Cass. pen. Sez. IV, Sent., 14 febbraio  2023, n. 6152


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente –

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere –

Dott. NOCERA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato il (Omissis);

avverso la sentenza del 11/02/2022 della CORTE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. PEZZELLA VINCENZO;

Lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 conv. dalla L. n. 176 del 2020, come prorogato D.L. n. 228 del 2021, ex art. 16 conv. con modif. dalla L. n. 15 del 2022 e successivamente D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, ex art. 94, comma 2, come sostituito dalla L. 30 dicembre 2022, n. 199, art. 5-duodecies, di conversione in legge del D.L. n. 162 del 2022), del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. Dott.ssa CERONI Francesca, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

Svolgimento del processo

  1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza dell’11/2/2022, in parziale riforma della sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Monza del 13/7/2021, rideterminava in anni 8 di reclusione la pena irrogata a A.A., confermando nel resto l’affermazione di responsabilità per il reato (sub a) di cui all’art. 189 bis c.p., commi 1, 2, 4 e u.c., e art. 589 ter c.p. perché alla guida della propria autovettura Ford Fiesta tg. (Omissis) per colpa consistita in negligenza, imperizia, imprudenza e scarsa osservanza delle norme che regolano la circolazione stradale, ed in particolare in violazione del D.Lgs. n. 285 del 1992, art. 141, art. 186, comma 2, lett. b) e art. 187non conservando il controllo del proprio veicolo in modo da essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizione di sicurezza, specialmente l’arresto tempestivo del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità e dinanzi a qualsiasi ostacolo prevedibile soprattutto in relazione alle sue condizioni psicofisiche gravemente alterate in conseguenza dell’uso di sostanze alcoliche e stupefacenti investiva da tergo il motociclo su cui viaggiavano B.B. e C.C. provocando la morte di quest’ ultima e lesioni al B.B. consistite in “frattura del tratto intestinale della 4^, 5^ e scomposta della 6^ costa dx; FLC profonda gamba destra” giudicate guaribili in gg. 60 s.c.. Successivamente a tale evento si dava alla fuga. In (Omissis).

Il giudice di primo grado, all’esito di rito abbreviato, aveva affermato la penale responsabilità del A.A. in ordine al reato di cui al capo a), in esso assorbiti i reati di cui ai capi b) e c), e, esclusa la recideva, già operatala riduzione per il rito, lo aveva condannato alla pena di anni dieci di reclusione oltre la pagamento delle spese processuali, interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e interdizione legale per la durata della pena, con revoca della patente di guida e inibizione per anni ventuno al conseguimento di una nuova patente, nonchè al risarcimento dei danni in favore delle parti civili da liquidarsi in separato giudizio con concessione di una provvisionale di Euro 672.00,00 oltre alla rifusione delle spese di lite in favore delle medesime parti.

La Corte territoriale ha accolto il terzo motivo di appello proposto dalla difesa, che aveva chiesto la riduzione della pena inflitta ritenuta troppo penalizzante per l’imputato. I giudici del gravame del merito hanno ritenuto che pena equa, in relazione a tutte le circostanze del caso, sia quella di anni otto di reclusione. Pur nella estrema gravità del fatto e dopo che l’imputato si era dato alla fuga, si era reso conto dell’accaduto tanto da offrire una versione dei fatti nella quale non ha neppure provato a diminuire le proprie responsabilità dando l’immagine di una persona molto impegnata lavorativamente e che appare ben inserita nel contesto sociale italiano. Pertanto se per il fatto commesso, come detto in precedenza, non merita alcuna attenuante, nell’indicazione della pena la Corte ha ritenuto di valorizzare tali situazioni. La pena è stata così determinata: pena base per il delitto di cui all’art. 589 bis c.p., comma 2, anni otto di reclusione, aumentata ex art. 69 c.p., comma 4 (per la contemporanea assunzione di stupefacenti e di alcool in quantità considerevoli a giudicare dall’esito dell’alcoltest e dell’esame clinico a cui era stato sottoposto) anni dieci di reclusione aumentata ex art. 589 bis c.p., u.c. ad anni dodici di reclusione ridotta ad anni otto di reclusione per la scelta del rito.

  1. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Con un unico motivo il ricorrente lamenta vizio motivazionale in relazione al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 589 bis c.p., comma 7 e alla mancata esclusione della violazione dell’art. 141 C.d.S..

Riportata la motivazione di cui alle pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata circa il diniego di tale richiesta fatta dal difensore dell’imputato e basata sulle emergenze in atti, il ricorrente deduce che l’applicabilità dell’art. 589 bis c.p., comma 7 (concorso della persona offesa nell’occorso, nella specie la violazione da parte del conduttore del motociclo dell’art. 176 C.d.S., comma 5), discende dalla constatazione della consulenza tecnica di parte (depositata in atti il 17/1/2021). Quest’ultima, a pag. 3, ha evidenziato come il lento movimento o l’immobilità del veicolo investito, che si trovava nella corsia di emergenza (rectius: banchina laterale) possa aver agito da concausa al verificarsi dell’evento fatale.

A tal fine, il difensore rilevava come non vi siano state indagini da parte del P.M volte a rilevare se tali stasi o lento procedere fosse ascrivibile a un malore del conducente della motocicletta o ad un’avaria di tale veicolo. E che tale lacuna investigativa non potesse andare a discapito dell’indagato.

In sede di conclusioni, il ricorrente ricorda di avere evidenziato, altresì, che la CTU non dà peso a questo argomento (pag. 81) ma che esso (il lento procedere o stasi del veicolo investito) è contenuto nella comunicazione preliminare della P.S. del 5.10.2020 (pag. 5).

A fronte di tali argomentazioni – ci si duole – la Corte di Appello di Milano, ha ritenuto di poterle superare affermando che, anche se il conducente della moto fosse stato fermo sulla banchina laterale, nulla sarebbe cambiato in relazione alla causazione dell’evento lesivo essendo esso attribuibile al solo imputato che aveva invaso la carreggiata.

A ciò il ricorrente obietta che: a) è vietato dal codice della strada fermarsi sulle banchine laterali (violazione da parte del conduttore del motociclo dell’art. 176 C.d.S., comma 5), per cui la sola constatazione di tale circostanza costituirebbe concausa dell’evento lesivo in capo alla persona offesa; b) qualora la persona offesa non si fosse fermata o non avesse indugiato sulla corsia laterale, probabilmente non sarebbe stata in quel luogo al momento in cui sopraggiungeva A.A..

Da ciò ne conseguirebbe che la sola circostanza che l’imputato abbia invaso la banchina laterale non avrebbe portato all’evento letale che si è poi verificato (o, quantomeno non in quei termini così estremi).

Anche la ritenuta violazione dell’art. 141 C.d.S., sarebbe frutto di una errata lettura delle emergenze probatorie da parte del GUP prima e della Corte territoriale poi (e quindi si risolverebbe in un vizio di motivazione) secondo cui, a prescindere dal limite di velocità, il guidatore avrebbe dovuto adattare quest’ultima alle caratteristiche della strada e allo stato dell’autoveicolo. Infatti, il mancato adattarsi alle condizioni della strada o dell’autoveicolo, sono considerazioni che nulla c’entrano nel caso di specie, in quanto non è stata rilevata alcuna particolare condizione atmosferica e/o deficit tecnico nell’autoveicolo del A.A..

Ciò premesso – prosegue il ricorso – la velocità dell’imputato, nell’occorso era di 94 Km orari, mentre il limite era di 110 km orari e non vi era il limite di 40. quando il A.A., perso il controllo, si è ritrovato sulla banchina laterale (ove ha investito la persona offesa) in quanto essa non sarebbe qualificabile come corsia di emergenza come indicato a pagina 1 della CTP (e quindi priva del limite di 40 km orari).

Tutte queste argomentazioni sarebbero state ignorate e sarebbero rimaste prive di risposta in sentenza. Per cui, preso atto della insufficiente motivazione addotta dai giudici di Appello, circa la sussistenza un concorso di colpa della persona offesa nella causazione dell’evento, a causa della sua stasi o lento procedere, e preso atto, altresì, che non vi è stato alcun eccesso di velocità da parte dell’imputato, si chiede che venga riconosciuta la sussistenza di dette circostanze che hanno considerevoli riflessi sull’entità della pena.

Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.

  1. Nei termini di legge ha rassegnato le proprie conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale – non essendo stata chiesta la trattazione in pubblica udienza – il P.G., che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

Motivi della decisione

  1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
  2. Le censure del ricorrente, invero, si sostanziano in una sollecitazione alla rivalutazione del fatto, non consentita in questa sede di legittimità, e nella riproposizione delle medesime doglianze già sollevate in appello, senza che vi sia un adeguato confronto critico con le risposte a quelle fornite dai giudici del gravame del merito. E’ evidente, infatti, come la Difesa, pur riportando ampi brani della motivazione della sentenza impugnata, non si confronti affatto con la ratio decidendi della statuizione censurata, limitandosi a contrapporre una dinamica alternativa del sinistro a quella accertata in modo condiviso dai giudici di primo e secondo grado.

Per contro, l’impianto argomentativo del provvedimento impugnato appare puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal giudice e perciò a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i giudici di secondo grado preso in esame le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in nessun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in sede di legittimità.

Va peraltro ricordato che, per assunto pacifico, la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia – valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, accertamento delle relative responsabilità, determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente – è rimessa al giudice di merito ed integra una serie di apprezzamenti di fatto che sono sottratti al sindacato di legittimità se sorretti da adeguata motivazione (ex multis Sez. 4, n. 54996 del 24/10/2017, Baldisseri, Rv. 271679; Sez. 4, n. 10335 del 10/2/2009, Pulcini, non mass.; Sez. 4, n. 43403 del 17/10/2007, Azzarito, Rv. 238321). E in altra condivisibile pronuncia si è chiarito che sono sottratti al sindacato di legittimità, se sorretti da adeguata motivazione, gli apprezzamenti di fatto necessari alla ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica e nella sua eziologia quali la valutazione delle condotte dei singoli utenti della strada coinvolti, l’accertamento delle relative responsabilità e la determinazione dell’efficienza causale di ciascuna colpa concorrente (Sez. 4, n. 37838 del 01/07/2009, Tarquini, Rv. 245294).

  1. Orbene, come ricorda la sentenza impugnata, nel caso in esame l’unica colpa del conducente del motociclo sarebbe stata, secondo la difesa dell’imputato, quella di guidare piano, e quindi, con prudenza, e di viaggiare troppo sulla parte destra della carreggiata, quasi ad ipotizzare un comportamento di intralcio alla regolare circolazione.

A fronte di un tale comportamento, nel quale per i giudici del merito non si scorge alcun profilo addebitabile al B.B., invece l’imputato, ubriaco e sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, conduceva il proprio mezzo a velocità sostenuta, guidava in modo dissennato passando da una corsia all’altra per superare i mezzi che lo precedevano (vengono richiamate sul punto le testimonianze di D.D. e E.E.) e, arrivato dietro al motociclo, non riusciva, anche a causa delle sue alterate condizioni, ad attivare quegli accorgimento che gli avrebbero potuto consentire o di arrestare il mezzo prima dell’urto o di schivarlo. In tale contesto l’imputato che non arrestava immediatamente la sua corsa, abbandonava, poi, il mezzo e faceva ritorno a casa dove si cambiava abito e dove poi veniva rinvenuto dalle forze dell’ordine.

Ebbene, con motivazione logica e congrua la Corte milanese ha dato atto che, qualunque fosse stata l’andatura del motociclo – che di fatto non aveva costituito alcun intralcio per tutti gli altri utenti della strada che percorrevano il tratto in quel frangente – l’imputato l’avrebbe ugualmente e probabilmente urtato poichè, zigzagando sulla strada, non aveva il perfetto controllo della sua automobile, e nessuna precaria condizione di salute del conducente del motociclo era stata rilevata, a seguito del suo ricovero in ospedale, ove gli unici problemi riscontrati sulla sua persona riguardavano gli esiti dell’incidente.

Coerente e immune dai denunciati vizi di legittimità appare, pertanto, la conclusione cui perviene la sentenza impugnata nel senso che, in una siffatta situazione, debba escludersi il ricorrere dell’attenuante di cui all’art. 589 bis c.p., comma 7.

  1. Manifestamente infondato e anche il motivo di ricorso che censura la sentenza impugnata con riferimento alla ritenuta violazione dell’art. 141 C.d.S..

Correttamente la Corte territoriale ricorda che, in tema di responsabilità colposa da sinistri stradali, l’obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purchè ragionevolmente prevedibili e ciò a prescindere da eventuali limiti fissati nel tratto percorso: ciò significa che, nel formulare il proprio apprezzamento sull’eccesso di velocità relativa – vale a dire su una velocità non adeguata e pericolosa in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo, indipendentemente dai prescritti limiti fissi di velocità – il giudice non è tenuto a determinare con precisione ed in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di fatto e delle logiche deduzioni in base ai quali la velocità accertata è ritenuta pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale.

Tale dovere motivazionale – evidenzia il provvedimento impugnato – risulta ampiamente soddisfatto già dal primo giudice, il quale, oltre a sottolineare come l’imputato si trovasse in condizioni psicofisiche inconciliabili con la conduzione di un mezzo, evidenziava come lo stesso avesse, di fatto, tenuto una condotta imprevedibile (lui sì e non il conducente del motociclo) e contraria alle più elementari regole di prudenza. Ciò in quanto era risultato che la sua velocità, prima dell’impatto era stata calcolata in 96 km/h e che aveva effettuato vari zig zag tra gli altri veicoli in movimento per poi impegnare lo svincolo di uscita della SS (Omissis) senza tuttavia percorrerlo, ma proseguendo in corsia d’emergenza sino a impattare con il motociclo: in tale situazione, seppure la velocità mantenuta era nei limiti consentiti, era in concreto incompatibile con le sue capacità di controllo del mezzo e, quindi, con la possibilità di avvedersi di ostacoli o di riuscire ad attivare procedure efficienti a evitare la collisione con altri utenti della strada.

Peraltro, la contestazione del profilo di colpa specifica di cui all’art. 141 C.d.S. non necessita che sia individuata la specifica velocità di marcia, ma reputa sufficiente che si proceda ad una velocità non adeguata rispetto alle condizioni di tempo e di luogo in cui il mezzo si trovava a circolare (pioveva, come detto, si era di sera e perciò, come legge a pag. 8 della sentenza di primo grado “le condizioni climatiche erano certamente avverse, ma non assolutamente improvvise od eccezionali da escludere del tutto la visibilità”.

Ciò anche perchè – va qui ribadito – in tema di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, il rispetto del limite massimo di velocità consentito non esclude la responsabilità del conducente qualora la causazione dell’evento sia comunque riconducibile alla violazione delle regole di condotta stabilite dall’art. 141 C.d.S. (così la recente Sez. 4, n. 7093 del 27/1/2021, Di Liberto, Rv. 280549 che ha ritenuto esente da censure la sentenza che aveva affermato la responsabilità per omicidio colposo, ai danni di un pedone, del conducente che, pur viaggiando a velocità moderata, aveva omesso, attese le condizioni metereologiche avverse, il centro abitato e la ridotta visibilità, di tenere una condotta di guida tale da potergli consentire di avvistare per tempo il pedone ed arrestare il mezzo).

L’art. 141 C.d.S. impone al conducente di un veicolo di regolare la velocità in modo che, avuto riguardo alle caratteristiche, allo stato ed al carico del veicolo stesso, alle caratteristiche e alle condizioni della strada e del traffico e ad ogni altra circostanza di qualsiasi natura, sia evitato ogni pericolo per la sicurezza e prevede inoltre che il conducente deve conservare il controllo del proprio veicolo ed essere in grado di compiere tutte le manovre necessarie in condizioni di sicurezza, specialmente l’arresto del veicolo entro i limiti del suo campo di visibilità.

E questa Corte di legittimità ha anche chiarito che l’obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purchè ragionevolmente prevedibili (Sez. 4, n. 25552 del 27/4/2017, Luciano, Rv. 270176, che ha ritenuto ragionevolmente prevedibile la presenza, di sera, in una strada cittadina poco illuminata, in un punto situato nei pressi di una fermata della metropolitana, di persone intente all’attraversamento pedonale nonostante l’insistenza “in loco” di apposito sottopassaggio).

Ed è anche vero che, nel formulare il proprio apprezzamento sull’eccesso di velocità relativa – vale a dire su una velocità non adeguata e pericolosa in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo, indipendentemente dai prescritti limiti fissi di velocità – il giudice non è tenuto a determinare con precisione ed in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di fatto e delle logiche deduzioni in base ai quali la velocità accertata è ritenuta pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale (cfr. Sez. 4, n. 8526 del 13/2/2015, De Luca Cardillo, Rv. 262449, in una fattispecie in cui l’imputato aveva mantenuto una velocità prossima, per difetto, al limite vigente nel tratto stradale interessato dal sinistro, valutata, tuttavia, non adeguata in considerazione della scarsa visibilità notturna, della prossimità sia alle strisce pedonali sia all’intersezione con altra strada nonché della presenza a bordo del motociclo da lui condotto di un passeggero privo di casco).

  1. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2023


MASSIMA: In tema di responsabilità colposa da sinistri stradali, l’obbligo di moderare adeguatamente la velocità, in relazione alle caratteristiche del veicolo ed alle condizioni ambientali, va inteso nel senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purchè ragionevolmente prevedibili e ciò a prescindere da eventuali limiti fissati nel tratto percorso: ciò significa che, nel formulare il proprio apprezzamento sull’eccesso di velocità relativa – vale a dire su una velocità non adeguata e pericolosa in rapporto alle circostanze di tempo e di luogo, indipendentemente dai prescritti limiti fissi di velocità – il giudice non è tenuto a determinare con precisione ed in termini aritmetici il limite di velocità ritenuto innocuo, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi di fatto e delle logiche deduzioni in base ai quali la velocità accertata è ritenuta pericolosa in rapporto alla situazione obiettiva ambientale.