Cass. civ., sez. V, ord., 21 settembre 2021 n. 25451


Svolgimento del processo

che:

Z.P.G., in proprio e nella qualità di ultimo legale rappresentante dell’Associazione Gruppo Ciclistico Sportivo Dilettantistico Alto Vicentino, impugnava l’avviso di accertamento per Iva, Irap e Ires per il 2006 emesso nei confronti dell’associazione e dell’ex legale rappresentante, e notificato a quest’ultimo, in relazione a operazioni oggettivamente inesistenti per prestazioni pubblicitarie e sponsorizzazioni.

Il ricorrente deduceva l’inesistenza dell’atto impositivo in quanto emesso nei confronti di soggetto che era già cessato e, nel merito, l’infondatezza della pretesa.

L’impugnazione, accolta dalla CTP di Vicenza, era rigettata dalla CTR in epigrafe che riteneva correttamente intestato l’avviso alla associazione, essendo stati rettificati i suoi proventi, cui era seguita, attesa l’intervenuta estinzione della stessa, la notifica dell’atto al soggetto nei cui confronti permanevano i rapporti non definiti.

Il contribuente propone ricorso per cassazione, con due motivi. L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Motivi della decisione

che:

  1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 38 c.c., per aver la CTR ritenuto l’avviso di accertamento valido ancorché emesso a carico di soggetto non più esistente.

Rileva, in particolare, che ai sensi dell’art. 38 c.c., l’atto avrebbe dovuto essere intestato al soggetto materiale esecutore dell’attività effettivamente svolta e fondativa delle obbligazioni dell’associazione, condizioni la cui prova era, inoltre, a carico dell’Agenzia delle entrate.

  1. Il motivo è infondato.

2.1. Occorre premettere, in primo luogo, che l’estinzione o la cessazione dell’ente di diritto comune ossia, nella specie, dell’associazione (non riconosciuta) non preclude, di per sé, all’Amministrazione finanziaria la possibilità di far valere le pretese fiscali emerse con riguardo al periodo di sua esistenza.

Milita in tal senso la circostanza che per l’erario i termini per l’accertamento, previsti quanto all’Iva dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, e per le imposte dirette dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, decorrono dall’anno (successivo) a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, sicché, ove si ritenesse che l’estinzione del soggetto intervenuta nelle more fosse idonea ad impedire la ripresa, ne deriverebbe una ingiustificata riduzione dei termini in deroga delle norme in questione.

2.2. E’ invece esatto che, cessato il soggetto, l’azione accertativa (fuori dalle ipotesi D.Lgs. n. 175 del 2014, ex art. 28, comma 5, qui non rilevante e, comunque, non applicabile ratione temporis) non può più essere esperita direttamente nei confronti dell’ente, né ad esso, in quanto non più esistente, può essere notificato l’avviso.

In questa evenienza, difatti, la pretesa può essere rivolta solo nei confronti di coloro che sono succeduti nella posizione che era propria già dell’ente.

Con riguardo alle società, invero, le Sezioni Unite, dapprima con le decisioni 22 febbraio 2010, n. 4060, n. 4061 e n. 4062 (chiarendo che la norma sulla cancellazione riguardava le società sia di capitali che di persone), poi, con intervento specifico rilevante anche sulle questioni qui in rilievo, con le sentenze 12 marzo 2013, n. 6070, n. 6071 e n. 6072, hanno precisato che l’estinzione della società si produce anche qualora rimangano debiti insoddisfatti, poiché, in tale evenienza, i creditori potranno far valere le loro ragioni nei confronti dei soci, considerati successori universali seppur sui generis, e, se in colpa, nei confronti dei liquidatori. Si è inoltre affermato, con le medesime pronunce, che, dopo l’estinzione, la società non può agire in giudizio o essere legittimamente convenuta.

2.3. La vicenda in giudizio invero riguarda un soggetto diverso dalle società poiché viene in considerazione una associazione non riconosciuta, rispetto alla quale diversamente si atteggiano i presupposti per la sua estinzione e per la responsabilità residua per le obbligazioni pregresse.

Sotto il primo profilo, infatti, l’associazione non riconosciuta (diversamente da quella riconosciuta) si estingue immediatamente, ipso facto, con il verificarsi di una delle cause di estinzione (identiche a quelle previste per l’associazione riconosciuta) e la liquidazione si attua secondo le modalità stabilite dallo statuto o dall’assemblea, senza che si applichi ex lege il particolare procedimento di liquidazione previsto per le associazioni riconosciute dagli artt. 29, 30, 31 e 32 c.c., e dal relativo art. 11 disp. att..

Sotto il secondo profilo, l’art. 38 c.c., prevede “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”: ne deriva che, in caso di estinzione dell’associazione non riconosciuta, la pretesa può legittimamente essere fatta valere nei confronti di coloro che “hanno agito in nome e per conto dell’associazione” e, dunque, nei confronti, in particolare, dell'”ultimo” legale rappresentante della associazione stessa, destinatario di una obbligazione personale e solidale.

2.4. Da tale premessa emerge chiaramente che la pretesa può essere legittimamente fatta valere, una volta estinta l’associazione non riconosciuta, direttamente nei confronti del legale rappresentante, al quale l’atto, pur intestato all’associazione, deve essere notificato.

L’irrilevanza della intestazione dell’atto al soggetto cessato e la necessità, invece, che l’atto sia notificato agli “eredi” trova, del resto, un preciso riscontro normativo nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 65, comma 4, secondo il quale “La notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso…” (v. anche Cass. n. 31037 del 28/12/2017; Cass. n. 25487 del 12/10/2018, che precisa che la notifica al socio dell’atto impositivo intestato alla società “trova fondamento nel fenomeno successorio che si realizza con riferimento alle situazioni debitorie gravanti sul dante causa, con ciò realizzandosi comunque lo scopo della citata disciplina, che è quello di rendere edotto almeno uno dei successori della pretesa azionata nei confronti della società”; da ultimo Cass. n. 7545 del 31/03/2021 in motivazione).

Occorre infine precisare, sul punto, che, in questa evenienza, tale soggetto può essere destinatario della pretesa e dell’avviso sotto la duplice veste di responsabile diretto e solidale e, in via “successoria”, di ex legale rappresentante dell’associazione stessa.

2.5. Nella vicenda in giudizio è incontroverso che l’associazione era già cessata al momento dell’emissione dell’avviso e, anzi, prima ancora dell’avvio della verifica.

L’avviso, tuttavia, è stato espressamente intestato nei confronti sia dell’associazione, sia dell’ex legale rappresentante della stessa, tant’è che – come riprodotto nello stesso ricorso – l’avviso era corredato di due pagine n. 1, la prima riferita all’associazione “rappresentata dal Signor Z.”, la seconda direttamente al “Signor Z. in qualità di legale rappresentante”.

L’atto impositivo, infine, è stato notificato direttamente al sig. Z.. Ne deriva che, da un lato, l’avviso era stato, ab origine, emesso sia nei confronti dell’associazione, sia nei confronti del soggetto responsabile in solido ex art. 38 c.c.; dall’altro, la stessa circostanza che l’atto fosse stato notificato al medesimo sig. Z., con spendita della qualità in concreto rilevante, rende ben chiaro – come del resto accertato in fatto dalla CTR – che l’intestazione dell’avviso all’associazione non riconosciuta e la determinazione dei rilievi in riferimento all’attività svolta da parte della stessa individuava non già il destinatario, non più esistente, ma il titolo della ripresa e della responsabilità dell’ex rappresentante legale, cui l’atto era rivolto anche nella sua qualità di “successore”.

2.6. E’ invece inammissibile l’ulteriore profilo dedotto nel motivo relativo alla asserita insufficienza della qualità formale di legale rappresentante e alla necessità della prova dell’effettivo svolgimento dell’attività rilevante ai fini della responsabilità ex art. 38 c.c.. 

Si tratta, difatti, di questione che viene posta per la prima volta in sede di legittimità, e, comunque, resta ininfluente ai fini della responsabilità del contribuente in via “successoria”.

  1. Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, commi 1 e 2, per non aver la CTR annullato l’avviso in quanto motivato per relationem ad atti non disponibili perché coperti da segreto istruttorio penale.

Lamenta, inoltre, la violazione dell’art. 2697 c.c., per aver la CTR ritenuto legittima la pretesa ancorché sfornita di prova.

3.1. Il motivo è inammissibile per entrambi i profili.

Quanto all’asserito difetto di motivazione dell’avviso per mancata allegazione e/o riproduzione degli atti richiamati per relationem è dirimente che la CTR, con puntuale accertamento in fatto, neppure censurato, ha rilevato che “gli atti richiamati sono stati notificati al legale rappresentante legale e giudiziale della associazione e pertanto sono perfettamente conoscibili”, da cui l’insussistenza del lamentato vizio e l’inammissibilità della doglianza.

Quanto all’asserita carenza di prova, la doglianza è parimenti inammissibile in quanto carente di specificità, risolvendosi, in realtà, in una mera generica contestazione sulla valutazione delle prove da parte della CTR, senza neppure prendere in considerazione l’ampia e puntuale disamina operata dal giudice d’appello, corredata da precisi riscontri agli elementi di fatto e alle fonti di prova (v. in particolare pag. 4, terzo capoverso, della sentenza impugnata).

  1. Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese sono regolate per soccombenza come da dispositivo.

P.Q.M. 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese a favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in complessive Euro 4.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 11 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 settembre 2021


COMMENTO– La vicenda in esame trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento per IVA, IRES ed IRAP emesso nei confronti di un’associazione non riconosciuta ormai già estinta, nonché nei confronti dell’ultimo legale rappresentante della stessa.

Quest’ultimo impugnava l’avviso di accertamento, sia in proprio, sia nella predetta qualità di ex legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta estinta, deducendo tra l’altro l’inesistenza dell’atto tributario, proprio perché emesso nei confronti di un soggetto non più giuridicamente esistente.

Il ricorso trovava accoglimento in primo grado, ma la relativa decisione veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale.

Quest’ultima riteneva che correttamente l’avviso di accertamento fosse stato emesso nei confronti dell’associazione non riconosciuta, quale soggetto i cui proventi erano stati rettificati; altrettanto correttamente, stante la già avvenuta estinzione dell’ente, l’avviso di accertamento era poi stato notificato all’ultimo legale rappresentante, quale soggetto nei cui confronti permanevano i rapporti non ancora definiti dell’associazione estinta.

Avverso la pronuncia di appello il contribuente propone ricorso per Cassazione che tuttavia, con l’ordinanza in commento, viene interamente respinto.

La Suprema Corte muove dalla premessa secondo cui l’estinzione o la cessazione di un ente di diritto comune -quale, nel caso di specie, un’associazione non riconosciuta- non preclude all’Amministrazione finanziaria la possibilità di far valere le pretese fiscali relative al periodo della sua esistenza. 

Tuttavia, una volta che l’ente di diritto comune sia per qualsiasi causa cessato, l’azione di accertamento (al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 28, comma 4, D.lgs. 21 novembre 2014 n. 175, non applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame) non può più essere esperita direttamente nei confronti dell’ente, ma deve invece essere rivolta nei confronti di coloro che sono succeduti nella posizione già facente capo a quest’ultimo.

Conseguentemente, all’ente estinto neppure può essere notificato l’avviso di accertamento.

Fermi restando tali principi generali, la vicenda estintiva dell’ente si differenzia a seconda della sua natura giuridica.

Con riguardo alle società, l’estinzione si produce al momento della cancellazione dal registro delle imprese, anche qualora rimangano debiti insoddisfatti: in tal caso, i creditori potranno far valere le proprie ragioni nei confronti dei soci, considerati quali successori universali sui generis, e, se in colpa, nei confronti dei liquidatori.

Tale principio, espressamente statuito per le società di capitali dall’art. 2495 c.c., è stato esteso dalla giurisprudenza di legittimità anche alle società di persone, per ragioni di parità di trattamento dei terzi creditori delle società commerciali di qualsiasi tipo e natura (Cass. civ., Sezioni Unite, 22 febbraio 2010 n. 4060, n. 4061 e n. 4062; Cass. civ., Sezioni Unite,12 marzo 2013 n. 6070, n. 6071 e n. 6072).

Per le società di capitali la cancellazione dal registro delle imprese (analogamente all’iscrizione in esso) riveste efficacia costitutiva e, pertanto, produce l’estinzione della società senza possibilità di prova contraria; diversamente, nelle società di persone, la cancellazione (così come l’iscrizione) riveste efficacia di pubblicità dichiarativa, cosicché il creditore sociale è ammesso a fornire la prova contraria rispetto all’estinzione. Quest’ultima non può tuttavia vertere sul mero dato statico della pendenza di rapporti sociali non ancora definiti, ma deve invece consistere nel fatto dinamico della continuazione dell’attività sociale anche dopo la cancellazione dal registro delle imprese.

La vicenda estintiva si configura in maniera ancora diversa nel caso di specie, relativo ad un’associazione non riconosciuta.

Quest’ultima (a differenza dell’associazione riconosciuta) si estingue immediatamente, ipso facto, con il verificarsi di una delle cause di estinzione (identiche a quelle previste per l’associazione riconosciuta) e la liquidazione si attua secondo le modalità stabilite dallo statuto o dall’assemblea, senza che si applichi ex lege il particolare procedimento di liquidazione previsto per le associazioni riconosciute.

L’art. 38 c.c. prevede che “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione“.

Da tale norma deriva che, in caso di estinzione dell’associazione non riconosciuta, la pretesa può legittimamente essere fatta valere nei confronti di coloro che “hanno agito in nome e per conto dell’associazione” e quindi, in particolare, nei confronti dell'”ultimo” legale rappresentante dell’associazione stessa, destinatario di un’obbligazione personale e solidale.

In conclusione, quindi, una volta estinta l’associazione non riconosciuta, la pretesa fiscale può essere fatta valere direttamente nei confronti dell’ultimo legale rappresentante, al quale l’atto, pur se intestato all’associazione, deve essere notificato.

Tale soggetto può essere destinatario della pretesa e dell’avviso sotto la duplice veste di responsabile diretto e solidale e, in via “successoria”, di ex legale rappresentante dell’associazione stessa.

L’ordinanza in commento reputa invece inammissibile l’ulteriore profilo di ricorso, relativo all’asserita insufficienza della qualità formale di legale rappresentante e alla necessità di provare che tale soggetto abbia effettivamente e concretamente svolto un’attività rilevante (ossia, secondo la lettera dell’art. 38 c.c., abbia “agito in nome e per conto dell’associazione“).

La questione non viene presa in esame, in quanto inammissibile, poiché posta per la prima volta in sede di legittimità, ed in ogni caso ininfluente, stante l’affermazione della responsabilità in via “successoria” dell’ultimo legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta estinta.

In tal modo, l’ordinanza non chiarisce tuttavia in modo definitivo se la qualità formale di legale rappresentante dell’associazione non riconosciuta sia di per sé sufficiente a far ritenere, sempre e comunque, che il soggetto abbia “agito in nome e per conto dell’associazione“.

Parimenti, lascia aperto il problema della responsabilità del soggetto che abbia “agito in nome e per conto dell’associazione“, pur senza rivestire la qualità formale di legale rappresentante.

Infine, nel caso di successione di diversi legali rappresentanti nel tempo, lascia aperta la questione del riparto di responsabilità tra l’ultimo legale rappresentante (i.e.: colui che è tale al momento dell’estinzione dell’associazione non riconosciuta, e che l’ordinanza in esame parrebbe ritenere in ogni caso responsabile, quanto meno “in via successoria”) e colui che abbia rivestito tale qualità al momento della nascita dell’obbligazione fiscale (e che dunque possa, in quel momento, aver “agito in nome e per conto dell’associazione“).

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano – Roma