Cass. civ., sez. V., ord., 27 giugno 2024 n. 17714


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta da

Dott. PAOLITTO Liberato – Presidente

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere

Dott. PENTA Andrea – Relatore

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 3873/2023 proposto da:

S.S.D. S.P. Srl, con sede legale in C (CB), alla Via omissis (C.F./P.IVA: omissis), in persona del legale rappresentante pro tempore A.A., nata in data omissis a C (CB) ed ivi residente al Corso omissis (C.F.: omissis), rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato da considerarsi resa in calce al ricorso, dall’Avv. G. B. (C.F.: omissis) del foro di Campobasso, con studio in ……, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. V. B. in Roma ……………….                                                     – ricorrente –

contro

Comune Campobasso (C.F.: omissis), in persona del Sindaco p.t., Avv. B.B. (C.F.: omissis), con sede in C alla Piazza omissis, rappresentato e difeso, giusta Deliberazione di Giunta Comunale n. 63 del 28.02.2023 e procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avv. G.G. (C.F.: omissis) del Foro di Campobasso, con studio in Campobasso, ……… ed elettivamente domiciliato presso il domicilio digitale di quest’ultima, nonché, in Roma, presso lo studio dell’Avv. A.A………..                                                        – controricorrente –

– avverso la sentenza n. 383/02/2022 emessa dalla CTR Molise in data 24/11/2022 e notificata il 30/11/2022;

udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 15 marzo 2024, dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Svolgimento del processo

La S.P. Società Sportiva Dilettantistica Srl impugnava dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso l’avviso di accertamento prot. n. 1054 del 3.8.2018 per IMU 2014.

La CTP accoglieva il ricorso.

Sull’appello del Comune di Campobasso, che denunciava la violazione della normativa IMU e l’erroneo richiamo alle disposizioni agevolative IRES, la CTR del Molise accoglieva il gravame, evidenziando che la SSD, in quanto società, restava esclusa dall’esenzione IMU, per espresso dettato legislativo, poiché ontologicamente commerciale, che, anche sotto il profilo oggettivo, l’esenzione poteva essere riconosciuta soltanto qualora l’immobile fosse destinato esclusivamente allo svolgimento, con modalità non commerciali, dell’attività meritoria e che la contribuente non aveva dimostrato di possedere tutti i requisiti richiesti dalla norma, laddove la classificazione catastale (D/6) dell’immobile utilizzato indicava lo svolgimento di un’attività con fini di lucro.

Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la S.P. Società Sportiva Dilettantistica Srl sulla base di due motivi. Il Comune di Campobasso ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente deduce la “illegittimità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 90 l.289/2002 e 7 co. 1 lett. i) D.Lgs. 504/92, come richiamato dagli artt. 9 co. 8 D.Lgs. 23/2011 e 13 co. 1 d.l.201/2011, nonché’ dell’art. 115c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c.”, per non aver la CTR considerato che, in base all’art. 90 della legge 27 dicembre 2002 n. 289, l’attività sportiva dilettantistica può essere esercitata, oltre che dalle associazioni, riconosciute e non, anche da società sportive di capitali, purché prive di qualsiasi scopo lucrativo ed iscritte nell’apposito registro istituito presso il CONI.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la “nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., per vizio di ultra ed extra petizione, nonché’ dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.”, per non aver la CTR considerato che, in realtà, il Comune di Campobasso non aveva mai contestato il difetto di tale presupposto in capo alla SSD S.P. Srl, limitandosi a disconoscere l’esenzione ICI/IMU per la carenza del solo profilo soggettivo di questa società sportiva dilettantistica.

I due motivi, da trattare congiuntamente siccome strettamente connessi, sono complessivamente infondati.

Corretta si rivela la doglianza avuto riguardo alla sussistenza del requisito soggettivo per poter beneficiare dell’esenzione invocata.

Quanto al profilo soggettivo costituito dalla natura giuridica dell’ente, va in effetti rilevato come le società sportive dilettantistiche (SSD) siano state equiparate per legge alle associazioni sportive dilettantistiche (ASD), alle quali la stessa amministrazione finanziaria riconosce l’esenzione Ici ex art.7 co. 1 lett. i) D.Lgs. 504/92. Così, in particolare, prevede la Circolare 2/DF del 26 gennaio 2009, secondo cui: “(…) H) Le attività sportive. L’esenzione deve essere riconosciuta agli immobili dove vengono esercitate le attività sportive rientranti nelle discipline riconosciute dal CONI, a condizione che siano svolte dalle associazioni sportive e dalle relative sezioni non aventi scopo di lucro, affiliate alle federazioni sportive nazionali o agli enti nazionali di promozione sportiva riconosciuti ai sensi dell’art. 90 della legge n. 289 del 2002“.

Per quanto concerne la richiamata equiparazione normativa, rileva l’art. 90 I. 289/02 (Disposizioni per l’attività sportiva dilettantistica), secondo cui: “1. Le disposizioni della legge 16 dicembre 1991, n. 398, e successive modificazioni, e le altre disposizioni tributarie riguardanti le associazioni sportive dilettantistiche si applicano anche alle società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali senza fine di lucro”. L’art. 90 comma 17 stabilisce che: “Le società e associazioni sportive dilettantistiche devono indicare nella denominazione sociale la finalità sportiva e la ragione o la denominazione sociale dilettantistica e possono assumere una delle seguenti forme: c) società sportiva di capitali o cooperativa costituita secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono le finalità di lucro”. Al comma 18 la medesima disposizione prescrive quanto deve essere previsto nello statuto delle società sportive dilettantistiche (e delle associazioni); così quanto, tra il resto, a: “(…) d) l’assenza di fini di lucro e la previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi fra gli associati, anche in forme indirette; (..) h) l’obbligo di devoluzione ai fini sportivi del patrimonio in caso di scioglimento delle società e delle associazioni”. Va poi aggiunto come l’equiparazione tra associazioni e società sportive dilettantistiche sia dalla legge previsto anche quanto a rapporto di accreditamento e certificazione con il CONI, posto che l’art. 7 d.l. 136/04, conv. in I. 186/04, stabilisce: “Disposizioni in materia di attività sportiva dilettantistica. 1. In relazione alla necessità di confermare che il CONI è unico organismo certificatore della effettiva attività sportiva svolta dalle società e dalle associazioni dilettantistiche, le disposizioni di cui ai commi 1, 3, 5, 7, 8, 9, 10, 11 e 12 dell’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, e successive modificazioni, si applicano alle società ed alle associazioni sportive dilettantistiche che sono in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal CONI, quale garante dell’unicità dell’ordinamento sportivo nazionale ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 23 luglio 1999, n. 242, e successive modificazioni. 2. Il CONI trasmette annualmente al Ministero dell’economia e delle finanze – Agenzia delle entrate, l’elenco delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi”.

Alla luce delle considerazioni che precedono, va, pertanto, ribadito il principio secondo cui “L’esenzione dall’ICI prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504 del 1992 per le associazioni sportive dilettantistiche può essere estesa, in quanto alle stesse equiparate ai sensi dell’art. 90 della l. n. 289 del 2002, alle società sportive dilettantistiche costituite in forma di società di capitali senza scopo di lucro, salvo che, al di là della veste formale, queste ultime svolgano in concreto attività commerciale avente scopo lucrativo” (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9614 del 05/04/2019; conf. Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 23053 del 17/09/2019).

Venendo al caso di specie, si osserva come la S.S.D. S.P., costituita nella forma della società di capitali (Srl), abbia in effetti assunto la veste formale di società sportiva dilettantistica senza scopo di lucro. Non è contestato, inoltre, che essa abbia ottenuto il riconoscimento CONI.

Con riferimento al profilo oggettivo, la ricorrente ha sostenuto che Il Comune di Campobasso non lo avrebbe mai contestato, né nell’avviso né nel proprio atto di appello, ragion per cui la sussistenza nel caso del requisito oggettivo, di cui all’art. 7 comma 1 lett. i) D.Lgs. 504/92, doveva essere posta a base della sentenza di appello anche ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ. (primo motivo), e che, per l’effetto, la CTR era incorsa nella violazione dell’art. 112 cod. proc. civ.

È noto che l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504 del 1992, come modificato dall’art. 39 del d.l. n. 223 del 2006, conv. in l. n. 248 del 2006, presuppone l’esistenza sia di un requisito soggettivo, costituito dalla natura non commerciale dell’ente, sia di un requisito oggettivo, ovvero che l’attività svolta nell’immobile rientri tra quelle previste dal medesimo art. 7 (fra le tante, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 7415 del 15/03/2019).

Orbene, legittimamente la CTR poteva (recte, doveva) prendere in esame la sussistenza o meno del requisito oggettivo, ancorché introdotto dal Comune soltanto in appello, posto che non si trattava di un’eccezione in senso stretto, ma dell’accertamento di un presupposto di esenzione (negata ab origine dal Comune) direttamente derivante dall’applicazione della disciplina di riferimento (natura giuridica del soggetto richiedente l’esenzione), e la cui prova gravava sulla società contribuente che tale esenzione invocava.

Invero, la contestazione volta a negare l’esistenza di un fatto costitutivo del diritto dedotto in giudizio, la cui prova spetta ex art. 2697 cod. civ. all’attore, non va inquadrata nella categoria delle eccezione in senso stretto, ma deve essere ricondotta alla categoria delle mere difese, ovvero delle deduzioni attraverso le quali la parte, proponendo una ricostruzione giuridica alternativa o prendendo posizione rispetto ai fatti allegati dall’attore, si limita appunto a negare l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto oggetto del giudizio (Cass., 21 marzo 2019, n. 8073 – con riferimento alla contestazione svolta in appello dall’amministrazione circa l’insussistenza del diritto ad una agevolazione – Cass., 29 dicembre 2017, n. 31224). In particolare, la non contestazione può formarsi al più su specifiche deduzioni che potevano involgere il concreto uso (mai descritto) delle unità immobiliari, e non già su di una astratta non contestazione di un requisito che era onere del contribuente dedurre e provare.

Il divieto posto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 57, riguarda le sole eccezioni in senso stretto, e non anche le eccezioni improprie o le mere difese, che sono sempre deducibili. Le mere difese, invece, sono dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice della inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, ovvero, specularmente, sono volte alla mera contestazione delle censure mosse dal contribuente all’atto impugnato – con il ricorso introduttivo – (Cass., 31 maggio 2016, n. 11223; Cass., 5 dicembre 2014, n. 25756).

L’Ente, diversamente da quanto affermato dalla contribuente, ha espressamente fondato il gravame della sentenza di primo grado sul disconoscimento dell’esenzione in capo alla società contribuente per assenza dei requisiti soggettivo e oggettivo (v. pag. 2 dell’atto di appello – all. 4 -, trascritto alle pagine 12 e 13 del controricorso, e pagg. 1 e 2 delle memorie illustrative del 09.11.2022 – all. 5 -, trascritto alle pagine 13 e 14 del controricorso).

Alla stregua di quanto precede, da un lato, non era ipotizzabile una ‘non contestazione’ imputabile al Comune e, dall’altro lato, la CTR non è incorsa in alcuna violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

In quest’ottica, corretta si rivela l’affermazione, contenuta nella sentenza qui impugnata, secondo cui “l’esenzione possa essere riconosciuta soltanto qualora l’immobile sia destinato esclusivamente allo svolgimento, con modalità non commerciali, dell’attività meritoria e come spetti proprio al soggetto che intenda beneficiare dell’agevolazione fiscale di dimostrare di possedere tutti i requisiti richiesti dalla norma, come invece non è avvenuto nella fattispecie che ne occupa nella quale anche la classificazione catastale (D/6) dell’immobile utilizzato indica lo svolgimento di un’attività con fini di lucro”.

Correttamente la CTR ha evidenziato che l’attività non lucrativa svolta dall’istante deve risultare anche dalla classificazione catastale dell’immobile utilizzato, apparendo alquanto difficile ipotizzare che una classificazione diversa possa considerarsi frutto di un errore e quindi essere ritenuta irrilevante ai fini della soluzione della controversia al vaglio del giudice. Nel caso di specie, la classificazione catastale degli immobili in uso alla S.S.D. S.P. Srl è appunto nella categoria D/6, la quale – per definizione e per requisiti – comporta ex se il fine di lucro (trattasi infatti, come già evidenziato da Cass. n. 20334/2019, di immobili destinati all’esercizio dello sport, i quali possono essere soggetti ad imposte sicuramente più elevate rispetto alle semplici unità immobiliari adibite all’uso residenziale, ma che tuttavia consentono di realizzare guadagni e di svolgere un’attività sicuramente lucrativa).

Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita di essere accolto.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 2.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Iva e Cap;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio tenutasi in data 15 marzo 2024.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2024.


COMMENTO – Nell’ambito della pronuncia in commento, si controverte della spettanza ad una società sportiva dilettantistica dell’esenzione ICI ed IMU prevista dall’art. 7, comma 1, lettera i), D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504.

Sotto il profilo soggettivo, non vengono ravvisati motivi contrari al riconoscimento dell’esenzione, stante la piena equiparazione a fini tributari delle società sportive dilettantistiche, costituite in forma di società di capitali senza scopo di lucro, alle associazioni sportive dilettantistiche (art. 90 Legge 27 dicembre 2002 n. 289).

Pertanto, l’esenzione dall’ICI prevista dall’art. 7, comma 1, lettera i), D.lgs. 504/1992 per le associazioni sportive dilettantistiche può essere estesa anche alle società sportive dilettantistiche salvo che, al di là della veste formale, queste ultime svolgano in concreto attività commerciale avente scopo lucrativo.

Non viene invece ritenuto sussistente il requisito oggettivo necessario per poter beneficiare dell’esenzione, in quanto la classificazione catastale delle unità immobiliari oggetto dell’avviso di accertamento (i.e.: categoria D/6) indica di per sé lo svolgimento di un’attività con fini di lucro. 

Si tratta, infatti, di immobili destinati all’esercizio dello sport, i quali possono essere soggetti ad imposte sicuramente più elevate rispetto alle semplici unità immobiliari adibite all’uso residenziale, ma che tuttavia consentono di realizzare guadagni e di svolgere un’attività sicuramente lucrativa.

Pertanto, viene respinto il ricorso della società, volto ad ottenere il riconoscimento dell’esenzione ex art. 7, comma 1, lettera i), D.lgs. 504/1992.

Sul piano processuale, viene affermato il principio secondo cui la sussistenza o meno dei requisiti necessari per l’esenzione- nel caso di specie, in particolare, del requisito oggettivo prescritto dall’art. 7, comma 1, lettera i), D.lgs. 504/1992- costituisce un doveroso accertamento da parte del giudice del merito, a prescindere da qualsiasi rilievo o deduzione di parte.

Infondata risulta quindi la doglianza della società contribuente secondo cui l’assenza del requisito oggettivo sarebbe stata eccepita dal Comune impositore unicamente nel grado di appello, e quindi tardivamente.

Il divieto di nuove eccezioni nel grado di appello del processo tributario, prescritto dall’art. 57 D.lgs. 546/1992, riguarda infatti soltanto le cd. “eccezioni in senso proprio” o “in senso stretto”, ossia le eccezioni non rilevabili d’ufficio dal giudice.

Tale divieto non si estende invece né alle cd. “eccezioni in senso improprio” o “in senso lato”, ossia alle eccezioni rilevabili anche d’ufficio da parte del giudice, né alle argomentazioni giuridiche, né infine alle mere difese, dirette a sollecitare il rilievo d’ufficio da parte del giudice dell’inesistenza dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio.

Nel caso di specie, spetta al contribuente, che invochi l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lettera i), D.lgs. 504/1992, fornire prova della sussistenza di entrambi i presupposti richiesti per tale esenzione, ossia la propria natura non commerciale (requisito soggettivo) e lo svolgimento nell’immobile, per il quale viene richiesta l’esenzione, dell’attività meritoria, non avente scopo di lucro (requisito oggettivo).

La non contestazione può infatti formarsi tutt’al più su specifiche deduzioni, che potevano involgere il concreto uso (in concreto, mai descritto) delle unità immobiliari, e non già su di una astratta non contestazione di un requisito, che era invece onere del contribuente dedurre e provare.

Pertanto, in conclusione, al Comune impositore non era addebitabile alcuna “non contestazione” in primo grado, che potesse comportare decadenze e/o preclusioni in appello; parimenti, al giudice di secondo grado non poteva ascriversi alcuna violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.), con conseguente integrale conferma della sentenza impugnata.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma