CTR Toscana Firenze, sez. IX, 05.07.2018 n. 1301
Svolgimento del processo
Con atto n. 197/12 il sig. R.F. ricorreva avverso il silenzio rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate alla istanza di rimborso dell’IRAP versata per gli anni dal 2004 al 2008 per un totale di Euro 8.710,00
La parte sosteneva di svolgere la professione di medico specialista in ortopedia, senza avvalersi di collaborazione altrui o dipendenti e con l’impiego di mezzi strumentali modesti; richiamava a tal fine la sentenza della Corte Costituzionale n. 165/2001 e le numerose sentenze della Suprema Corte di Cassazione tra cui la n. 3672/2007, n. 3674/2007; 3677/2007ed altre, nonché la giurisprudenza delle CTP e regionali consolidatasi in materia.
Ribadendo quindi che il ricorrente svolgesse la sua attività senza l’aiuto di collaboratori, dipendenti e con l’utilizzo di beni minimi quali l’autovettura e il cellulare; dimostrava che non esisteva un’organizzazione stabile e quindi non sussistevano i requisiti per l’applicazione dell’imposta richiesta.
Concludeva chiedendo che la Commissione Tributaria Provinciale volesse, in accoglimento del ricorso, disporre il rimborso delle somme versate, a titolo di acconto e saldo IRAP negli anni dal 2004 al 2008 per la complessiva somma di Euro 8.710,09, oltre ed interessi legali maturati dal pagamento delle singole rate.
Con vittoria di spese ed onorari.
L’Agenzia delle Entrate, costituitasi in giudizio, respingeva le eccezioni di parte.
Prioritariamente evidenziava la inammissibilità della richiesta per l’anno 2008 pari ad Euro 895,75 effettuata in data 16 giugno 2008 in quanto tale somma era già stata utilizzata in compensazione per il successivo versamento del 1 dicembre 2008 per il periodo d’imposta 2009.
Nel merito richiamava la recente Ordinanza della Corte di Cassazione, n. 18704/2010 con la quale si affermava che la rilevanza dei costi indicati in deduzione, costituiscono “senza dubbio un importante indice rilevatore della autonomia organizzazione”.
Nel caso il ricorrente, per tutti gli anni in esame aveva scaricato costi e spese notevoli, senza una dimostrazione, né aveva prodotto documentazione.
Quindi, il ricorrente non aveva dimostrato la inerenza di spese strettamente necessarie allo svolgimento dell’attività e quindi aveva di fatto fruito di una “organizzazione” e di mezzi che superavano l'”id quod plerunque accidit”, cioè lo stretto necessario per la sua attività.
Concludeva per il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente alle spese di giudizio.
I giudici di prime cure, esaminata la documentazione di parte ricorrente prendevano atto della mancanza del libro dei cespiti ammortizzabili ai fini della documentazione dei beni acquisiti e della loro inerenza con l’attività svolta.
Altri costi, come le spese alberghiere non erano state dimostrate correlate alla professione, come la partecipazione a congressi tematici.
Ancora, la rilevanza delle “altre spese” indicate nella denuncia senza un’appropriata documentazione, anche se non dovuta per la denuncia annuale, ma opportuna nel caso di richiesta di esenzione dall’IRAP, richiamava un’organizzazione superiore al minimo indispensabile.
Questo anche alla luce della recente giurisprudenza della suprema Corte di Cassazione citata dall’Ufficio.
Respingeva il ricorso e compensava le spese.
In data 5 novembre 2014 il sig. F.R. deposita appello avverso la sentenza 434/04/14 emessa in data 21/02/2014 dalla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, sez. 4′, e depositata il 21/03/2014, in relazione al ricorso avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione Finanziaria sull’istanza di rimborso dell’I.R.A.P. versata negli anni 2004/2005/2006/2007/2008 contro l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Firenze.
Premette di avere svolto nei periodi di imposta oggetto del presente atto la professione di medico specialista in ortopedia, con totale apporto di lavoro proprio e senza avvalersi né della collaborazione di personale dipendente né di collaboratori coordinati e continuativi, nonché con un impiego di beni strumentali modesti.
E’ pertanto evidente la mancanza di un’attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.
La Corte Costituzionale con la Sentenza 156/2001 ha rigettato una serie di motivi di illegittimità costituzionale relativi all’IRAP prevedendo, però, che nel caso di attività professionale svolta in assenza di elementi di organizzazione risulterà mancante il presupposto dell’imposta che è caratterizzato in base al D.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, dall'”esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.
L’appellante ha versato a titolo di IRAP nel periodo 2004 – 2008 per un totale pari ad Euro 8.710,09.
Con istanza depositata il giorno 26/11/2008 il ricorrente ha chiesto all’Agenzia delle Entrate – Ufficio Locale di Firenze 3 il rimborso delle suddette somme, oltre agli interessi di legge, ritenendole non dovute;
E’ trascorso inutilmente il termine di novanta giorni previsto dall’art. 21, comma 2, del D.lgs. n. 546 del 1992 e pertanto il contribuente ha presentato alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze ricorso avverso il silenzio rifiuto dell’Amministrazione Finanziaria sull’istanza di rimborso dell’I.R.A.P. versata nei suddetti anni.
Con la sentenza citata la Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, sez. 4″, ha respinto il ricorso, compensando le spese.
L’appellante ricorda che l’IRAP non colpisce né il reddito (nelle sue diverse definizioni: reddito-entrata, reddito-prodotto, reddito-consumo), né il consumo, né, infine, il patrimonio.
Il suo presupposto è costituito, viceversa da uno speciale ed ipotetico indice di capacità contributiva che viene individuato nell'”esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla produzione di servizi”, (art. 2 D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446).
L’IRAP costituisce quindi un’imposta che assoggetta a tassazione “una capacità contributiva impersonale, basata sulla capacità produttiva che deriva dalla combinazione di uomini, macchine, materiali ecc.” e, quindi, “una capacità contributiva autonoma” “reale”, separata dalla capacità contributiva “personale” propria dei singoli individui, in qualità di proprietari, di percettori di redditi o di consumatori”, requisito che dovrà essere valutato caso per caso.
L’attività del libero professionista esercente una professione protetta ed iscritto al relativo albo non può mai essere considerata “autonomamente organizzata” in quanto imprescindibilmente legata alla presenza personale del professionista abilitato.
Nel merito, ritiene la sentenza dei giudici della Commissione Tributaria Provinciale di Firenze assolutamente priva di motivazioni in quanto non emerge l’iter logico che ha portato a giudicare il contribuente assoggettato all’imposta ed evidenzia che dai quadri delle dichiarazioni fiscali già allegati al ricorso in primo grado di giudizio si evince il valore complessivo dei beni strumentali impiegati dal contribuente che, se modesto come nel caso di specie e peraltro riferibile principalmente ad un’autovettura, non può che essere sintomo dell’inesistenza di un’organizzazione che possa definirsi autonoma rispetto alla sua attività professionale, a prescindere dalla mancata allegazione di copia del libro cespiti.
Dalla documentazione allegata appare evidente che il lavoro è stato svolto con il solo apporto dell’attività lavorativa del contribuente, il quale non si è avvalso né di dipendenti né di collaboratori coordinati e continuativi, con l’impiego di beni strumentali limitati (autovettura, personal computer e accessori, telefono cellulare, arredi) ed il sostenimento di spese di importo modesto e comunque “essenziali” per lo svolgimento dell’attività.
Precisa che i compensi a terzi sono rappresentati esclusivamente dalle spese sostenute per l’assistenza contabile e fiscale prestata dallo studio di dottori commercialisti e la voce altre spese è rappresentata principalmente dall’assicurazione professionale, dalla tassa di iscrizione annuale all’Ordine dei medici, dalla tassa sui rifiuti e da altre spese tutte di modesto importo.
Da tutto quanto sopra esposto si deve ritenere non sussistente il presupposto per l’applicabilità dell’imposta;.
Con riferimento all’importo di Euro 895,75 inerente il periodo di imposta 2008 dà atto che è stato utilizzato in compensazione.
Conclude chiedendo che la Commissione Tributaria Regionale adita voglia riformare la sentenza appellata, dichiarare illegittimo il silenzio rifiuto dell’Agenzia delle Entrate, ad eccezione dell’importo Euro 895,75 inerente il periodo di imposta 2008, e disporre il rimborso delle somme versate negli anni 2004/2007, a titolo di acconto e saldo IRAP, in quanto non dovute, oltre agli interessi di legge maturati e maturandi.
Con vittoria di spese e di onorari oltre IVA e CAP.
In data 22 dicembre 2014 l’Agenzia delle Entrate Direzione di Firenze deposita controdeduzioni al ricorso in appello n. (…) notificato in data 4/11/2014 e ricevuto dall’Ufficio in data 4/11/2014 richiamando tutte le eccezioni già sollevate nel precedente grado di giudizio, da intendersi in questa sede trascritte, e contestando tutto quanto ex adverso dedotto, eccepito, allegato e richiesto.
In via preliminare evidenzia come l’appellante abbia dato atto che l’importo di Euro 895,75, richiesto a rimborso per l’anno 2008, sia stato utilizzato in compensazione, con conseguente acquiescenza, per cui l’oggetto del presente giudizio risulta circoscritto agli anni dal 2004 al 2007.
Ritiene la sentenza adeguatamente motivata posto che chiaramente riconduce il decisum al mancato assolvimento, da parte del ricorrente, al preciso onere probatorio sullo stesso incombente.
Come infatti evidenziato dall’Ufficio nel precedente grado, nessuna documentazione era stata fornita dal ricorrente anzitutto in ordine alla composizione qualitativa e quantitativa dei beni strumentali, pur incombendo sullo stesso, per consolidata giurisprudenza di legittimità, in quanto contribuente che chiede il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, la prova dell’assenza di organizzazione e, quindi, del diritto fatto valere in giudizio.
Nulla ha quindi di che lamentarsi controparte che, erroneamente, sostanzialmente esclude resistenza di un nesso mancato assolvimento dell’onere probatorio-non riconoscimento del diritto vantato.
Proprio sul piano probatorio, piuttosto, evidenzia come per la prima volta nel presente grado di giudizio l’appellante abbia introdotto delle prove procedendo ad effettuare una produzione documentale.
L’Ufficio eccepisce al riguardo come le prove non addotte in sede di ricorso e fornite solo nel giudizio di secondo grado dovranno essere considerate tardive e non ammissibili, sia ai sensi dell’art. 58, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992, che in ossequio ai principi generali del diritto processuale civile.
Prova non dedotta in primo grado equivale, in conclusione, a prova nuova in appello, come appunto accade laddove le prove, non prodotte in primo grado, vengano poi prodotte in appello solo per “rispondere” alla sentenza della CTP, che abbia contestato al contribuente proprio il mancato adempimento all’onere della prova del contribuente (e non, infatti, all’onere della documentazione). In conclusione l’Ufficio, nel rimettersi alla valutazione della Commissione, evidenzia come per derogare al divieto di nuova prova in appello, che, ex comma 1 del citato articolo 58, vige anche nel processo tributario, sia necessario che il giudice ritenga la prova indispensabile ai fini della decisione, laddove comunque il carattere dell’indispensabilità non va confuso con la semplice idoneità a provare i fatti di causa, ma implica l’impossibilità oggettiva, per la parte su cui grava l’onere probatorio, di fornire la prova con altri mezzi.
Prova e mezzi che avrebbe dovuto fornire e produrre in precedenza.
L’Ufficio ha già evidenziato come i dati ed i valori esposti dallo stesso contribuente nelle dichiarazioni e negli studi di settore presentati sono tali da configurare il presupposto per l’imponibilità ai fini Irap e rinvia a quanto controdedotto nel precedente grado di giudizio, da intendersi in questa sede integralmente richiamato e trascritto,
In conclusione l’Ufficio ribadisce che per gli anni d’imposta 2004, 2005, 2006 e 2007 il ricorrente rivestiva la soggettività passiva IRAP, in quanto nello svolgimento della propria professione risulta essere dotato di una struttura organizzativa che utilizza in maniera autonoma, determinandone il funzionamento e rendendo in tal modo più efficace e produttiva l’attività svolta, non potendosi al riguardo negare l’esistenza di un “quid pluris” che viene ad esistere rispetto a quella che sarebbe stata la produttività del solo lavoro personale.
Conclude chiedendo che la Commissione Tributaria Regionale rigetti l’appello e condanni il ricorrente alle spese di giudizio.
Motivi della decisione
La Commissione ricorda come la Corte Costituzionale con la sentenza 156/2001 abbia rigettato una serie di motivi di illegittimità costituzionale relativi all’IRAP prevedendo, però, che nel caso di attività professionale svolta in assenza di elementi di organizzazione risulterà mancante il presupposto dell’imposta che è caratterizzato in base al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, dall'”esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.
La Consulta, peraltro, non ha fissato un criterio generale per stabilire quando si possa ritenere che sussista un’attività fondata su una organizzazione; tale requisito deve essere valutato caso per caso: l’assoggettabilità all’IRAP si riduce ad una questione di mero fatto” da valutarsi con riferimento ad ogni singola ipotesi.
Al fine di verificare la sussistenza o meno del requisito dell’organizzazione occorre valutare la indispensabilità e priorità della prestazione personale del professionista rispetto ad altri fattori quali l’impiego di beni strumentali o dipendenti: l’organizzazione deve considerarsi rilevante se si configura come un’entità autonoma rispetto all’attività del professionista ovvero in grado di produrre valore aggiunto da sola.
La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, si è espressa su numerosi casi al fine di elaborare dei principi univoci in materia di rimborso dell’IRAP versata da lavoratori autonomi ritenendo l’imposta non applicabile ove in concreto i mezzi personali e materiali di cui si sia avvalso il contribuente costituiscano un mero ausilio della sua attività personale, simile a quello di cui abitualmente dispongono anche soggetti esclusi dall’applicazione dell’IRAP (collaboratori continuativi, lavoratori dipendenti) sent. n. 3674 dell’8 febbraio 2007; n. 3677 dell’8 febbraio 2007; n. 3678 dell’8 febbraio 2007; n. 5014 dell’8 febbraio 2007; n. 5015 dell’8 febbraio 2007; n. 6501 dell’8 febbraio 2007; n. 6502 dell’8 febbraio 2007 ; n. 6503 dell’8 febbraio 2007
Nell’attuale contenzioso, le spese sostenute dal contribuente appaiono “essenziali” per lo svolgimento dell’attività e, comunque, tali, per natura ed importo, da non potere giustificare l’esistenza di un’organizzazione rilevante ed autonoma rispetto all’attività del professionista.
Questo Collegio ritiene insufficiente la motivazione addotta dai giudici di prime cure secondo i quali ” …..la mancanza del libro cespiti ammortizzabili ai fini della documentazione dei beni acquisiti e della loro inerenza con l’attività svolta .. Altri costi, come le spese alberghiere . la partecipazione a congressi tematici. …” richiama un’organizzazione superiore al minimo indispensabile…”.
Rileva che per dichiarare l’assoggettabilità o meno ad IRAP di un’attività professionale, è necessario accertare in concreto se il contribuente si avvalga di un’organizzazione che possa definirsi autonoma rispetto alla sua attività professionale e, diversamente dalla imposte sui redditi, dove è necessario dimostrare la deducibilità delle singole spese, è irrilevante la documentazione dei singoli componenti di costo, dovendosi semplicemente riferire, in base a tutti gli elementi forniti dal contribuente, alla natura ed alle caratteristiche dell’attività svolta.
La situazione del contribuente risulta definibile anche dai dati delle dichiarazioni dei redditi, allegate al ricorso in primo grado e mai contestati dall’Agenzia delle Entrate.
Per quanto riguarda, infine, il divieto d’introduzione di nuove prove in appello nel processo tributario, il Collegio rileva come la Suprema Corte, con la sentenza n. 26522/2017 ha evidenziato che la produzione di documenti nuovi in appello non risulta lesiva del diritto di difesa ex articolo 24 Cost., e che ciò consente di evitare una scollatura tra la verità materiale e quella processuale “la naturale propensione del processo all’accertamento della verità dei fatti va coniugata con il regime delle preclusioni, che numerose operano nel rito civile. Sicché la soppressione dell’ipotesi della “prova indispensabile”, quale eccezione al divieto dei nova in appello, si traduce semplicemente nell’accentuazione dell’onere di tempestiva attivazione del convenuto”. ( vedi anche Cass. n. 5429/2018; n. 16652/2018 e n. 17164/2018).
E’ giustificabile la compensazione delle spese di giudizio data la natura, complessità e diversità dei giudizi interpretativi concernenti tale materia.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale, in riforma della sentenza appellata, dichiara non dovuta l’IRAP per gli anni dal 2004 al 2007 compreso e ne dispone il rimborso a favore dell’appellante.
Compensa le spese.
Così deciso in Firenze il 27 ottobre 2017.
COMMENTO
Il contribuente propone appello avverso la sentenza di primo grado, che lo aveva ritenuto assoggettabile ad IRAP, producendo per la prima volta in appello nuove prove documentali dirette a dimostrare l’esercizio della propria attività di ortopedico senza l’ausilio di dipendenti o collaboratori e con l’impiego di mezzi strumentali modesti.
L’Ufficio eccepisce l’inammissibilità per tardività delle prove addotte per la prima volta solo nel giudizio di secondo grado, in quanto prove “nuove”.
Queste ultime non sono di regola ammesse dall’art. 58, comma 1, D.Lgs. 31.12.1992 n. 546, salvo che il giudice di appello non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte non dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado del giudizio per causa ad essa non imputabile.
L’Ufficio eccepisce pertanto che, per derogare al divieto di nuova prova in appello, è necessario che il giudice ritenga la prova indispensabile ai fini della decisione, laddove il carattere dell’indispensabilità non va confuso con la semplice idoneità a provare i fatti di causa, ma implica l’impossibilità oggettiva, per la parte su cui grava l’onere probatorio, di fornire la prova con altri mezzi.
Tale rilievo non viene accolto dalla sentenza in commento, la quale ribadisce il principio per cui la produzione di documenti nuovi in appello non risulta lesiva del diritto di difesa ex articolo 24 Cost., in quanto consente di evitare una “scollatura” tra la verità materiale e quella processuale.
Nell’ambito del rito civile “la naturale propensione del processo all’accertamento della verità dei fatti va coniugata con il regime delle preclusioni, … sicché la soppressione dell’ipotesi della “prova indispensabile”, quale eccezione al divieto dei nova in appello, si traduce semplicemente nell’accentuazione dell’onere di tempestiva attivazione del convenuto” (Cass. civ., sez. III, 09.11.2017 n. 26522).
Nel processo tributario, invece, il divieto di nuove prove appare meno rigoroso, posto che le nuove prove sono ammesse non solo in caso di assoluta impossibilità per la parte di dedurle nel primo grado del giudizio, ma anche nel caso in cui il giudice le ritenga comunque necessarie ai fini della decisione, e salva comunque l’ammissibilità in ogni caso della produzione di nuovi documenti ex art. 58, comma 2, D.lgs. 546/1992, anche se irritualmente prodotti in primo grado (Cass. civ., sez. V, ord., 07.03.2018 n. 5429; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 25.06.2018 n. 16652 e Cass. civ., sez. V, ord., 28.06.2018 n. 17164).
Pertanto, pur senza menzionare direttamente la norma dell’art. 58, comma 2, D.lgs. 546/1992, la sentenza in commento perviene comunque alla conclusione per cui, nel secondo grado del giudizio tributario, è sempre ammessa la produzione di nuove prove documentali, purché effettuate nel rispetto del termine di cui all’art. 32, comma 1, D.lgs. 546/1992 (venti giorni liberi anteriori all’udienza di trattazione).