Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, sez. XV, 29 maggio 2024 n. 4107
FATTO E DIRITTO
Agenzia Entrate Riscossione (già Riscossione Sicilia spa) ha proposto appello nei confronti di C. S. avverso la sentenza della CTP di Catania n. 8831/2022, con cui era stato accolto il ricorso originario presentato in ordine agli avvisi di presa in carico n. 29377202100002321, n. 29377202100002398 e n. 29377202100000154 riferiti rispettivamente agli avvisi di accertamento esecutivi n. TXD06T100301/2019 per iva 2016 ed accessori, n. TYSO1A902040/2019 per iva 2014 ed accessori e n. TXD01T100006/2019 per iva 2015 ed accessori, essendo stato ritenuto dalla CTP – a fronte della specifica eccezione formulata dal C. di non avere ricevuto la notificazione degli avvisi di accertamento esecutivi rispettivamente posti a fondamento degli avvisi di presa in carico opposti – che non era stata fornita in giudizio dal concessionario resistente (unico soggetto convenuto in giudizio dal contribuente) la prova relativa alla notificazione dei suindicati atti impositivi presupposti.
Con atto di controdeduzioni notificato alle controparti il 26.07.2023 e depositato il 27.07.2023 interveniva dinanzi a questa Corte l’Agenzia delle Entrate, che produceva la documentazione attestante la notificazione dei suindicati prodromici avvisi di accertamento al contribuente.
I motivi di appello formulati da Agenzia Entrate Riscossione (già Riscossione Sicilia spa) attengono a profili di ammissibilità del ricorso introduttivo aventi un carattere pregiudiziale rispetto al motivo accolto dalla CTP e posto a fondamento della pronuncia emessa.
Essi sono infondati e l’appello proposto va rigettato.
E’ stato – innanzi tutto – osservato dal concessionario appellante che l’avviso di presa in carico non è atto impugnabile dal contribuente.
Al riguardo va fatta applicazione del principio di recente affermato nella giurisprudenza di legittimità (v. Cass. n. 21254/2023), dal quale non c’è motivo alcuno per discostarsi, per cui ” in sintesi, una armonica lettura dei principi di efficacia, efficienza ed economicità della tutela giudiziaria e di ragionevole durata del processo come distillati dalla Corte EDU, dagli organismi Euro unitari, alla luce dei principi costituzionali e dell’elaborazione processual civilistica conduce a ritenere che l’originario elenco di atti impugnabili da tempo non costituisca più numero chiuso, ma possa essere integrato secondo due direttrici: per un verso, consentendo il ricorso avverso tutti quegli atti di natura provvedimentale capaci di modificare unilateralmente e autoritativamente le situazioni giuridiche soggettive del contribuente, sia sui profili sostanziali che processuali; per un altro verso, consentendo (ed imponendo, a pena di decadenza), l’impugnazione di quegli atti che non appartengano alla prima categoria, ma che costituiscano il primo atto notificato o comunque pienamente conosciuto o legalmente conoscibile dalla parte contribuente, successivo ad un atto impugnabile, ma non formalmente comunicato e RT che, quindi, si palesa tramite la comunicazione dell’atto successivo, non autonomamente lesivo. In tal caso, l’impugnazione del secondo atto, non lesivo, è funzionale ad attrarre alla cognizione anche l’atto lesivo, ma non (fino ad allora) conosciuto”.
Ciò premesso, deve rilevarsi che nella specie gli avvisi di presa in carico opposti fanno riferimento ciascuno a precedenti avvisi di accertamento esecutivi, in ordine ai quali, però, a fronte della eccezione specifica formulata dal contribuente di non averli mai conosciuti, nessuna prova è stata fornita in giudizio relativamente alla avvenuta notificazione di tali atti impositivi, per come si dirà in seguito.
E, quindi, ritiene la Corte che gli avvisi di presa in carico opposti dal C. rientrano nella seconda categoria di atti enunciata dalla Corte di Cassazione nel suindicato principio di diritto, per cui va affermata la loro impugnabilità.
Non sussiste, poi, il difetto di legittimazione passiva del Concessionario eccepito nell’atto di appello, essendo noto che (per come correttamente ritenuto dalla CTP) ben poteva il contribuente impugnare gli avvisi di presa in carico solo nei confronti del Concessionario, sul quale gravava l’onere di chiamare in giudizio l’ente titolare della pretesa tributaria azionata, se non voleva rispondere dell’esito della lite, non essendo il giudice tenuto a disporre d’ufficio l’integrazione del contraddittorio in quanto non è configurabile nella specie un litisconsorzio necessario (cfr., ex multis, Cass. n. 22729 del 2016).
Ed, infine, va notato che il motivo di appello con cui è stato censurato il ricorso introduttivo siccome cumulativo è inammissibile in quanto nuovo, essendo stato formulato per la prima volta in appello, e comunque esso è infondato dal momento che gli atti impositivi opposti inerivano tutti allo stesso tributo erariale (iva) relativo a tre diversi anni di imposta (2014, 2015 e 2016).
Nessun motivo di appello è stato specificamente formulato da Agenzia Entrate Riscossione (già Riscossione Sicilia spa) in ordine al profilo inerente alla omessa prova della notificazione degli avvisi di accertamento presupposti dagli avvisi di presa in carico impugnati, posto dalla CTP a fondamento della pronuncia di accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente.
Va poi notato che l’intervento spiegato dalla Agenzia delle Entrate con l’atto di controdeduzioni notificato alle controparti il 26.07.2023 e depositato il 27.07.2023 è inammissibile, non avendo il detto Ufficio preso parte al giudizio di primo grado.
Al riguardo va fatta applicazione del principio giurisprudenziale (Cass. n. 9967/2023), affermato nel processo civile ed estensibile al processo tributario ex art. 2 comma 1 d. lgs. n. 546/1992 , dal quale non c’è motivo alcuno per discostarsi, per cui “ai sensi dell’ articolo 344 del codice di procedura civile , l’intervento in appello normalmente precluso a chi non abbia partecipato al giudizio di primo grado, salvo che non sia successore a titolo particolare nel diritto controverso ( articolo 111 del codice di procedura civile ) – è limitato soltanto a quei terzi (tra i quali non rientra certo l’Agenzia delle Entrate nella specie) che sarebbero legittimati a proporre l’opposizione di cui all’ articolo 404 del cpc , apprestando uno strumento di tutela anticipata offerto a coloro che potrebbero proporre opposizione di terzo avverso la RT sentenza, al fine di consentire ai medesimi di far valere le loro ragioni ancor prima che sia emessa quella sentenza che potrebbe pregiudicarli”.
Ma un analogo principio è stato affermato anche in ordine al processo tributario dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 28131/2023), per cui “la legittimazione a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, tenendo conto sia della motivazione che del dispositivo, a prescindere dalla sua correttezza e corrispondenza alle risultanze processuali nonché alla titolarità del rapporto sostanziale purché sia quella ritenuta dal giudice nella sentenza della cui impugnazione si tratta”.
Ora nel caso di specie l’Agenzia delle Entrate non è stata parte del giudizio di primo grado né la sua veste di parte processuale o di soggetto titolare del rapporto sostanziale risulta dalla sentenza di primo grado, che ha pure escluso che l’Ufficio suddetto fosse litisconsorte necessario in base al suindicato principio affermato nella giurisprudenza di legittimità.
E, comunque, va segnalato che al suddetto atto di intervento non può riconoscersi una efficacia quale autonoma impugnazione della sentenza di primo grado con riferimento alla ritenuta mancata prova della notificazione dei prodromici avvisi di accertamento in ragione della sua tardività.
Ed, invero, il citato atto di intervento è stato notificato in data 26.07.2023 a fronte della sentenza di primo grado depositata il 13.12.2022, tenuto conto che non opera nella specie la sospensione dei termini per impugnare di cui all’ art. 1 comma 199 L. n. 197/202, trattandosi di controversia non definibile in ragione del fatto che l’Agenzia delle Entrate non è stata parte nel giudizio di primo grado, per come sopra detto.
E, quindi, non può essere in alcun modo utilizzata in giudizio la documentazione prodotta dall’Agenzia delle Entrate.
Pertanto in conclusione la sentenza impugnata va confermata e l’intervento in giudizio dell’Agenzia delle Entrate va dichiarato inammissibile.
Le spese giudiziali di II grado seguono la soccombenza liquidate come in dispositivo in relazione al valore della causa pari alla somma di euro 21.292,40 e poste a carico solidale di Agenzia Entrate Riscossione (già Riscossione Sicilia spa) e dell’Agenzia delle Entrate, alle quali è parimenti riferibile la soccombenza suindicata sia pure per i diversi profili summenzionati.
P.Q.M.
La Corte di Giustizia Tributaria rigetta l’appello proposto da Agenzia Entrate Riscossione (già Riscossione Sicilia spa) e conferma la sentenza appellata. Dichiara la inammissibilità dell’intervento in giudizio spiegato dall’Agenzia delle Entrate.
Condanna Agenzia Entrate Riscossione (già Riscossione Sicilia spa) e l’Agenzia delle Entrate in solido al pagamento delle spese giudiziali di II grado, che liquida – in favore del procuratore distrattario del contribuente avv. Orazio Esposito – nella somma di euro 3.000,00 per compensi oltre spese generali, iva e cpa come per legge. RT
Catania 14 marzo 2024
COMMENTO – Viene confermato il principio secondo cui, anche nel processo tributario, l’intervento in appello è normalmente precluso a chi non abbia partecipato al giudizio di primo grado, salvo che non sia successore a titolo particolare nel diritto controverso (art. 111 c.p.c.).
In forza del generale rinvio alle norme processual-civilistiche contenuto all’art. 1, comma 2, D.lgs. 546/1992, anche al rito tributario è infatti applicabile l’art. 344 c.p.c., secondo cui la facoltà di intervento in appello è limitata soltanto a quei terzi che sarebbero legittimati a proporre l’opposizione di cui all’art. 404 c.p.c.
La norma di cui all’art. 344 c.p.c. appresta uno strumento di tutela anticipata a coloro che potrebbero proporre opposizione di terzo avverso la sentenza, al fine di consentire ai medesimi di far valere le proprie ragioni ancor prima che sia emessa la pronuncia che potrebbe pregiudicarli (si veda, in tal senso, Cass. civ., sez. I, ord., 14 aprile 2023 n. 9967).
Del resto, la legittimazione a proporre l’impugnazione, o a resistere ad essa, spetta solo a chi abbia assunto la veste di parte nel giudizio di merito, secondo quanto risulta dalla decisione impugnata, tenendo conto sia della motivazione che del dispositivo, a prescindere dalla sua correttezza e corrispondenza alle risultanze processuali, nonché dalla titolarità del rapporto sostanziale, purché sia quella ritenuta dal giudice nella sentenza della cui impugnazione si tratta (si vedano, in tal senso, Cass. civ., sez. VI-5, ord., 02 ottobre 2014 n. 20789; Cass. civ., sez. V, sent., 30 maggio 2017 n. 13854; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 20 luglio 2020 n. 15356 e Cass. civ., sez. V, ord., 05 ottobre 2023 n. 28131).
Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate non era stata parte del giudizio di primo grado, né la sua veste di parte processuale o di soggetto titolare del rapporto sostanziale risultava dalla sentenza di primo grado, che anzi aveva pure escluso la sua qualità di litisconsorte necessario.
Pertanto, l’intervento in appello dispiegato dal predetto Ufficio viene dichiarato inammissibile.
Lo stesso non può neppure valere come impugnazione autonoma della sentenza di primo grado, stante la sua tardività.
Infatti, l’atto di intervento in appello era stato notificato in data 26 luglio 2023, a fronte di una sentenza di primo grado depositata il 13 dicembre 2022, e quindi oltre il termine “lungo” semestrale ex artt. 327 c.p.c. e 38, comma 3, D.lgs. 546/1992.
Nel caso di specie, non poteva infine operare la sospensione dei termini per impugnare di cui all’art. 1, comma 199, Legge 29 dicembre 2022 n. 197, trattandosi di controversia non definibile ai sensi della predetta Legge, in ragione del fatto che l’Agenzia delle Entrate non era stata parte nel giudizio di primo grado.
Dott.ssa Cecilia Domenichini
Unicusano- Roma