Commissione Tributaria Regionale della Liguria, sez. II, 19 maggio 2022 n. 471
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Signor A. R. ricorreva avverso l’avviso di accertamento n. TL5010400505, mediante il quale erano rideterminati il reddito d’impresa e le maggiori imposte relative all’anno 2013.
L’operato dell’Ufficio era fondato sulle risultanze di una verifica fiscale dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli che con P.V.C. del 25.06.2014, contestava al contribuente l’effettuazione di acquisti intracomunitari per euro 67.453,00 omettendone l’annotazione sui registri Iva.
In considerazione di quanto sopra il contribuente ripresentava i modelli Unico e Irap per l’anno 2013 integrando le dichiarazioni iniziali.
L’Ufficio, però, rilevando la mancata corrispondenza tra il dato delle esistenze iniziali 2013 rettificato (euro 120.500,00) e quello delle rimanenze finali 2012 (euro 60.500,00), riliquidava analiticamente il reddito d’impresa esposto nel quadro RG della dichiarazione integrativa riportando l’ammontare delle esistenze iniziali al medesimo importo delle rimanenze finali del periodo precedente (euro 60.500,00).
Il contribuente con il proprio ricorso eccepiva pregiudizialmente la mancata sottoscrizione e la carenza assoluta di motivazione dell’atto impositivo nonché, in via principale, l’illegittimità del metodo accertativo adottato dall’Agenzia delle Entrate, chiedendo l’annullamento dell’atto fiscale.
La Commissione Tributaria Provinciale di Imperia, con sentenza n. 460/02/19, accoglieva integralmente il ricorso ritenendo nullo l’avviso di accertamento sottoscritto digitalmente, ma notificato in via ordinaria.
Appella l’Ufficio eccependo:
– che nel caso di specie l’accertamento, firmato digitalmente dal Direttore Provinciale, recherebbe nella copia analogica notificata un contrassegno tramite il quale sarebbe possibile accedere al documento informatico e quindi verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica.
– che non sussisterebbe alcuna illegittimità costituzionale degli artt. 62-bis e 62-sexies del D.L. n. 331/93;
– che la motivazione dell’accertamento sarebbe del tutto legittima avendo messo il contribuente in condizioni di conoscere la pretesa impositiva, come confermato dall’impugnazione proposta;
– che nel caso in discussione, dopo aver annotato nella dichiarazione per l’anno 2013 presentata il 23.09.2014 esistenze iniziali (pari alle rimanenze finali 2012) per euro 60.500,00, il Signor A. avrebbe riportato nella dichiarazione integrativa trasmessa il 30.09.2015 esistenze iniziali pari ad euro 120.500,00, superiori quindi di euro 60.000,00 alle rimanenze finali 2012. Di conseguenza del tutto legittimamente l’Agenzia delle Entrate avrebbe rettificato analiticamente la dichiarazione integrativa presentata dal Signor A. riducendo le esistenze iniziali ad un ammontare pari alle rimanenze finali del periodo precedente, non ricostruendo assolutamente (come sostenuto invece dal contribuente) maggiori ricavi sulla base delle risultanze degli studi di settore ma, anzi, valorizzando nella riliquidazione del reddito d’impresa i ricavi non annotati nelle scritture contabili evidenziati nella dichiarazione integrativa (euro 21.469,00), inferiori a quelli riportati nella prima dichiarazione presentata per l’anno 2013 (euro 45.200,00).
Il contribuente non risulta costituito in giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Commissione Provinciale ha accolto il ricorso del contribuente ritenendo nullo l’avviso di accertamento sottoscritto digitalmente, ma notificato in via ordinaria, precisando quanto segue:
“L’accoglimento della preliminare eccezione sollevata dal ricorrente deve sicuramente considerarsi assorbente, ed esime pertanto questa Commissione da ogni altra diversa valutazione nel merito del ricorso”.
Da quanto sopra discende che tutte le altre questioni proposte in primo grado dal contribuente devono intendersi rinunciate, non essendosi lo stesso costituito nel giudizio di appello, omettendo di riproporle ai sensi dell’art. 346 c.p.c.
Quanto sopra in applicazione del principio di diritto stabilito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 21.03.2019 n. 7940, secondo la quale “le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel “thema probandum” e nel “thema decidendum” del giudizio di primo grado“.
Ciò detto, l’appello dell’Ufficio risulta fondato.
Nel caso di specie, infatti, sostiene l’Ufficio che la copia cartacea dell’avviso di accertamento notificatogli, recasse il contrassegno (codice QR), previsto dall’art. 23, comma 2-bis, D.Lgs. n. 82/2005, tramite il quale sarebbe stato possibile, per il destinatario della notifica postale, accedere al documento informatico firmato digitalmente.
Detta affermazione risulta comprovata dal documento allegato n. 3 alle controdeduzioni depositate in primo grado dall’Agenzia delle Entrate dal quale può rilevarsi, alla pagina n. 1 dell’avviso di accertamento notificato, oltre alla presenza del codice QR che vi conduce automaticamente tramite apposito lettore, anche la URL tramite la quale sarebbe stato comunque possibile verificare la corrispondenza della copia all’originale firmato.
Sul punto l’art. 23 comma 2 bis del c.d. Codice dell’Amministrazione Digitale dispone che: “Sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno, sulla base dei criteri definiti con le Linee guida, tramite il quale è possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica. Il contrassegno apposto ai sensi del primo periodo sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale e non può essere richiesta la produzione di altra copia analogica con sottoscrizione autografa del medesimo documento informatico”.
Poiché l’applicabilità delle norme del Codice dell’Amministrazione Digitale all’attività d’accertamento dell’Amministrazione finanziaria risulta pacifica (si veda sul punto Cass. civ., sez. trib., 26 gennaio 2021, n. 1556), pare evidente che l’Amministrazione finanziaria possa inserire l’asseverazione o il contrassegno di cui trattasi nella copia cartacea dell’originale informatico dell’avviso d’accertamento, affinché detta copia abbia la medesima efficacia probatoria del documento informatico originale.
E’ quindi possibile affermare che l’apposizione del contrassegno ex art. 23, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 82/2005 permette all’Amministrazione finanziaria di notificare via posta, al contribuente, la mera copia cartacea, priva di sottoscrizione autografa, dell’avviso d’accertamento informatico firmato digitalmente, con i medesimi effetti che produrrebbe la notificazione del documento informatico originale.
L’appello deve pertanto essere accolto.
Le spese del giudizio possono essere compensate in ragione della novità della questione trattata.
P.Q.M.
Accoglie l’appello.
Spese compensate.
COMMENTO REDAZIONALE– La sentenza in commento accoglie l’appello dell’Agenzia delle Dogane e riforma completamente la pronuncia di primo grado, che aveva ritenuto nullo l’avviso di accertamento sottoscritto digitalmente e notificato in via ordinaria, mediante il servizio postale.
Infatti, la copia cartacea dell’avviso di accertamento notificata al contribuente recava il contrassegno (codice QR), previsto dall’art. 23, comma 2-bis, D.lgs. 07 marzo 2005 n. 82 (cd. “Codice dell’Amministrazione digitale”), tramite il quale sarebbe stato possibile, per il destinatario della notifica postale, accedere al documento informatico firmato digitalmente.
La predetta norma dispone infatti che: “Sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno, sulla base dei criteri definiti con le Linee guida, tramite il quale è possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica. Il contrassegno apposto ai sensi del primo periodo sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale e non può essere richiesta la produzione di altra copia analogica con sottoscrizione autografa del medesimo documento informatico. I soggetti che procedono all’apposizione del contrassegno rendono disponibili gratuitamente sul proprio sito Internet istituzionale idonee soluzioni per la verifica del contrassegno medesimo“.
Pertanto, l’apposizione del contrassegno ex art. 23, comma 2-bis, D.Lgs. n. 82/2005 permette all’Amministrazione finanziaria di notificare al contribuente, via posta, la mera copia cartacea, priva di sottoscrizione autografa, dell’avviso d’accertamento informatico firmato digitalmente, con i medesimi effetti che produrrebbe la notificazione del documento informatico originale.
Nel caso di specie, l’accoglimento dell’appello dell’Agenzia delle Dogane su tale punto comporta la definitiva declaratoria di legittimità dell’avviso di accertamento contestato, posto che il contribuente, non costituendosi nel giudizio di appello, non aveva riproposto tutte le altre questioni sollevate in primo grado, con conseguente rinuncia alle stesse ex art. 56 D.lgs. 546/1992 (analogo all’art. 346 c.p.c.).
Sul punto, la sentenza in commento si uniforma al consolidato indirizzo giurisprudenziale- formatosi in materia civile, ma applicabile anche al processo tributario- secondo cui “le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel “thema probandum” e nel “thema decidendum” del giudizio di primo grado” (si veda, in tal senso, Cass. civ., Sezioni Unite, 21 marzo 2019 n. 7940).