Cons. Stato Sez. VI, Sent., (ud. 10-03-2022) 13-05-2022, n. 3788
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 670 del 2021, proposto dalla R.M. s.n.c., in persona del legale rappresentante pro tempore R.M., rappresentata e difesa dagli avvocati G. L.S., M.A. S., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Comune di …………., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato A.C., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per l’Umbria (Sezione Prima) n. 00468/2020, resa tra le parti.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di ………..;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 marzo 2022 il Cons. Roberta Ravasio e uditi per le parti gli avvocati indicati in verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
- La ricorrente é titolare in Comune di Spoleto di un ristorante che si affaccia sulla piazza F.B., soggetta a vincolo paesaggistico e monumentale.
- Nel 1989 essa era stata autorizzata, in via precaria e per il solo periodo estivo, alla posa di una tettoia e di una pedana in legno. Nel 2003, con permesso di costruire n. 11704/2003 era stata, invece, autorizzata, sempre e solo per il periodo estivo, ad installare una tenda avvolgibile: con variante n. 3195/2004 la società appellante era stata anche autorizzata alla sostituzione del piano di calpestìo in legno, comunque sempre limitatamente al periodo estivo (docc. 3, 4 e 5 del fascicolo di primo grado del Comune).
- Nel giugno 2014 il Comune ha diffidato la società appellante a smontare la pedana, non essendo stata presentata per quella annualità la richiesta di autorizzazione alla occupazione di spazio pubblico, ed avendo l’Amministrazione necessità di eseguire lavori sulla pubblica piazza: solo nel mese di settembre la R.M. ha rimosso la pedana.
- Tuttavia, a seguito di accesso in loco del 2 dicembre 2014, l’Amministrazione ha accertato che la ricorrente aveva posato una pedana nuova e diversa da quella precedentemente autorizzata, cioè una pedana orizzontale delle dimensioni di mt. 8,90 x mt. 3,18, sopraelevata dal pavimento di circa mt. 0,50, sormontata da pilastrini e da altra struttura a sostegno di una tenda in pvc, con altezza variabile tra mt. 2,91 e mt. 2,24; la pedana era utilizzata per l’allocazione, all’esterno della sala ristorante, di tavoli e sedie in uso alla clientela, e risultava collocata direttamente sulla piazza, e realizzata senza preventiva acquisizione del parere paesaggistico e monumentale.
- Conseguentemente il Comune ha emesso l’ordinanza di demolizione n. 61 del 26 marzo 2015, a mezzo della quale ha disposto la rimessione in pristino dello stato dei luoghi.
- La società ricorrente si è allora determinata a chiedere, con istanza del 26 maggio 2015, la sanatoria ed il parere di compatibilità paesaggistica ex art. 21 D.Lgs. n. 42 del 2004, il quale ultimo, tuttavia, non è stato reso nei 90 giorni successivi.
- Non essendo pervenuto il parere di compatibilità paesaggistica, necessario ai sensi dell’art. 21, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, in ragione del vincolo monumentale insistente sulla piazza, il procedimento di sanatoria é stato archiviato.
- L’appellante ha quindi impugnato, con il ricorso introduttivo del primo grado di giudizio, l’ordine di demolizione, e con motivi aggiunti il provvedimento di archiviazione della sanatoria.
- Il Comune, costituendosi nel primo grado di giudizio, ha eccepito l’improcedibilità del ricorso in ragione dell’avvenuta presentazione della istanza di sanatoria aveva determinato il venir meno dell’ordine di demolizione già notificato alla società R..
- Con la sentenza del cui appello si tratta il TAR per l’Umbria ha respinto ambedue le impugnazioni sul rilievo, ritenuto dirimente, che in assenza del parere del Soprintendente, nella specie obbligatorio e vincolante, la pratica di sanatoria non avrebbe potuto avere esito favorevole, ragione per cui il TAR riteneva di poter prescindere dall’esame dell’eccezione di improcedibilità sollevata dal Comune.
- La società ha impugnato l’indicata decisione per i motivi che in appresso saranno esaminati.
- Il Comune ha resistito, riproponendo l’eccezione di improcedibilità.
- La causa è stata chiamata alla camera di consiglio del 16 marzo 2021, in occasione della quale il Collegio ha accolto la domanda incidentale di sospensione dell’impugnata sentenza, e quindi alla pubblica udienza del 10 marzo 2022, allorché è stata trattenuta in decisione.
- Preliminarmente il Collegio deve dare atto dell’infondatezza della eccezione di improcedibilità sollevata dal Comune: da tempo, infatti, la Sezione ha è uniformata all’orientamento secondo cui la presentazione di una istanza di sanatoria, ove si tratti di istanza ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380 del 2001, determina una situazione di mera inefficacia temporanea della misura impugnata, destinata a cessare una volta definito il procedimento di sanatoria, ragione per cui la definizione del procedimento in senso sfavorevole, con provvedimento espresso o per silenzio, determinerà la “riespansione” dell’originario ordine di demolizione che riacquisterà efficacia senza necessità di ricorrere all’adozione di ulteriori provvedimenti (Cons. Stato, Sez. VI, n. 2855 del 14 aprile 2022; Cons. Stato, Sez. II, 19 febbraio 2020 n. 1260). Tale orientamento è stato ritenuto maggiormente coerente con il principio di certezza delle situazioni giuridiche che, come già affermato dalla Sezione, subirebbe un vulnus qualora si riconoscesse al privato sanzionato la possibilità, mediante la semplice reiterazione di istanze di sanatoria, di precludere il dispiegamento degli effetti propri della misura impugnata innescando “un procedimento ricorsivo senza fine perché il soggetto sanzionato potrebbe rinnovare (senza limitazioni di alcun genere) la domanda a seguito della riadozione di quel provvedimento” (Cons. Stato, Sez. VI, 16 febbraio 2021, n.1432.
- Nel merito l’appello si fonda sui motivi che di seguito si possono riassumere:
(i) il TAR non ha considerato che la pedana, oggetto degli atti impugnati nel presente giudizio, era meramente sostitutiva di una preesistente, e quindi la pratica di autorizzazione avrebbe dovuto seguire la legislazione vigente al momento della posa originaria (1989), e comunque considerare che l’autorizzazione del Soprintendente non era necessaria, essendo stata acquisita in origine;
(ii) il TAR non ha considerato che nel corso degli anni la società appellante ha continuato a corrispondere il pagamento relativo alla occupazione di spazio pubblico, che il Comune puntualmente esigeva;
(iii) il TAR non ha considerato che il tecnico della società appellante, dopo aver trasmesso la richiesta di parere di compatibilità alla Soprintendenza, l’ha sollecitato con diffida inviata mediante pec dell’8 febbraio 2016; pertanto , ai sensi dell’art. 22, comma 4, del D.Lgs. n. 42 del 2004, decorso infruttuosamente il termine di 30 giorni dal ricevimento di tale diffida, si sarebbe formato il silenzio assenso.
- Va subito sgombrato il campo sulla possibilità che l’autorizzazione della Soprintendenza possa essersi formata per silenzio-assenso. È vero, come sostiene l’appellante, che il procedimento per l’acquisizione del parere della Soprintendenza relativo agli interventi su beni culturali è regolato dall’art. 22 del D.Lgs. n. 42 del 2004, il quale fissa in 120 giorni il termine entro il quale il parere deve essere rilasciato; tuttavia al comma 4 la norma prevede che “decorso inutilmente il termine stabilito, il richiedente può diffidare l’amministrazione a provvedere. Se l’amministrazione non provvede nei trenta giorni successivi al ricevimento della diffida, il richiedente può agire ai sensi dell’articolo 21-bis della L. 6 dicembre 1971, n. 1034, e successive modificazioni”, e ciò significa che non si forma mai un silenzio-assenso, ma solo una fattispecie di silenzio-inadempimento, contro il quale la parte interessata può tutelarsi con l’azione prevista dall’art. 117 c.p.a..
16.1. Di conseguenza risulta erroneo l’assunto, sostenuto nel terzo motivo d’appello, secondo cui la diffida dell’8 febbraio 2016, inviata dal tecnico della società appellante alla Soprintendenza, avrebbe determinato la formazione dell’assenso della Soprintendenza.
16.2. Ciò premesso il Comune correttamente ha disposto l’archiviazione del procedimento di sanatoria, non potendosi ammettere che una tale pratica, che produce l’effetto di paralizzare temporaneamente gli effetti dell’ordine di demolizione, rimanga aperta a tempo indefinito, in attesa che la parte interessata compulsi l’amministrazione che deve rendere il provvedimento. La società appellante, quindi, per evitare l’archiviazione del procedimento di sanatoria avrebbe dovuto, tempestivamente, agire in giudizio con azione ex art. 117 c.p.a., onde obbligare la Soprintendenza a pronunciarsi con un provvedimento espresso.
16.3. Sulla base delle considerazioni che precedono va respinto il terzo motivo d’appello.
- Con i primi due motivi d’appello, invece, la società tenta di accreditare la tesi secondo cui le opere oggetto dell’ordine di demolizione del 26 marzo 2015 sarebbero già assistite dalle autorizzazioni del caso: da parte della Soprintendenza si dovrebbe fare riferimento a quella rilasciata l’11 luglio 2013, prima della posa della pedana preesistente, e da parte del Comune il riferimento sarebbe all’autorizzazione rilasciata dalla Commissione Edilizia integrata il 15 maggio 2003; l’esistenza di una autorizzazione permanente sarebbe implicita, o comunque dimostrata, dalla volontà di continuare a pretendere, per ogni annualità, il pagamento della tassa relativa all’occupazione di spazio pubblico.
17.1. La tesi non è sostenibile. Le opere preesistenti, a quelle oggetto di contestazione, erano state autorizzate come opere precarie, con possibilità di mantenerle in sito solo durante il periodo estivo, mentre le opere oggetto di contestazione sono state realizzate nel mese di novembre 2014 e reperite in loco nel mese di dicembre successivo, evidentemente con pretesa di farle divenire opere permanenti. Pertanto, anche a voler concedere – ancorché in effetti non dimostrato – che quelle da ultimo realizzate siano opere uguali e identiche a quelle precedentemente autorizzate, la società appellante, dopo aver rimosso la pedana a settembre 2014, avrebbe dovuto presentare istanza per il rilascio di un permesso di costruire per farsi autorizzare a ricollocare la pedana e la struttura di sostegno della tenda in pvc come opera permanente, chiedendo anche il relativo parere della Soprintendenza, e solo dopo, semmai, procedere alla reinstallazione. Dunque, per il solo fatto le opere oggetto degli atti impugnati sono state realizzate e mantenute oltre ai limiti temporali previsti nei precedenti atti autorizzativi, del 1989, 2003 e 2003, non possono considerarsi consentite da essi, né meramente sostitutive delle opere ivi assentite.
17.2. Viceversa, se la appellante fosse stata costretta a rimuovere la pedana durante il periodo estivo, ad esempio per consentire di dare corso a lavori sulla piazza, la ricollocazione della medesima pedana durante il periodo estivo avrebbe potuto giustificarsi sulla base delle autorizzazioni precedenti: ma – come già precisato – i fatti non si sono svolti in questo modo.
17.3. La circostanza, inoltre, che il Comune nel corso degli anni abbia preteso il pagamento della tassa per l’occupazione del suolo pubblico, non può ritenersi equivalente al rilascio di un titolo edilizio o paesaggistico di natura permanente: in primo luogo perché un titolo edilizio deve essere rilasciato in forma espressa, dovendosi riferire a opere specificamente individuate; in secondo luogo perché la TOSAP costituisce una debenza la cui causa non risiede nella trasformazione del territorio, ma semplicemente nella occupazione di uno spazio di proprietà pubblica, di cui il privato si avvantaggia, ragione per cui il pagamento della TOSAP prescinde completamente dalla esistenza di un titolo edilizio, potendo essere applicata a qualsiasi manufatto o oggetto che occupi uno spazio pubblico.
- L’appello è, conclusivamente infondato, e per l’effetto l’appellata sentenza merita di essere confermata.
- Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore del Comune di Spoleto, delle spese del presente grado di giudizio, che si liquidano in €. 2.500,00 (euro duemilacinquecento/00), oltre accessori, se dovuti.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 marzo 2022 con l’intervento dei magistrati:
Andrea Pannone, Presidente FF
Alessandro Maggio, Consigliere
Giordano Lamberti, Consigliere
Francesco De Luca, Consigliere
Roberta Ravasio, Consigliere, Estensore
MASSIMA: La sentenza esprime il concetto che, benchè, il Comune nel corso degli anni abbia preteso il pagamento della tassa per l’occupazione del suolo pubblico, tale comportamento non può ritenersi equivalente al rilascio di un titolo edilizio o paesaggistico di natura permanente: in primo luogo perché un titolo edilizio deve essere rilasciato in forma espressa, dovendosi riferire a opere specificamente individuate; in secondo luogo perché la TOSAP costituisce una debenza la cui causa non risiede nella trasformazione del territorio, ma semplicemente nella occupazione di uno spazio di proprietà pubblica, di cui il privato si avvantaggia, ragione per cui il pagamento della TOSAP prescinde completamente dalla esistenza di un titolo edilizio, potendo essere applicata a qualsiasi manufatto o oggetto che occupi uno spazio pubblico.