Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, sez. XII, 27.09.2019  n. 5563


Svolgimento del processo

La Contribuente R.C. impugnava dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento una cartella di pagamento (meglio distinta in atti) riguardante ICI per l’anno di imposta 2009.

A sostegno del proprio ricorso deduceva la illegittimità del ruolo e della cartella per: violazione e falsa applicazione dell’art. 1 comma 163 della L. n. 296 del 2006, difetto di motivazione del ruolo in quanto emesso sulla base di un avviso di accertamento mai notificato, violazione dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000 – difetto di motivazione, omessa sottoscrizione del ruolo – violazione dell’art. 12 comma 4 del D.P.R. n. 602 del 1973; illegittimità delle sanzioni.

Inoltre eccepiva: la inesistenza giuridica degli atti di riscossione – violazione dell’art. 148 c.p.c. sotto molteplici profili, insistenza della notifica per omessa indicazione della qualifica del soggetto notificatore, la difformità tra la relata di notifica tra copia ed originale, il difetto di motivazione, la nullità, il difetto di motivazione e l’inesistenza giuridica degli atti sotto molteplici profili.

R.S. spa non si costituiva.

La Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento, sezione IV, con sentenza n. 75/17 del 9 gennaio 2017 accoglieva il ricorso e compensava le spese di quel grado di giudizio.

Il difensore della Parte contribuente ha quindi impugnato la sentenza in parola dinnanzi a questa Commissione tributaria regionale chiedendo la condanna di R.S. spa ex art. 96 c.p.c. e la riforma della sentenza di primo grado con riguardo alle spese di quel grado di giudizio.

R.S. spa non risulta costituita in giudizio.

La controversia veniva quindi sottoposta all’esame di questo Collegio nel corso dell’udienza del 9 settembre 2019 (cfr. verbale udienza).

Motivi della decisione

La Parte appellante ha chiesto la condanna della Parte appellata con riguardo alla c.d. “responsabilità aggravata” (art. 96 c.p.c.) ed alle spese del giudizio di primo grado, che in quella sede (nonostante la pronuncia di soccombenza) sono state compensate.

1.- Osserva preliminarmente Il Collegio che il Collegio di legittimità, in tema di “responsabilità aggravata” ha avuto modo di chiarire che “La condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è volta a salvaguardare finalità pubblicistiche, correlate all’esigenza di una sollecita ed efficace definizione dei giudizi, nonché interessi della parte vittoriosa ed a sanzionare la violazione dei doveri di lealtà e probità sanciti dall’art. 88 c.p.c., realizzata attraverso un vero e proprio abuso della “potestas agendi” con un’utilizzazione del potere di promuovere la lite, di per sé legittimo, per fini diversi da quelli ai quali esso è preordinato, con conseguente produzione di effetti pregiudizievoli per la controparte. Ne consegue che la condanna, al pagamento della somma equitativamente determinata, non richiede né la domanda di parte né la prova del danno, essendo tuttavia necessario l’accertamento, in capo alla parte soccombente, della mala fede (consapevolezza dell’infondatezza della domanda) o della colpa grave (per carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza), venendo in considerazione, a titolo esemplificativo, la pretestuosità dell’iniziativa giudiziaria per contrarietà al diritto vivente ed alla giurisprudenza consolidata, la manifesta inconsistenza giuridica delle censure in sede di gravame ovvero la palese e strumentale infondatezza dei motivi di impugnazione. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di appello, che aveva escluso la condanna, nonostante l’artificiosa evocazione in giudizio di una parte, peraltro senza proporre domanda contro di essa, finalizzata a “bloccare” le azioni promosse all’estero, in quanto la pretestuosità sarebbe dovuta essere eccepita dalla stessa parte invece rimasta contumace).(Cassazione civile, sez. un., 13/09/2018, n. 22405).

Nella fattispecie che qui ci occupa la Parte appellante non ha fornito (come avrebbe dovuto) la prova processuale della “…mala fede…” ovvero consapevolezza dell’infondatezza della domanda, o della “…colpa grave…” ovvero carenza dell’ordinaria diligenza volta all’acquisizione di detta consapevolezza.

La domanda di condanna ex art. 96 c.p.c. pertanto non può essere accolta.

  1. – Con riguardo al motivo di appello riferito alla avvenuta compensazione (nonostante la pronuncia favorevole alla Parte ricorrente) delle spese del giudizio di I grado, va osservato che la Corte nomofilattica ha recentemente chiarito che “La compensazione tra le parti delle spese giudiziali, può essere disposta dal giudice solo in tre specifiche ipotesi: nel caso di soccombenza reciproca; per questioni di assoluta novità ovvero laddove vi sia un mutamento nell’orientamento giurisprudenziale rispetto alle questioni dirimenti” (Cassazione civile, sez. VI, 29/11/2018, n. 30877).

Pertanto, “In tema di spese di lite, il Giudice può operare la compensazione, totale o parziale, solo se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni da indicare esplicitamente nella motivazione”.(Cassazione civile, sez. VI, 15/10/2018, n. 25620).

Nella fattispecie che qui ci occupa il Giudice territoriale di prima istanza, pur riconoscendo fondate le ragioni della Parte ricorrente, ha disposto la compensazione delle spese astenendosi dall’argomentare le ragioni di fatto o di diritto sulle quali ha fondato la propria decisione: In tema di spese legali, nei giudizi soggetti alla disciplina dell’art. 92, comma 2, c.p.c. come modificato dall’art. 2 della L. n. 263 del 2005, ove non sussista la reciproca soccombenza, è legittima la compensazione delle spese processuali se concorrono altri giusti motivi, che vanno esplicitati nella motivazione in modo logico e coerente, dovendosi ritenere insufficiente a tal fine il mero richiamo alla buona fede della parte soccombente, elemento che può assumere rilievo per escludere la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., ma che non giustifica di per sé la pronuncia di compensazione.(Cassazione civile, sez. lav., 07/08/2018, n. 20617).

Su tale punto la sentenza di prime cure pertanto merita riforma.

Le spese di entrambi i gradi seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

– Accoglie l’appello limitatamente alle spese di giudizio di primo grado.

– Condanna la Parte appellata S.S. spa alle spese di entrambi i gradi di giudizio che liquida in complessivi Euro 700,00 (settecento/00) oltre accessori di legge, di cui Euro quattrocento/00 per il primo grado ed Euro trecento/00 per il presente grado di

Palermo, il 9 settembre 2019.


 

COMMENTO

Viene parzialmente riformata la pronuncia di primo grado che, pur avendo accolto il ricorso del contribuente avverso una cartella di pagamento relativa ad ICI, aveva disposto l’integrale compensazione delle spese processuali.

Avverso tale sentenza il contribuente proponeva due motivi di appello, volti ad ottenere la condanna avversaria al risarcimento del danno per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. e la sua condanna alle spese.

La prima richiesta non trova accoglimento, non essendo ravvisati i necessari presupposti della “mala fede” o della “colpa grave”, necessari per una condanna ex art. 96 c.p.c.

Viene invece accolto il motivo di appello volto ad ottenere la condanna della parte soccombente al rimborso delle spese processuali.

Nell’ambito del processo tributario, la materia delle spese processuali è regolata dall’art. 15 D.lgs. 31.12.1992 n. 546 (come modificato dall’art. 9, comma 1, lettera f), D.lgs. 24.09.2015 n. 156). In particolare, i primi due commi di tale norma stabiliscono che: “1. La parte soccombente è condannata a rimborsare le spese del giudizio che sono liquidate con la sentenza.  2.  Le spese di giudizio possono essere compensate in tutto o in parte dalla commissione tributaria soltanto in caso di soccombenza reciproca o qualora sussistano gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate”.

Il predetto testo normativo appare quindi analogo a quello della precedente formulazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c., nel testo anteriore alle modifiche apportate dall’art. 13 D.L. 12.09.2014 n. 132 e dalla relativa Legge di conversione 10.11.2014 n. 162. Tali ultimi due provvedimenti normativi avevano ulteriormente limitato la facoltà del giudice civile di disporre la compensazione delle spese di lite ai soli tre casi di soccombenza reciproca, assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti (Cass. civ., sez. VI, 29.11.2018 n. 30877, citata in motivazione). Successivamente, peraltro, la nuova formulazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c. è stata dichiarata parzialmente illegittima da Corte Costituzionale 19.04.2018 n. 77, “nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”.

Ad oggi, pertanto, sia nel processo civile, sia in quello tributario, la compensazione delle spese di lite si pone come una fattispecie eccezionale rispetto alla “regola” della condanna della parte soccombente al rimborso delle spese avversarie. Tale fattispecie eccezionale presuppone comunque l’esistenza di “gravi ed eccezionali ragioni” che, seppure non rigidamente tipizzate dalla norma, devono comunque essere espressamente motivate nella sentenza. Il difetto assoluto di motivazione sul punto, così come l’enunciazione di ragioni assolutamente illogiche o erronee, integra pertanto violazione di legge rispetto agli artt. 91-92 c.p.c., nel processo civile, o all’art. 15 D.lgs. 546/1992, nel processo tributario (Cass. civ., sez. VI-3, ord., 08.07.2015 n. 14623; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 31.05.2016 n. 11222; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 27.09.2017 n. 22679; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 31.05.2018 n. 13809 e Cass. civ., sez. VI-5, ord., 15.10.2018 n. 25620).

Nel caso di specie, la pronuncia di primo grado aveva completamente omesso qualsiasi motivazione sulla compensazione di spese. Per tale motivo, in accoglimento dell’appello del contribuente, tale capo della sentenza di primo grado viene riformato, con condanna della parte resistente al rimborso delle spese di entrambi i gradi del processo.

In ultima analisi, viene quindi riaffermato il principio per cui la buona fede della parte soccombente, pur potendo assumere rilievo per escludere la responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., non giustifica di per sé la compensazione delle spese.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma