Cass. civ., sez. VI-5, ord., 19.06.2018 n. 16164


Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito del D.L. n. 168 del 2016, art. 1 bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016;

dato atto che il collegio ha autorizzato, come da Decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata e che la ricorrente ha depositato memoria, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 5095/39/2016, depositata il 30 maggio 2016, non notificata, la CTR della Campania rigettò l’appello proposto nei confronti del Comune di Forio dalla Splendid Hotels S.r.l. unipersonale, avverso la sentenza di primo grado della CTP di Napoli, che aveva a sua volta rigettato il ricorso della contribuente avverso avviso di accertamento per Tariffa per la gestione dei rifiuti solidi urbani e assimilati, relativo all’anno 2012.

Avverso la pronuncia della CTR la società ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.

Il Comune di Forio resiste con controricorso.

Con il primo motivo la società ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162L. n. 212 del 2000, art. 7L. n. 241 del 1990, art. 3 e dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, assumendo l’erroneità in diritto della pronuncia impugnata nella parte in cui, con motivazione generica e di stile, ha ritenuto l’atto impositivo idoneo a soddisfare il requisito motivazionale, esplicitando i presupposti di fatto e di diritto dell’imposizione.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 68, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto legittima, nell’ambito della discrezionalità dell’ente impositore, la differenziazione tariffaria tra utenze domestiche ed esercizi alberghieri.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 158 del 1999 e del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 42, lett. f), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, lamentando la mancata e/o illegittima e/o erronea determinazione del tributo, essendo state le tariffe vigenti nel 2010 approvate con Delib. di Giunta municipale, non potendo ritenersi legittima al 2012 l’estensione delle medesime tariffe deliberate da organo incompetente, in ragione di semplice ratifica da parte del Consiglio comunale.

Con il quarto motivo la società censura la sentenza impugnata per violazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi 9, 13 e 15, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla mancata applicazione e riscossione della tariffa da parte del soggetto gestore.

Con il quinto motivo la società denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il vizio di omessa pronuncia in relazione all’eccezione, riproposta come specifico motivo d’appello avverso la sentenza di primo grado, con la quale la contribuente deduceva il diritto alla riduzione dell’imposta dovuta, ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 66, in ragione del carattere stagionale dell’attività alberghiera.

Va opportunamente premesso che, con riferimento ad alcune pronunce intervenute tra le stesse parti relative a diversi anni d’imposta da parte della CTP di Napoli e della CTR della Campania, la ricorrente, pur adducendo che per alcune di esse si sarebbe formato il giudicato in senso ad essa favorevole, non ha espressamente eccepito la sussistenza di giudicato esterno.

Risulta invece certamente definito tra le stesse parti il contenzioso relativo all’anno d’imposta 2011 da questa Corte (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 14 luglio 2017, n. 17565), che ha rigettato il ricorso della contribuente avverso la sentenza della CTR della Campania ad essa sfavorevole, basato, in quel caso, su tre censure comuni all’odierna impugnazione (primo, terzo e quarto motivo dell’odierno ricorso).

In ordine a dette censure non potranno, dunque, che essere confermate le considerazioni già espresse da questa Corte nella menzionata pronuncia intervenuta tra le stesse parti in relazione alla precedente annualità d’imposta, con la precisazione che segue, riferita al primo motivo, in ragione della specificità propria di quest’ultimo.

Il primo motivo è inammissibile.

Non vi è dubbio che esso sia non solo rubricato, ma espressamente articolato come vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, sebbene, nella formulazione del motivo, si faccia anche riferimento a motivazione “di stile” e, dunque, sostanzialmente apparente, riguardo alla ricezione acritica della statuizione resa sulla questione in oggetto dal giudice di prime cure.

Non essendo stata dunque formulata censura in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per il relativo error in procedendo, il motivo, quale denuncia di error in iudicando per violazione o falsa applicazione della norme succitate, deve ritenersi inammissibile (cfr. Cass. sez. unite 21 marzo 2017, n. 7155), avendo la sentenza della CTR pronunciato in conformità all’indirizzo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “l’onere di allegazione posto a carico dell’amministrazione finanziaria dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, secondo periodo, dello “altro atto” richiamato nella motivazione dell’avviso di accertamento, ha riferimento agli atti che, rappresentano, appunto, la motivazione della pretesa tributaria che deve essere applicata nell’avviso e non agli atti di carattere normativo o regolamentare che legittimano il potere impositivo e che sono oggetto di conoscenza “legale” da parte del contribuente.

Tale principio, nel contesto di quanto previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1 comma 162, è pacificamente riferibile anche agli avvisi di accertamento emanati dalle amministrazioni comunali (cfr., ad esempio, in tema di ICI, Cass. sez. 5, 24 novembre 2004, n. 22197; Cass. sez. 5, 17 ottobre 2008, n. 25371; Cass. sez. 5, ord. 25 luglio 2012, n. 13106; Cass. sez. 6-5, ord. 3 novembre 2016, n. 22254 e, specificamente, in tema di TARSU, Cass. sez. 6-5, ord. 20 gennaio 2017, n. 1568).

D’altronde, che l’allegazione delle delibere a contenuto normativo non valga in alcun modo ad integrare il requisito motivazionale dell’atto impositivo in tema di TARSU si collega all’ulteriore principio secondo cui “in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 65, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili” (cfr. Cass. sez. 5, 23 ottobre 2006, n. 22804; Cass. sez. 5, 26 marzo 2014, n. 7044).

Nel caso di specie parte ricorrente non ha offerto, nell’illustrazione del motivo, elementi idonei a sollecitare un mutamento del succitato indirizzo.

Inoltre deve rilevarsi come, costituendo la pubblicazione delle delibere comunali obbligo di legge (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 124), la circostanza della loro pubblicazione deve presumersi e non costituire oggetto di specifica prova da parte dell’ente.

Analogamente deve ritenersi inammissibile il secondo motivo, atteso che la legittimità della differenziazione tariffaria tra utenze domestiche ed esercizi alberghieri è stata oggetto di numerose pronunce di questa Corte in materia, espressive di un indirizzo ormai consolidato, secondo cui al principio di diritto più volte affermato in materia dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui in tema di TARSU “è legittima la Delib. Comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quelle delle civili abitazioni ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce, infatti, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore: i rapporti tra le tariffe, indicati dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 69, comma 2, tra gli elementi di riscontro della legittimità della Delib., non vanno d’altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica” (cfr. Cass. sez. 5, 12 marzo 2007, n. 5722 e successive conformi, tra le quali Cass. sez. 5, 28 maggio 2008, n. 13957; Cass. sez. 5, 12 gennaio 2010, n. 302; Cass. sez. 6-5, ord. 23 luglio 2012, n. 12859; Cass. sez. 5, 15 luglio 2015, n. 14758, Cass. sez. 6-5, ord. 3 novembre 2016, n. 22248).

Né la ricorrente ha addotto elementi nuovi idonei a sollecitarne l’eventuale revisione.

In relazione al terzo motivo, la pronuncia impugnata non merita censura laddove ha rilevato che per l’anno in contestazione, il 2012, vi è stata espressa ratifica da parte del Consiglio comunale della Delib. di Giunta che aveva, invece, determinato le tariffe per l’anno precedente.

In ragione del generale principio di conservazione di efficacia degli atti giuridici, la delibera consiliare, che risponde alla ratio legis quanto all’individuazione dell’organo competente in tema di disciplina generale delle tariffe, deve ritenersi esprimere validamente, per l’anno oggetto di causa, la volontà del Consiglio in ordine alla specifica competenza ad esso attribuita (cfr. la già citata Cass. ord. n. 17565/17 resa tra le stesse parti).

Il quarto motivo deve ritenersi inammissibile per carenza d’interesse.

Parte ricorrente assume che, avendo il Comune di Forio deliberato con decorrenza dal 1 gennaio 2005 il passaggio dalla TARSU alla TIA, nelle more dell’attuazione del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, l’emissione direttamente da parte del Comune dell’atto impositivo, impugnato dalla società, violerebbe le disposizioni del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, commi 9, 13 e 15, che conserverebbero, per effetto del combinato disposto del citato D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238, comma 11 e del D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, art. 10, efficacia ultrattiva, per cui, essendo stato affidato il servizio dal 2010 a soggetto terzo (Ego Eco S.r.l.), doveva ritenersi precluso al soggetto titolare della potestà impositiva il potere di emanare l’avviso di accertamento in contestazione.

Premesso che nella fattispecie in esame l’atto impugnato è costituito da avviso di pagamento, la disposizione di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, comma 9, laddove stabilisce che “la tariffa è applicata dai soggetti gestori nel rispetto della convenzione e del relativo disciplinare”, di cui la ricorrente lamenta la violazione, a prescindere anche dai profili inerenti la sua dedotta ultrattività, si pone come norma interorganica rispetto alla quale il contribuente, comunque tenuto al versamento del tributo di cui è titolare l’ente impositore, attesa l’efficacia solutoria del versamento che sia a quest’ultimo effettuato, è privo di legittimazione a dedurre la pretesa carenza di potere dell’ente locale all’emanazione dell’atto.

Infine non sussiste il denunciato vizio di omessa pronuncia di cui al quinto motivo, posto che la decisione di rigetto del ricorso comporta, in ogni caso, il rigetto implicito dell’eccezione riproposta come motivo di appello (cfr., più di recente, tra le molte, Cass. sez. 5, ord. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. sez. 1, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. sez. 1, 11 settembre 2015, n. 17956), nè parte ricorrente ne ha censurato la relativa statuizione sotto il profilo del difetto assoluto di motivazione.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge se dovuti.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 19 giugno 2018


 

COMMENTO

L’ordinanza in commento respinge il ricorso della società contribuente contro un avviso di pagamento della TARSU, confermando  due principi giurisprudenziali già ampiamente consolidati.

Il primo concerne la motivazione dell’atto impositivo, la quale non richiede l’allegazione delle delibere a contenuto normativo. L’onere di allegazione, posto a carico dell’Amministrazione finanziaria dall’art. 7, comma 1, Statuto del contribuente, non riguarda infatti gli atti di carattere normativo o regolamentare, che legittimano il potere impositivo, e che sono oggetto di conoscenza “legale” da parte del contribuente. Del resto, la pubblicazione delle delibere comunali, costituendo un obbligo di legge (ex art. 124 D.Lgs. n. 267/2000), non deve essere provata dall’ente creditore, ma si presume juris tantum, salva prova contraria da parte del contribuente. In senso conforme si vedano, in tema di ICI, Cass. civ., sez. V, 24.11.2004 n. 22197; Cass. civ., sez. V, 17.10.2008 n. 25371; Cass. civ., sez. V, ord., 25.07.2012 n. 13106; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 03.11.2016 n. 22254 e, in tema di TARSU, Cass. civ., sez. VI-5, ord., 20.01.2017, n. 1568.

Il secondo principio richiamato concerne la legittimità della differenziazione delle tariffe TARSU tra utenze domestiche ed esercizi alberghieri.

Infatti, la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce un dato di comune esperienza e può essere assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. 05.02.1997 n. 22, in materia di TARSU. Non assume rilievo contrario il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse tuttavia alla discrezionalità dell’ente impositore. In senso conforme Cass. civ., sez. V, 12.03.2007, n. 5722; Cass. civ., sez. V, 28.05.2008 n. 13957; Cass. civ., sez. V, 12.01.2010 n. 302; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 23.07.2012 n. 12859; Cass. civ., sez. V, 15.07.2015 n. 14758; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 03.11.2016 n. 22248 e Cass. civ., sez. V, 04.04.2018 n. 8308-8309.