• . 7 La risoluzione per impossibilità sopravvenuta (art. 1463 e ss.).

La risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione ricorre quando, in un contratto a prestazioni corrispettive, una delle prestazioni divenga impossibile per causa non imputabile ad una delle parti.

Mentre, quindi, la risoluzione per inadempimento (sia essa giudiziale o di diritto) presuppone sempre l’imputabilità di quest’ultimo ad una delle parti, la risoluzione per impossibilità sopravvenuta richiede, all’opposto, che una delle prestazioni previste dal sinallagma non possa più essere adempiuta per causa non imputabile alla parte, cui competeva eseguire tale prestazione.

Se la prestazione diviene impossibile per causa non imputabile ad una delle parti, l’obbligazione si estingue e il debitore è liberato (art. 1256 c.c.). L’impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa non imputabile al debitore costituisce infatti un mezzo di estinzione dell’obbligazione diverso dall’adempimento, non satisfattivo dell’interesse del creditore.

Di conseguenza, nei contratti a prestazioni corrispettive, la controprestazione resta priva di giustificazione causale: da ciò si giustifica la risoluzione del contratto, la quale opera di diritto, a condizione che l’impossibilità della prestazione sia totale.

L’art. 1463 c.c. stabilisce infatti che: “Nei contratti a prestazioni corrispettive, la pare liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell’indebito”.

Per il caso della prestazione divenuta solo parzialmente impossibile, la regola è che l’altra parte ha diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale (art. 1464 c.c.).

Poiché lo scioglimento del contratto è automatico ed opera di diritto, un’eventuale sentenza che venga a dirimere il contrasto insorto tra le parti sarà di mero accertamento o dichiarativa.

La differenza rispetto alle altre ipotesi di risoluzione ex lege è che, in questo caso, l’effetto prescinde da qualsiasi iniziativa della parte e da ogni pattuizione in merito, tanto che si dubita che si tratti di un vero e proprio caso di risoluzione, anche se, sul piano degli effetti, la situazione è identica.

La parte liberata non potrà quindi pretendere la controprestazione, né sarà tenuta ad eseguire la propria, e dovrà restituire quanto eventualmente già ricevuto.

Una disciplina particolare è poi posta, sempre in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione, con riguardo ai contratti traslativi, che trasferiscono la proprietà di una cosa determinata ovvero trasferiscono o costituiscono diritti reali.

A tale proposito, l’art. 1465 c.c. stabilisce che il perimento della cosa per una causa non imputabile all’alienante non libera l’acquirente dall’obbligo di eseguire la controprestazione, ancorché la cosa non gli sia stata consegnata.

La stessa regola si applica nel caso in cui l’effetto traslativo o costitutivo sia differito fino allo scadere di un termine.

La norma fa concreta applicazione del principio generale per cui “res perit domino”, dal momento che la consegna della cosa costituisce una mera obbligazione accessoria e successiva al già avvenuto trasferimento del bene -il quale si realizza per effetto dello scambio dei consensi espresso nelle forme di legge, ex art. 1376 c.c., e determina l’immediato passaggio del rischio del perimento fortuito della cosa in capo al compratore, anche quando egli non abbia ancora ricevuto la consegna della cosa.

Qualora oggetto del trasferimento sia una cosa determinata solo nel genere, l’acquirente non è liberato dall’obbligo di eseguire la controprestazione, se l’alienante ha fatto la consegna o se la cosa è stata individuata (art. 1465, comma 3, c.c.): è infatti con la consegna o l’individuazione che la compravendita di cosa determinata solo nel genere produce il proprio effetto reale, ed il conseguente trasferimento del rischio sul compratore (mentre, al momento del semplice scambio dei consensi, e quindi prima che avvengano la consegna o l’individuazione, tale tipologia di compravendita riveste efficacia esclusivamente obbligatoria).

L’acquirente è in ogni caso liberato dalla sua obbligazione, se il trasferimento era sottoposto a condizione sospensiva e l’impossibilità è sopravvenuta prima che si verifichi la condizione (art. 1465, comma 4, c.c.): il trasferimento sottoposto a condizione, difatti, non si è ancora realizzato e, quindi, proprietario del bene è ancora l’alienante, su cui è corretto che gravi il rischio della sopravvenuta impossibilità (fino, appunto, al verificarsi della condizione sospensiva).

La norma dell’art. 1465 c.c. è derogabile dalle parti.

 

  • . 8 La risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta (artt. 1467 e ss.).

Nei contratti ad esecuzione continuata o periodica (cd. “contratti di durata”) ovvero ad esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art. 1458 c.c. (art. 1467, comma 1, c.c.).

La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto (art. 1467, comma 2, c.c.).

Il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta riguarda solo i contratti a prestazioni corrispettive e, tra questi, solo quelli ad esecuzione continuata, periodica o differita.

Rispetto ai contratti ad esecuzione immediata ed istantanea, non si può infatti ipotizzare che l’iniziale equilibrio tra le prestazioni venga successivamente gravemente alterato a causa di un evento straordinario ed imprevedibile e, per tale motivo, il rimedio non è applicabile.

Parimenti, non sono suscettibili di risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta i contratti traslativi, una volta che l’effetto reale si sia già prodotto, né i contratti aleatori per loro natura o per volontà delle parti (art. 1469 c.c.), nei quali è connaturato alla causa del contratto il possibile squilibrio anche assoluto tra le prestazioni delle parti.

L’art. 1467 c.c. si applica anche all’opzione ed al preliminare.

Esso può invocarsi anche nel caso in cui la prestazione sia stata parzialmente eseguita, con riguardo alla parte residua.

La ratio dell’istituto consiste nel tutelare il debitore a fronte di un imponderabile a straordinario mutamento delle circostanze che venga ad incidere sull’equilibrio del sinallagma; in tale situazione, il creditore non può esigere la prestazione, perché essa comporta un sacrificio eccessivo ed imprevisto per il debitore.

La parte contro cui è domandata la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto, ai sensi del terzo comma dell’art. 1467 c.c.

Si tratta dello stesso istituto previsto, in tema di rescissione del contratto, dall’art. 1450 c.c., ispirato al generale principio di conservazione del negozio giuridico.

Nell’ipotesi di contratto in cui una sola parte abbia assunto obbligazioni (e non, quindi, di un contratto a prestazioni corrispettive, ma unilaterale), questa può chiedere una riduzione della sua prestazione ovvero una modificazione nelle modalità di esecuzione, sufficienti per ricondurla ad equità (art. 1468 c.c.).

In questa ipotesi, la riconduzione ad equità è compito esclusivo del giudice, non essendoci un soggetto controinteressato che possa formulare un’offerta.

Si tratta quindi di una modifica giudiziale del contratto, comunque attivabile su domanda della parte interessata.

In ogni caso, la sentenza che pronuncia la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta ha natura costitutiva.

 

  • . 9 Effetti della rescissione e della risoluzione per le parti e per i terzi.

La pronuncia di rescissione comporta, come conseguenze inter partes, la liberazione dall’obbligo di adempiere alle prestazioni dedotte e la restituzione delle prestazioni già eseguite, secondo le norme sull’indebito oggettivo (artt. 2033 e ss. c.c.).

Essa, pertanto, ha effetti retroattivi inter partes.

La rescissione del contratto non pregiudica invece i diritti acquistati dai terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di rescissione (art. 1452 c.c.): pertanto, gli effetti della pronuncia di rescissione non sono retroattivi per i terzi.

Per ciò che riguarda la pronuncia di risoluzione, i suoi effetti sono disciplinati dall’art. 1458 c.c., norma che, sebbene dettata per l’ipotesi di risoluzione per inadempimento, è ritenuta pacificamente applicabile anche alle altre due ipotesi di risoluzione contrattuale (per impossibilità sopravvenuta e per eccessiva onerosità sopravvenuta).

Secondo tale disposizione, la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti, salvo il caso di contratto ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l’effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite.

In tale ultimo caso, pertanto, si parlerà di risoluzione parziale, limitata alle prestazioni non ancora eseguite.

Se tra le parti la risoluzione è retroattiva, i diritti dei terzi sono invece fatti salvi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione (art. 1458, comma 2, c.c.). Pertanto, in caso di acquisto di diritti reali immobiliari, il terzo, per prevalere, dovrà avere trascritto il proprio acquisto prima della trascrizione della domanda giudiziale di risoluzione o della domanda che miri ad accertare la avvenuta risoluzione di diritto.

Nel caso di contratto plurilaterale o “con comunione di scopo”, l’inadempimento di una delle parti non importa risoluzione del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale (art. 1459 c.c.).

Analogamente, l’impossibilità della prestazione di una delle parti non comporta lo scioglimento del contratto rispetto alle altre, salvo che la prestazione mancata debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale (art. 1466 c.c.)

A fronte dell’inadempimento di una parte, l’altra può, salvo patto contrario, rifiutare di eseguire la propria prestazione, avvalendosi della eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., salvo che termini diversi per l’adempimento siano necessari o siano stati stabiliti dalle parti.

Si tratta di una forma di autotutela affidata ad una eccezione, senza necessità dell’intervento del giudice, volta ad evitare che una parte esegua la prestazione nei confronti di una controparte che non offra garanzia di adempiere.

In ogni caso, tuttavia, il contraente non può rifiutare l’adempimento se il rifiuto è contrario a buona fede (intesa nel senso oggettivo di “correttezza”), ai sensi del secondo comma dell’art. 1460 c.c.  A tale fine, è necessario valutare la proporzionalità tra l’adempimento richiesto e quello che non è stato eseguito, perché un inadempimento di scarsa importanza non legittima l’eccezione in esame.

Il successivo art. 1461 c.c. stabilisce poi che il contraente possa sospendere l’esecuzione della prestazione da lui dovuta, se le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia.  Si tratta di un’altra norma di autotutela del creditore, concessa dall’ordinamento al fine di evitare futuri inadempimenti e, soprattutto, la necessità di procedere con le restituzioni.

A differenza che nella fattispecie di cui all’art. 1460 c.c., in quella ex art. 1461 c.c. le prestazioni non devono eseguirsi contestualmente, bensì in momenti diversi.

Tale strumento non può essere utilizzato né nel caso in cui il pericolo del futuro inadempimento dipenda solo dalla cattiva volontà dell’obbligato, e non, quindi, da un peggioramento oggettivo della sua situazione patrimoniale, né nel caso in cui esso dipenda da condizioni patrimoniali (non positive) già presenti al momento della conclusione del contratto e di cui la parte fosse già a conoscenza.

Resta in ogni caso applicabile il limite della buona fede.

Le parti possono poi pattuire, nel contratto, l’inopponibilità tra loro di eccezioni al fine di evitare o ritardare la prestazione dovuta.

Tale clausola è detta “solve et repete” e non ha effetto per le eccezioni di nullità, annullabilità e rescissione del contratto (art. 1462, comma 1, c.c.).

Nei casi in cui la clausola è efficace, il giudice può tuttavia sospendere la condanna, se riconosce la ricorrenza di gravi motivi e previa eventuale imposizione di una cauzione (art. 1462, comma 2, c.c.).