Cass. civ. Sez. V, Ord., 21-05-2019, n. 13616
Svolgimento del processo
che:
- Con ricorso proposto alla Commissione Tributaria Provinciale di Arezzo la società Albergo e Ristorante dei f.lli F. a r.l. impugnava l’avviso di accertamento con il quale il Comune di Arezzo aveva rettificato l’importo dell’ICI, relativa all’anno 2005, sull’immobile destinato ad albergo di proprietà della stessa ricorrente.
Tale accertamento si fondava sul rilievo che il fabbricato era stato sottoposto a lavori di ristrutturazione, terminati nell’anno 1998, all’esito dei quali la classificazione era stata modificata, passando da tre a quattro stelle, con maggior valore dell’immobile in questione.
Deduceva la ricorrente che nell’anno 2005 (oggetto dell’accertamento impugnato) l’immobile era regolarmente fornito di rendita catastale, attribuita all’epoca dell’accatastamento, e che il passaggio da terza a quarta categoria, sulla quale si fondava l’accertamento impugnato, non incideva sulla rendita, in quanto riferibile ai migliori servizi resi ai clienti e non alle strutture nascenti dalle nuove opere.
Assumeva inoltre l’illegittimità dell’accertamento che modificava la rendita dichiarata con il DOCFA, posto che quest’ultimo era stato presentato il 19/7/2005 di modo che, se del caso, la nuova rendita doveva avere efficacia dal 2006 e non effetti retroattivi a far tempo dal 1998.
- Con sentenza n. 134/1/12, la Commissione Tributaria Provinciale di Arezzo respingeva il ricorso ritenendo la sussistenza di un implemento migliorativo delle caratteristiche architettoniche anche in ragione della maggiore superficie dedicabile alla recettività ed osservando che, comunque, la rendita concordata dal contribuente con l’Agenzia del Territorio, in sede conciliativa del contenzioso instauratosi a seguito del DOCFA presentato nel 2005, era di poco inferiore a quella accertata, ciò sostanzialmente non giustificando le doglianze del contribuente.
- Avverso tale pronuncia proponeva appello la Albergo e Ristorante dei f.lli F. a r.l riproponendo le argomentazioni già esposte in primo grado, cui resisteva il Comune appellato.
- Con sentenza n. 2141/25/14, pronunciata il 6/11/2014, depositata il 10/11/2014 e non notificata, la Commissione Tributaria Regionale di Firenze, accoglieva l’appello proposto dalla contribuente.
- Avverso tale sentenza il Comune di Arezzo ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso la Albergo e Ristorante dei fili F. s.r.l.
Entrambe le parti hanno depositato memoria difensiva.
Motivi della decisione
che:
- Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta la “violatone e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e/o falsa applicazione della L. 311/2004, art.1, comma 336 , del D.Lgs n. 504/1992, art. 5, comma 4, e della L. 342/2000, art. 74, comma 1.
In particolare, il Comune ricorrente osserva che nell’immobile erano stati eseguiti lavori che avevano determinato una significativa rivalutazione del complesso immobiliare, i quali erano stati già quasi del tutto completati in data 25/6/1998, pur essendo stati dichiarati ultimati in data 1/9/1999 (quando la Provincia di Arezzo aveva verificato le caratteristiche dell’Albergo, riconoscendo il passaggio da 3 a 4 stelle). Ad avviso del ricorrente, pertanto, ai sensi del R.D.L. 652/1939, art. 20, convertito in L. 1249/1939, nel testo all’epoca vigente, avrebbe dovuto essere presentato un nuovo accatastamento, che rappresentasse le modifiche comportanti più elevati valori di classificazione, entro la data del 31/1/2000. Contemporaneamente avrebbe dovuto essere presentata dichiarazione di variazione ai fini ICI per l’anno 2000, considerando come base imponibile un valore determinato ai sensi del D.Lgs n. 504/1992, art. 5, comma 4, nel testo vigente fino al 31/12/2006. Le opere successivamente effettuate, concernenti la realizzazione di una soffitta nell’anno 2005, non potevano infatti comportare il notevole incremento di valore fiscale riscontrato, che si era invece realizzato in ragione dei lavori già eseguiti nel 1998, sicchè il DOCFA presentato nel 2005 (a seguito dei lavori concernenti la soffitta) era da considerarsi tardivo e comunque non valido rispetto alla variazione già in precedenza verificatasi con i primitivi lavori, in quanto avrebbe dovuto inerire solo al marginale aggiornamento conseguente alla nuova distribuzione del sottotetto effettuata nel 2005.
In tale situazione, la CTR avrebbe errato nel ritenere illegittimo l’accertamento impugnato per non essere stato realizzato il contraddittorio con il contribuente, come previsto dalla L. 311/2004, art. 1 commi 336 e 337, atteso che, alla data in cui il Comune aveva appurato la irregolarità della posizione (e cioè nel 2005, a seguito di verifica del nuovo accatastamento effettuato con procedura DOCFA in data 19/7/2005) non sussistevano più i presupposti per attivare la procedura citata L., ex art. 1, comma 336, in relazione alle annualità antecedenti, in quanto non si era in presenza nè di immobili non dichiarati in catasto nè di situazioni di fatto non più coerenti con il classamento catastale.
Sostiene il ricorrente che nella specie doveva invece applicarsi il D.Lgs n. 504/1992, art. 5, comma 4, così determinando la rendita (non più coerente con quella attribuita nel 1995, in ragione delle variazioni intervenute successivamente e completate nell’anno 1999) con riferimento a quella dei fabbricati similari già iscritti.
Tai osservazione renderebbe altresì priva di fondamento l’affermazione della CTR secondo la quale il Comune non si poteva discostare, per il periodo precedente al luglio del 2005, dalla rendita fissata nella conciliazione giudiziale intervenuta tra il contribuente e l’Agenzia del Territorio a conclusione del contenzioso sul DOCFA del 19/7/2005.
1.1. Il motivo è inammissibile.
La sentenza impugnata, per quanto qui interessa, dopo aver escluso la sussistenza di un litisconsorzio necessario tra il Comune e l’Agenzia del Territorio, ha accolto il ricorso della contribuente sulla base delle seguenti argomentazioni: “…è di tutta evidenza, in primo luogo, la illegittimità dell’accertamento in discussione promanato in deroga alla giudiziale conciliazione intervenuta fra contribuente ed Agenzia del Territorio il 1/8/2007 quanto alla definitiva attribuzione della rendita, che quindi fa stato inter partes, ma ancora illegittimo (l’accertamento) posto che, per evidente manifesta illogicità, non si giustifica (a tacere della violazione della L. 311/2004, art. 1 commi 336) la maggiorazione della rendita catastale in ragione del cambio di categoria (da tre a quattro stelle) sol considerando che la categoria è ovviamente riferibile al miglior servizio reso alla clientela senza coinvolgere la struttura immobiliare a fini fiscali. Ma, a tanto concedere, anche se si volesse coinvolgere la migliore e maggiore ricettività in termini fiscalmente rilevanti – a prescindere dalla ridetta circostanza per la quale la rendita convenuta e definita con l’Agenzia del Territorio vincola comunque ed inderogabilmente le parti senza che abbia rilevanza il dies a quo dell’inizio delle opere unicamente rilevando la sola rendita catastale attribuita a definizione del contenzioso con l’Agenzia del Territorio… – altro qui comunque non risulterebbero che modifiche interne che non incidono, ex se, sulla modifica della rendita perchè non si appropriano di un maggior indice di fabbricabilità e/o cubatura fruibile, ma realizzano solo una diversa disposizione dell’esistente, unicamente funzionalizzato ad una migliore ricettività”.
Alla luce di tale motivazione, emerge che la sentenza impugnata è fondata su quattro distinte ed autonome rationes decidendi, ciascuna logicamente e giuridicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, e precisamente: 1) la non derogabilità degli esiti della conciliazione giudiziale intervenuta fra contribuente ed Agenzia del Territorio il 1/8/2008; 2) il principio, di ordine logico, secondo il quale il cambio di categoria della struttura alberghiera, assunto dal Comune a fondamento dell’accertamento impugnato, non giustificava la maggiorazione della rendita, essendo la categoria alberghiera riferibile al miglior servizio reso alla clientela e non al valore della struttura immobiliare rilevante ai fini fiscali; 3) in ogni caso, nella specie, erano state realizzate solo modifiche interne inidonee ad incidere sul valore della rendita, in quanto non avevano comportato un maggior indice di fabbricabilità e/o cubatura fruibile, ma solo una diversa disposizione dell’esistente in funzione di una migliore ricettività; 4) la violazione della L. 311/2004, art. 1 commi 336 (quest’ultima, peraltro, rilevata solo in via aggiuntiva ed incidentale, come emerge dalle affermazioni che la evidenziano, contenute tra parentesi e precedute dalle locuzioni “peraltro…”,”a tacere…”).
Orbene, l’unico motivo di ricorso proposto dal Comune di Arezzo è volto a censurare solo due (la quarta e, di conseguenza, la prima) della quattro ragioni su cui è fondata la decisione impugnata, ossia quella fondata sulla mancata attivazione del procedimento previsto dalla L. 311/2004, art. 1 commi 336 e 337, e quella che ha ritenuto l’illegittimità dell’accertamento in quanto effettuato in deroga alla conciliazione giudiziale intervenuta in data 1/8/2007 tra il contribuente e l’Agenzia del Territorio.
Ne deriva l’inammissibilità del ricorso, in applicazione del principio, già enunciato da questa Corte, secondo il quale il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima ratio decidendi, esamini ed accolga anche una seconda ratio (ovvero ne rilevi anche una terza, una quarta, ecc.), al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della potestas iudicandi, atteso che l’art. 276 c.p.c., distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno di quest’ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due (o più) diverse rationes decidendi, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata (Cass., sez. 3, 13/06/2018, n. 15399, Rv. 649408 – 01). Ne deriva che l’omessa impugnazione di una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, atteso che quest’ultima non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata (Cass., sez. 1, 27/07/2017, n. 18641, Rv. 645076 – 01; Cass., sez. L, 11/02/2011, n. 3386, Rv. 615988 – 01) E’ quanto si è verificato nel caso in esame, non avendo il ricorrente sollevato alcuna censura nei confronti delle altre autonome motivazioni che sorreggono la sentenza impugnata, ed in particolare di quella secondo la quale il mero passaggio di categoria alberghiera non rileva ai fini della modifica della rendita dell’immobile, in quanto riferibile solo al miglior servizio reso alla clientela, nonchè di quella, ulteriore, secondo la quale nella specie non era comunque risultata provata l’esistenza di modifiche interne che avessero apportato un maggior indice di edificabilità e/o di cubatura, risultando solo lavori relativi ad una diversa disposizione dell’esistente, come tale inidonei ad incidere sulla rendita dell’immobile.
- Conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi del D.P.R. 115/2002, art.13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a tutolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.
P.Q.M.
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso;
– condanna il ricorrente a pagare alla controparte le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro. 5.000,00 per compensi, oltre rimborso forfettario spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 115/2002, art.13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a tutolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.
Così deciso in Roma, dalla 5 sezione civile della Corte di cassazione, il 24 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2019
COMMENTO
E’ illegittimito l’accertamento relativo alla definitiva attribuzione della rendita, promanato in deroga alla giudiziale conciliazione la quale fa stato inter partes