Cass. civ., sez. V, ord. 20 giugno 2023, n.17564


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere –

Dott. BILLI Stefania – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16892/2021 proposto da:

Comune di (Omissis) (C.F.: (Omissis)), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. … (C.F.: (Omissis)) giusta procura a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliato presso la residenza comunale, in (Omissis) al (Omissis);                         – ricorrente –

contro

… Spa (P.IVA: (Omissis); pec: (Omissis)), in persona dell’amministratore unico, legale rappresentante p.t., Dott. A.A., con sede in (Omissis), ed elettivamente domiciliata in …, presso lo studio degli Avv.ti …(C.F.: (Omissis)), …(C.F.: (Omissis)) e … (C.F.: (Omissis)), che la rappresentano e difendono in virtù di procura speciale in calce al controricorso;                                                           – controricorrente –

– avverso la sentenza n. 4135/2020 emessa dalla CTR Lazio in data 18/12/2020 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Svolgimento del processo

La …Spa proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma avverso l’avviso di pagamento per saldo Tari concernente l’anno 2017, relativo ad un’area di 5.352 mq. adibita ad archivi e pertinenze.

La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso.

Sull’impugnazione della contribuente, la CTR Lazio accoglieva il gravame, evidenziando che il luogo interessato al tributo risultava costituito da un’area adibita esclusivamente a deposito di materiale cartaceo tenuto in custodia presso la società fino allo smaltimento da parte di ditte all’uopo incaricate e che le superfici ove erano stoccati gli archivi cartacei non potevano essere considerate neppure potenzialmente produttive di rifiuti.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di (Omissis) sulla base di un unico motivo. La Delta Uno Servizi Spa ha resistito con controricorso.

In prossimità della camera di consiglio la resistente ha depositato memoria illustrativa.

Motivi della decisione

Preliminarmente, destituita di fondamento è l’eccezione di giudicato esterno sollevata, con la memoria illustrativa, dalla contribuente.

Invero, nel contenzioso tributario, perchè risulti fondata l’eccezione di giudicato è necessario che tra i due giudizi vi sia identità di soggetti e di oggetto, tale che l’oggetto del secondo giudizio sia costituito dal medesimo rapporto tributario definito irrevocabilmente nel primo, ovvero che in quest’ultimo sia stato definitivamente compiuto un accertamento radicalmente incompatibile con quello operante nel giudizio successivo; ne consegue che – posto che la tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani è dovuta per anni solari, a ciascuno dei quali corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma – non è configurabile la preclusione da giudicato allorchè il precedente giudicato si riferisca ad un’annualità diversa dal periodo di tassazione considerato nella impugnata sentenza (Sez. 5, Sentenza n. 19152 del 15/12/2003).

Del resto, l’utilizzo in concreto di un immobile non costituisce un elemento costitutivo della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (come, ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assume carattere tendenzialmente permanente (Sez. U, Sentenza n. 13916 del 16/06/2006). Senza tralasciare che, nel caso invocato dalla controricorrente (deciso con ordinanza di questa Corte n. 37965/2022), il ricorso per cassazione proposto dal Comune è stato rigettato per aver la medesima comunicato preventivamente all’ente l’utilizzo fatto dell’immobile, depositando a corredo documentazione idonea ad attestarlo.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riferimento alla pronuncia n. 8027/23 di questa Sezione (avente ad oggetto il saldo Tari per l’anno 2016), la quale ha valorizzato la precedente ordinanza n. 9937/22 (riferentesi all’acconto Tari per il medesimo anno) per essersi formato il giudicato in ordine al profilo dell’avvenuta comunicazione al Comune, in data 13.1.2016, della dichiarazione di variazione, corredata da idonea documentazione, a cura della contribuente. Invero, avendo le due pronunce avuto ad oggetto la stessa annualità, non è configurabile alcun contrasto rispetto all’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato in precedenza esposto.

Con l’unico motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della l. n. 147 del 2013, art. 1, comma 641, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per essere la decisione della CTR in contrasto con il principio fondante della legge istitutiva della Tari che prevede come presupposto del tributo il mero possesso o la detenzione a qualsiasi titolo di locali o di aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti urbani indipendentemente dal fatto che tali rifiuti vengano o meno prodotti.

Il motivo è fondato.

Come è noto, la Tari ha sostituito, con decorrenza dall’1 gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti ai Comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (noti in precedenza con gli acronimi di T.A.R.S.U. e, successivamente, di T.I.A. e T.A.R.E.S.), conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria. L’imposta è dovuta, ai sensi della l. 27 dicembre 2013, n. 147, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, mentre le deroghe indicate e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti. La debenza del tributo di cui si discorre, secondo la disciplina di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, sussiste dunque ogni qualvolta ricorra il presupposto oggettivo dell’avvenuta istituzione del servizio di raccolta dei rifiuti, restando irrilevante il dato soggettivo della mancata utilizzazione da parte dell’utente. Essa è infatti fondata sui due presupposti impositivi del possesso di immobili, collegato alla loro natura e al loro valore, e dell’erogazione e fruizione di servizi comunali. La Tari, in particolare, è stata destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è disciplinata dai commi da 641 a 668, che individuano i presupposti della stessa (comma 641), e i criteri di determinazione della tariffa, come stabiliti dal D.P.R. n. 27 aprile 1999, n. 158 (commi 650 e 651), sulla base dei principi contenuti nei commi 252 e 254, del “chi inquina paga”, di cui alla Dir. n. 2008/98/CEE (art. 14).

Questa Corte ha più volte affermato che alla Tari sono estensibili gli orientamenti di legittimità formatisi per i tributi omologhi che l’hanno preceduta, quali la TARSU e la TIA (cfr. Cass. n. 22130 del 2017; n. 1963 del 2018; n. 12979 del 2019). Il tributo è dovuto indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, salva l’autorizzazione dell’ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità, purchè il servizio sia istituito e sussista la possibilità della utilizzazione, ma ciò non significa che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato dall’ente impositore in modo regolare, così da consentire al singolo utente di usufruirne pienamente (cfr. Cass. n. 18022 del 2013; n. 14541 del 2015; n. 1963 e n. 11451 del 2018; n. 26183 del 2019). Si è così chiarito che, in generale, la tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio di smaltimento dei rifiuti, in quanto la ragione istitutiva del relativo prelievo sta nel porre le amministrazioni locali nelle condizioni di soddisfare interessi generali della collettività, piuttosto che nel fornire, secondo una logica commutativa, prestazioni riferibili a singoli utenti, e che pertanto l’omesso svolgimento, da parte del Comune, del servizio di raccolta – sebbene istituito ed attivato nella zona ove è ubicato l’immobile a disposizione dell’utente – comporta non già l’esenzione dalla tassa, bensì la conseguenza che il tributo è dovuto ma in misura ridotta. Va pertanto ribadito che la Tari è un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione all’espletamento da parte dell’ente pubblico di un servizio nei confronti della collettività che da tale servizio riceve un beneficio, e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti, per cui “sarebbe (…) contrario al sistema di determinazione del tributo pretendere di condizionare il pagamento al rilievo concreto delle condizioni di fruibilità che del resto, per loro natura, oltre ad essere di difficile identificazione mal si prestano ad una valutazione economica idonea a garantire una esatta ripartizione fra gli utenti del costo di gestione” (vedi Cass. n. 21508 del 2005). Posto che i criteri di ripartizione del servizio di smaltimento dei rifiuti non sono collegati al concreto utilizzo, bensì ad una fruizione potenziale desunta da indici meramente presuntivi, quali l’occupazione e detenzione di locali ed aree, che tengono conto della quantità e qualità che, ordinariamente, in essi possono essere prodotti, il legislatore ha ritenuto di temperare la rigidità di tale criterio impositivo introducendo ipotesi di esclusione e di riduzione, riduzioni che a loro volta si distinguono in obbligatorie, i cui presupposti sono già fissati dalla legge, e facoltative, spettanti solo se previste dal regolamento comunale e secondo le modalità ivi determinate.

Venendo al tributo di cui si controverte, ai sensi della l. n. 147 del 2013, art. 1, comma 641, la TARI è dovuta, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti; sono poi previste dai commi successivi deroghe, riduzioni di tariffe ed agevolazioni che operano in base a diversi presupposti di fatto e di diritto, di cui è onere del contribuente dedurre e provare la relativa sussistenza per vincere la presunzione di produttività di rifiuti posta dal suindicato comma 641. Anche la Tari, come la TARSU, è pertanto caratterizzata, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che la disciplina, da una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione, con la conseguente doverosità della prestazione, caratterizzata da una forte impronta pubblicistica; i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata, ed i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi, in quanto la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio, avendo il tributo la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti ad un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente (v. in tema di TARSU Corte Cost. n. 238 del 2009, richiamata da Cass. n. 7647 e n. 1981 del 2018). Va pertanto ribadito che “In materia di imposta sui rifiuti (TARI), pur operando il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l’esenzione, costituendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale” (vedi Cass. n. 22130 del 2017 e n. 12979 del 2019). Le riduzioni o esenzioni di natura agevolativa, previste dai commi 659 e 660 dell’art. 1 della l. n. 147 del 2013, sono meramente eventuali, e quindi subordinate ad una esplicita previsione del regolamento comunale, che ne condiziona l’an, la disciplina di dettaglio ed il quantum, tutti elementi non predeterminati dalla legge che, appunto, ne prevede l’introduzione come possibile, ma non dovuta. Inoltre, operando in conseguenza di specifiche condizioni non altrimenti conoscibili dall’ente, in quanto collegate alle posizioni peculiari dei singoli utenti che si vengono a trovare nella situazione per poterne fruire, il riconoscimento del diritto a tali agevolazioni, oltre che ai medesimi oneri probatori delle precedenti, è subordinato alla ulteriore condizione della presentazione di una preventiva domanda del contribuente, corredata naturalmente della documentazione necessaria per giustificarne l’attribuzione. Invero, la TARI non è dovuta, a norma del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, per l’occupazione o la detenzione di locali ed aree scoperte (a qualsiasi uso adibite, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni) e dei locali e delle aree che, per la loro natura o il particolare uso cui sono stabilmente destinate (si pensi ad un parcheggio di autobus), o perchè risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità, non possono produrre rifiuti: tali esclusioni non sono, tuttavia, automatiche, perchè ponendo la norma una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, dispone altresì che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità siano dedotte “nella denuncia originaria” o in quella “di variazione”, e siano debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione (Sez. 5, Sentenza n. 19459 del 18/12/2003; Sez. 5, Sentenza n. 9633 del 13/06/2012; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 19469 del 15/09/2014; Sez. 5, Ordinanza n. 12979 del 15/05/2019; Sez. 5, Sentenza n. 31460 del 03/12/2019).

Orbene, nel caso di specie, fermo restando, per le ragioni in precedenza esposte, che, avuto riguardo alla denuncia di variazione, non può reputarsi essersi formato un precedente giudicato estensibile all’annualità in oggetto, poichè rappresenta un dato incontestato che la detta denuncia venne inoltrata dalla odierna contribuente in data 13.1.2016, deve ritenersi, in difetto di elementi oggettivi di segno contrario, che non fosse necessario, per il principio di ultrattività, reiterarla per l’annualità 2017, sicchè, almeno dal punto di vista formale, il riconoscimento dell’agevolazione fiscale sarebbe in astratto possibile.

Tuttavia, è evidente che il mancato utilizzo dei locali da parte della contribuente, come accertato dai consulenti, è legato ad un dato soggettivo che, come si è detto, è irrilevante ai fini dell’applicazione del tributo (in questi termini, in una fattispecie del tutto sovrapponibile, anche dal punto di vista soggettivo, a quella in esame, si è espressa Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11130 del 2021).

Ciò si pone in linea con l’orientamento consolidato secondo cui, in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il D.Lgs. n. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 2, nello stabilire che non sono soggetti alla stessa i locali e le aree che “risultino in obbiettive condizioni di non utilizzabilità”, sottrae all’imposizione gli immobili oggettivamente inutilizzabili, e non già quelli lasciati in concreto inutilizzati, per qualsiasi ragione, dai titolari della relativa disponibilità (Sez. 5, Sentenza n. 16785 del 27/11/2002; conf. Sez. 5, Sentenza n. 21726 del 17/11/2004).

Del resto, è opportuno ricordare (v. Sez. 5, Sentenza n. 12084 del 01/07/2004: conf. Sez. 5, Sentenza n. 5047 del 13/03/2015) che, in tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il D.Lgs. n. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 2, nell’escludere dall’assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti “per il particolare uso cui sono stabilmente destinati”, chiaramente esige che sia provata dal contribuente non solo la stabile destinazione dell’area ad un determinato uso, ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti (cfr. altresì Cass. nn. 19720/10 e 26637/17).

La CTR non ha dunque fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, essendosi, a pagina 2 della motivazione, limitata ad evidenziare che la contribuente avrebbe provato la mancata produzione di “rifiuti urbani o assimilati” relativamente ai locali magazzini ed aree scoperte della sede di (Omissis), ma non anche l’impossibilità di produrre i detti rifiuti.

Per completezza, va evidenziato che non è qui in gioco, come sostenuto dalla resistente, la problematica della non “suscettibilità” alla produzione di rifiuti urbani ed assimilati (che sarebbe stata affrontata e risolta con accertamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, in senso favorevole al contribuente), bensì quella della sottoponibilità ad imposta dei locali e delle aree anche a prescindere dalla mancata produzione attuale di rifiuti per via dell’attività in concreto svolta.

Da ultimo, è a rilevarsi che giammai la CTR, nella sentenza qui impugnata, ha affermato, come sostenuto dalla resistente, la non assimilabilità a quelli urbani dei rifiuti da essa prodotti nei locali e nelle aree scoperte, essendosi la stessa limitata ad evidenziare in astratto che, sulla base dello schema di decreto ministeriale elaborato dal Ministero dell’Ambiente, sono stati esclusi dalla categoria degli assimilabili “i rifiuti da imballaggio per il trasporto o terziari” (pag. 5 della sentenza), senza peraltro neppure soffermarsi sulla inquadrabilità in quest’ultima categoria dei documenti archiviati e depositati dalla contribuente.

Nell’incipit della motivazione della sentenza qui impugnata la CTR afferma, ancor prima di analizzare le rispettive posizioni delle parti, il quadro normativo e la situazione concreta, che la società contribuente avrebbe (peraltro, non è dato comprendere con quali modalità) “provato la mancata produzione di “rifiuti urbani o assimilati” relativamente ai locali magazzini ed aree scoperte della sede di (Omissis)” (considerazioni di per sè neutra, alla stregua di quanto dedotto in precedenza), ma non anche che la stessa avrebbe dimostrato la produzione, da parte della contribuente, di rifiuti non assimilati (o non assimilabili) a quelli urbani (e, in particolare, da imballaggio terziario).

La sentenza va pertanto cassata, con conseguente rinvio della causa, anche per le spese, alla corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, alla corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio in differente composizione.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2023.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2023


COMMENTO REDAZIONALE- Ai sensi della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 641, la TARI è dovuta, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti. Pur operando il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l’esenzione, costituendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale, fermo restando che l’esenzione per inutilizzabilità dell’immobile dipende solo da ragioni oggettive che rendano il bene di fatto inservibile e non può mai discendere da una scelta soggettiva del contribuente.