Cass. civ., sez. V, ord., 04.06.2019 n. 15217


Svolgimento del processo

S.P., esercente l’attività di agente di commercio, presentava in data 29.11.2006 istanza di rimborso dell’Irap versata per gli anni di imposta dal 2002 al 2006.

A seguito del silenzio – rifiuto della Agenzia delle Entrate, proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Bologna che lo accoglieva con sentenza n. 211 del 2010.

L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che lo rigettava con sentenza 17 dicembre 2013, n. 92.

Contro la sentenza di appello l’Agenzia delle Entrate propone due motivi di ricorso per cassazione.

L’intimato non resiste.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso si deduce: “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1 e art. 3, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, nella parte in cui la C.T.R. ha ritenuto che la presenza di un collaboratore dell’impresa familiare, nella persona della coniuge svolgente attività di segreteria, non integrasse il requisito impositivo della autonoma organizzazione.

Il motivo è fondato nei seguenti termini. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di IRAP, afferendo essa allo svolgimento di un’attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi, ne è soggetto passivo anche l’imprenditore familiare (stante il valore esemplificativo dell’elencazione delle figure nel D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 3), mentre non lo sono i familiari collaboratori – cui viene imputato, a determinate condizioni e proporzionalmente alla rispettive quote di partecipazione, il reddito derivante dall’impresa familiare – colpendo tale imposta il valore della produzione netta dell’impresa ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel “quid pluris” dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare. (Sez. 5, Sentenza n. 10777 del 08/05/2013; conforme Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12616 del 17/06/2016; Sez.5 n. 4583 del 2018).

Nel caso in esame è pacifico che l’Irap versata riguarda il reddito di pertinenza del titolare dell’impresa familiare, e non quello attribuito al collaboratore familiare, e pertanto l’imposta era dovuta.

  1. Con il secondo motivo si deduce: “In subordine. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Il motivo è assorbito.

In accoglimento del primo motivo di ricorso la sentenza deve essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto del ricorso introduttivo del contribuente. Spese regolate come da dispositivo.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente. Compensa le spese dei gradi di merito; condanna l’intimato al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro 400 oltre eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 29 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 4 giugno 2019


 

COMMENTO

La pronuncia in commento, sovvertendo le due precedenti decisioni di merito, afferma che il requisito impositivo dell’IRAP, consistente nell’autonoma organizzazione, è integrato anche dalla presenza di un unico collaboratore dell’impresa familiare (i.e.: nella specie, il coniuge dell’agente di commercio, che svolgeva mansioni di segreteria).

Viene così respinto il ricorso del contribuente avverso il silenzio-rifiuto opposto dall’Agenzia delle Entrate alla sua richiesta di rimborso di quanto versato a titolo di IRAP.

L’ordinanza in commento si uniforma al principio giurisprudenziale secondo cui anche l’imprenditore familiare è soggetto passivo IRAP, mentre non lo sono i familiari collaboratori, ai quali il reddito derivante dall’impresa familiare viene imputato a determinate condizioni e proporzionalmente alla rispettive quote di partecipazione all’impresa familiare medesima.

Poiché l’IRAP colpisce il valore della produzione netta dell’impresa, la collaborazione dei partecipanti all’impresa familiare integra quel quid pluris idoneo a produrre una ricchezza ulteriore (o valore aggiunto) rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, 08.05.2013 n. 10777 e Cass. civ., sez. VI-5, ord., 17.06.2016 n. 12616).