giudizio di prime cure all’atto oggetto del processo, non assistite da nuove argomentazioni volte ad incrinarne le avverse rationes decidendi accolte dal primo giudice, consente al giudice del gravame di far propria, semplicemente per relationem, la motivazione di primo grado, dal momento che mancano argomenti avversi privi di risposta.