C.T.R. PUGLIA 22.10.2018 N. 3121/7


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

  1. Con ricorso ex art. 52 D.Lgs. n.546 del 1992, la società Programma Edile s.r.l. s.r.l., in persona ·del legale rappresentante p.t., ha proposto appello innanzi alla Commissione Tributaria Regionale per l’annullamento e la riforma della sentenza n.47/2018 depositata in segreteria il 26.10.2017, con cui la Commissione provinciale di Bari, Sez. VI, ha disposto il rigetto del ricorso proposto nei confronti dell’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Barletta-Andria e Trani avverso il provvedimento di rigetto n.0018111 del 07.04.2017.

In particolare, l’odierno appellante impugna la suindicata sentenza in forza di un duplice piano di censure, sintetizzate in epigrafe nella 1) “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2 quater, comma 1 del Decreto legge 30.09.1994 n.564, conv. in legge 30.11. 21994 n. 656 e dell’art. 2, comma 1, del Decreto Ministeriale 11.02.1997 n.37, 2) “Violazione dell’art. 36 comma II, del Decreto Legislativo n.54611992 per insufficiente se non omessa motivazione su motivi di impugnazione del provvedimento di diniego dell’istanza di autotutela proposti con ricorso introduttivo del giudizio di primo grado” ( cfr. ricorso in appello in atti).

Sulla scorta di tali motivi e delle correlate argomentazioni ivi analiticamente esposte, parte appellante chiede, riproponendo tutte le censure di merito articolate nel ricorso di primo grado, l’accoglimento dell’appello e la riforma della sentenza impugnata, con vittoria delle spese del doppio grado di giudizio.

  1. Con atto di controdeduzioni del 10.05.2018, si costituisce in giudizio l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Barletta Andria e Trani, in persona del legale rappresentante p.t. che, contestati recisamente gli assunti in ricorso e ribadita la legittimità dell’operato amministrativo, ne chiede il rigetto, con ogni conseguente determinazione in ordine alle spese di lite.

Inoltre, articolando uno specifico motivo di doglianza nei confronti della sentenza impugnata, chiede in via incidentale la riforma parziale della predetta, nella parte in cui non si sarebbe pronunciata sulla richiesta di condanna del ricorrente al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., con ogni conseguente determinazione.

  1. All’udienza del 24.09.2018, all’esito di camera di consiglio, la viene decisa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. L’appello principale è infondato e deve essere respinto, sulla scorta delle seguenti motivazioni.

Dispone l’art. 2 quater del D.L. n. 564 del 30.09.1994 che: “1. Con decreti del Ministro delle finanze sono indicati gli organi dell’Amministrazione finanziaria competenti per l’esercizio del potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati.

Con gli stessi decreti sono definiti i criteri di economicità sulla base dei quali si inizia o si abbandona l’attività dell’amministrazione”.

Come, a riguardo, affermato dal Giudice delle leggi, l’autotutela tributaria deve essere qualificata come mera facoltà e non come· obbligo dell’amministrazione di adottare un provvedimento amministrativo espresso sull’istanza proposta .dal contribuente, “poiché essa costituisce un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali e non uno strumento di protezione del contribuente, sicché il diniego di autotutela non costituisce un provvedimento autonomamente impugnabile”. (Corte Costituzionale, 13/07/2017, n.181 ).

Trattasi di una interpretazioni che peraltro recepisce, come evincibile dalla parte motiva, il principio secondo cui l’autotutela tributaria costituisce un potere esercitabile d’ufficio da parte delle Agenzie fiscali sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente, sicché il privato può naturalmente sollecitarne l’esercizio, segnalando l’illegittimità degli atti impositivi ma la segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte da concludere con un provvedimento espresso. (ex multis, Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 15 aprile 2016, n. 7511; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 20 novembre 2015, n. 23765; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 12 novembre 2014, n. 24058; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 30 giugno 2010, n. 15451; Corte di cassazione, sezione tributaria, sentenza 12 maggio 2010, n. 11457; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 9 luglio 2009, n. 16097; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 marzo 2007, n. 7388; Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 5 febbraio 2002, n. 1547; Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 4 ottobre 1996, n. 8685).

In linea con l’indubbia natura discrezionale dell’esercizio del potere de quo, la Suprema Corte ha poi di recente ribadito che il sindacato giurisdizionale sull’impugnato diniego, espresso o tacito, di procedere ad un annullamento in autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, e non la fondatezza della pretesa tributaria, atteso che, altrimenti, si avrebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (cfr. da ultimo, Cassazione civile, sez. trib., 28/03/2018, n. 7616).

Tanto premesso e rimarcata la valenza discrezionale dell’istituto, deve quindi escludersi che la -pur enunciata- possibilità per la p.a. di esercitare il proprio potere di autotutela, “anche in pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati” possa tradursi, secondo il fuorviante assunto del ricorrente, nell’obbligo della p.a. di riesaminare accertamenti divenuti definitivi: in quanto il potere di rimettere in discussione tali situazioni in presenza di ragioni di rilevante interesse pubblico, non esclude l’esistenza, in capo all’amministrazione finanziaria, di un’ampia discrezionalità in senso opposto.

Sulla scorta di tanto, deve dunque rigettarsi il motivo di censura articolato, ritenendosi, in linea con la qualificazione del potere di autotutela, che la legittimità del diniego di annullamento impugnato consegue all’impossibilità, costituzionalmente ribadita, di esigere dall’amministrazione l’emanazione di un provvedimento di riesame nel merito (dal contenuto sostanzialmente vincolato) che, in carenza peraltro di specifico e rilevante interesse generale, tenga puntualmente conto di vizi che il contribuente avrebbe comunque potuto far valere nei termini di legge, impugnando i relativi atti.

Ne consegue l’infondatezza del motivo di appello, avendo la Commissione Tributaria, in applicazione dei principi suesposti, ritualmente affermato l’illegittimità della richiesta di riesame· nel merito della fondatezza della pretesa tributaria avanzata dal ricorrente, anche alla luce della carenza di profili di illegittimità dell’atto dell’Amministrazione, in relazione alle richieste ragioni di rilevante interesse generale.

  1. Con riferimento al secondo motivo di doglianza, relativo alla pretesa violazione dell’art. 36 del D.Lgs n.546 del 1992, occorre rilevare che, diversamente dagli assunti in ricorso, la sentenza della CTP risulta fondata su un impianto motivazionale esaustivo e del tutto idoneo a far emergere l’iter logico-deduttivo sotteso al ragionamento condotto, sulla scorta dell’interpretazione giuridica e alla luce della documentazione esaminata in sede di autotutela, e tanto in ossequio all’invocato punto 4) comma 2 dell’articolo 36 del D.Lgs. n.546/1992.

Inoltre la valutazione effettuata in sentenza circa la legittimità e la congruenza della nota impugnata (provvedimento del 07. 04.2017) risulta operata alla luce di un attento e condivisibile esame del testo e della motivazione alla quale il Collegio ha di fatto disposto un rinvio per relationem idoneo, come noto, ad assolvere l’obbligo della motivazione tutte le volte in cui, come avvenuto nella fattispecie, la fonte richiamata sia ben identificabile ed accessibile alle parti interessate. .( cfr ex multis. Cass. Civ . n.16277 del 2010).

Sulla scorta di tanto e in ragione della ripetuta inesigibilità in capo all’Ufficio di un dovere di riesaminare in sede di autotutela le singole doglianze articolate nella correlata istanza, sulla quale non sussiste alcun obbligo di provvedere e, men che meno, di diffondersi in particolari motivazioni, il Collegio rigetta l’appello principale e per l’effetto conferma la sentenza impugnata.

  1. Con riferimento all’unico motivo di appello incidentale, lo stesso va respinto per le seguenti ragioni.

Ed invero, sebbene la sentenza di prime cure abbia in effetti omesso di pronunciarsi sulla istanza risarcitoria per lite temeraria articolata dall’Ufficio, -ragione che rende fondato il vizio di omessa pronuncia- il Collegio ritiene di non accogliere la relativa e conseguenziale domanda di condanna.

Nello specifico, deve ribadirsi il principio più volte enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui la condanna per responsabilità aggravata. ex art. 96 c.p.c., quale sanzione dell’inosservanza del dovere di lealtà, non può derivare solo dal fatto della prospettazione di tesi giuridiche riconosciute errate ovvero infondate dal giudice, occorrendo la prova della sussistenza, in capo alla controparte, della mala fede o della colpa grave.

Tanto premesso, il Collegio ritiene che la lite in oggetto, pur fondata su istanze rivelatesi indimostrate (circostanza utile, in via generale, ai fini della statuizione sulle spese di lite), non può essere considerata fonte di responsabilità aggravata, in assenza di prova dell’elemento soggettivo richiesto per addivenire ad un giudizio di temerarietà della lite.

Le spese seguono l’integrale soccombenza dell’appellante principale, la cui tesi giuridica è stata disattesa alla luce della fondatezza nel merito delle argomentazioni della parte appellata e sono liquidate come da dispositivo, tenuto conto dei ”parametri” di cui al Decreto del Ministero della Giustizia n. 55 del 10.03.2014, da applicarsi alla luce degli articoli 1 e 9 del D.L. 24.01.2012 convertito in legge 24.03.2012 n.27, fonte primaria che ha comunque abrogato, in linea con l’ineludibile principio di concorrenza sancito dal Trattato dell’Unione europea, la portata vincolante delle tariffe propria del pregresso regime ordinistico e in considerazione dell’articolo 15 comma 2 sexies, del D.Lgs. n. 546 del 1992.

P.Q.M.

La Commissione Regionale di Bari, Sezione VII, definitivamente pronunciando nella causa fra le parti in epigrafe, così provvede:

– rigetta l’appello e per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza;

– rigetta l’appello incidentale.

Condanna l’appellante principale al pagamento delle spese di lite, che liquida in Euro 3.500,00, oltre accessori di legge.


 

COMMENTO

L’autotutela tributaria costituisce un potere esercitabile d’ufficio da parte dell’amministrazione finanziaria sulla base di valutazioni largamente discrezionali, e non uno strumento di protezione del contribuente; il privato può, quindi, sollecitarne l’esercizio segnalando l’illegittimità degli atti impositivi ma la segnalazione non trasforma il procedimento officioso e discrezionale in un procedimento ad istanza di parte, da concludere con un provvedimento espresso.