Commissione Tributaria Provinciale di Latina, sez. VI, 18.12.2018 n. 1467


Svolgimento del processo

La società (…), rappresentata e difesa come in atti, propone ricorso contro una cartella di pagamento emessa dall’Agenzia delle Entrate Riscossione, avente ad oggetto il pagamento dell’Iva per l’anno 2013.

La società eccepisce l’illegittimità dell’aggio esattoriale, l’omesso invio dell’avviso bonario/comunicazione preventiva alla cartella; inesistenza giuridica della notificazione; inesistenza della notificazione a mezzo PEC; mancata indicazione del calcolo degli interessi. Chiede l’accoglimento del ricorso, condanna alle spese a carico dell’amministrazione.

Resiste in giudizio l’Agenzia delle Entrate, d.p. di Latina, che in quanto titolare del credito portato in esazione dall’Agente della riscossione controdeduce su tutti i motivi dedotti, ancorché afferenti all’attività del concessionario. Chiede il rigetto del ricorso con vittoria di spese.

Alla pubblica udienza del 11 gennaio 2018, le parti si riportano a quanto eccepito per iscritto negli atti difensivi depositati nel fascicolo processuale.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato e merita accoglimento in relazione all’assorbente profilo che riguarda la (presunta) notificazione eseguita a mezzo PEC, nonché alla mancata notificazione di un atto presupposto alla cartella; obbligo che deriva, nel caso di specie, dalla natura dell’imposta richiesta con la cartella (imposta sul valore aggiunto), tributo armonizzato che risponde ai principi di derivazione comunitaria circa l’obbligo di contraddittorio preventivo rispetto alla notifica della pretesa erariale.

Sotto il primo profilo, si deve tenere conto della ancora non raggiunta certezza legale della conoscibilità degli atti in caso di notifica a mezzo PEC, ovvero la parte che ha eseguito la notifica deve produrre: la stampa dell’atto notificato con la relata, il certificato della firma digitale del notificante (nella fattispecie non necessario), il certificato di firma del gestore di PEC, le informazioni richieste dall’art. 18 DM 21 febbraio 2011, n. 44 per il corpo dei messaggi, le ricevute della PEC, gli ulteriori dati di Certificazione (TAR Napoli 9.4.2013 n. 1756). D’altra parte la conoscenza piena del “messaggio” originale presuppone una specifica ricerca on line, che non pare prevista nella fattispecie.

Giova affermare che la nullità della cartella di pagamento notificata con posta elettronica certificata deriva dal fatto che il messaggio email non contiene l’originale dell’atto, ma solo una copia priva di attestazione di conformità (cfr CTP Lecce sent. 611 del 07.07.2015).

Le cartelle di pagamento notificate tramite PEC sono nulle. La posta elettronica certificata, infatti, non offre garanzie tipiche della raccomandata tradizionale, perché non contiene l’originale della cartella, ma solo una copia informatica, priva peraltro di alcuna attestazione di conformità.

tanto per fare un raffronto: l’atto di citazione notificato da un legale alla controparte deve essere sottoscritto con firma digitale dello stesso legale e notificato, sempre in via PEC alla cancelleria competente; .la notifica di una cartella di pagamento e/o di altro atto esecutivo da parte dell’agente della riscossione non può ritenersi legittima se questo non sia sottoscritto, non ne sia certificata la conformità all’originale e non siano rispettate tutte le forme di garanzia dei diritti costituzionali garantiti.

Trattasi di notifica di atti che incidono sulla sfera patrimoniale del cittadino contribuente il quale ha, costituzionalmente, diritto alla piena e legittima conoscenza di ogni atto che riporti una pretesa tributaria, di conoscere l’an e il quantum della pretesa e di approntare, eventualmente, le proprie difese.

Ne consegue che l’Amministrazione finanziaria, affinché la pretesa tributaria diventi certa e esigibile, deve garantire, al destinatario della stessa, la conoscenza attraverso una regolare e legittima procedura notificatoria degli atti impositivi.

Il sistema di notifica delle cartelle di pagamento a mezzo PEC (ma anche degli altri atti emessi dall’Agente della riscossione e/o dalle Agenzie delle Entrate), come attualmente disciplinati fanno ritenere che tale notifica sia affetta da nullità insanabile, contrariamente a quanto affermato nella normativa e dal codice dell’amministrazione digitale. La posta elettronica certificata non offre più le stesse garanzie della raccomandata tradizionale.

Come sopra detto, con la PEC è trasmesso al contribuente non l’originale della cartella di pagamento, ma solo una copia informatica, peraltro priva di alcuna attestazione di conformità apposta da un pubblico ufficiale. Detta copia, quindi, non può assumere alcun valore giuridico perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico, in tutto e per tutto, all’originale che, in questo caso, resta nelle mani di Agenzia delle Entrate Riscossione. Invece, con la notifica a mezzo raccomandata a.r., l’originale finisce sempre nelle mani del contribuente.

Dunque se nella fotocopia della cartella di pagamento allegata alla PEC non appare alcuna attestazione di conformità nei modi previsti dalla legge, si deve affermare che il ricorrente ha ricevuto solo una copia informale dell’originale della cartella di pagamento, al pari di una volgare fotocopia. Nel qual caso l’Agente della riscossione non ha giustificazione alcuna per affermare il non essere in possesso dell’originale della cartella di pagamento e/o di altro atto (intimazione, pignoramenti, iscrizione ipotecaria, fermo amministrativo e quant’altro) che non può essere depositato agli atti del giudizio a seguito di contestazione del contribuente/ricorrente.

La seconda criticità della posta certificata è che essa non garantisce la piena prova dell’effettiva consegna del documento al destinatario. Invece, con il sistema tradizionale della notifica cartacea, tale circostanza è garantita dal postino, dall’ufficiale giudiziario o dal messo notificatore in quanto pubblici ufficiali e, come tali, capaci di dare “fede privilegiata” alla propria attestazione di consegna (sia essa la relata di notifica o il registro di consegne delle raccomandate a.r.).

Nel caso della PEC, l’attestazione di spedizione e d’immissione della mail nella casella del destinatario è fornita solo da un sistema informatico automatizzato, privo quindi di alcuna garanzia di certezza per il contribuente. Il gestore della posta certificata garantisce soltanto la disponibilità del documento nella casella di posta elettronica del destinatario, a prescindere da ogni possibile verifica della effettiva apertura e lettura del messaggio. Ebbene, la semplice disponibilità di un documento nella casella PEC non equivale all’avvenuta consegna del documento al destinatario, il quale potrebbe non leggerla per svariate ragioni non sempre dipendenti dalla propria volontà.

Rispetto al sistema raccomandata, la PEC lascia incerto l’esito della sua ricezione oltre che la data di effettiva avvenuta conoscenza del messaggio, alterando il dies a quo per eventuali contestazioni successive.

Va ancora precisato che qualora sulla cartella di pagamento non sia riportato l’indirizzo della sede legale della società o della residenza del contribuente, la spedizione via PEC non può essere eseguita proprio per la non corrispondenza dell’indirizzo di destinazione del destinatario con quello apposto sulla cartella di pagamento.

Sostiene l’Amministrazione finanziaria (ma anche la normativa di riferimenti) che la notifica a mezzo PEC equivale alla notifica a mezzo raccomandata.

La PEC è si una raccomandata ma non sottoscritta {serve la firma digitale); la firma digitale è si una sottoscrizione ma non ha data certa e qualificata ai sensi dell’art. 2704 c.c.

Da quanto sopra ne consegue che la cartella opposta è stata irritualmente notificata e, pertanto il ricorso appare fondato e quindi meritevole di accoglimento.

Sotto altro profilo, poi, la parte eccepisce l’omessa notifica dell’avviso bonario (atto presupposto rispetto all’iscrizione a ruolo), prima della notifica della cartella. A tale eccezione, la controparte oppone che l’obbligo di tale avviso sussista soltanto nei casi in cui vi siano incertezze su aspetti della dichiarazione e non quando si tratti di omesso versamento. La posizione dell’Agenzia, in verità, è conforme all’orientamento maggioritario espresso dalla Suprema Corte ma non tiene conto, tuttavia, della natura del tributo oggetto della presente vertenza, ovvero l’Iva che è imposta comunitaria e che risponde in primis a principi di derivazione comunitaria.

Del resto le stesse sezioni unite della Corte di Cassazione, hanno espresso il principio secondo cui l’instaurazione del contraddittorio preventivo sia obbligatoria soltanto nei casi in cui tale adempimento è previsto dalla normativa interna o, in generale, quando si tratti di tributi armonizzati come l’Iva (Sentenza n. 24823/2015 della Corte di Cassazione a Sezioni Unite).

Sempre le Sezioni Unite, nella precedente sentenza n.19667/2014, rappresentavano come l’omesso invio di una comunicazione preventiva all’iscrizione d’ipoteca fosse motivo di invalidità del provvedimento esattoriale, in quanto recante una violazione del principio comunitario del contraddittorio preventivo.

Facendo il corollario dei due principi affermati dalle Sezioni Unite ed applicandoli nel caso di specie, può sostenersi come l’omesso invio dell’avviso bonario rispetto all’emissione della cartella esattoriale risulti motivo invalidante la stessa, essendo il credito portato ad esazione afferente ad un tributo armonizzato: tale omissione di una comunicazione preventiva rispetto all’atto esattoriale è sintomatico della mancata attivazione del contraddittorio preventivo, obbligatorio in seno ai principi comunitari direttamente operanti nell’ordinamento nazionale quando la controversia abbia ad oggetto un tributo come l’iva.

Le spese seguono la soccombenza e vengono quantificate in Euro 10.000,00 (diecimila/00) oltre oneri e accessori di legge.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Condanna l’Ufficio al pagamento delle spese di giudizio liquidate in Euro 10.000,00 (diecimila/00) oltre oneri e accessori di legge.

Così deciso in Latina, l’11 gennaio 2018.

Depositata in Segreteria il 18 dicembre 2018


 

COMMENTO

La pronuncia in commento ritiene affetta da nullità insanabile la notificazione di una cartella di pagamento mediante p.e.c., in quanto il messaggio di posta elettronica certificata non contiene l’originale della cartella, ma solo una sua copia informatica, priva peraltro di attestazione di conformità.

La sentenza istituisce un raffronto tra la cartella e l’atto processuale (in particolare: atto di citazione) notificati in via telematica: così come il secondo viene notificato alla controparte, e successivamente depositato in Cancelleria con tale modalità, solo previa firma digitale del legale, così allo stesso modo la cartella di pagamento e/o il diverso atto esecutivo o cautelare dell’agente della riscossione non può ritenersi legittimo, se non è sottoscritto digitalmente e se non ne è certificata la conformità all’originale.

La pronuncia in commento ritiene quindi che la posta elettronica certificata non offra le medesime garanzie della “tradizionale” raccomandata analogica. In particolare, vengono individuate due criticità di tale modalità di notificazione.

La prima risiede nel fatto che, con la posta elettronica certificata, viene trasmesso al contribuente non già l’originale della cartella di pagamento, ma solo una sua copia informatica, peraltro priva di alcuna attestazione di conformità apposta da un pubblico ufficiale. Tale copia non può assumere alcun valore giuridico, perché non garantisce l’identità del documento inviato all’originale, che rimane in possesso dell’Agente della riscossione. Pertanto, se nella fotocopia della cartella di pagamento allegata al messaggio di posta elettronica certificata non appare alcuna attestazione di conformità nei modi previsti dalla legge, si deve ritenere che il ricorrente abbia ricevuto solo una copia informale dell’originale della cartella di pagamento, al pari di una volgare fotocopia, priva di qualsiasi valore giuridico.

La seconda criticità della posta elettronica certificata viene individuata nella circostanza che essa non garantisca la piena prova dell’effettiva consegna del documento al destinatario, a differenza di quanto avviene con il sistema tradizionale della notifica “cartacea” (i.e.: analogica). Nell’ambito di quest’ultima, infatti, l’effettiva consegna dell’atto al destinatario o al consegnatario abilitato è garantita dal postino, dall’ufficiale giudiziario o dal messo notificatore, pubblici ufficiali abilitati ad attribuire “fede privilegiata” alla propria attestazione di consegna. Nel caso della posta elettronica certificata, invece, l’attestazione di spedizione e di immissione della mail nella casella del destinatario è fornita solo da un sistema informatico automatizzato, privo di alcuna garanzia di certezza per il contribuente. Il gestore della posta certificata non garantisce infatti l’effettiva apertura e lettura del messaggio da parte del destinatario, ma soltanto la disponibilità del documento nella casella di posta elettronica certificata di quest’ultimo, il quale potrebbe tuttavia non leggerla per svariate ragioni, non sempre dipendenti dalla propria volontà. Pertanto, rispetto al sistema raccomandata analogica, la posta elettronica certificata lascia incerto l’esito della sua ricezione, oltre che la data di effettiva avvenuta conoscenza del messaggio, alterando il dies a quo per eventuali contestazioni successive.

Infine, la pronuncia in commento rileva un ulteriore profilo di nullità nella circostanza che  sulla cartella di pagamento non sia riportato l’indirizzo della sede legale della società o della residenza del contribuente: in tal caso, infatti, la spedizione via posta elettronica certificata non può essere eseguita proprio per la mancata corrispondenza dell’indirizzo di destinazione del destinatario con quello apposto sulla cartella di pagamento.

In senso conforme alla pronuncia in commento, ossia per la nullità e/o inesistenza della notifica della cartella mediante posta elettronica certificata: CTP Milano, 03.02.2017 n. 1023; CTP Reggio Emilia, 31.07.2017 n. 204; CTP La Spezia, 09.10.2017 n. 420; CTR Palermo, 04.04.2018 n. 1461; CTP Napoli, 12.04.2018 n. 3790; CTR Genova, 13.04.2018 n. 411; CTP Sondrio, 16.04.2018 n. 31.

In senso opposto, ossia per la sua validità o, quanto meno, per la possibilità di sanatoria per raggiungimento dello scopo ex art. 156, comma 3, c.p.c. in caso di tempestiva proposizione del ricorso: CTP Siena 02.10.2017 n. 202; CTP Siena 09.01.2018 n. 23; CTP Salerno, 25.06.2018 n. 2488; CTP Salerno, 25.06.2018 n. 2585; CTP Salerno, 26.06.2018 n. 2575; CTR Milano, 22.05.2018 n. 2331.