La remissione del debito è la rinuncia, totale o parziale, del creditore al proprio diritto, con conseguente estinzione del rapporto obbligatorio.
La dichiarazione di rinuncia estingue l’obbligazione quando è comunicata al debitore.
Il debitore può dichiarare, entro un congruo termine, di non volerne profittare, cancellando retroattivamente l’effetto estintivo (come se l’obbligazione non si fosse mai estinta).
Secondo la dottrina assolutamente maggioritaria, si tratta di un negozio che ha natura unilaterale, in quanto si perfeziona con la sola volontà del creditore, e recettizia, in quanto la produzione dei suoi effetti si verifica solo allorché la dichiarazione giunge a conoscenza del debitore. Quest’ultimo, in ossequio al generale principio di intangibilità della sfera giuridica altrui, ha sempre la possibilità di rifiutare l’effetto liberatorio, per lui favorevole, ma non voluto per le più svariate ragioni (personali, morali, etc.).
Una teoria minoritaria ritiene invece che la remissione sia un contratto bilaterale, posto in essere dal creditore e dal debitore.
Per ciò che riguarda la sua forma, la remissione può realizzarsi sia mediante dichiarazione espressa del creditore, sia mediante un suo comportamento concludente. La prima non richiede formule solenni o sacramentali, ma deve essere inequivocabile; il secondo deve essere un comportamento del creditore univocamente incompatibile con la volontà di far valere il proprio diritto di credito.
Una fattispecie tipica di remissione del debito mediante comportamento concludente è la restituzione volontaria del titolo in base al quale sorgeva l’obbligazione ex art 1237 c.c., in quanto il titolo ha efficacia probatoria del credito.
La norma pretende, tuttavia, che la restituzione o la consegna avvengano volontariamente: ciò significa che l’effetto liberatorio potrà essere evitato dal creditore, il quale eccepisca in giudizio la propria incapacità, la violenza, il dolo o l’errore subìti, che hanno determinato una restituzione del titolo non volontaria.
Il silenzio o l’inerzia non possono essere interpretati quali manifestazione tacita della volontà di rinunciare al diritto di credito.
Il Codice esclude inoltre espressamente che la rinuncia alle garanzie dell’obbligazione abbia il significato di remissione del debito (art. 1238 c.c.).
Deve inoltre escludersi che la remissione del debito al fideiussore possa giovare al debitore principale.
Diversamente, la remissione accordata al debitore principale libera i fideiussori (art. 1239, comma 1, c.c.).
La remissione accordata ad uno dei fideiussori non libera gli altri, tranne che per la parte dei fideiussore liberato. Se gli altri fideiussori hanno consentito alla liberazione, essi rimangono obbligati per l’intero (art. 1239, comma 2, c.c.).
Il creditore che ha rinunciato, verso corrispettivo, alla garanzia prestata da un terzo deve imputare quanto ha ricevuto al debito principale, a beneficio del debitore principale e di coloro che hanno prestato garanzia per l’adempimento dell’obbligazione (art. 1240 c.c.).
La remissione del debito in favore del debitore principale determina l’estinzione delle garanzie, sia reali che personali, prestate da terzi o dal debitore stesso.