Cass. Civ., sez. V, ord. 29 aprile 2024, n. 11364


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BALSAMO Milena – Presidente

Dott. BILLI Stefania – Consigliere

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere

Dott. PENTA Andrea – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca- Consigliere-Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15979/2022 R.G. proposto da:

…, rappresentata e difesa dall’avvocato … (omissis), pec …                                                                                              -ricorrente-

contro

COMUNE STATTE, elettivamente domiciliato in …, presso lo .. e rappresentato e difeso dall’avvocato … (Omissis)       -controricorrente-

avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. PUGLIA SEZ.DIST. TARANTO n. 3221/2021, depositata il 10/12/2021,

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/04/2024

dal Consigliere FRANCESCA PICARDI.

Svolgimento del processo

1… ha impugnato l’avviso di accertamento i.c.i. (annualità 2010) del Comune di Statte, denunciando il difetto di legittimazione attiva, in considerazione dell’ubicazione del proprio stabilimento nel territorio del Comune di Taranto; l’esenzione dall’imposta, in considerazione della strumentalità dell’immobile ai propri compiti istituzionali; la mancata corretta determinazione ed indicazione dei criteri di attribuzione della rendita dell’opificio.

  1. Il ricorso è stato rigettato in primo grado.

3.L’appello proposto dalla contribuente è stato dichiarato inammissibile per difetto di specificità.

4.La contribuente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello e depositato successiva memoria.

5.Il Comune si è costituito con controricorso.

  1. La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 9 aprile 2024.

Motivi della decisione

1.La società ricorrente, con un unico motivo, ha denunciato la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., dell’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992, non avendo il giudice di secondo grado considerato l’atto di appello nel suo complesso -atto in cui è stata proposta una prima censura (sicuramente specifica) di omesso esame del terzo motivo di ricorso introduttivo ed una seconda censura di erroneità in ordine alla negata esenzione, nonostante la propria natura di società in house partecipata al 100% dal Comune.

  1. Secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, nel processo tributario, la riproposizione, a supporto dell’appello proposto dal contribuente, delle ragioni di impugnazione del provvedimento impositivo in contrapposizione alle argomentazioni adottate dal giudice di primo grado assolve l’onere di impugnazione specifica imposto dall’art. 53 del D.Lgs. n. 546 del 1992, atteso il carattere devolutivo pieno, in tale giudizio, dell’appello, quale mezzo di gravame non limitato al controllo di vizi specifici, ma volto ad ottenere il riesame della causa nel merito (v., tra le tante, Cass., Sez. 6-5, 23 novembre 2018, n. 30525 e Cass., Sez. 5, 20 dicembre 2018, n. 32954).
  2. Il ricorso è, quindi, fondato, atteso che l’appello, avendo riproposto, in contrapposizione alla sentenza impugnata, le ragioni del ricorso principale, ed avendo altresì denunciato l’omessa valutazione di uno dei motivi del ricorso introduttivo del giudizio, è ammissibile. Pertanto, la sentenza impugnata deve essere cassata.

4.Tuttavia, l’appello può essere deciso nel merito ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384 cod.proc.civ., in quanto l’esame dei suoi motivi non richiede ulteriori accertamenti di fatto, ed è infondato.

4.1. Il primo motivo dell’appello (avente ad oggetto l’omesso esame del terzo motivo del ricorso introduttivo: “nell’atto di accertamento non è dimostrato che l’importo richiesto corrisponde a quello per legge liquidabile in quanto nell’atto si dà per scontata la modalità con cui è stata attribuita la rendita che, nello specifico, viene in contestazione per non riflettere la specificità dell’opificio e del valore che esprime in ragione di ciò che lo costituisce”) è inammissibile, in quanto si riferisce non all’avviso di accertamento ma piuttosto all’atto di attribuzione della rendita, che avrebbe dovuto essere impugnato autonomamente e la cui mancata impugnazione non può essere recuperata nel giudizio avverso l’avviso di accertamento.

Invero, nell’appello si è fatto riferimento all’atto attributivo di una nuova rendita, adottato su istanza del contribuente (variazione del 2013), ed alla sua impugnazione. Tuttavia, si tratta di deduzione difensiva nuova e non riconducibile all’originario motivo del ricorso introduttivo, in cui si è lamentata solo ed esclusivamente la carenza di motivazione dell’atto impugnato (p. 3 del ricorso introduttivo, “nell’atto di accertamento non è dimostrato che l’importo richiesto corrisponde a quello per legge liquidabile in quanto nell’atto si dà per scontata la modalità con cui è stata attribuita la rendita che, nello specifico, viene in contestazione per non riflettere la specificità dell’opificio e del valore che esprime in ragione di ciò che lo costituisce”).

A ciò va aggiunto, inoltre, che solo il provvedimento emesso in sede di autotutela ha effetto retroattivo dalla data dell’originario classamento, indipendentemente dalla data di notifica della nuova rendita, se si limita a correggere errori originari o vizi dell’atto (Cass., Sez. 6-5, 31 maggio 2017, n. 13845).

4.2. Il secondo motivo dell’appello, avente ad oggetto l’esenzione dall’imposta, essendo la società ricorrente una società partecipata al 100% dal Comune di Taranto e, dunque, solo formalmente distinta dall’Amministrazione, è infondato, atteso che, come si desume dalla regola generale di cui all”art. 1, comma 3, del D.Lgs. n. 175 del 2016, la società, anche interamente partecipata dal soggetto pubblico, è assoggettata alla disciplina prevista per i soggetti privati, in ragione della sua forma, salvo una specifica previsione di legge, che non sussiste in ordine all’esenzione invocata – esenzione che, peraltro, è di stretta interpretazione, in quanto si pone come eccezione all’ordinario regime tributario.

Pure deve sottolinearsi che una società può essere considerata longa manus dell’Amministrazione pubblica solo laddove ricorrano i requisiti dell’in house providing, come configurati dalla giurisprudenza e dalle direttive comunitarie e come recepiti dalla nostra legislazione e, cioè, in particolare i requisiti del controllo analogo (ovvero di un controllo pubblico analogo a quello esercitato dall’amministrazione sulle proprie strutture) e della destinazione dell’oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata allo svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice controllante o da soggetti dalla stessa controllati.

Tuttavia, anche laddove la ricorrente potesse effettivamente qualificarsi come in house, la scelta della forma privata comporta la necessaria soggezione al regime privatistico, al fine di non alterare il regime della concorrenza, con l’applicazione delle sole deroghe necessarie all’espletamento del compito pubblico assegnato o di quelle connesse alla sostanziale soggettività pubblica (ad es., applicazione delle regole sul reclutamento del personale; possibilità di attribuzione dei lavori senza ricorrere al procedimento di evidenza pubblica, salvo che nei settori speciali). L’art. 6 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea dispone, difatti, che gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche o delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusiva, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, sicché le società in house non possono automaticamente beneficiare delle esenzioni tributarie riconosciute all’Amministrazione.

  1. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata, ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, l’appello va rigettato. Le spese (del giudizio di legittimità e di appello) devono essere integralmente compensate, stante, da un lato, l’ammissibilità dell’appello e la fondatezza del ricorso per cassazione e, dall’altro lato, l’infondatezza nel merito dell’appello. Le spese del primo grado restano regolate dalla relativa sentenza.

P.Q.M.

La Corte:

in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara ammissibile l’appello, ma, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decide nel merito e rigetta l’appello;

dichiara integralmente compensate le spese di lite del giudizio di appello e di legittimità.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 09 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2024.


MASSIMA: In tema di tributi locali dovuti, per il possesso di immobili strumentali, da società a partecipazione pubblica, la scelta della forma privata comporta la necessaria soggezione al regime privatistico, al fine di non alterare il regime della concorrenza, con l’applicazione delle sole deroghe necessarie all’espletamento del compito pubblico assegnato o di quelle connesse alla sostanziale soggettività pubblica. Ne consegue che le aziende pubbliche, partecipate dagli enti locali, sono soggette al pagamento dell’Imu.