L’obbligazione si estingue quando la prestazione diventa impossibile per causa non imputabile al debitore (art. 1256 c.c.).

L’impossibilità sopravvenuta va comunque tenuta distinta dalla difficoltà o dalla eccessiva onerosità della prestazione.  

Solo l’impossibilità sopravvenuta dà infatti luogo all’estinzione dell’obbligazione.

La difficoltà è invece un ostacolo, che il debitore è comunque tenuto a superare con l’impiego della dovuta diligenza.

L’eccessiva onerosità può legittimare il debitore al rimedio della risoluzione del contratto o della riduzione equitativa della prestazione, ma, di per sé, non costituisce un impedimento all’esecuzione della prestazione.  

L’art. 1256 c.c. deve essere coordinato con l’art. 1463 c.c., che disciplina la risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive per impossibilità sopravvenuta, e con la disposizione dell’art. 1218 c.c., a norma del quale “Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile” .

L’impossibilità sopravvenuta è quella che deriva da una causa non imputabile al debitore: in tal caso, il debitore è liberato, tranne nel caso che fosse già stato costituito in mora dal creditore.

Se, invece, l’impossibilità sopravvenuta è derivata da causa imputabile al debitore,  l’obbligazione originaria si estingue comunque, ma al suo posto ne subentra un’altra, cioè quella di risarcire il danno al creditore.

Dal combinato disposto degli artt. 1218, 1256, 1463 c.c. si ricava che il debitore, finché l’obbligazione esiste, deve adempiere e l’eventuale mancata attuazione del rapporto espone sempre il debitore all’obbligazione di risarcimento del danno, salvo che egli non fornisca la prova che la causa dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione non è a lui imputabile.

L’interpretazione dottrinale ha nel tempo proceduto ad una serie di successive classificazioni del concetto di “impossibilità”.

In particolare, l’impossibilità può essere:

– assoluta o relativa: l’impossibilità assoluta indica un impedimento che non è superabile in alcun modo, qualunque sia lo sforzo di diligenza applicato dal debitore (ad es. perimento della cosa, che determina un’impossibilità di fatto; cd. factum principis, ossia nuova normativa che sanziona con l’illiceità la prestazione dedotta in contratto e che determina così un’impossibilità giuridica della prestazione). La dottrina ritiene che il requisito dell’assolutezza sia troppo penalizzante per il debitore e non risponda ad un’equilibrata disciplina del rapporto obbligatorio: da qui la tendenza a proporre una nozione relativa o comunque meno rigorosa di impossibilità;

oggettiva o soggettiva: l’impossibilità oggettiva è quella che concerne la prestazione in sé, mentre quella soggettiva attiene alla persona del debitore o alla sua economia.

Per comprendere se l’impossibilità è oggettiva o soggettiva, è necessario sostituire ipoteticamente il debitore con qualunque altro soggetto; se, operata la sostituzione, la prestazione risulta realizzabile, allora l’impossibilità è soggettiva; se invece, la prestazione resta irrealizzabile anche dopo tale sostituzione ideale, allora si è davanti ad una impossibilità oggettiva;

definitiva o temporanea: l’impossibilità è definitiva quando l’impedimento è irreversibile o comunque si ignora se possa mai venir meno. Essa estingue senz’altro l’obbligazione, salvo l’obbligo per il debitore di darne tempestiva notizia al creditore.

L’impossibilità è temporanea quando l’impedimento è dovuto ad una causa che si conosce essere transitoria. In tal caso, il debitore continua ad essere obbligato ed adempirà solo quando la prestazione sarà tornata ad essere possibile; il debitore non risponde dei danni subìti dal creditore per il ritardo nell’adempimento (art. 1256, comma 2, c.c.).

Anche se temporanea, l’impossibilità estingue comunque l’obbligazione, quando la sua durata è tale che, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione o il creditore ha perso interesse all’adempimento.

L’art. 1257 c.c. stabilisce che la prestazione, che ha per oggetto una cosa determinata, si considera divenuta impossibile anche quando la cosa è smarrita senza che possa esserne provato il perimento (e, dunque, il carattere definitivo dell’impossibilità).

Se, successivamente, la cosa viene ritrovata, si applicano le norme previste in materia di impossibilità temporanea (art. 1256, comma 2, c.c.);

– totale o parziale: l’impossibilità è totale, quando rende completamente irrealizzabile l’interesse creditorio; è parziale quando dà luogo ad una modificazione quantitativa della prestazione.

In tal caso il debitore si libera eseguendo la parte di prestazione che è ancora possibile (art. 1258, comma 1, c.c.), in quanto l’obbligazione si concentra sulla parte residua e il creditore non è legittimato a rifiutare l’adempimento, come è invece normalmente previsto nell’ipotesi di adempimento parziale (art. 1181 c.c.).

L’art. 1258, comma 2, c.c. stabilisce altresì che, se la cosa dovuta si è deteriorata o è parzialmente perita, il debitore si libera prestando la cosa deteriorata o quanto ne è residuato.

L’art. 1259 c.c. prevede infine che “Se la prestazione che ha per oggetto una cosa determinata è divenuta impossibile, in tutto o in parte, il creditore subentra nei diritti spettanti al debitore in dipendenza del fatto che ha causato l’impossibilità, e può esigere dal debitore la prestazione di quanto questi abbia conseguito a titolo di risarcimento”.