Cass. civ. Sez. V, Sent., 03 maggio 2019, n. 11664


Svolgimento del processo

  1. La Società … ricorre per la cassazione della sentenza della commissione tributaria regionale toscana in data 22.1.2014, n. 109, con la quale è stata ritenuta legittima la fattura emessa il 21 maggio 2010 dalla …, concessionaria del servizio di riscossione della tariffa di igiene ambientale nel Comune di Agliana, per il pagamento della tariffa relativa agii anni dal 2005 al 2008 e a locali, facenti parte delle strutture del …, concessi da quest’ultimo in comodato alla ricorrente per l’esercizio di attività di ristorazione.
  2. La società … non ha svolto difese.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso, la contribuente lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n.546 del 1992, art.19, della L. n.212 del 2000, art.7, della L. n.296 del 2006, art.1 commi 161 e 162, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la commissione tributaria regionale ritenuto la fattura legittima malgrado la stessa non recasse la indicazione del termine e delle forme da osservare per la relativa impugnazione, nè l’indicazione del responsabile del procedimento, né l’indicazione dei criteri giustificativi dell’aliquota applicata e delle norme poste a base della pretesa.
  2. Il motivo è infondato.

2.1. Per quanto concerne la mancata indicazione, nella fattura, del termine e delle forme per la relativa impugnazione, la Corte, in riferimento al D.Lgs. n.546 del 1992, art.19, ha affermato che detta indicazione, da un lato, non è riferibile ad atti diversi da quelli tipicamente impugnabili, dall’altro, neppure per questi ultimi è imposta a pena di illegittimità (v. sentenza n. 10987 del 18/05/2011, resa riguardo ad avvisi bonari emessi dall’amministrazione ma con statuizione riferibile anche alle fatture con cui il concessionario dell’amministrazione chiede il pagamento di un tributo, secondo cui “In tema di contenzioso tributario, devono ritenersi impugnabili gli avvisi bonari con cui l’Amministrazione chiede il pagamento di un tributo (nella specie emessi da un Comune e riguardanti la TARSU) in quanto essi, pur non rientrando nel novero degli atti elencati nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n.546, art.19 e non essendo, perciò, in grado di comportare, ove non contestati, la cristallizzazione del credito in essi indicato, esplicitano comunque le ragioni fattuali e giuridiche di una ben determinata pretesa tributaria, ingenerando così nel contribuente l’interesse a chiarire subito la sua posizione con una pronuncia dagli effetti non più modificabili. Il giudice investito dell’impugnazione non può annullare gli avvisi ritenendo che i predetti debbano avere gli stessi requisiti di quelli indicati nell’art. 19 citato ed in particolare che in essi debba essere contenuta l’indicazione, prevista nel comma 2 dello stesso art. 19, del termine entro il quale il ricorso deve essere proposto, della commissione tributaria competente e delle forme e dei termini per proporre ricorso, essendo tali requisiti, previsti, peraltro neppure a pena di nullità, soltanto per gli atti tipici”. V. altresì Cass. n. 20634 del 30/07/2008 e n. 14482 del 29/09/2003, ove è evidenziato che “in tema di contenzioso tributario, alla mancata o erronea indicazione nell’atto impugnabile della commissione tributaria competente, delle forme, o del termine per proporre ricorso, non segue la nullità dell’atto”, perchè la previsione normativa – D.Lgs. n.546 del 1992, art.19 – che impone tali indicazioni è “sprovvista di alcuna sanzione in caso di omissione”). Anche in riferimento alla L. n.212 del 2000, art.7 (altra disposizione evocata nel motivo, oltre a quella del D.Lgs. n.546 del 1992, art.19, unitamente a quella, in parte qua, di identico tenore della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162), questa Corte ha affermato che la mancata indicazione del termine o dell’organo di fronte al quale impugnare l’atto impositivo non inficia la validità dell’atto stesso, non essendo tale mancanza in alcun modo sanzionata (tra molte, v. Cass. n. 301 del 09/01/2018; Cass., n. 19675 del 27/09/2011).

2.2 Per quanto concerne la mancata indicazione, nella fattura, del responsabile del procedimento, vale il rilievo per cui detta indicazione è sì richiesta dalla L. n.212 del 2000, art.7, comma 2 lett. a), per ogni atto così dell’amministrazione come dei concessionari della riscossione, ma, ancora, non a pena di invalidità dell’atto (v. Cass. 11856/2017 la quale precisa che la sanzione di nullità per omessa indicazione del responsabile del procedimento è prevista solo per le cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008, per le quali è stata specificamente introdotta dal D.L. n.248 del 2007, art.36, comma 4-ter, conv., con modif., dalla L. n.31 del 2008). 

2.3. Per quanto concerne, infine, la denunciata mancanza, nella fattura, dei criteri giustificativi dell’aliquota applicata e delle norme poste a base della pretesa, si osserva che il riferimento alla mancata indicazione delle norme appare inammissibile per difetto di specificità (art. 366 c.p.c.) non avendo la contribuente precisato quando detta mancanza -della quale la sentenza impugnata non dà conto- sia stata eccepita nei gradi di merito ed appare altresì ininfluente avendo la commissione evidenziato che la tariffa riportava la causale della pretesa, mentre il riferimento alla mancanza dei criteri giustificativi della aliquota applicata è smentito dalla precisazione fatta dai giudici di appello e non sindacabile in questa sede, per cui “la fattura contiene già in sè l’accertamento del debito imputato alla causale e al periodo temporale ivi specificati… quanto ai criteri di computo, la fattura contiene il chiaro riferimento alla superficie e ai periodi di imposizione per ciascuno dei quali è indicato l’ammontare della tariffa rapportato alla tipologia dell’uso degli stessi (ristorazione)”.

3) Con il secondo motivo di ricorso, la contribuente lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art.19, della L. n. 212 del 2000, art.7, della L. n.296 del 2006, art.1, commi 161 e 162, dell’art. 111 Cost., omessa o irragionevole e contraddittoria motivazione, inosservanza dei principi del giusto processo e del regolare contraddittorio, in relazione all’art.360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la commissione tributaria regionale affermato che la fattura in questione “deriva dall’atto di iscrizione d’ufficio negli elenchi (o ruoli) degli utenti del servizio di igiene ambientale effettuata dalla C.I.S. nei confronti della società appellata e non impugnata nonostante che tale iscrizione fosse stata preceduta da un avviso in data 16 dicembre 2009 e dal successivo sopralluogo teso a verificare superficie e tipologia d’uso dei locali”, senza considerare che l’avviso è successivo di circa due anni al rilascio (il 31 marzo 2009) dell’immobile da parte di essa ricorrente e che gli esiti del sopralluogo non le furono mai comunicati.

4) Il motivo è inammissibile perchè incentrato su un passaggio motivazionale non decisivo posto che, essendo la tariffa “applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale” (L. n. 22 del 1997, art. 49, comma 3), essendo incontroversa la superficie deì locali occupati dalla contribuente e sui quali la tariffa è stata calcolata (mq. 181) ed essendo parimenti incontroversa la “tipologia d’uso” di detti locali (destinati ad attività di ristorazione), è appunto non decisivo che l’iscrizione della società negli elenchi (o ruoli) degli utenti del servizio di igiene ambientale e la prodromica verifica siano state effettuate dopo il rilascio dei locali e possano non essere state per ciò conosciute dalla contribuente.

5) Con il terzo motivo di ricorso, la contribuente lamenta violazione o falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art.1, comma 162, nonché degli artt. 2968 e 2969 c.c., in relazione all’art.360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la commissione tributaria regionale trascurato di rilevare la decadenza dal potere impositivo in cui l’amministrazione comunale di … era incorsa per non avere mai notificato ad essa ricorrente un avviso di accertamento.

6) Il motivo è inammissibile perché veicola una questione nuova rispetto a quelle oggetto del giudizio di merito.

7) Con il quarto motivo di ricorso, la contribuente lamenta violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n.22 del 1997, art.49, illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza, in relazione all’art.360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per avere la commissione tributaria regionale errato nell’escludere la rilevanza -ai fini, quanto meno, di una riduzione dell’obbligo tributario facente capo ad essa contribuente- delle clausole degli accordi negoziali conclusi con il … (proprietario della struttura) nelle quali era stato previsto che i locali in cui veniva esercitata l’attività di ristorazione non erano nella disponibilità esclusiva della ricorrente restando fruibili anche dai soci del … per scopi diversi e senza obbligo di consumazione dei pasti o bevande, che detti locali dovevano essere aperti secondo orari concordati, che il … aveva un potere di controllo sullo svolgimento dell’attività di ristorazione, che utenze e forniture erano rimaste intestate al … salvo rimborso da parte della contribuente della quota di competenza.

8) Il motivo è infondato. Ai sensi della L. n. 22 del 1997, art. 49, comma 3, “la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale”.

In disparte le altre previsioni negoziali richiamate – previsioni del tutto inconferenti, come giustamente sottolineato dalla commissione, a fronte del chiaro disposto normativo-, essendo incontroverso che la contribuente abbia detenuto l’intera superficie sulla quale la tariffa d’igiene ambiente è stata calcolata, la sentenza impugnata si sottrae a censura atteso che il possibile utilizzo di detta superficie anche da parte (dei soci) del Circolo non esclude nè limita l’obbligo del pagamento della tariffa a carico della contribuente essendo chiara la lettera della legge nel dire che l’obbligo fa capo a “chiunque occupi oppure conduca locali” e valendo quindi il principio per cui, in caso di occupazione o conduzione di locali da parte di più soggetti, tutti gli occupanti o conduttori sono tenuti in solido (art. 1294 c.c.).

9) Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato.

10) Niente sulle spese attesa la mancata costituzione della parte intimata.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

ai sensi del testo unico approvato con il D.P.R. 30 maggio 2002, n.115, art.13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n.228, art.1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 3 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 maggio 2019


COMMENTO

La tariffa di igiene ambientale deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale.