Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, sezione VII, 05 luglio 2022 n. 7147


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con il gravame in epigrafe, notificato via PEC all’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Napoli, il ricorrente, C.T.F. CENTRO TERAPIA FISICA E RIABILITAZIONE S.R.L., impugna l’intimazione di pagamento n. TF5IPRN00382-2021, notificata in data 17.9.2021 e rettificata in data 15.10.2021, relativa a IRES anno 2013.

Il ricorrente deduce a sostegno della spiegata azione impugnatoria:

-Illegittimità delle sanzioni e degli interessi applicati, avendo il ricorrente presentato avverso l’originario avviso di accertamento (avviso di accertamento n. TF503AI02424/2018, notificato il 13 luglio 2018 relativo a IRES e IVA anno 2013) tempestiva istanza di accertamento con adesione in data 10 ottobre 2018, con prot. n. 0154399/2018, che non si è concluso positivamente, per non avere accolto l’Amministrazione i rilievi sollevati dal ricorrente, costringendolo, pertanto, ad impugnare l’atto con ricorso al giudice tributario, che lo accoglieva parzialmente con sentenza n. 5455/03/21, emessa dalla CTR Campania e depositata il 1° luglio 2021. A parere del ricorrente, pertanto, le sanzioni e gli interessi sarebbero stati ingiustamente calcolati, non avendo potuto definire stragiudizialmente la controversia per causa a sé non imputabile.

Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Napoli, che chiede il rigetto del ricorso, essendo stata l’intimazione emessa in forza del chiaro dettato normativo di cui all’art. 68 D.Lgs. 546/1992.

In data 27.5.2022 il ricorrente depositava memoria illustrativa, con la quale ribadiva le proprie argomentazioni a sostegno dell’illegittimità dell’applicazione delle sanzioni e degli interessi, chiedendo l’annullamento parziale dell’atto con vittoria di spese.

All’odierna udienza la Commissione, sentito il relatore e le parti presenti, si riuniva per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

La vicenda va ricostruita nei termini che seguono, facendo presente fin d’ora che non risulta depositata agli atti del presente procedimento la sentenza n. 5455/03/21, da cui trae spunto l’ingiunzione oggi impugnata, né l’originario avviso di accertamento n. TF503AI02424/2018, oggetto del giudizio conclusosi in secondo grado con l’anzidetta sentenza. La ricostruzione che segue, pertanto, si basa essenzialmente su quanto esposto in ricorso, che è solo parzialmente riscontrabile attraverso gli atti depositati (intimazione di pagamento n. TF5IPRN00382-2021, oggetto del presente ricorso, e atto di autotutela parziale n. TF5IPRN00451/2021, con il quale venivano espunti gli importi dovuti a titolo di IVA e IRAP, oggetto di annullamento giudiziale, e rideterminate le sanzioni e gli interessi dovuti con riferimento agli importi dovuti a titolo di IRES).

In data 13.7.2018 l’Amministrazione Finanziaria notificava al ricorrente l’avviso di accertamento n. TF503AI02424/2018, per: a) indebita deduzione di interessi passivi per Euro 182.587,00 in violazione dell’art. 96 d.P.R. n. 917/1986; b) omessa dichiarazione di ricavi per Euro 21.552,00 per canoni di locazione relativamente alla fattura n. 1 del febbraio 2013.

Il ricorrente presentava istanza di accertamento con adesione ai sensi dell’art. 2 comma 2 D.L. 119/2018 (c.d. pace fiscale, che consente al contribuente di poter pagare le maggiori imposte oggetto di un avviso di accertamento, usufruendo della riduzione delle sanzioni, che si applicano nella misura di un terzo del minimo previsto dalla legge, così come disposto dall’art. 2 comma 5 D.L. 119/2018), nel corso del quale faceva rilevare che uno dei due rilievi di cui all’avviso di accertamento era sicuramente da stralciare (quello relativo ai canoni di locazione) e l’altro da riformare. L’Ufficio riteneva di non dover accogliere le richieste formulate dalla società, che, di conseguenza, proponeva ricorso innanzi alle Commissioni Tributarie, con il quale si doleva sia dell’erroneo calcolo del ROL (risultato operativo lordo), non essendo stati dedotti gli interessi attivi iscritti in bilancio, sia della mancata deduzione dell’importo relativo al canone di locazione per Euro 21.552,00. Il procedimento giurisdizionale si concludeva con la decisione della Commissione Tributaria Regionale di Napoli n. 5455/2021, che confermava la sentenza di primo grado, con la quale era stato rigettato il ricorso in ordine al primo rilievo ed accolto quello relativo al secondo rilievo. All’esito del procedimento giurisdizionale, la società CTF con mail del 21.10.2021 chiedeva all’Amministrazione la cancellazione delle sanzioni e degli interessi, come inizialmente proposto con l’istanza di accertamento con adesione. L’AF riteneva di non accogliere tale richiesta e notificava al ricorrente l’atto oggetto della presente impugnazione, in cui risultano applicate sanzioni e interessi. Secondo il ricorrente, invece, le sanzioni e gli interessi non sarebbero dovuti, in quanto, chiusa la fase processuale con il riconoscimento parziale delle ragioni addotte dal ricorrente, l’Amministrazione avrebbe dovuto esaminare la memoria depositata nell’ambito dell’istanza di accertamento con adesione presentata prima del 24 ottobre 2018 e, quindi, tempestiva, essendo stato il procedimento relativo all’accertamento con adesione “sospeso” a seguito del ricorso tributario. A parere del ricorrente, infatti, se si accedesse alla diversa interpretazione, fatta propria dall’AF, “si finirebbe con l’affermare che, per accedere ai benefici della c.d. “pace fiscale”, il legislatore abbia imposto al contribuente di accettare supinamente l’ammontare dell’imposta dovuta. Ma tale interpretazione, oltre a essere contraria alle disposizioni contenute nel citato decreto-legge, sarebbe contraria ai principi costituzionalmente garantiti, sopprimendo l’inviolabile diritto alla tutela giurisdizionale e creando disparità di trattamento tra soggetti ugualmente meritevoli di tutela”. In altre parole, la questione posta all’attenzione di questa Commissione, al di là della ricostruzione in fatto della fattispecie concreta, è la seguente: se, a seguito di istanza di accertamento con adesione avanzata dal ricorrente, nel caso in cui l’accordo con l’AF non si perfezioni ed il contribuente decida di agire giudizialmente, nell’ipotesi in cui il giudizio si concluda con una sentenza di parziale accoglimento, siano dovute anche le sanzioni e gli interessi nella misura originaria, ovvero nella misura ridotta di cui all’accertamento con adesione.

A parere di questa AG la risposta al quesito non può che essere negativa. Invero, l’istituto dell’accertamento con adesione ha una chiara finalità deflattiva del contenzioso tributario, consentendo al contribuente che vi faccia ricorso di pagare il tributo con sanzioni ridotte a fronte della rinuncia alla tutela giurisdizionale. Per tali motivi, se l’accordo in sede di accertamento con adesione non risulta raggiunto ed il ricorrente impugna l’atto impositivo davanti alla Commissione Tributaria, perde il diritto alla riduzione delle sanzioni, non essendosi perfezionata la fattispecie giuridica che consente al ricorrente di usufruire della riduzione.

D’altra parte, ove le ragioni del ricorrente si rivelassero fondate, il ricorso si concluderebbe con l’accoglimento integrale del ricorso e l’atto impugnato verrebbe annullato dal giudice tributario, con l’ovvia conseguenza che nulla sarebbe più dovuto né a titolo di imposta né a titolo di sanzioni o interessi. Ove, invece, il procedimento giurisdizionale si concludesse con il rigetto integrale del ricorso, nessun dubbio può essere avanzato sulla debenza delle sanzioni e degli interessi, così come originariamente applicati, risultando l’avviso di accertamento impugnato legittimamente emesso.

La situazione si complica solo apparentemente in caso di accoglimento parziale del ricorso, dovendosi in tal caso scindere le due decisioni; in tali ipotesi, infatti, vi è una parte dell’avviso di accertamento che viene annullato e/o riformato in sede giurisdizionale ed una parte che viene, invece, confermata. Orbene, con riferimento alla parte annullata o riformata le sanzioni e gli interessi verranno travolte dalla decisione di annullamento ovvero dovranno essere rideterminate come logica conseguenza della rideterminazione del quantum dovuto da parte della Commissione Tributaria; con riferimento al tributo confermato, per essere state ritenute infondate le ragioni addotte dal ricorrente, le sanzioni e gli interessi andranno, invece, regolarmente calcolati; né può affermarsi che in tal modo il contribuente, costretto ad agire in giudizio per il riconoscimento delle proprie ragioni, deve essere messo in condizioni di usufruire del beneficio della riduzione delle sanzioni di cui all’accertamento con adesione: le ragioni del ricorrente sono state, infatti, ritenute infondate in parte qua e, pertanto, avendo il contribuente scelto la strada giurisdizionale, dovrà pagare non solo il tributo, ma anche le sanzioni e gli interessi.

Nel caso di specie, l’esito del giudizio ha visto il ricorrente soccombente per uno solo dei rilievi che aveva eccepito in sede giurisdizionale. Di conseguenza, l’AF ha provveduto a rettificare l’intimazione di pagamento impugnata, che originariamente era stata emessa anche per gli importi dovuti a titolo di imposta annullata in sede giurisdizionale (IVA e IRAP), calcolando esclusivamente gli importi dovuti in forza della sentenza n. 5455/2021 e rideterminando le sanzioni e gli interessi in relazione alla sola IRES (tributo in relazione al quale l’atto originariamente impugnato è stato confermato).

L’intimazione di pagamento risulta, pertanto, legittima sia con riferimento al tributo che con riferimento alle sanzioni e agli interessi, trattandosi di un tributo dovuto in forza dell’avviso di accertamento originario, confermato in parte qua in sede giurisdizionale.

In tal senso depone l’art. 68 D.Lgs. 546/92, come modificato con Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, secondo il quale gli atti impositivi per i quali è pendente il giudizio dinanzi alle Commissioni Tributarie sono oggetto, nei casi previsti, di una riscossione frazionata del quantum in essi definito, anche in deroga alle prescrizioni delle singole leggi di imposta (art. 68, D.Lgs. N°. 546/92). Il tributo, con i relativi interessi previsti dalle leggi fiscali, deve essere pagato:

– per i due terzi, dopo la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale che respinge il ricorso;

– per l’ammontare risultante dalla sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, e comunque non oltre i due terzi, se la stessa accoglie parzialmente il ricorso;

– per il residuo ammontare determinato nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale;

– per l’ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di Cassazione di annullamento con rinvio, e per l’intero importo indicato nell’atto in caso di mancata riassunzione.

Quanto alle sanzioni, com’è noto, le disposizioni sulla riscossione in pendenza di giudizio di cui all’articolo 68, commi 1 e 2, cit. sono applicabili, anche alla riscossione delle sanzioni. A tal fine l’articolo 19 del D.Lgs. n. 472 del 1997 (come modificato dall’art. 10 del Decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156), la cui rubrica si intitola “Esecuzione delle Sanzioni”, sancisce che “In caso di ricorso alle commissioni tributarie, anche nei casi in cui non è prevista riscossione frazionata, si applicano le disposizioni dettate dall’articolo 68, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, recante disposizioni sul processo tributario”.

Nessun vulnus al diritto alla tutela giurisdizionale costituzionalmente garantito può rinvenirsi nel caso di specie, come, invece, adombrato dal ricorrente: invero, al contribuente viene data la facoltà di scelta tra l’impugnazione in sede giurisdizionale, il cui esito è però incerto, e l’accertamento con adesione, che gli consente di usufruire della riduzione delle sanzioni. Trattasi di una libera scelta che il contribuente opererà sulla base di un giudizio prognostico circa l’esito del giudizio e la fondatezza o meno delle proprie ragioni: una volta operata la scelta ed esperito il rimedio giurisdizionale, ove le ragioni del ricorrente risultassero infondate all’esito del giudizio, egli non avrà più diritto alla riduzione delle sanzioni, in quanto ha rinunciato allo strumento deflattivo, non addivenendo alla conclusione dell’accordo con l’AF. Tale conclusione rimane ferma anche in caso di accoglimento parziale del ricorso; in questa ipotesi, infatti, l’AF dovrà annullare il tributo che è stato oggetto di accoglimento in sede giurisdizionale (e di conseguenza anche gli interessi e le sanzioni originariamente calcolate su quel tributo) ed emettere un avviso di intimazione avente ad oggetto le somme accertate come dovute in sede giurisdizionale, alle quali andranno applicate sanzioni ed interessi, essendo stato sul punto il ricorso rigettato.

È quanto accaduto nel caso di specie. L’operato dell’AF risulta, pertanto, corretto ed il ricorso deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, tenuto conto dell’aumento del 50% di cui all’art. 15 co. 2 septies D.Lgs. 546/92, essendo stato il ricorso presentato nelle forme del reclamo ex art. 17 bis e dell’abbattimento del 20% ex art. 15 co. 2 sexies D.Lgs. 546/92, essendosi l’Agenzia costituita a mezzo di propri dipendenti.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 4.000,00, oltre accessori come per legge, se dovuti.


COMMENTO REDAZIONALE– L’Agenzia delle Entrate notificava alla società contribuente un avviso di accertamento contenente due autonomi rilievi, aventi ad oggetto l’uno l’indebita deduzione di interessi passivi e l’altro l’omessa dichiarazione di ricavi per canoni di locazione.

La società contribuente formulava istanza di accertamento con adesione ex art. 2, comma 2, D.L. 119/2018 (cd. “pace fiscale”), il cui procedimento, tuttavia, non giungeva a buon fine, stante il mancato accoglimento dell’istanza da parte dell’Agenzia delle Entrate.

La società contribuente impugnava quindi l’avviso di accertamento in sede giudiziale, contestando entrambi i rilievi mossi nei propri confronti.

All’esito del procedimento, delle due contestazioni sollevate, l’una veniva accolta e l’altra respinta.

L’Agenzia delle Entrate rideterminava dunque la propria pretesa alla luce della sentenza, ma la società contribuente impugnava anche la nuova intimazione di pagamento, contestando l’applicazione degli interessi e delle sanzioni.

Parte ricorrente sosteneva infatti che, nel caso in cui l’accordo con l’Amministrazione Finanziaria, conseguente alla presentazione di un’istanza di accertamento con adesione, non si perfezioni ed il contribuente decida di agire giudizialmente, ottenendo una sentenza di parziale accoglimento delle proprie ragioni, le sanzioni e gli interessi relativi alla pretesa creditoria rimasta in essere sarebbero dovuti nella misura ridotta di cui all’accertamento con adesione.

Tale tesi non trova accoglimento da parte della sentenza in commento, poiché l’istituto dell’accertamento con adesione ha una chiara finalità deflattiva del contenzioso tributario e, pertanto, consente al contribuente, che vi faccia ricorso, di pagare il tributo con sanzioni ridotte solo a fronte della rinuncia alla tutela giurisdizionale. 

Al contrario, se l’accordo in sede di accertamento con adesione non risulta raggiunto ed il ricorrente impugna l’atto impositivo davanti alla Commissione Tributaria, egli perde il diritto alla riduzione delle sanzioni, poiché la fattispecie giuridica che gli consente di usufruire della riduzione non si è perfezionata.

Allorché le ragioni del ricorrente si rivelino fondate, il giudizio si conclude con l’accoglimento integrale del ricorso e l’atto impugnato viene annullato dal giudice tributario, con l’ovvia conseguenza che nulla è più dovuto né a titolo di imposta, né a titolo di sanzioni o interessi.

Ove, all’opposto, il procedimento giurisdizionale si concluda con il rigetto integrale del ricorso, restano interamente dovuti sia gli interessi che le sanzioni originariamente applicati, risultando l’avviso di accertamento impugnato emesso in modo legittimo.

Laddove, infine, come nel caso di specie, vi sia un accoglimento parziale del ricorso, le due decisioni devono essere idealmente scisse, nel senso che, con riferimento alla parte dell’avviso di accertamento annullata o riformata, le sanzioni e gli interessi, stante la loro natura accessoria, vengono “travolti” dalla decisione di annullamento o di riforma, mentre, con riferimento al tributo confermato, le sanzioni e gli interessi devono essere regolarmente calcolati nella misura originaria.

Rispetto a tale parte dell’avviso di accertamento, le ragioni del ricorrente sono state infatti ritenute infondate; avendo egli scelto la strada giurisdizionale, deve pagare non solo il tributo, ma anche le sanzioni e gli interessi.

Nel caso di specie, l’esito del primo giudizio aveva visto il ricorrente vincitore rispetto ad una delle contestazioni mosse contro l’originario avviso di accertamento e soccombente rispetto all’altra.

Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate aveva correttamente provveduto a rettificare l’intimazione di pagamento impugnata, calcolando esclusivamente gli importi dovuti in forza della sentenza e rideterminando le sanzioni e gli interessi in relazione alla sola imposta in relazione alla quale l’atto originariamente impugnato era stato confermato.

L’intimazione di pagamento risulta, pertanto, legittima sia con riferimento al tributo che con riferimento alle sanzioni e agli interessi, trattandosi di un tributo dovuto in forza dell’avviso di accertamento originario, confermato in parte qua in sede giurisdizionale.