Convegno Lerici, 24 maggio 2024
“L’incidenza per gli Enti Locali delle modifiche e novità normative relative a: Statuto dei diritti del contribuente, processo tributario e digitalizzazione della P.A.”
Relazione della Dott.ssa Cecilia Domenichini: “La sospensione cautelare alla luce della recente riforma” (Parte Prima)
SOMMARIO: §.1 Premessa. §.2 La tutela cautelare nel giudizio di primo grado. §.3 La definizione del giudizio in esito alla domanda di sospensione. §.4 La tutela cautelare nell’ambito dei giudizi di appello e di revocazione. §.5 La tutela cautelare in pendenza di giudizio di legittimità. §. 6 Considerazioni conclusive.
- .1 Premessa.
Il processo cautelare tributario è stato oggetto negli ultimi anni di profonde riforme, finalizzate a rendere tale tipologia di tutela sempre più piena, analogamente a quanto avviene nel rito civile mediante il cd. “procedimento cautelare uniforme” (artt. 669-bis e ss. c.p.c.), nella consapevolezza che, laddove manchi un’efficace tutela cautelare, non può dirsi pienamente realizzato il diritto costituzionale di azione e difesa in giudizio, tutelato dall’art. 24 Costituzione.
In particolare, sia il D.lgs. 24 settembre 2015 n. 156, sia la Legge 31 agosto 2022 n. 130, sia infine il recentissimo D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 220 hanno apportato sensibili modifiche sia alla tutela cautelare nel giudizio di primo grado, sia a quella dei processi di impugnazione, nell’ottica di una sempre maggiore uniformazione.
Tale processo, tuttavia, ad oggi, ancora non può dirsi pienamente completato, soprattutto in considerazione della circostanza che, ancora ad oggi, solo l’ordinanza cautelare di primo grado risulta impugnabile, mentre è ancora radicalmente esclusa qualsiasi forma di impugnabilità dell’ordinanza cautelare resa in appello (o comunque, più in generale, nei giudizi di impugnazione).
- .2 La tutela cautelare nel giudizio di primo grado.
La Legge 31 agosto 2022, n. 130, con gli artt. 2, comma 1, e 4, comma 1, lettera f), è intervenuta sull’istituto della sospensione cautelare, apportando alcune modifiche all’art. 47, commi 2, 4 e 5, D.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e abrogando il comma 5-bis. Le predette modifiche sono applicabili a decorrere dalla data di entrata in vigore della norma (dal 16 settembre 2022) a tutti i giudizi, ivi inclusi quelli già instaurati antecedentemente a tale data.
Il successivo D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 220 (entrato in vigore il 4 gennaio 2024), all’art. 1, comma 1, lettera s), ha invece modificato i commi 1, 3, 4, 7 e 8 del predetto art. 47 D.lgs. 546/1992.
Allo scopo di accelerare la trattazione dell’istanza di sospensione, con le modifiche di cui alla Legge 130/2022 è stato fissato un termine massimo di trenta giorni dalla presentazione dell’istanza, entro e non oltre il quale il presidente di sezione deve fissare la relativa udienza di trattazione in camera consiglio. Si tratta peraltro di un termine meramente acceleratorio e ordinatorio, così come tutti i termini assegnati all’ufficio giudiziario.
E’ stato anche abbreviato da dieci a cinque giorni liberi il termine minimo che deve intercorrere tra la comunicazione alle parti del decreto di fissazione dell’udienza di trattazione dell’istanza cautelare e la sua celebrazione.
La modifica più significativa apportata dalla Legge 130/2022 è tuttavia senza dubbio rappresentata dal divieto di far coincidere l’udienza di trattazione dell’istanza di sospensione con quella di trattazione del merito della controversia.
Con l’introduzione di tale divieto il Legislatore ha inteso porre fine da una prassi diffusasi in questi ultimi anni presso vari Uffici giudiziari, che erano soliti concentrare la trattazione dell’istanza cautelare e quella del merito della controversia in un’unica udienza (talvolta unicamente ad orari differenziati).
Mediante l’introduzione di tale divieto, il Legislatore del 2022 ha probabilmente voluto ribadire come la decisione sull’istanza cautelare non possa e non debba comunque risolversi in un’“anticipazione” della decisione finale, né possa in alcun modo “vincolare” quest’ultima, che proprio per questo deve essere affrontata separatamente ed in un momento anche cronologicamente successivo.
Alla previsione dell’art. 47, comma 4, D.lgs. 546/1992 secondo cui “il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata” l’art. 4, comma 1, lettera f), Legge 130/2022 ha aggiunto le parole “nella stessa udienza di trattazione dell’istanza”: pertanto, almeno nelle intenzioni del Legislatore, il dispositivo dell’ordinanza cautelare deve essere immediatamente letto alle parti presenti in udienza (anche se, nella prassi diffusa presso vari Uffici giudiziari, accade spesso che lo stesso non venga letto in udienza, bensì successivamente comunicato mediante posta elettronica certificata il giorno stesso dell’udienza o nei giorni immediatamente successivi).
Alla disposizione dell’art. 47, comma 5, D.lgs. 546/1992, che ammette la sospensione parziale o subordinata alla garanzia di cui all’art. 69, comma 2, D.lgs. 546/1992, la Legge 130/2022 ha aggiunto la previsione che esclude la necessità della prestazione della garanzia per i ricorrenti dotati del cd. “bollino di affidabilità fiscale”, intendendosi per tali quei contribuenti soggetti alla disciplina dei cd. “indici sintetici di affidabilità fiscale” ex art. 9-bis D.L. 24 aprile 2017 n. 50, convertito con modificazioni in Legge 21 giugno 2017 n. 96, ai quali sia stato attribuito un punteggio di affidabilità pari ad almeno 9 negli ultimi tre periodi d’imposta precedenti a quello di proposizione del ricorso per i quali tali punteggi siano disponibili.
E’ stata infine abrogata la disposizione dell’art 47, comma 5-bis, D.lgs. 546/1992, che prevedeva un termine massimo di 180 giorni tra la presentazione dell’istanza di sospensione e la sua decisione.
Se già la Legge 130/2022 aveva apportato significative innovazioni alla tutela cautelare tributaria, ancora più rilevanti appaiono le modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lettera s), D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 220, ed in particolare dal n. 4) di tale lettera.
A seguito di tale intervento riformatore, la decisione finale sull’incidente cautelare viene resa con ordinanza motivata che, a differenza di quanto avveniva in passato, diviene impugnabile.
L’art. 1, comma 1, lettera s), n. 4), lettere a) e b), D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 220 ha infatti soppresso la qualifica dell’ordinanza cautelare come “non impugnabile” e introdotto- per i ricorsi notificati in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal 05 gennaio 2024 (i.e.: giorno successivo all’entrata in vigore del Decreto) – un regime di impugnabilità è differenziato a seconda che il provvedimento cautelare sia stato emesso dal collegio oppure dal giudice tributario monocratico (competente, ex art. 4-bis D.lgs. 546/1992, per le liti di valore fino a cinquemila euro, e con esclusione delle controversie di valore indeterminabile).
In particolare, l’ordinanza cautelare collegiale è impugnabile innanzi alla corte di giustizia tributaria di secondo grado entro il termine perentorio di quindici giorni dalla sua comunicazione da parte della segreteria. Al relativo procedimento si applicano le disposizioni di cui all’art. 47, commi 2, 3 e 4, in quanto compatibili.
L’ordinanza cautelare del giudice monocratico è invece impugnabile solo con reclamo innanzi alla medesima corte di giustizia tributaria di primo grado in composizione collegiale, da notificare alle altre parti costituite nel termine perentorio di quindici giorni dalla sua comunicazione da parte della segreteria. La norma non si pronuncia in merito al successivo adempimento del deposito: trattandosi di reclamo, si ritiene debba trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 28 D.lgs. 546/1992, che prevede a tal fine un termine perentorio di quindici giorni dall’ultima notificazione.
Al procedimento di impugnazione si applicano le norme di cui ai commi 2, 3, 4, 5 e 6, in quanto compatibili, e l’ordinanza che decide sul reclamo non è impugnabile.
Parimenti non impugnabile è l’ordinanza cautelare della corte di giustizia tributaria di secondo grado.
Resta ferma la possibilità di revoca o modifica del provvedimento cautelare, in caso di mutamento delle circostanze (art. 47, comma 8, D.lgs. 546/1992).
Mentre quest’ultima si intende riferita al solo caso di ordinanza di accoglimento, e non certo alla diversa ipotesi di rigetto del provvedimento cautelare, l’impugnabilità dell’ordinanza cautelare deve senza dubbio intendersi estesa sia al provvedimento di rigetto, sia a quello di accoglimento.
Con comunicato Ministero dell’Economia e delle Finanze- Dipartimento della Giustizia Tributaria pubblicato in data 09 aprile 2024, è stato reso noto l’adeguamento degli applicativi presenti nel PTT e quelli in uso ai magistrati e giudici tributari e al personale amministrativo delle Corti, in conseguenza dell’attuazione della riforma del contenzioso tributario realizzata con il D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 220.
In particolare, risultano implementate le funzionalità relative ai nuovi istituti entrati in vigore dal 4 gennaio 2024, tra i quali, per quanto qui interessa, l’impugnazione delle ordinanze che accolgono o respingono le istanze di sospensione dell’esecuzione degli atti oggetto del ricorso in primo grado.
Per la Corte di giustizia tributaria di primo grado, è stata inserita la richiesta di iscrizione al Registro Generale della “Impugnativa ordinanza sospensione monocratica di primo grado”.
Per la Corte di giustizia tributaria di secondo grado, è stata inserita la richiesta di iscrizione al Registro Generale della “Impugnativa ordinanza sospensione collegiale di primo grado”.
Nulla muta, a seguito degli interventi riformatori, sulla natura del provvedimento sospensivo, che resta ex se dotato di efficacia espansiva esterna, in quanto destinato a coinvolgere non solo l’atto che ne è fatto espresso oggetto, ma anche tutti quelli da esso direttamente dipendenti, se già compiuti (in caso contrario, infatti, questi ultimi non potrebbero venire posti in essere, pena la loro radicale invalidità ed inefficacia).
Resta altresì ferma la previsione di cui all’art. 47, comma 6, D.lgs. 546/1992, secondo cui “nei casi di sospensione dell’atto impugnato la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre 90 giorni dalla pronuncia”.
Si tratta, peraltro, di un termine meramente ordinatorio, destinato a creare una sorta di “corsia preferenziale” per la trattazione dei ricorsi nell’ambito dei quali sia stata concessa la misura cautelare, senza però voler giungere all’estrema conseguenza di determinare la “caducazione” del provvedimento cautelare in caso di mancato rispetto del termine per la trattazione del merito. Ciò tenuto anche conto del fatto che il rispetto di tale termine non consegue ad un’attività di parte, bensì dell’ufficio giudiziario, e che risulterebbe quindi incongruo “sanzionare” con la perdita di efficacia del provvedimento cautelare la parte che abbia “subito” l’eventuale ritardo dell’ufficio stesso.
L’ordinanza di sospensione rimane automaticamente caducata ed integralmente sostituita dalla sentenza, senza necessità di alcuna specifica statuizione in tal senso da parte del decidente.
L’unico effetto che può eventualmente “sopravvivere” al deposito della sentenza è quello relativo alla liquidazione delle spese della fase cautelare, che sia contenuta nell’ordinanza.
Stabilisce infatti l’art. 15, comma 2-quater, D.lgs. 546/1992 (così come “riscritto” dall’art. 9, comma 1, lettera f) D.lgs. 24 settembre 2015 n. 156) che l’ordinanza, che decide la fase cautelare, deve provvedere alla liquidazione delle spese processuali relative a tale fase.
La pronuncia sulle spese- che deve essere contenuta unicamente nell’ordinanza collegiale relativa alla fase cautelare, e non anche nell’eventuale decreto presidenziale emesso inaudita altera parte nei casi di eccezionale urgenza– conserva di regola efficacia anche dopo il provvedimento che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa contenuta nella sentenza di merito.
Si tratta, in sostanza, di una seppur limitata deroga al principio per cui il provvedimento cautelare è destinato a perdere la propria efficacia con la pubblicazione della sentenza di merito; a quest’ultima, comunque, è sempre riconosciuta la facoltà di statuire diversamente, eventualmente revocando, purché in modo espresso, la precedente statuizione sulle spese processuali contenuta nell’ordinanza conclusiva della fase cautelare.
Deve infine farsi un cenno alla norma contenuta nell’art. 47, comma 8-bis, D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 (aggiunto dall’art. 9, comma 1, lettera r), n. 4) D.lgs. 24 settembre 2015 n. 156) e alla sua recente evoluzione giurisprudenziale.
La predetta norma dispone che “Durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso previsto per la sospensione amministrativa”.
La problematica che tale norma aveva posto era quella di comprendere se, anteriormente alla sua introduzione, gli interessi per il periodo di sospensione fossero o no dovuti e, in caso affermativo, in quale misura.
Ad oggi, costituisce principio ormai abbastanza consolidato che, anche anteriormente all’introduzione del comma 8-bis D.lgs. 546/1992, al periodo di sospensione giudiziale dell’atto impugnato si applichino gli interessi al tasso legale, “in quanto la pretesa di interessi da parte dell’Amministrazione finanziaria si fonda sul principio generale di cui all’art. 1282, primo comma, cod. civ. secondo cui i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto in misura del tasso legale, salvo che la legge o il titolo dispongano diversamente” (Cass. civ., sez. V, 22 febbraio 2022 n. 5692).
In sostanza, quindi, l’introduzione del comma 8-bis D.lgs. 546/1992 avrebbe inciso non già sull’an della debenza degli interessi, bensì soltanto sul quantum degli stessi, nel senso che “nel caso di sospensione giudiziale dell’atto impositivo, ai sensi dell’art. 47 del D.lgs. n. 546 del 1992, poi revocata, l’amministrazione finanziaria ha diritto a percepire gli interessi conseguenti al ritardato versamento delle somme dovute da calcolarsi nella misura legale, e in quella del 4,5% solo a seguito dell’entrata in vigore del comma 8 bis, aggiunto al menzionato art. 47 dall’art. 9, comma 1, lett. r), n. 4, del D.lgs. n. 156 de 2015” (Cass. civ., sez. V, 26 settembre 2022 n. 28018).
- .3 La definizione del giudizio in esito alla domanda di sospensione.
L’art. 1, comma 1, lettera t), D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 220 ha inserito nell’ambito del D.lgs. 546/1992 l’art. 47-ter, disciplinante la “definizione del giudizio in esito alla domanda di sospensione”.
Si tratta di una disposizione che, a norma del successivo art. 4, comma 2, D.lgs. 220/2023, è destinata ad applicarsi “ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere da giorno successivo all’entrata in vigore del presente decreto”, ossia a decorrere dal 5 gennaio 2024.
Essa prevede che, escluso il caso di pronuncia sul reclamo, il collegio, in sede di decisione della domanda cautelare, trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, previo accertamento della completezza del contraddittorio e dell’istruttoria e sentite sul punto le parti costituite, possa definire il giudizio in camera di consiglio con sentenza in forma semplificata, adottata ai sensi del successivo comma 3, salvo che una delle parti dichiari di voler proporre motivi aggiunti ovvero regolamento di giurisdizione.
In quest’ultimo caso, laddove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone l’integrazione del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione dei motivi aggiunti ovvero del regolamento di giurisdizione, fissando contestualmente la data per il prosieguo della trattazione.
La predetta disposizione si applica anche quando la domanda cautelare sia proposta dinanzi al giudice monocratico.
Il giudice decide con sentenza in forma semplificata quando ravvisa:
- la manifesta fondatezza del ricorso;
- la manifesta inammissibilità del ricorso;
- la manifesta improcedibilità del ricorso;
- la manifesta infondatezza del ricorso.
In tali fattispecie, la motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente giurisprudenziale conforme.
Si tratta di un istituto mutuato dal Codice del processo amministrativo, ed in particolare dagli artt. 60 e 74 D.lgs. 02 luglio 2010 n. 104, il cui testo viene ripreso pressoché letteralmente (rispettivamente “In sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione. Se la parte dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di giurisdizione, il giudice assegna un termine non superiore a trenta giorni. Ove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone l’integrazione del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione e fissa contestualmente la data per il prosieguo della trattazione” e “Nel caso in cui ravvisi la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso, il giudice decide con sentenza in forma semplificata. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, ad un precedente conforme”).
Si tratta di una trasposizione che, ad oggi, non ha mancato di suscitare qualche “perplessità” in dottrina: se da un lato, infatti, è evidente la ratio di snellimento e velocizzazione delle decisioni, dall’altro vi è il rischio di una riduzione delle garanzie, che solo un’adeguata motivazione della sentenza può assicurare.
La nuova disposizione consentirà infatti, in presenza di una delle quattro fattispecie tipizzate dalla norma (i.e.: manifesta fondatezza o, all’opposto, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso), di decidere il merito della causa in esito ad una sorta di “giudizio abbreviato”, in esito alla decisione sulla domanda cautelare.
La possibilità di motivazione mediante “un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo” o, addirittura, “ad un precedente conforme” (non solo della giurisprudenza di legittimità, ma anche di quella di merito) genera il rischio, secondo parte della dottrina, di un’eccessiva uniformazione e standardizzazione delle sentenze, che potrebbero molto spesso essere motivate per relationem, senza un’adeguata analisi della effettiva pertinenza del precedente giurisprudenziale richiamato rispetto alla fattispecie concreta in decisione.
Di fatto, quindi, la norma andrebbe non tanto a semplificare e snellire lo svolgimento del processo tributario, quanto ad uniformare e standardizzare la redazione della sentenza, con conseguente perdita per le parti della garanzia che solo una motivazione della sentenza sufficientemente articolata e ponderata può offrire.
Ancora, parte della dottrina ha evidenziato come l’introduzione dell’istituto della “sentenza in forma semplificata” segni, almeno in parte, una sorta di “ritorno al passato” rispetto all’introduzione (ad opera della Legge 130/2022) del generale divieto di far coincidere l’udienza di trattazione dell’istanza cautelare con quella della trattazione del merito della causa, solo in parte attenuato dall’obbligo per il giudice di “sentire” le parti costituite sul punto.
L’adozione della sentenza in forma semplificata potrebbe infatti comportare per le parti una sensibile diminuzione delle garanzie procedurali e, in particolare, della facoltà di integrare le difese spiegate mediante gli atti introduttivi con la produzione di nuovi documenti (nel termine di venti giorni liberi anteriori all’udienza di trattazione del merito, ex art. 32, comma 1, D.lgs. 546/1992), con il deposito di memorie integrative (nel termine di dieci giorni liberi anteriori all’udienza di trattazione del merito, ex art. 32, comma 2, D.lgs. 546/1992) o di brevi repliche (nel termine di cinque giorni liberi anteriori all’udienza di trattazione del merito che si svolga nelle forme della camera di consiglio, ex art. 32, comma 3, D.lgs. 546/1992).
Si tratta di una privazione dalle conseguenze senza dubbio rilevanti, specie alla luce della modifica apportata dall’art. 1, comma 1, lettera bb) D.lgs. 220/2023 al regime delle nuove prove in appello (art. 58 D.lgs. 546/1992).
La nuova disposizione non consente più la produzione di nuovi documenti senza alcuna limitazione e stabilisce all’opposto un generale divieto sia di nuovi mezzi di prova, sia di produzione di nuovi documenti, salvo che il collegio li ritenga indispensabili ai fini della decisione o la parte dimostri che la loro mancata proposizione o produzione nel giudizio di primo grado è dipesa da causa a sé non imputabile.
Il “rigore” della nuova norma è solo in parte “temperato” dalla facoltà di proposizione di motivi aggiunti di appello, limitata al caso in cui la parte venga a conoscenza di documenti, non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado, da cui emergano vizi degli atti o dei provvedimenti impugnati.
Alla luce della predetta norma, la parte che, in conseguenza dell’adozione di una sentenza in forma semplificata in sede di decisione della domanda cautelare, si veda privata della facoltà di integrare la documentazione probatoria già prodotta con gli atti introduttivi nel termine di cui all’art. 32, comma 1, D.lgs. 546/1992, potrebbe dunque trovarsi nell’impossibilità di “rimediare” a tale carenza anche nel successivo grado di appello.
Tale rischio non è interamente scongiurato neppure dalla previsione, contenuta all’art. 47-ter D.lgs. 546/1992, che l’adozione della sentenza in forma semplificata in sede di decisione della domanda cautelare possa essere adottata soltanto dopo avere “sentito” le parti costituite.
Secondo la giurisprudenza formatasi nel giudizio amministrativo, infatti, l’obbligo per il giudice di dover “sentire” le parti costituite non implica la necessità che queste ultime esprimano un consenso all’adozione della decisione in forma semplificata, ma solo che debbano essere preventivamente edotte dell’intendimento del giudice, per poter eventualmente “calibrare” le proprie successive difese alla luce di esso.
Ancora, la norma di cui all’art. 47-ter D.lgs. 546/1992 non specifica in quale modo le parti debbano essere “sentite” in merito all’intendimento del giudice di emettere una sentenza in forma semplificata, in sede di decisione della domanda cautelare: in particolare, non è chiaro se ciò debba avvenire direttamente all’udienza di trattazione della sospensiva (nel qual caso il giudice dovrebbe giungere a tale udienza avendo già maturato tale intendimento) oppure in un momento successivo, ad esempio attraverso uno scambio di memorie.
Pertanto, è possibile affermare come l’introduzione dell’art. 47-ter D.lgs. 546/1992, unita alla limitazione delle nuove prove documentali in appello, renda necessaria per la parte ricorrente un’adeguata ponderazione dell’istanza cautelare, che non potrà più essere proposta “in automatico” rispetto alla proposizione del ricorso, ma dovrà tenere adeguatamente conto del “rischio” che ad essa consegua l’adozione di una definizione immediata del giudizio, senza possibilità di ulteriori integrazioni istruttorie, peraltro non più “recuperabili” (al di fuori delle limitate fattispecie derogatorie previste dalla nuova formulazione dell’art. 58 D.lgs. 546/1992) neppure in secondo grado.
Nell’ottica della parte resistente, la norma di cui all’art. 47-ter D.lgs. 546/1992 pone la problematica della tutela della parte non ancora costituita al momento della trattazione dell’istanza cautelare.
Tale problematica appare tanto più grave, considerato il brevissimo arco temporale (i.e.: venti giorni dall’ultima notificazione) trascorso il quale è ammissibile l’adozione di una sentenza in forma semplificata in sede di decisione della domanda cautelare.
Dal momento che la norma impone al giudice di sentire unicamente le parti costituite, diviene importante per l’Ufficio finanziario provvedere alla costituzione in modo particolarmente rapido e sollecito, per non “correre il rischio” di non riuscire a costituirsi in tempo utile per la decisione in forma semplificata.
Dott.ssa Cecilia Domenichini
Unicusano- Roma