L’azione revocatoria (artt. 2901-2904 c.c.) è concessa al creditore, anche se il suo credito sia soggetto a condizione o a termine, per ottenere che sia dichiarato inefficace nei suoi confronti l’atto di disposizione del patrimonio con il quale il debitore si sia privato di propri beni, sottraendoli così all’esecuzione da parte del creditore stesso.

Presupposti di tale azione sono:

  • la qualità di creditore del soggetto agente. A tal fine, è sufficiente anche un credito non ancora esigibile (perché soggetto a condizione o a termine) o contestato in sede giudiziaria (cd. “credito litigioso”). In quest’ultimo caso, la giurisprudenza di legittimità ha escluso la necessità di sospensione dell’azione revocatoria, in attesa della definizione della causa relativa all’accertamento del credito, in forza del quale il creditore ha agito in revocatoria (Cass. civ., Sezioni Unite, 18 maggio 2004 n. 9440 e successive conformi);
  • un atto di disposizione inter vivos posto in essere dal debitore, mediante il quale quest’ultimo abbia determinato la fuoriuscita di uno o più beni dal proprio patrimonio. Sono esclusi dall’ambito applicativo dell’azione revocatoria gli atti di ordinaria di amministrazione (poiché diretti unicamente alla conservazione e al godimento del bene) e gli atti dovuti (nei quali manca per definizione il requisito dell’arbitrarietà). Tra essi assume portata emblematica il pagamento del debito scaduto che, concretandosi in un atto compiuto in esecuzione di un obbligo giuridico, non può mai essere oggetto di azione revocatoria (art. 2901 c.c.). La giurisprudenza ha infine escluso l’esperibilità dell’azione revocatoria per gli atti di disposizione compiuti su beni che la legge considera impignorabili, in quanto non sottoponibili ad esecuzione coattiva e, dunque, non inclusi nella garanzia patrimoniale generica del creditore;
  • l’eventus damni, ossia un pregiudizio per le ragioni del creditore, che può sostanziarsi in una diminuzione non solo quantitativa, ma anche qualitativa del patrimonio del debitore (come avviene, ad esempio, quando un bene facilmente aggredibile in sede esecutiva, quale un immobile, venga convertito in un bene facilmente occultabile, quale il denaro). Il predetto requisito non richiede che l’atto di disposizione abbia del tutto compromesso qualsiasi possibilità di soddisfazione del creditore in sede esecutiva, ma deve al contrario ritenersi realizzato anche quando il diritto del creditore di agire esecutivamente sia stato reso più difficile o gravoso: per tale motivo, parte della dottrina (GAZZONI) preferisce configurare il pregiudizio non già come vero e proprio eventus damni, bensì come periculum damni;
  • il consilium fraudis del debitore: tale requisito si configura diversamente, a seconda che il credito sia sorto anteriormente o posteriormente all’atto dispositivo. 

Se il credito è anteriore all’atto di disposizione patrimoniale, è sufficiente la generica consapevolezza (cui va equiparata l’agevole conoscibilità, da parte di un soggetto di media avvedutezza e cultura) del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore (cd. “dolo generico”). 

Viceversa, se l’atto di disposizione patrimoniale è anteriore al sorgere del credito, è necessaria la prova della dolosa preordinazione dell’atto stesso al fine di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni creditorie (cd. “dolo specifico”).

Se l’atto dispositivo è stato posto in essere dal debitore a titolo oneroso, assume rilevanza anche l’atteggiamento psicologico del terzo

Anche in questo caso, il requisito si configura diversamente, a seconda che il credito sia sorto anteriormente o posteriormente all’atto di disposizione. 

Se il credito è anteriore a quest’ultimo, anche in capo al terzo è sufficiente la generica consapevolezza (cui va equiparata l’agevole conoscibilità, da parte di un soggetto di media avvedutezza e cultura) del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore (cd. “dolo generico”). 

Viceversa, se l’atto di disposizione patrimoniale è anteriore al sorgere del credito, è necessaria la prova che il terzo sia stato partecipe della dolosa preordinazione dell’atto stesso al fine di pregiudicare il soddisfacimento delle ragioni creditorie (cd. “dolo specifico”). 

L’atteggiamento psicologico del terzo è invece del tutto irrilevante negli atti a titolo gratuito, perché la posizione di chi cerca di evitare un danno alla propria garanzia patrimoniale generica (i.e.: il creditore che agisce in revocatoria) è considerata maggiormente meritevole di tutela rispetto a quella di chi (i.e.: il terzo) cerca di ottenere un vantaggio dall’esecuzione in suo favore di una prestazione priva di corrispettivo.

La prova dell’esistenza dei presupposti, che giustificano l’azione revocatoria, incombe interamente sul creditore agente.

Il fruttuoso esperimento dell’azione revocatoria comporta l’inefficacia relativa dell’atto di disposizione nei confronti del solo creditore che ha esperito l’azione: costui, una volta ottenuta la dichiarazione di inefficacia dell’atto di disposizione patrimoniale compiuto dal debitore, può promuovere nei confronti dei terzi acquirenti le azioni esecutive o conservative sui beni che formano oggetto dell’atto impugnato.

Il terzo contraente, che abbia verso il debitore ragioni di credito dipendenti dall’esercizio dell’azione revocatoria, non può concorrere sul ricavato dei beni che sono stati oggetto dell’atto dichiarato inefficace, se non dopo che il creditore è stato soddisfatto (art. 2902 c.c.).

Pertanto, a differenza di quanto avviene nell’azione surrogatoria, gli altri eventuali creditori del medesimo debitore, che non abbiano proposto l’azione, non possono giovarsi di essa.

L’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di revocazione (art. 2901, ultimo comma, c.c.).

L’azione revocatoria si prescrive nel termine di cinque anni dalla data dell’atto (art. 2903 c.c.).
Nel caso in cui l’azione abbia ad oggetto beni immobili o beni mobili registrati, o comunque un atto di disposizione patrimoniale soggetto a forme di pubblicità legali, è controverso in giurisprudenza se tale termine debba decorrere dalla data della stipula dell’atto di disposizione oppure soltanto da quella in cui l’atto è stato reso opponibile a terzi mediante le forme pubblicitarie prescritte dalla legge (es.: trascrizione nei registri immobiliari, annotazione a margine dell’atto di matrimonio per le convenzioni matrimoniali, etc.).

Nel primo senso (ossia per la coincidenza del dies a quo del termine di prescrizione con la data in cui l’atto dispositivo viene stipulato) si veda Cass. civ., sez. II, 15.02.2007 n. 3379.

In senso contrario (ossia per la coincidenza del dies a quo del termine di prescrizione con la data in cui l’atto dispositivo viene pubblicizzato nei confronti dei terzi) si vedano Cass. civ., sez. III, 19.01.2007 n. 1210; Cass. civ., sez. VI-1, ord., 27.05.2014 n. 11815 e Cass. civ., sez. III, 24.03.2016 n. 5889.

In merito al dies ad quem, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato il principio per cui, posto che il diritto correlato all’esercizio di un’azione revocatoria può essere fatto valere solo mediante un atto processuale, la prescrizione si considera interrotta nel momento in cui l’atto di citazione è consegnato all’ufficiale giudiziario per la notificazione, ancorché esso sia ricevuto dal destinatario dopo la scadenza del termine quinquennale di prescrizione (Cass. civ., Sezioni Unite, 09.12.2015 n. 24822).

La predetta pronuncia ha quindi ritenuto applicabile il principio della differente decorrenza degli effetti della notificazione tra notificante e destinatario (sancito da Corte Costituzionale 26.11.2002 n. 477 con riferimento ai soli atti processuali) anche agli effetti sostanziali degli atti processuali, nei casi in cui il diritto possa essere fatto valere unicamente mediante un atto processuale, come appunto avviene nel caso dell’azione revocatoria.

Invece, in caso di proposizione dell’azione revocatoria ordinaria mediante ricorso ex art. 702-bis c.p.c. (ossia mediante il rito sommario di cognizione), il termine di prescrizione non è validamente interrotto dal solo deposito del ricorso nella cancelleria del giudice adito. Infatti, trattandosi di azione che può essere introdotta, a scelta della parte attrice, sia mediante atto di citazione (i.e.: mediante il rito ordinario di cognizione), sia mediante ricorso (i.e.: mediante il rito sommario di cognizione), non sussiste l’esigenza di evitare che sul soggetto, che agisce in giudizio, ricadano i tempi di emanazione del decreto di fissazione dell’udienza, con conseguente compressione del termine assegnato dal Legislatore per l’esercizio del diritto di difesa (Cass. civ., sez. I, 12.09.2019 n. 22827).

Sono in ogni caso fatte salve le disposizioni sull’azione revocatoria in materia fallimentare e in materia penale (art. 2904 c.c.), che dunque prevalgono per specialità sulle norme in tema di revocazione ordinaria.