Cons. Stato, Sez. VI, 21 febbraio 2024, n. 1731


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1257 del 2021, proposto dall’A.-A.C. (titolare dell’emittente ‘R.F.’), cui è subentrata (cfr. atto di costituzione in giudizio in data 1 dicembre 2022) RTL 102,500 H.R. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati …, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio di quest’ultimo, sito in …;

contro

il Comune di Rocca di Papa, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato …, con domicilio digitale come da PEC da registri di giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio del medesimo, sito in …;

nei confronti

s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.a.r. per il Lazio, sez. II-quater, n. 8089 del 2020.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rocca di Papa;

Viste le memorie delle parti;

Visti gli atti tutti della causa;

Designato relatore il cons. Giuseppe La Greca;

Uditi nell’udienza pubblica del giorno 18 gennaio 2024 per le parti gli avvocati …;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.1.- Con l’originaria domanda di annullamento, introdotta con il ricorso di primo grado, la parte privata lamentava, per quanto d’interesse, l’illegittimità dell’ordinanza n. 79 del 2019 con la quale il Comune Rocca di Papa ingiungeva, nei suoi confronti, la rimozione di “n. 1 manufatto in ferro su base in cemento “Box 1 e 1/A”, delle seguenti dimensioni (BOX 1) 4,00 x 3,50 mt x h media 2,50 mt – (BOX 1/A) 4,00 x 1,60 mt x h – 2 – media 2,50 e n. 1 traliccio metallico su base in cemento sul quale sono presenti parabole e varie antenne “traliccio D” delle seguenti dimensioni base mt. 3,50 x 3,50 per altezza mt. 25,00, il tutto su area privata distinta in catasto al foglio (…), particelle (…) – (…)”” (pag. 1 dell’impugnata ingiunzione demolitoria).

1.2.- Le ragioni poste alla base dell’ingiunzione di ripristino erano rinvenibili nel carattere abusivo del manufatto e nella presenza, sull’area di cui trattasi, dei seguenti vincoli: a) vincolo paesaggistico (D.Lgs. n. 42 del 2004); b) vincolo sismico (L. n. 64 del 1974); c) vincolo ex D.M. 24 aprile 1954 (con cui l’area sarebbe stata riconosciuta di notevole interesse pubblico); d) vincolo del Parco regionale dei Castelli romani (L.R. Lazio n. 2 del 1984); e) vincolo idrogeologico ai sensi del R.D. n. 3267 del 1923; f) vincolo Enac (art. 711 cod. nav.). Nel provvedimento si dava anche atto che l’area: a) ricadeva all’interno della zona classificata “RP8” del PTP (L.R. Lazio n. 24 del 1998); b) ricadeva in zona “paesaggio naturale” di cui all’art. 21 PTPR; c) aveva, sul versante urbanistico, la destinazione urbanistica “V/2 aree verdi (inedificabilità assoluta)”.

2.- A sostegno delle proprie pretese la ricorrente deduceva dinanzi al T.a.r. i vizi come di seguito – in via di estrema sintesi – esposti:

  1. a) quanto al primo motivo:

– l’indicazione dei vincoli sarebbe stata generica;

– non sarebbe stato specificato in che termini il traliccio di cui trattasi, asseritamente ivi collocato da oltre 30 anni, avesse potuto alterare lo stato dei luoghi in assenza di fatti nuovi, stante l’assenza di un impatto paesaggistico;

– il Comune di R.D.P. sarebbe stato a conoscenza dell’opera fin dal 1984 e ciò sarebbe stato dimostrato dall’esito di un giudizio penale (in atti meglio specificato) che si sarebbe concluso nel senso di escludere la qualificazione dell’intervento come opera edilizia;

– erroneamente (e contraddittoriamente) il traliccio sarebbe stato considerato opera di “nuova costruzione” poiché risalente a oltre trent’anni prima;

– sarebbe erroneo il richiamo – nell’impugnato provvedimento – dell’art. (…) D.P.R. n. 380 del 2001 sul rilievo che, alla data di entrata in vigore di tale disposizione, il traliccio sarebbe stato esistente da 16 anni;

– la sopravvenuta disciplina in tema di comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259 del 2003) avrebbe ammesso la compatibilità del manufatto di cui trattasi con qualunque destinazione di zona;

  1. B) quanto al secondo motivo:

– nel 1995 sarebbe stata rilasciata una autorizzazione comunale (n. 20/95) allo spostamento delle antenne con cui il Comune avrebbe pure evidenziato come i tralicci non necessitassero di concessione edilizia;

  1. c) quanto al terzo motivo:

– l’infrastruttura colpita dell’ordine di demolizione sarebbe stata finalizzata all’esercizio di attività radiotelevisiva, di interesse pubblico, e il Comune non avrebbe indicato – pur essendone asseritamente tenuto – siti alternativi per la delocalizzazione (lo spostamento dei manufatti dalla zona urbana di R.D.P., già autorizzato dal Comune nel 1995, avrebbe dovuto avere, in tesi, carattere temporaneo, in attesa dell’individuazione di una nuova ubicazione).

3.- Con sentenza n. 8089 del 2020, il T.a.r. per il Lazio, sez. II-quater, rigettava il ricorso, così articolando il proprio iter argomentativo:

– l’opera non sarebbe risultata assistita da autorizzazione paesistica e da nulla-osta per la sismicità, sebbene il vincolo paesaggistico risalisse al D.M. 24 aprile 1954, anteriore alla realizzazione del traliccio, e quello sismico all’aprile del 1976;

– non sarebbe stata contestata la presenza del vincolo idrogeologico;

– l’autorizzazione n. 20 del 1995 del Comune, che consentiva il potenziamento di un impianto fino alla realizzazione di un progetto definitivo, con obbligo del gestore di rimuoverlo “su semplice richiesta dell’amministrazione”, quand’anche riferibile all’impianto per cui è causa, non avrebbe avuto i requisiti – né di forma, né di sostanza – propri di un permesso di costruire;

– il giudicato penale assolutorio – che, tra l’altro, escludeva la necessità del titolo abilitativo – non vincolava il giudice amministrativo anche avuto riguardo alla incontestata assenza dell’autorizzazione paesaggistica, del nulla osta sismico e alla valutazione (giuridica) in ordine alla necessità di munirsi di concessione edilizia per la realizzazione dell’opera, dovendosi, invece, sul punto, ritenersi che la esecuzione di un traliccio su base in cemento armato, quale piattaforma delle antenne, avrebbe dato luogo ad una trasformazione permanente del suolo, con necessità di titolo concessorio (la giurisprudenza amministrativa a quei tempi avrebbe, peraltro, escluso dalla necessità del titolo edilizio la sola installazione di antenne equiparabili a quelle casalinghe);

– contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la confluenza in un unico procedimento autorizzatorio dei profili edilizi e urbanistici legati alla realizzazione degli impianti (ai sensi dell’art. 87 D.Lgs. n. 259 del 2003) non significherebbe affatto che la (necessaria) verifica di compatibilità di essi con la disciplina propria del territorio sia venuta meno, ma, piuttosto, che essa andrà valutata in quella sola sede, con divieto di esigere, oltre a ciò, un distinto permesso di costruire (Corte cost., n. 129 del 2006).

4.- Avverso la predetta sentenza ha interposto appello la parte privata, chiedendone la riforma, in ragione della difettosa motivazione e omessa valutazione dei motivi di ricorso. Sostiene l’appellante che:

– nel medesimo sito insisterebbe un impianto di proprietà R. che, pur trovandosi nelle (asserite) medesime condizioni di fatto di quello per cui è causa, non sarebbe mai stato attinto da ordine di demolizione (la postazione R. ricadrebbe anch’essa in area plurivincolata), aspetto non considerato dal T.a.r. ( di qui la denunziata omissione di pronuncia rispetto alla dedotta disparità di trattamento);

– la sentenza penale di assoluzione del “titolare della società proprietaria” del traliccio avrebbe operato un accertamento – in fatto – circa l’esistenza del traliccio stesso sin dal 1984 e – in diritto – circa la mancanza di impatto paesaggistico (ed affermata esclusione dall’obbligo di concessione edilizia): la struttura sarebbe oggi integrata nei luoghi senza che siano emerse – né il Comune ne avrebbe dato atto – situazioni nuove o comunque tali da far ritenere il contrario e giustificare l’ordine di demolizione;

– il T.a.r. non avrebbe pronunciato circa la dedotta inapplicabilità, ratione temporis, dell’art. 10 D.P.R. n. 380 del 2001 (censura la cui utilità si giustificherebbe sul rilievo che ove fosse applicabile la disciplina successiva alla realizzazione del manufatto, giocoforza, dovrebbe, in tesi, applicarsi l’art. 87 D.Lgs. n. 259 del 2003);

– la sentenza sarebbe contraddittoria nel valutare l’autorizzazione del Comune n. 20/95: premesso che il Comune avrebbe dovuto compiere specifici accertamenti prima dell’emanazione dell’ordine di demolizione, la predetta autorizzazione avrebbe riguardato tutte le antenne che all’epoca trasmettevano da R.D.P., le quali non sarebbero state considerate;

– la (dedotta) assenza di siti alternativi per l’allocazione degli impianti sarebbe un fatto imputabile esclusivamente al Comune di Rocca di Papa.

5.1.- Si è costituito in giudizio il Comune di R.D.P. il quale, con articolata memoria, ha contrastato le pretese dell’appellante. In rito ha revocato in dubbio l’ammissibilità dell’appello in conseguenza: a) della mancata impugnazione dei capi della sentenza (4.2., 4.3, 4.4 e 4.5) che attesterebbero il carattere abusivo del traliccio in mancanza di permesso di costruire, di autorizzazione paesaggistica e di nulla osta sismico; b) della mancata contestazione delle singole ragioni a base dell’ordine di ripristino, ciascuna delle quali – in tesi – idonea a sorreggere autonomamente l’ordinanza impugnata.

5.2.- Nel merito, ha evidenziato il Comune che:

– l’affermazione secondo cui sussisterebbe, in zona, un traliccio R. con riferimento al quale la civica Amministrazione non avrebbe adottato alcun provvedimento sanzionatorio, costituirebbe motivo nuovo, introdotto per la prima volta in appello;

– sarebbe irrilevante la sentenza penale cui fa riferimento l’appellante poiché essa sarebbe riferibile ad “una modesta struttura metallica” eseguita in località M.C., ossia una zona completamente diversa da quella in esame denominata “Madonna del Tufo”;

– l’art. 10 (id est: art. 3) D.P.R. n. 380 del 2001 includerebbe tra gli interventi di nuova costruzione anche “l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione”;

– il manufatto di cui trattasi (due box e un traliccio di dimensioni pari a 25 m), dall’impatto (asseritamente) rilevante, sarebbe stato realizzato in area sottoposta a vincolo di inedificabilità assoluta, gravato da diversi vincoli ambientali (tra cui quello del Parco regionale dei Castelli Romani, sin dal 1984) e in mancanza di nulla osta paesaggistico;

– sarebbe irrilevante il tempo trascorso dall’abuso;

– il D.Lgs. n. 259 del 2003 non esonererebbe dal titolo concessorio (permesso di costruire) gli operatori che agiscono ai sensi della medesima disciplina;

– l’autorizzazione n. 20/95, cit., non può essere, in tesi, considerata quale titolo edilizio (del quale l’appellante sarebbe priva);

– nessun obbligo a carico del Comune di indicare siti alternativi sarebbe previsto, in presenza di manufatti dei quali non sarebbe stata autorizzata l’installazione.

6.- G. s.r.l., sebbene intimata, non si è costituita in giudizio.

7.- In prossimità della trattazione RTL 102,500 H.R. s.r.l. ha depositato memoria con la quale ha ribadito le proprie tesi difensive.

8.- All’udienza pubblica del 18 gennaio 2024, presenti i procuratori delle parti, dopo la rituale discussione nella quale essi hanno ribadito le rispettive domande e conclusioni, l’appello, su richiesta degli stessi, è stato trattenuto in decisione.

9.- L’appello alla stregua di quanto si dirà, non è meritevole di accoglimento. Tale esito esonera il Collegio, per evidenti ragioni di economia processuale (cfr. Cons. Stato, Ad. plen., n. 5 del 2015 nonché Cass. civ., sez. un., n. 26242 del 2014), dallo scrutinio delle questioni in rito sollevate dalla parte pubblica.

10.- Il gravame di A.-A.C., può, quindi, essere esaminato nel merito.

11.- In primo luogo il Collegio deve farsi carico di stabilire se l’autorizzazione allo spostamento delle antenne n. 20/95, rilasciata dal Comune di R.D.P., che parte appellante adduce essere elemento invalidante l’ordinanza di demolizione oggetto del presente giudizio, sia configurabile come titolo edilizio abilitativo (come ritenuto dall’appellante) oppure no.

12.1.- Premesso che l’interpretazione dell’atto amministrativo costituisce il proprium della funzione giurisdizionale, e non può quindi dar luogo ad uno sconfinamento nell’area riservata alla discrezionalità della pubblica amministrazione (cfr. Cass., sez. un., 3 marzo 2020, n. 5904) e premesso che per l’interpretazione dell’atto amministrativo l’ordinamento non detta regole ad hoc, vanno ribaditi i principi di estrazione giurisprudenziale secondo cui:

– detta interpretazione è “da condurre sulla base dei principi generali, desumibili dagli artt. 1362 ss. c.c. sull’interpretazione del contratto, in quanto compatibili con il provvedimento amministrativo ed espressivi di canoni di logica ermeneutica” (Cass. civ., sez. un., ord. 30 giugno 2023, n. 18602);

– nell’interpretazione dell’atto amministrativo, si deve tener conto non già del nomen iuris assegnatogli dall’autorità emanante, bensì del suo contenuto e delle norme di riferimento, nonché del potere che la p.a. abbia inteso in tal modo esercitare (Cons. Stato, sez. VI, n. 6534 del 2007);

– la qualificazione di un atto amministrativo deve essere operata sulla base del suo effettivo contenuto e degli effetti concretamente prodotti (Cons. Stato, sez. VI, n. 1718 del 2017).

12.2.- Ora, l’autorizzazione n. 20/95, più volte richiamata, si limitava ad “autorizzare” il “potenziamento della struttura di supporto già esistente per le antenne radio da installarsi in località C. – V.R., in via provvisoria per assicurare lo spostamento delle antenne dal centro storico del Comune … fino alla realizzazione del progetto definitivo e a rimuoverla su semplice richiesta dell’Amministrazione”.

Sul piano formale, l’autorizzazione, infatti, non richiamava i presupposti della disciplina edilizia vigente ratione temporis, né la presenza di un progetto espressamente finalizzato al rilascio del titolo, né, ancora, un’attestazione di compatibilità del progetto con la disciplina urbanistica, paesaggistica e, nel suo complesso, ambientale; sul piano sostanziale, oltre quanto si è appena detto, essa dava conto della sua finalità indirizzata al (solo) spostamento delle antenne, del suo carattere provvisorio (incompatibile con l’assetto dei titoli edilizi all’epoca vigente) e della futura rimovibilità della struttura (ciò che, in ipotesi, avrebbe postulato una revocabilità della concessione, già all’epoca non ammessa dalla L. n. 10 del 1977, art. 4, comma settimo).

Né a diverse conclusioni conduce la circostanza evidenziata dall’appellante secondo cui l’autorizzazione di cui trattasi avrebbe riguardato tutte le antenne che all’epoca trasmettevano dal territorio di R.D.P., trattandosi di elemento che, in ogni caso, non elide la sua connotazione di mera autorizzazione allo spostamento.

12.3.- L’affermazione del T.a.r. (e del Comune di R.D.P. ) circa l’assenza di un titolo abilitativo si rivela, dunque corretta; così come corretta è l’esclusione di ogni rilevanza del tempo che separa la installazione del manufatto dall’ordine di ripristino: sul punto è sufficiente richiamare (art. 88, comma 2, lett. d c.p.a.) l’insegnamento dell’Adunanza plenaria secondo cui “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino”.

Nel caso di specie, peraltro, pur volendo, non può neanche farsi riferimento alla sopravvenuta disciplina del c.d. stato legittimo dell’immobile (art. 9-bis D.P.R. n. 380 del 2001) in considerazione – a tacer d’altro sul piano formale, sostanziale e processuale – del carattere ostativo dei vincoli di cui si è detto.

12.4.- A ciò deve aggiungersi che nessuno specifico ulteriore accertamento prodromico all’ingiunzione di ripristino il Comune era tenuto a compiere risultando sufficiente l’accertata carenza di titolo e la difformità del manufatto rispetto alla situazione vincolistica di riferimento (vincoli che, a differenza di quanto sostenuto dalla parte privata, erano ben evidenziati nel provvedimento impugnato in prime cure): la presenza di “riscontri oggettivi circa l’esistenza di una storicità anche di rapporti con l’amministrazione riguardanti i detti manufatti” non può che ritenersi, in questa materia, del tutto irrilevante stante la pacifica natura vincolata delle funzioni comunali di vigilanza edilizia ex artt. 27 ss. D.P.R. n. 380 del 2001 e l’assenza di accordi procedimentali – ove pure, in ipotesi, ammessi – volti a delineare il rapporto amministrativo in modo diverso.

13.- Ciò detto, irrilevante si mostra il contenuto della sentenza penale a più riprese richiamata dall’appellante.

Premesso che il Comune ha evidenziato la diversità della situazione, anche geografica, cui si riferiscono i fatti che hanno dato luogo a quel giudizio, e comunque, nella vicenda oggetto dell’odierna trattazione era ed è pacifica la necessità del titolo edificatorio: ai sensi dell’art. 1, L. n. 10 del 1977, era soggetta al rilascio della concessione edilizia ogni attività che comportasse la trasformazione del territorio attraverso l’esecuzione di opere comunque attinenti agli aspetti urbanistici ed edilizi, ove il mutamento e l’alterazione avessero un qualche rilievo ambientale ed estetico, o anche solo funzionale (cfr. Cons. Stato, sez. V 14 dicembre 1994, n. 1486; 23 gennaio 1991, n. 64; 21 ottobre 1985, n. 343). Lettura della disciplina, questa, involgente anche le antenne saldamente ancorate al suolo, visibili dai luoghi circostanti (Cons. Stato, sez. V, n. 415 del 1998).

Ora, la circostanza in fatto, accertata dal giudice penale, che il manufatto esistesse sin dal 1984 (e che il Comune ne fosse a conoscenza), non determinava, dunque, un esonero della parte privata interessata dalla richiesta ed acquisizione del titolo in un momento anteriore alla edificazione, quantunque non prevista dalla autorizzazione allo spostamento: ciò che non risulta essere avvenuto, sicché il manufatto non poteva sfuggire al provvedimento di ripristino in prime cure impugnato.

14.- Infondata si rivela anche la riproposta doglianza di parte appellante – per il vero, formalistica – circa l’asserita illegittima applicazione dell’art. 10 D.P.R. n. 380 del 2001 (id est: in correlazione con l’art. 3) a fattispecie di violazione edilizia consumata anteriormente alla sua entrata in vigore.

14.2.- Va ricordato, sul punto, che il testo unico per l’edilizia del 2001 aveva natura c.d. “compilativa”: dall’art. 7 della L. n. 50 del 1999, si comprende come la natura e qualificazione dei testi unici misti – qual è il D.P.R. n. 380 del 2001 – abbiano voluto soddisfare, tra gli altri criteri e princìpi direttivi: a) la puntuale individuazione del testo vigente delle norme; b) l’esplicita indicazione delle norme abrogate, anche implicitamente, da successive disposizioni; c) il coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo (cfr. in tal senso, Cons. St., Ad. gen., parere 29 marzo 2001), il tutto senza intervenire sul piano sostanziale.

14.3.- Nel caso di specie, il riferimento, da parte del Comune, all’art. 10 predetto, è finalizzato a individuare una categoria opere il cui assetto era idoneo a modificare il territorio alla stregua di quanto previsto (sul piano della repressione) non solo dallo stesso testo unico ma anche, a ritroso, dalla L. n. 47 del 1985 e, ancor, prima, dall’art. 1, L. n. 10 del 1977, le cui disposizioni risultano nel medesimo testo unico trasposte secondo quanto si è prima detto. Sul punto va chiarito che la previsione nell’art. 3 D.P.R. n. 380 del 2001 della connotazione di “nuova costruzione”, assoggettata a permesso di costruire, della “installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione”, costituiva norma specificativa della previsione già contenuta nell’art. 1 della predetta L. n. 10 del 1977 che prescriveva, in generale, la concessione edilizia per ogni intervento di “trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio” cui non si sottraeva tale tipo di installazioni fisse (cfr.: Cons. Stato, sez. V, 6.4.1998 n. 415, cit.).

15.1.- Anche il richiamo alla (da parte appellante ritenuta) più favorevole (quantomeno sul piano procedimentale) disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 259 del 2003 (Codice delle comunicazioni elettroniche), ove pure la si ritenesse applicabile al caso di specie, si mostrerebbe qui priva di utilità in ragione della previsione nel medesimo d. lgs. della regola secondo cui “Restano ferme le disposizioni a tutela dei beni ambientali e culturali contenute nel D.Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 …” (art. 43), considerata, qui, la presenza dei vincoli e la mancata acquisizione dei correlati nulla-osta.

15.2.- Nel caso di specie – a differenza di quanto affermato dall’appellante – il Comune non era tenuto a spiegare l’effettiva incidenza dell’impatto paesaggistico e il come le antenne avessero alterato lo stato dei luoghi: in primo luogo, era sufficiente l’indicazione dei vincoli in seno all’ordine di demolizione (vincoli sia considerati ex se, sia in rapporto col provvedimento impugnato); in secondo luogo si trattava, all’evidenza, di valutazioni appartenenti al novero delle competenze degli enti preposti alla tutela.

16.1.- Da ultimo, infondata si rivela la doglianza sulla disparità di trattamento rispetto ad altri manufatti che non sarebbero stati attinti dal provvedimento di ripristino: va ribadita la regola secondo cui “la disparità di trattamento non costituisce vizio invocabile a fronte di una questione di interpretazione e corretta applicazione della legge” (Cons. Stato, Ad. plen. n. 1 del 2020).

16.2- Anche la censurata mancata localizzazione di siti alternativi da parte del Comune ove collocare le antenne non coglie nel segno, trattandosi qui di provvedimento di repressione edilizia e non di programmazione localizzatoria: aspetto sul quale, peraltro, molto opportunamente, il giudice di prime cure ha auspicato un sollecito intervento di pianificazione dell’Ente locale.

17.- Alla luce delle superiori considerazioni l’appello va integralmente rigettato.

18.- Il complessivo andamento della vicenda procedimentale consente la compensazione, tra le parti costituite, delle spese del presente grado di giudizio; non è luogo a statuizione sulle spese nei confronti della parte privata, non costituita in giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo rigetta e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza.

Spese del grado compensate tra le parti costituite; nulla per le spese del grado nei confronti della parte privata non costituita in giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Conclusione

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 gennaio 2024 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Lorenzo Cordi’, Consigliere

Giuseppe La Greca, Consigliere, Estensore


MASSIMA: Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino.