Tra le fattispecie di carattere penale che più spesso possono interessare l’attività di qualsiasi organo notificatore (Ufficiale giudiziario, messo comunale, messo notificatore, agente postale, avvocato autorizzato ad eseguire in proprio le notificazioni, ecc.), un posto di preminente rilievo spetta senza dubbio alle fattispecie di falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 476 c.p.) e di falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici (art. 479 c.p.).

Entrambe tali fattispecie delittuose sono punite generalmente con la reclusione da uno a sei anni e, quando concernenti un atto o parte di un atto che faccia fede fino a querela di falso (come nel caso della relata di notifica, dell’avviso di ricevimento relativo alla notifica postale o del suo duplicato), con la reclusione da tre a dieci anni.

Secondo la giurisprudenza di legittimità, integra il delitto di falsità materiale la modificazione di una realtà documentale preesistente rispetto a quella che l’autore del falso fa apparire.

Pertanto, la falsità materiale compromette la “genuinità” di un documento, comportandone una contraffazione o un’alterazione.

La prima identifica la formazione di un documento da parte di una persona diversa da quella da cui apparentemente lo stesso risulta provenire; la seconda fa riferimento ad una condotta avente ad oggetto un documento già definitivamente formato, sul quale si operano delle modifiche (ad esempio, mediante aggiunte, cancellature, abrasioni, etc.)

Così, ad esempio, commette il delitto di falsità materiale (mediante contraffazione) il notificatore che appone sulla relata di notifica la sottoscrizione di un altro notificatore. 

Parimenti, commette tale delitto (mediante alterazione) il notificatore che modifica, cancella o comunque altera il nominativo del destinatario o l’indirizzo presenti sull’atto da notificare, sul piego postale che lo contiene (in caso di notificazione a mezzo posta), sulla relata di notifica o sull’avviso di ricevimento che deve essere restituito al mittente.

Diversamente, ricorre la falsità ideologica, quando il documento è genuino e proviene realmente da chi appare esserne l’autore, ma il suo contenuto non corrisponde al vero.

Pertanto, la falsità ideologica compromette la “veridicità” di un documento.

Affinché possa configurarsi tale fattispecie delittuosa, è necessario che l’immutatio veri inerisca a “fatti” dei quali l’atto è destinato a provare la verità.

Commette quindi il delitto di falsità ideologica il notificatore che, accertata la presenza del destinatario sul luogo di consegna, attesti invece la sua temporanea assenza e perfezioni la notifica a mani di un consegnatario abilitato o mediante la procedura della cd. “assenza”.

Allo stesso modo, commette il delitto di falsità ideologica il notificatore che, accertata l’assenza solo temporanea del destinatario dal luogo di notifica, ne attesti invece l’irreperibilità assoluta, malgrado il nominativo del destinatario risulti regolarmente presente sul citofono o sulle cassette postali.

La giurisprudenza penale esclude generalmente il concorso formale tra i delitti di falsità materiale e falsità ideologica, laddove la falsità riguardi il medesimo documento, posto che, quando l’atto risulti alterato o contraffatto, risulta irrilevante che lo stesso sia oppure no veridico.

Entrambe le fattispecie delittuose di cui agli artt. 476 e 479 c.p. richiedono l’elemento soggettivo del dolo generico, inteso come coscienza e volontà, da parte dell’autore del reato, di operare la contraffazione o l’alterazione (nel caso della falsità materiale) o di attestare una circostanza non corrispondente al vero (nel caso della falsità ideologica).

Non è invece richiesto alcun dolo specifico, inteso come finalità di recare vantaggio o danno ad alcuno.

Parimenti, risulta irrilevante l’erronea opinione dell’agente di non agire nella qualità di pubblico ufficiale, trattandosi di errore sulla legge penale (che, a differenza dell’errore sul fatto, non può mai escludere il dolo).