Cass. civ., sez. V, ord., 03 dicembre 2024 n. 31726
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere
Dott. CANDIA Ugo – Consigliere
Dott. PICARDI Francesca – Relatore
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22413/2021 R.G.
proposto da:
COMUNE TRENTO, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (ADS80224030587), – ricorrente –
contro
ISTITUTO FIGLIE SACRO CUORE DI GESU’, rappresentato e difeso dall’Avv. D.T. F. (Omissis), – controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso SENTENZA di COMM. TRIBUTARIA II GRADO TRENTO n. 13/2021 depositata il 08/02/2021,
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere FRANCESCA PICARDI.
Svolgimento del processo
- L’Istituto delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù ha impugnato l’avviso di accertamento, avente ad oggetto l’i.m.u. per l’anno 2012, relativo ad immobile ubicato in T e sede di scuola paritaria.
- Il ricorso è stato accolto in primo grado, in considerazione della riconosciuta esenzione per lo svolgimento, con modalità non commerciali, dell’attività didattica, data la simbolicità della retta, previo rigetto delle eccezioni relative alla nullità dell’avviso per violazione del principio del contraddittorio e per lacunosità della motivazione.
- Sono stati rigettati sia l’appello principale del Comune sia quello incidentale del contribuente.
La sentenza di appello ha affermato, coerentemente con quanto già ritenuto dal giudice di primo grado, che, in considerazione del diverso quadro normativo ed in particolare dell’adozione del D.M. n. 200 del 2012, non può assumere rilievo il criterio precedentemente adottato del corrispettivo simbolico e che opera, invece, il diverso principio in base al quale l’attività didattica si considera svolta in modo non commerciale anche se il corrispettivo preteso, pur non essendo meramente simbolico, copre solo una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto conto dell’assenza di relazione con lo stesso – come accade appunto nel caso di specie in cui la retta ammonta ad Euro (Omissis) annui mentre il costo medio del servizio di istruzione secondaria per studente, come calcolato dal Ministero dell’Istruzione, è pari ad Euro (Omissis) annui (“la retta de qua, se in termini assoluti non poteva certo dirsi simbolica, in termini relativi rappresentava una frazione – per la precisione circa un quinto – dell’intero. Inoltre, non è risultata in atti la sussistenza di alcuna relazione fra detta frazione con il costo effettivo del servizio”).
- Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Trento, formulando quattro motivi.
- L’Istituto si è costituito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale.
- Entrambe le parti hanno depositato memorie. L’Istituto ha prodotto con la memoria documentazione relativa alla sua iscrizione negli elenchi delle scuole paritarie non commerciali, tenuto dal Ministero, non prodotto prima in quanto non disponibile; si tratta di produzione non consentita con le memorie ex art. 378 cod. proc. civ., in assenza, peraltro, di una rituale istanza di rimessione in termini, e del resto strumentale ad una valutazione di merito, preclusa al giudice di legittimità.
- La causa e stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 14 novembre 2024.
Motivi della decisione
- Occorre preliminarmente esaminare i primi due motivi del ricorso incidentale che, concernendo la legittimità formale dell’atto impositivo, sono pregiudiziali rispetto a quelli relativi alla pretesa tributaria, oggetto del ricorso principale.
- Con il primo motivo di ricorso incidentale l’Istituto ha denunciato la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. del contraddittorio endoprocedimentale, previsto dagli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dall’Art. 24 Cost., essendo stato preceduto l’avviso solo da un incontro informativo, svoltosi lo stesso giorno dell’adozione dell’atto, evidentemente già redatto, e non avendo potuto, pertanto, il contribuente sottoporre all’attenzione dell’amministrazioni le ragioni successivamente oggetto del ricorso. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto, come già chiarito da questa Corte, prima dell’introduzione di disposizioni quali l’art. 5-ter del D.Lgs. n. 218 del 1997, da parte del D.L. n. 34 del 2019, conv. in legge n. 58 del 2019, ed oggi dell’art. 6-ter della legge n. 212 del 2000, da parte del D.Lgs. n. 219 del 2023, in materia tributaria, l’Amministrazione era gravata dall’obbligo di attivare il contraddittorio endoprocedimentale solo nelle ipotesi espressamente previste, senza alcun contrasto con gli artt. 41, 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che incidono sulla disciplina dei soli tributi armonizzati, ma non anche di quelli non armonizzati, per i quali non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo vincolo generalizzato, sicché esso ricorre soltanto per le ipotesi per le quali risulti specificamente sancito (tra le tante, Cass., Sez. 5, 23 febbraio 2021, n. 4752, conformemente a Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823).
- Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’Istituto ha denunciato la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 3 e 21-septies della legge n. 241 del 1990, 42, commi 2 e 3, D.P.R. n. 600 del 1973 e 41 della Carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea, in quanto, da un lato, l’avviso non spiega le ragioni del mancato riconoscimento dell’esenzione, pur sussistendo i parametri previsti dal decreto ministeriale, e, dall’altro, non è stata allegata la delibera del Consiglio comunale avente ad oggetto la disciplina dell’imposta. La censura è infondata, pur dovendosi integrare, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384 cod. proc. civ., la motivazione della sentenza impugnata.
3.1. Sebbene la presente controversia concerna l’i.m.u., occorre brevemente ricordare l’orientamento di questa Corte in tema di motivazione dell’avviso di accertamento, avente ad oggetto l’i.c.i. Al riguardo si è precisato che la necessità che gli avvisi di liquidazione e accertamento siano motivati in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che li hanno determinati non comporta l’obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, poiché è onere del contribuente dedurre e provare l’eventuale ricorrenza di una causa di esclusione dell’imposta (Cass., Sez. 5, 24 gennaio 2018, n. 1694; v. anche Cass., Sez. 5, 11 giugno 2010, n. 14094, secondo cui, in tema di i.c.i., l’art. 11, comma 2-bis, del D.Lgs. n. 504 del 1992, disponendo che gli avvisi di liquidazione e accertamento devono essere motivati in relazione ai presupposti di fatto ed alle ragioni giuridiche che li hanno determinati, non comporta un obbligo di indicare anche l’esposizione delle ragioni giuridiche relative al mancato riconoscimento di ogni possibile esenzione prevista dalla legge ed astrattamente applicabile, a meno che non ricorrano specifiche situazioni – quale, ad esempio, l’essere l’immobile di proprietà di un comune e destinato a pubblici uffici – che, nel caso concreto, rendano indispensabile una motivazione espressa). Tale orientamento non può, tuttavia, operare automaticamente ed integralmente anche con riferimento all’i.m.u., posto che, mentre, in tema di i.c.i., non è previsto alcun obbligo dichiarativo volto al conseguimento dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i), del D.Lgs. n. 504 del 1992 (in particolare cfr. art.10, comma 4, del medesimo D.Lgs., ai sensi del quale “i soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato, con esclusione di quelli esenti dall’imposta ai sensi dell’art. 7”), al contrario, per l’i.m.u. l’art. 2, comma 5-bis, del D.L. n. 102 del 2013, n. 102 ha disposto che: “ai fini dell’applicazione dei benefici di cui al presente articolo, il soggetto passivo presenta, a pena di decadenza entro il termine ordinario per la presentazione delle dichiarazioni di variazione relative all’imposta municipale propria, apposita dichiarazione, utilizzando il modello ministeriale predisposto per la presentazione delle suddette dichiarazioni, con la quale attesta il possesso dei requisiti e indica gli identificativi catastali degli immobili ai quali il beneficio si applica” (per una illustrazione più dettagliata dalla normativa si rinvia all’ordinanza di questa Corte, Sez. T, n. 24200 del 9 settembre 2024).
In presenza della richiesta di una determinata esenzione, da parte del contribuente, fondata sull’indicazione specifica dei requisiti necessari per la sua fruizione, sorge l’obbligo dell’ente impositore di motivare le ragioni della esclusione di quel particolare beneficio invocato, alla luce dei principi di collaborazione e buona fede, che improntano i rapporti con il contribuente, ed in virtù del principio costituzionale di buon andamento della pubblica amministrazione, che impone di esaminare e motivatamente decidere le pertinenti istanze avanzate dal privato coinvolto nel procedimento tributario, anche al fine di prevenire eventuali impugnazioni. La necessità che il Comune indichi espressamente le ragioni del diniego dell’esenzione invocata sorge, però, come evidenziato, solo in presenza di una richiesta dettagliata e specifica, da avanzare tramite apposita dichiarazione redatta secondo il modello ministeriale predisposto con il D.M. 26 giugno 2014, che ha espressamente previsto che la dichiarazione relativa agli anni 2012 e 2013 dovesse essere presentata entro il 30 settembre 2014 (termine, poi, differito al 30 novembre 2014 dal D.M. 23 settembre 2014). Del resto, tale richiesta, completa delle necessarie informazioni, è indispensabile, visto che la natura non commerciale non può essere desunta in via esclusiva in base a documenti che attestino a priori il tipo di attività cui l’immobile è destinato (v., tra le tante, Cass., Sez. 5, 4 luglio 2019, n. 17968), potendo, in linea di principio, tutte le attività essere svolte con metodi commerciali o non commerciali, sicché occorre porre in condizioni il Comune di svolgere una verifica in concreto. Nel caso in esame il ricorrente nulla ha allegato sul punto, essendosi limitato a sostenere una indiscriminata estensione dell’onere motivazionale dell’atto impositivo alle ragioni di esclusione dell’esenzione invocata.
Il motivo deve, quindi, essere rigettato in virtù del seguente principio di diritto: in tema di i.m.u., l’avviso di accertamento deve motivare le ragioni del diniego dell’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i, del D.Lgs. n. 504 del 1992, laddove sia stata formulata, tramite la dichiarazione redatta secondo il modello ministeriale, predisposto con il D.M. 26 giugno 2014, una richiesta specifica dell’esenzione in oggetto da parte del contribuente.
3.2. Parimenti è consolidato l’orientamento, secondo cui le delibere comunali relative all’applicazione del tributo ed alla determinazione delle relative tariffe non rientrano tra i documenti che devono essere allegati agli avvisi di accertamento ai sensi dell’art. 7 della L. n. 212 del 2000, in quanto detto obbligo è limitato agli atti richiamati nella motivazione che non siano conosciuti o altrimenti conoscibili dal contribuente, ma non anche esteso agli atti generali come le delibere del consiglio comunale che, essendo soggette a pubblicità legale, si presumono conoscibili (Cass., Sez. 5, 21 novembre 2018, n. 30052).
- Si può, a questo punto, passare all’esame del ricorso principale.
4.1.Con il primo motivo di ricorso principale il Comune ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 9, comma 8, del D.Lgs. n. 23 del 2001, che rinvia all’art. 7, comma 1, lett. i) del D.Lgs. n. 504 del 1992, e dell’art. 4, comma 3, lett. c) del D.M. n. 200 del 2012, a cui è stata attribuito valore di norma primaria dall’art. 9, comma 6-ter, D.L. n. 174 del 2012, atteso che la misura della retta praticata è stata già valutata dall’autorità giudiziaria, per l’annualità precedente, come non simbolica nel medesimo contesto normativo. Con il secondo motivo di ricorso principale il Comune ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 107 del Trattato sull’Unione europea in materia di aiuti di Stato, non avendo affatto i giudici di merito verificato in concreto il versamento di corrispettivi di natura simbolica rispetto ai costi di gestione.
Con il terzo motivo di ricorso principale il Comune ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 115 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., essendo stata ritenuta la retta simbolica nonostante la mancata dimostrazione da parte della ricorrente ed in assenza di una rigorosa verifica. Con il quarto motivo di ricorso principale il Comune ha dedotto la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., dell’art. 132 cod. proc. civ. ed il conseguente eccesso di potere giurisdizionale, avendo il giudice di appello sostituito la propria valutazione in ordine alla natura simbolica della retta a quella dell’ufficio amministrativo senza rilevare alcun vizio della valutazione formulata.
4.2. Il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente, perché strettamente connessi, e sono fondati, con assorbimento della prima censura, con cui si invoca, a prescindere dal giudicato e dalla sua possibile rilevanza, una sentenza relativa ad altra imposta (i.c.i.) ed altra annualità, e dell’ultima censura, che riguarda la valutazione travolta dalla cassazione della sentenza.
La questione ivi coinvolta ha costituito oggetto di varie pronunce di questa Corte, che, in assenza di persuasivi argomenti contrari, vanno ribaditi.
La previsione dell’art. 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. n. 504/1992, nel testo attualmente vigente, come modificato dall’art. 91 -bis del D.L. n. 1 del 2012, conv. in legge n. 27 del 2012, espressamente richiamata, in tema di IMU, dal D.Lgs. n. 23 del 2011, deve essere applicata nell’accezione compatibile con la decisione adottata dalla Commissione dell’Unione Europea il 19 dicembre 2012 e con la sentenza resa dalla Corte di giustizia del 6 novembre 2018, nelle cause riunite C-622, 663 e 624/2016, che ha confermato la decisione, limitandosi ad annullarla in ordine al mancato recupero degli aiuti di Stato. Solo per completezza deve evidenziarsi che non è, invece, pertinente la più recente decisione della Commissione dell’Unione Europea del 3 marzo 2023, che riguarda solo ed esclusivamente il recupero degli aiuti illegali concessi tramite l’esenzione dell’i.c.i.
Pertanto, l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lett. i, D.Lgs. n. 504 del 1992 può essere riconosciuta solo se le attività ivi elencate (assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16, lett. a, della legge n. 22 del 1985) sono esercitate con modalità non commerciali. In particolare, come ha precisato l’art. 4, comma 3, lett. c, del regolamento, adottato dal Ministero delle Finanze, con decreto n. 200 del 2012, a cui rinvia l’art. 91-bis, comma 3, del D.L. n. 1 del 2012, conv. in legge n. 27 del 2012, le attività didattiche sono svolte con modalità non commerciali se esercitate a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio, tenuto anche conto dell’assenza di relazione con lo stesso.
Si è chiarito che per corrispettivo simbolico, ai fini dell’esenzione prevista dall’art. 7, lett. i, D.Lgs. n. 504 del 1992, per l’attività didattica, in base ai criteri dettati dalla decisione della Commissione dell’Unione Europea del 19 dicembre 2012, deve intendersi quello caratterizzato da un irrisorio, marginale, del tutto residuale ammontare, in termini tali da non potersi porre in relazione con il servizio reso, così presentandosi come corrispettivo di natura meramente formale, tale da rendere la prestazione più prossima ad una erogazione gratuita, che a quella sotto-remunerata rispetto agli standard medi (così Cass., Sez. T., 2 ottobre 2023, n. 27821). Si è anche precisato che deve escludersi l’equivalenza del concetto di corrispettivo simbolico con quello di corrispettivo inferiore rispetto alla media dei prezzi praticati nella zona, atteso che il corrispettivo puramente simbolico non è quello tenue o modesto, ma quello che escludendo completamente il rapporto sinallagmatico equivale alla sua assenza (cfr. Cass. n. 17902/2024 che richiama Cass. n. 8967/2020; Cass. n. 4066/2019; Cass. n. 37340/2021).
In particolare, quanto al D.M. 26 giugno 2014, contenente le istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni i.m.u. e t.a.s.i., questa Corte ha chiarito che le istruzioni ministeriali non possono vincolare l’interpretazione del dato normativo, sicché la valutazione della natura non commerciale dell’attività didattica non può esaurirsi nell’applicazione meccanica del parametro, consistente nel rapporto tra corrispettivo medio (CM) e costo medio per studente (CMS), previsto da tali istruzioni. Tale parametro è stabilito in via generale, una volta per tutte, ed è funzionale ad una elaborazione forfettaria del requisito, mentre, in termini del tutto diversi, il dato normativo obbliga ad una valutazione puntuale, non predeterminata, riferita alle specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente, delineando un accertamento basato sulla verifica dell’irrisorietà della retta, in ragione della sua inidoneità a porsi come larvata forma retributiva dell’attività didattica prestata (Cass.18831/2020; n. 3369/2019; n. 2019/13787, in motiv; 24308/2019; Cass. n. 10754/2017; Cass. n. 10483 del 2016; n. 19773 del 2019; n. 13970 del 2016). In definitiva, il D.M. 16 giugno 2014 introduce un parametro che si pone in contrasto con la norma gerarchicamente superiore, contenuta nel D.M. 200 del 2012, siccome richiamata dalla legge n. 1 del 2012, limitandosi ad una valutazione astratta che, peraltro, parte dal confronto tra entità non omogenee e, cioè, il corrispettivo effettivamente praticato in un dato contesto temporale e territoriale ed il costo medio del servizio per studente, calcolato dal Ministero, in base a dati raccolti su tutto il territorio nazionale, in cui esistono disparità, anche rilevanti, di costi. Non assume, quindi, rilievo la rispondenza della retta scolastica ai limiti fissati in materia di “costo medio per studente” per l’anno di riferimento secondo la tabella redatta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, sulla base delle istruzioni per la compilazione del modello di dichiarazione a fini dell’IMU per gli enti non commerciali in allegato al D.M. 26 giugno 2014, non ponendosi detti criteri in armonia con quanto stabilito dalla decisione adottata dalla Commissione Europea il 19 dicembre 2012 e del D.M. 200/2012 (v., amplius, sul punto, Cass. m. 17704/2024).
Le stesse considerazioni si estendono a tutti i decreti adottati dal Ministero dell’Istruzione per l’assegnazione dei contributi alle scuole paritarie di ogni ordine e grado (da ultimo il D.M. n. 20 del 2024), che parimenti non possono modificare o introdurre deroghe rispetto alla disciplina delineata dalle fonti superiori.
Neppure è decisivo il disavanzo di bilancio, potendo questo essere condizionato da una pluralità di fattori e come tale non esclusivamente dipendente dall’ammontare delle rette, per cui non è capace di esprimere il concetto di corrispettivo simbolico, né dimostra che quest’ultimo sia stato determinato in assenza di relazione col costo effettivo del servizio; profilo questo che integra, invece, il parametro normativo di riferimento per stabilire il carattere non commerciale dell’attività didattica ai fini che occupano (cfr. Cass. n. 4952/2023 e Cass. n. 17704/2024 e le varie pronunce ivi menzionate).
A ciò si aggiunga che la natura simbolica del corrispettivo deve essere valutata anche in considerazione dei finanziamenti ricevuti dall’istituto scolastico, in quanto, laddove la retta, anche inferiore al costo del servizio, unitamente ai finanziamenti pubblici o anche privati, consenta di raggiungere o, comunque, perseguire il pareggio di bilancio, l’attività è svolta secondo parametri economici.
Infine, il carattere simbolico del corrispettivo non può essere presunto, ma deve essere dimostrato dal soggetto che invoca l’esenzione – ulteriore ragione per cui non può utilizzarsi, quale termine di confronto, il dato disomogeneo e scarsamente significativo del costo medio nazionale, per sopperire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del ricorrente.
In conclusione, la sentenza impugnata è incorsa nelle violazioni denunciate dal Comune ricorrente, in quanto ha ritenuto l’attività didattica esercitata con modalità non commerciali in base ad una verifica del tutto astratta, ponendo a confronto, peraltro, entità non omogenee e, cioè, il corrispettivo effettivamente praticato in un dato contestato temporale e territoriale ed il costo medio del servizio per studente, calcolato dal Ministero, senza prendere, invece, in considerazione dati concreti, quali, ad esempio, oltre alla misura della retta, i costi effettivi sostenuti dall’istituto scolastico e/o i finanziamenti pubblici ricevuti, e prescindendo, inoltre, dall’assolvimento dell’onere probatorio da parte del contribuente. La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata ed il giudizio rinviato al giudice di appello.
- Risulta assorbita la terza censura del ricorso incidentale, concernente la regolamentazione delle spese del giudizio di appello (e, cioè, una statuizione accessoria travolta dalla cassazione della presente sentenza).
- In conclusione, previo rigetto del ricorso incidentale, vanno accolti il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale, assorbiti il primo e l’ultimo, e cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Trento, in diversa composizione, a cui si demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione: rigetta il ricorso incidentale;
accoglie il secondo e terzo motivo del ricorso principale, assorbiti il primo e l’ultimo, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado di Trento, in diversa composizione, a cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 10 dicembre 2024.
COMMENTO REDAZIONALE– In accoglimento del ricorso dell’Ente locale, la pronuncia in commento ribadisce il principio secondo cui il carattere simbolico del corrispettivo non può essere presunto, ma deve essere dimostrato dal soggetto che invoca l’esenzione dall’IMU ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera i), D.lgs. 504/1992.
In particolare, le istruzioni per la compilazione delle dichiarazioni IMU e TASI, contenute nel D.M. 26 giugno 2014, non possono vincolare l’interpretazione del dato normativo, sicché la valutazione della natura non commerciale dell’attività didattica non può esaurirsi nell’applicazione meccanica del parametro, consistente nel rapporto tra corrispettivo medio (CM) e costo medio per studente (CMS), previsto da tali istruzioni. Tale parametro è stabilito in via generale, una volta per tutte, ed è funzionale ad un’elaborazione forfettaria del requisito, mentre, in termini del tutto diversi, il dato normativo obbliga ad una valutazione puntuale, non predeterminata, riferita alle specifiche condizioni in cui opera il singolo contribuente, delineando un accertamento basato sulla verifica dell’irrisorietà della retta, in ragione della sua inidoneità a porsi come larvata forma retributiva dell’attività didattica prestata.