Cass. civ., sez. V, ord., 22 maggio 2023 n. 14074
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. CANDIA Ugo – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.G. 13091/2021 proposto da:
….Srl , elettivamente domiciliato in ROMA , presso lo studio dell’avvocato M.M., rappresentato e difeso dall’avvocato T.L. – ricorrente –
contro
COMUNE DI NAPOLI, elettivamente domiciliato in ROMA Via Appennini n. 46, presso lo studio dell’avvocato L.L., rappresentato e difeso dagli avvocati C. A., A.A. – controricorrente –
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. NAPOLI n. 426/2021 depositata il 18/01/2021;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/05/2023 dal Consigliere Dott. MILENA BALSAMO.
Svolgimento del processo
CHE:
La società S. impugnava l’avviso di accertamento Tares/TARI con il quale il Comune di Napoli chiedeva l’imposta per l’annualità (Omissis), oltre sanzioni ed interessi, per un totale di 1.691,00 per l’immobile sito in (Omissis).
La CTP di Napoli respingeva il ricorso.
Interposto gravame, la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l’appello, sul rilievo che la società contribuente avesse la disponibilità dell’immobile sin dall’anno 2013, ritenendo del tutto inconferenti gli elementi probatori offerti dall’ente con riferimento alla fornitura di energia di un contatore non riconducibile all’immobile de quo e con riguardo agli attestai di pagamento di tale B.B. con riferimento ad immobile sito nel medesimo condominio, ma non riconducibile all’unità immobiliare assoggettata ad imposta.
Avverso la sentenza n. 422/15/2021, depositata il 21.12.2020, la società S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.
Resiste con controricorso l’amministrazione comunale di Napoli.
Motivi della decisione
CHE:
- Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione dedotta dall’amministrazione comunale; difatti, la procura è stata rilasciata dal legale rappresentante della società non su foglio separato allegato alla notifica del ricorso, bensì in calce al ricorso stesso.
Inoltre, la procura ha ad oggetto proprio la sentenza n. 426/21 oggetto del ricorso per cassazione Rg. n. 13091/2021 e non del ricorso iscritto al n. RG 13090/21 come prospettato dal comune.
3.La prima censura deduce nullità della sentenza per motivazione apparente in violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, nonché dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 o 4.
3.1 Si lamenta che la Regionale non si sarebbe pronunciata sulla dedotta violazione della L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 641 sulla eccezione di carenza di legittimazione passiva, fondando le proprie convinzioni su presunzioni.
3.2 In particolare la doglianza è così articolata:- violazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 546, art. 33 per aver il giudicante omesso di trattare la causa in pubblica udienza come richiesto dalla società ricorrente; – violazione della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 641, che esenta dal pagamento delle imposte sui rifiuti, le aree scoperte e i locali non suscettibili di produrre rifiuti, assumendo di aver provato nel giudizio di merito che presso l’immobile tassato, dove la stessa aveva adibito la sede legale, essa aveva solo una buca della posta, essendo esso abitato da un professionista che corrispondeva il canone di locazione al proprietario (ASL 1 di Napoli);- violazione dell’art. 1, comma 1611 Legge “296” e dell’art. 14 del testo coordinato del Regolamento per l’applicazione della T.A.R.SU. del Comune di Napoli, insistendo nell’affermare la carenza di legittimazione passiva in quanto l’immobile oggetto di tassazione era condotto in locazione da altro soggetto.
- La prima censura è inammissibile in quanto in essa non vengono adeguatamente riportati i contenuti, neanche per stralcio, dell’atto di appello in cui sarebbero state formulate le domande rimaste non divisate dai giudici territoriali, quanto meno per inferirne la denunciata nullità della sentenza gravata;
come le Sezioni unite insegnano (S.U. del 22.05.2012, n. 8077) che, neanche nell’ipotesi di errores in procedendo “viene meno l’onere per la parte di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso, da intendere come un corollario del requisito della specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute negli art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, sicché l’esame diretto degli atti che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti ed a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato”; più di recente si è ribadito, sempre nella composizione più autorevole della Corte, che “allorquando sia denunciato un error in procedendo, la Cassazione è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa; tuttavia è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale. Infatti, il potere dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli” (Cass. SS.UU. del 26.02.2019, n. 5640, in motiv.); così è stato condivisibilmente ritenuto che, pure in tali casi, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali.
In particolare, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone che la parte, nel rispetto del principio di autosufficienza, riporti, nel ricorso stesso, gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgersi dell’iter processuale (Cass. del 30.09. 2015, n. 19410; Cass. dell’8.06.2016, n. 11738; Cass. del 25.09. 2019, n. 23834).
Nella specie, la ricorrente non si è uniformata ai principi innanzi esposti, indicando sinteticamente le eccezioni che avrebbe prospettato ” in tutte le fasi processuali” senza allegare gli atti difensivi in cui dette eccezioni sarebbero state sottoposte al vaglio del giudice e senza neppure trascriverle nella loro illustrazione, indicando esclusivamente il titolo della “eccezione ” sollevata dalla società.
- Il secondo motivo deve essere disatteso sotto il profilo della violazione dell’art. 33 citato ex art. 360c.p.c., comma 1, n. 4). La ricorrente, in sostanza, lamenta che, nonostante le reiterate richieste di trattazione della controversia in udienza pubblica, la CTR aveva deciso sulla base della trattazione scritta, anziché rinviare a nuovo ruolo in attesa della implementazione degli strumenti telematici o della possibilità di udienza in presenza, così pregiudicando il diritto di difesa della parte e gli altri diritti di rango costituzionale di cui alle norme indicate nella rubrica sopra riportata.
La ricorrente richiama l’ordinaria disciplina processuale, vale a dire il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 33 che regola la trattazione nell’udienza pubblica di discussione; tuttavia, in questo caso soccorre la normativa emergenziale, introdotta per contrastare la pandemia da COVID 19, che al tempo regolava lo svolgimento dei processi, compresi quelli tributari.
Il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 27 (recante “Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno ai lavoratori e alle imprese, giustizia e sicurezza, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”) autorizzava, per i processi tributari, “Fino alla cessazione degli effetti della dichiarazione dello stato di emergenza nazionale da Covid-19, ove sussistano divieti, limiti, impossibilità di circolazione su tutto o parte del territorio nazionale conseguenti al predetto stato di emergenza ovvero altre situazioni di pericolo per l’incolumità pubblica o dei soggetti a vario titolo interessati nel processo tributario, lo svolgimento delle udienze pubbliche e camerali e delle camere di consiglio con collegamento da remoto…”. Il comma 2 stabiliva che “In alternativa alla discussione con collegamento da remoto, le controversie fissate per la trattazione in udienza pubblica, passano in decisione sulla base degli atti, salvo che almeno una delle parti non insista per la discussione, con apposita istanza da notificare alle altre parti costituite e da depositare almeno due giorni liberi anteriori alla data fissata per la trattazione. I difensori sono comunque considerati presenti a tutti gli effetti. Nel caso in cui sia chiesta la discussione e non sia possibile procedere mediante collegamento da remoto, si procede mediante trattazione scritta, con fissazione di un termine non inferiore a dieci giorni prima dell’udienza per deposito di memorie conclusionali e di cinque giorni prima dell’udienza per memorie di replica. Nel caso in cui non sia possibile garantire il rispetto dei termini di cui al periodo precedente, la controversia è rinviata a nuovo ruolo con possibilità di prevedere la trattazione scritta nel rispetto dei medesimi termini. In caso di trattazione scritta le parti sono considerate presenti e i provvedimenti si intendono comunque assunti presso la sede dell’ufficio”.
Quindi, per i processi per i quali era stata richiesta la trattazione a udienza pubblica era praticabile la decisione allo stato degli atti, salvo che una delle parti non avesse insistito per la discussione, con apposita istanza da notificare alle altre parti costituite e da depositare almeno due giorni liberi anteriori alla data fissata per la trattazione. In questa evenienza, però, ove non fosse stato possibile procedere al collegamento da remoto, si doveva disporre trattazione scritta, con fissazione di termini per memorie. Orbene, la presumibile decisione della Commissione rispetta questa cornice normativa perché, come risulta dalla stessa esposizione del motivo, sull’istanza in data 13.11.2020 presentata dalla ricorrente D.L. n. 137 del 2020, ex art. 27, comma 2 la CTR ha proceduto comunque ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 27, comma 2, alla trattazione scritta per l’udienza.
La parte, che assume di aver insistito per la discussione con apposita istanza notificata all’alare parte costituita e depositata almeno due giorni liberi anteriori alla data fissata per la trattazione, non ha trascritto né allegato, né localizzato il provvedimento della CTR e neppure ha denunciato che fosse possibile procedere alla discussione mediante collegamento da remoto.
La ricorrente sottolinea di aver chiesto l’udienza pubblica e non la “mera discussione” ma la questione non ha pregio. La norma emergenziale, da un lato, presuppone un contesto di divieti e limitazioni che impediscono l’udienza in presenza e, d’altro lato, si fa carico della possibilità che carenze organizzative all’interno degli uffici impediscano lo svolgimento della discussione tramite collegamento da remoto; essa non rimette la scelta del rito alla parte ma appresta una articolata disciplina, il cui governo è rimesso al giudice, finalizzata ad assicurare, in una situazione eccezionale e transitoria di emergenza epidemiologica, lo svolgimento dell’attività giudiziaria garantendo comunque le essenziali prerogative del diritto di difesa. Un diritto pieno e incondizionato all’udienza pubblica, nei termini invocati dalla ricorrente, si pone in contrasto con la ratio della norma perché costringe al rinvio a nuovo ruolo, nei casi in cui non è possibile assicurare né l’udienza in presenza né il collegamento da remoto, pregiudicando così sia l’interesse pubblico all’esercizio della giurisdizione anche in periodo emergenziale sia l’interesse della controparte alla celere definizione del giudizio, e si presta, oltretutto, ad abusi e a facili strumentalizzazioni per scopi essenzialmente dilatori.
Né una diversa conclusione può ritenersi imposta dai “principi regolatori del giusto processo”, che la ricorrente ritiene lesi dalla decisione della CTR. In primo luogo, va osservato, con riguardo all’ammissibilità della censura, che la deduzione della violazione di quei principi deve avere carattere decisivo, nel senso che la lamentata violazione deve incidere sul contenuto della decisione e, dunque, deve arrecare un effettivo pregiudizio a chi la denuncia (Cass. del 15.10.2019, n. 26087; Cass. del 26.09.2017, n. 22341), mentre difettano, in questo caso, precise indicazioni sulla ricorrenza di un concreto nocumento alle proprie esigenze difensive in conseguenza della mancata trattazione in udienza pubblica. Inoltre, giova segnalare che sul tema della mancata fissazione di udienza pubblica la stessa Corte EDU ha rilevato che l’obbligo di svolgere un’udienza pubblica non è assoluto, in quanto le circostanze che possono giustificare la dispensa dall’udienza dipendono essenzialmente dalla natura delle questioni che devono essere esaminate (De Tommaso c Italia, sentenza 23 febbraio 2017 p. 163); che un’udienza pubblica può non essere necessaria, in particolare quando non sono sollevate questioni di fatto o di diritto che non possono essere risolte sulla sola base del fascicolo disponibile o delle osservazioni delle parti, come avviene quando si tratta di questioni altamente tecniche (v. Lorenzetti c. Italia, sentenza 10 aprile 2012, p. 32). A più riprese anche questa Corte ha rilevato, in relazione al giudizio camerale davanti a sé ma con affermazioni di principio di portata generale, che la garanzia del contraddittorio, costituente il nucleo indefettibile del diritto di difesa costituzionalmente tutelato, è assicurata anche dalla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni (v. Cass. n. 395 del 2017; Cass. n. 5371 del 2017; Cass. del 24.03.2017, n. 7701; Cass. n. 5665 del 12.10.2018; Cass. sez. un. del 5.06.2018, n. 14437; Cass. del 20.11.2020, n. 26480; Cass. del 2.03.2023, n. 6263).
- Parimenti inammissibile risulta la dedotta violazione della L. n. 147 del 2013cit., art. 1, comma 641, con riferimento alla esenzione dalla T.A.RS.U. per avere presso l’unità immobiliare tassata “solo una buca della posta” e con riguardo alla carenza di legittimazione passiva, trattandosi di immobile condotto in locazione da terzi, presso il quale la società aveva la sede legale.
6.1. La società ricorrente, nel censurare la violazione delle citate disposizioni di legge ha introdotto surrettiziamente una rivisitazione del merito della controversia, limitandosi a contrapporre proprie valutazioni su elementi di fatto alle argomentazioni dei giudici di merito – valutazione della denuncia inoltrata all’ente impositore dal legale rappresentante dell’ente relativa alla voltura dell’immobile sito in (Omissis), nella quale dichiarava che la società subentrava nel possesso; atto di diffida del Comune indirizzato al legale rappresentante dell’ente per ottenere il rilascio dell’unità immobiliare; irrilevanza della documentazione prodotta dalla società ai fini della decisione, potendo essa concernere qualsiasi immobile ubicato nel condominio n. 57, finendo per formulare una richiesta di riesame del merito della lite non consentita in questa sede di legittimità. Ne consegue che non appare sufficiente l’astratto e generico riferimento alle menzionate norme per censurare la declaratoria di illegittimità dell’atto impositivo, essendo, invece, indispensabile che il ricorrente indichi – censura mancante – in modo specifico non solo i canoni in concreto non osservati, ma anche e soprattutto il modo in cui il giudice si sia da essi discostato (Cass. n. 16175/2017).
I motivi illustrati, sotto spoglie di riferimenti alla violazione di norme sostanziali relative alla tassazione dei rifiuti, si traducono dunque in inammissibili censure in fatto.
7.In definitiva, il ricorso è inammissibile, con aggravio di spese.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente alla refusione delle spese sostenute dal consorzio che liquida in Euro 1.300,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario ed accessori come per legge;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, all’udienza della Sezione tributaria della Corte di cassazione, il 3 maggio 2023.
Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2023
COMMENTO REDAZIONALE- L’obbligo di svolgere una pubblica udienza non è assoluto, in quanto le circostanze che possono giustificare la dispensa dall’udienza dipendono essenzialmente dalla natura delle questioni che devono essere esaminate.
Tale principio è a maggior ragione applicabile in caso di normativa emergenziale per il contrasto alla pandemia da Covid-19, che ha approntato una disciplina articolata, il cui governo è rimesso al giudice, finalizzata ad assicurare lo svolgimento dell’attività giudiziaria in una situazione eccezionale e transitoria di emergenza epidemiologica, garantendo comunque le essenziali prerogative del diritto di difesa.
La garanzia del contraddittorio, costituente il nucleo indefettibile di tale diritto costituzionalmente tutelato, è assicurata anche dalla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni.
Per tale motivo, viene dichiarato inammissibile il motivo di ricorso volto a censurare l’omesso svolgimento della pubblica udienza, non avendo la parte dedotto il concreto pregiudizio assortamente derivatole da tale omissione.