Cass. civ., sez. V, ord., 21.05.2019 n. 13636
Svolgimento del processo
che:
la T. V. s.p.a. impugnava dinanzi alla CTP di Torino l’avviso di accertamento n. 153 emesso dalla ICA (Imposte Comunali Affini) s.r.l., concessionaria del servizio di riscossione per il Comune di Rivoli, con cui veniva contestato il mancato pagamento dell’imposta di pubblicità per l’anno 2015 in relazione ad iscrizioni pubblicitarie apposte su n. 95 veicoli di proprietà della società nonché su n. 3 cassonetti e targhe pubblicitarie illuminate.
A sostegno dell’opposizione la contribuente, società che svolge servizi di vigilanza con i propri veicoli, deduceva che non sarebbero assoggettabili ad imposta dei contrassegni distintivi ed il logo posizionati sui veicoli, in applicazione del D.M. n. 269 del 2010, sussistendo i presupposti per l’esenzione di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1, lett. i), non sussistendo invece il presupposto impositivo in relazione ai cassonetti ed alle targhe apposte ai nn. civici (OMISSIS).
La CTP di Torino con sentenza del 10 novembre 2015 accoglieva il ricorso ritenendo che i loghi della società non rientrerebbero nella fattispecie astratta di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, in quanto assolverebbero ad un preciso e rigoroso obbligo di legge dettato per motivi di ordine pubblico che è assorbente rispetto a qualsiasi altra finalità. Inoltre accoglieva anche la doglianza relativa alle somme richieste per targhe e cassonetti essendo stato provato il pagamento.
Proposto appello da parte della ICA s.r.l., la CTR del Piemonte con sentenza in data 13.7.2017 rigettava il gravame affermando che nel caso di specie l’obbligo di esporre i contrassegni distintivi sui veicoli destinati ai servizi di vigilanza è previsto dal D.M. n. 269 del 2010 oltre che dal Regolamento della Prefettura di Torino ritenendo altresì che l’esigenza di riconoscibilità sia incompatibile con la restrizione numerica di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993.
Avverso detta pronuncia la ICA s.r.l. proponeva ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui resisteva la società contribuente.
Entrambe le parti depositavano memorie ex art. 380 bis c.p.c..
Motivi della decisione
che:
- Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 13, comma 3, art. 17, comma 1, lett. i) e art. 7, in relazione a quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.” parte ricorrente deduceva che la decisione impugnata era stata emessa in palese violazione delle norme di legge nella parte in cui ha affermato che l’esigenza di riconoscibilità dei mezzi utilizzati dalla società di vigilanza sarebbe incompatibile con la restrizione numerica di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993 con ciò quindi ritenendo arbitrariamente irrilevante la sussistenza del requisito numerico da cui dipende invece secondo la volontà del legislatore l’applicazione o l’esclusione dell’ipotesi esonerativa di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 13, comma 4. Deduceva inoltre che la sentenza era affetta da erronea e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1, lett. i), invocata a giustificazione dell’esenzione, in quanto detta norma non si applica alla pubblicità esposta all’esterno dei veicoli (essendo l’esenzione per tale forma di pubblicità esaurita dall’ipotesi esonerativa di cui all’art. 13, comma 4) ed in quanto, qualora si volesse ritenere applicabile al caso di specie detta esenzione, è fatto notorio che vi sarebbe il superamento del limite di superficie previsto dalla norma.
- Con il secondo motivo di ricorso rubricato “Nullità del procedimento per violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione a quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” parte ricorrente deduceva che la decisione impugnata è affetta da nullità in quanto emessa in palese violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, in quanto la CTR ha completamente omesso di esaminare il documento attestante la superficie dell’iscrizione pubblicitaria sostenendo l’irrilevanza dell’aspetto dimensionale. Deduceva inoltre che la sentenza poteva ritenersi viziata da violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 2, dato che in rapporto alle maggiori dimensioni delle varie parti dell’auto rispetto al limite normativamente previsto del mezzo metro quadrato, tale raffronto può sicuramente rientrare nella comune esperienza senza che ciò necessiti quindi della prova della sua esatta estensione.
- Con il terzo motivo di ricorso rubricato “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione a quanto previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” parte ricorrente deduceva che la decisione impugnata aveva omesso di pronunciarsi sull’effettivo superamento della superficie di mezzo metro quadrato per ciascuna delle minime figure piane in cui i singoli messaggi pubblicitari sono circoscritti dal momento che ha ritenuto irrilevante tale tipo di accertamento.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Va premesso che il D.M. n. 269 del 2010 impone a tutti gli istituti di vigilanza privata operanti in Italia di dotare i propri autoveicoli di contrassegni distintivi e identificativi dell’istituto stesso, con caratteristiche, approvate dall’autorità competente, tali da consentirne l’immediata riconoscibilità alle forze dell’ordine.
L’apposizione dei contrassegni distintivi sugli autoveicoli di servizio costituisce quindi uno dei requisiti operativi e qualitativi richiesti dalle norme regolatrici dell’attività di vigilanza privata, cui le società operanti nel settore devono obbligatoriamente attenersi.
Specificamente il D.M. n. 269 del 2010 all’allegato A) punto 5.3 richiede la disponibilità di mezzi di locomozione e di trasporto conformi alle disposizioni in vigore, muniti dei propri contrassegni; inoltre l’allegato D) punto 2.b, comma 4, dispone che gli automezzi devono essere, quando impiegati nei servizi di vigilanza, sempre dotati dei contrassegni distintivi dell’istituto nelle caratteristiche approvate dall’autorità competente e al punto 3.c è previsto altresì che il servizio di vigilanza è svolto con veicolo con i contrassegni distintivi e il logo dell’istituto.
Ne deriva che le norme vigenti fanno obbligo a tutti gli istituti di vigilanza privata operanti in Italia di dotare i propri autoveicoli con contrassegni distintivi ed identificativi dell’istituto stesso e le dimensioni di tali contrassegni non sono rimesse alla discrezionalità dell’istituto privato ma devono avere caratteristiche dimensionali, per altro autorizzati dall’autorità di P.S., tali da consentire l’immediata riconoscibilità degli stessi.
L’apposizione dei contrassegni sugli autoveicoli di servizio costituisce quindi uno dei requisiti operativi e qualitativi richiesti dalle norme regolatrici dell’attività di vigilanza privata cui la società si è obbligatoriamente attenuta.
Fatta questa premessa in ordine alla “ratio” dell’esposizione dei contrassegni distintivi sui veicoli adibiti al servizio di vigilanza privata occorre verificare come la relativa disciplina si coniughi con le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993 ed in particolare con l’ipotesi esonerativa di cui all’art. 17, comma 1, lett. i), la quale recita:” le insegne, le targhe e simili la cui esposizione sia obbligatoria per disposizione di legge o di regolamento sempre che le dimensioni del mezzo usato, qualora non espressamente stabilite, non superino il mezzo metro quadrato di superficie”.
Pertanto la norma de qua, pur prevedendo l’esenzione dal pagamento dell’imposta ove l’esposizione di un logo o di una targa configuri un obbligo ex legge, mostra tuttavia di considerare rilevante il rispetto di un limite dimensionale superato il quale si deve ritenere comunque sussistente un’ipotesi di veicolazione di messaggio pubblicitario.
Risulta, pertanto, infondata la prima censura svolta con il primo motivo di ricorso atteso che non vertendosi nel caso di specie in una ipotesi di pubblicità ordinaria non può trovare applicazione il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 13, dettato con specifico riferimento alla “pubblicità effettuata con veicoli”.
Parimenti infondata è la seconda censura svolta atteso che correttamente il giudice di appello ha invocato nel caso in esame l’applicazione dell’ipotesi esonerativa di cui al decreto cit., art. 17, comma 1, lett. i).
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da valutarsi congiuntamente in quanto afferenti alla medesima questione, sono invece fondati.
Ed invero la sentenza impugnata, pur invocando l’ipotesi esonerativa di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1, lett. i), non ha valutato il requisito dimensionale previsto dalla norma, con ciò omettendo di valutare sia il documento attestante la superficie del logo apposto sulle auto sia comunque di valutare tale dato alla stregua di fatto notorio.
In accoglimento dei motivi 2 e 3 del ricorso, rigettato il 1, la sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio alla CTR del Piemonte in diversa composizione, cui demanda altresì la regolamentazione delle spese di lite.
P.Q.M.
In accoglimento dei motivi 2 e 3 del ricorso, rigettato il 1, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR del Piemonte, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2019
COMMENTO
La vertenza trae origine dal ricorso di una società di vigilanza privata, che contesta l’avviso di accertamento emesso nei propri confronti a titolo di imposta di pubblicità, in relazione ad iscrizioni apposte sui propri veicoli.
A sostegno della propria tesi, la società contribuente sostiene come l’esposizione del proprio contrassegno e del proprio logo sia normativamente imposta dal D.M. 01.12.2010 n. 269 e rientri quindi nella fattispecie di esenzione dall’imposta di pubblicità, prevista dall’art. 17, comma 1, lettera i), D.lgs. 15.11.1993 n. 507, a prescindere dai limiti dimensionali del messaggio pubblicitario.
La tesi della società contribuente trova integrale accoglimento nei due gradi di merito, ma le predette statuizioni vengono almeno in parte riformate dall’ordinanza in commento.
Quest’ultima riconosce come il D.M. 269/2010 obblighi tutti gli istituti di vigilanza privata, operanti in Italia, a dotare i propri autoveicoli con contrassegni distintivi ed identificativi dell’istituto stesso; riconosce inoltre come le dimensioni di tali contrassegni non siano rimesse alla discrezionalità dell’istituto privato, ma debbano presentare caratteristiche dimensionali autorizzate dall’autorità di Pubblica Sicurezza ed in ogni caso tali da consentire l’immediata riconoscibilità degli stessi.
Pertanto, viene respinto il motivo di ricorso della società concessionaria per la riscossione, relativo all’applicabilità dell’art. 13 D.lgs. 507/1993, dettato con specifico riferimento alla “pubblicità effettuata con veicoli“.
Risulta invece applicabile l’art. 17, comma 1, lettera i), del predetto Decreto, secondo cui sono esenti dall’imposta di pubblicità “le insegne, le targhe e simili la cui esposizione sia obbligatoria per disposizione di legge o di regolamento sempre che le dimensioni del mezzo usato, qualora non espressamente stabilite, non superino il mezzo metro quadrato di superficie”.
Tale norma, pur prevedendo l’esenzione dal pagamento dell’imposta di pubblicità qualora l’esposizione di un logo o di una targa configuri un obbligo di legge, considera tuttavia rilevante il rispetto di un limite dimensionale, superato il quale si deve ritenere sussistente un’ipotesi di veicolazione di messaggio pubblicitario.
La sentenza di secondo grado viene quindi censurata per l’omessa valutazione del requisito dimensionale previsto dalla norma- valutazione che doveva essere effettuata sia sulla base del documento, che attestava la superficie del logo apposto sulle auto, sia alla stregua del fatto notorio.
Viene quindi disposto un annullamento della sentenza di secondo grado con rinvio al giudice di merito, affinché compia la predetta valutazione di fatto, preclusa al giudice di legittimità.