Cass. civ., Sez. V, Sent., 15 novembre 2024, n. 29538
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE
Composta da:
Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere rel.
Dott. DI PISA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 25019/2020 R.G. proposto da
… (Omissis), in persona del suo legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dal prof. avvocato … (Omissis), dall’avvocato … (Omissis) e dall’avvocato … (Omissis); ricorrente
contro
Comune di Brescia, in persona del suo Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato … (Omissis) e dall’avvocato … (Omissis); controricorrente
avverso la sentenza n. 1039/2020, depositata il 16 giugno 2020, della Commissione tributaria regionale della Lombardia;
Udita la relazione della causa, svolta nella pubblica udienza del 12 giugno 2024, dal Consigliere dott. Liberato Paolitto;
uditi l’avvocato …, per la ricorrente, e l’avvocato …, per la controricorrente;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo il rigetto dei primi tre motivi del ricorso, la declaratoria di cessazione della materia del contendere con riferimento al quarto motivo, l’accoglimento del quinto e del settimo motivo con assorbimento dell’esame del sesto motivo, il rigetto dell’ottavo e del nono motivo.
Svolgimento del processo
Con sentenza n. 1039/2020, depositata il 16 giugno 2020, la Commissione tributaria regionale della Lombardia ha accolto l’appello proposto dal Comune di Brescia, così pronunciando in integrale riforma della decisione di prime cure che aveva accolto l’impugnazione di un avviso di accertamento (n. 18285/2013) emesso per il recupero a tassazione della TARES dovuta dalla contribuente per l’anno 2013.
Il giudice del gravame ha rilevato che i motivi di appello proposti dall’Ente impositore andavano accolti in quanto:
– relativamente al terzo motivo rilevava che “l’obbligo del tributo è di chiunque possieda, occupi o detenga a qualsiasi titolo locali o aree scoperte, a qualsiasi uso adibiti, suscettibili di produrre rifiuti urbani”;
– quanto al quarto motivo perché “giurisprudenza costante afferma la non assimilabilità ai rifiuti urbani degli imballaggi terziari, da ciò deducendo l’esclusione dalla tassa delle superfici ove essi si formano”;
– in ordine al quinto motivo rilevava che la contribuente non aveva dato prova “di avere una clientela diversa da quella che hanno rapporti solo con i privati (commercianti al minuto e grande distribuzione)”, e peraltro risultando sfumata “la differenza tra commercio all’ingrosso e al dettaglio”, così che, nella fattispecie, non emergeva “una visione unitaria e riscontrabile della reale attività della Società”;
– la fondatezza del sesto motivo conseguiva da ciò che “le superfici produttive di rifiuti assimilati agli urbani integrano invece perfettamente il presupposto impositivo”;
– quanto, poi, al settimo motivo, dalla documentazione fotografica emergeva che “l’area è completamente coperta da pensiline”.
-… ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di nove motivi.
Il Comune di Brescia resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
Motivi della decisione
- – Il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., espone la denuncia di nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., assumendo la ricorrente che il giudice del gravame aveva omesso di pronunciare sull’omesso svolgimento del servizio pubblico di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti – oggetto del primo motivo di appello proposto da controparte – nonché sull’eccezione di giudicato esterno formulata da essa esponente ed oggetto del secondo motivo di detto appello.
- Col secondo motivo, anch’esso formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per difetto assoluto di motivazione sulla questione posta dal primo motivo di appello di controparte, questione che involgeva la cessazione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti a decorrere dall’1 marzo 2013, quando, dunque, essa esponente aveva richiesto, attraverso la propria mandataria, la cessazione del servizio “per il ritiro degli imballaggi in carta e cartone” ed il gestore del servizio aveva, per l’appunto, comunicato il ritiro di “due pressa-container” e l’assegnazione di “tre cassonetti per la raccolta di rifiuti solidi urbani”; ritiro questo che aveva formato oggetto di contestazione in quanto, “Senza i compattatori asportati il servizio pubblico neanche avrebbe potuto essere svolto”;
- Col terzo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per difetto assoluto di motivazione sulla questione da controparte posta col secondo motivo di appello, questione che involgeva l’effetto espansivo esterno del giudicato che si era formato su altri periodi di imposta (2014 e 2015) e che avrebbe dovuto trovare applicazione (anche) per il periodo di imposta in contestazione.
– Questi motivi – che vanno congiuntamente esaminati in quanto connessi – sono destituiti di fondamento e vanno senz’altro disattesi.
1.1 – Occorre premettere che, come la Corte ha ripetutamente rilevato alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, comma secondo, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, deve ritenersi consentito alla Corte di decidere nel merito delle questioni di nullità per omesso esame di domande o eccezioni o per motivazione apparente, qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere alla stessa stregua dei fatti introdotti in giudizio dalle parti e non risultando, per l’appunto, necessario alcun ulteriore accertamento in fatto (Cass., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962).
1.2 – Tanto premesso, e com’è inequivoco in relazione alle stesse deduzioni di parte, la questione posta in relazione sull’omesso svolgimento del servizio pubblico di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti non involge il servizio pubblico in privativa comunale – così come del resto la stessa parte finisce col dedurre coi motivi di ricorso che involgono la determinazione delle superfici tassabili in relazione alla tipologia dei rifiuti prodotti (imballaggio terziari e secondari) ed al (pur dedotto) nesso di pertinenzialità che avvince le superfici destinate a parcheggio per la clientela – quanto piuttosto una (pregressa) relazione convenzionale che, intercorsa tra le parti, aveva ad oggetto (proprio) la gestione degli imballaggi. Non si pone, pertanto, alcun profilo di censura che possa involgere le cause di riduzione tariffaria correlate all’omesso o irregolare svolgimento della raccolta o del servizio di gestione dei rifiuti (D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 art. 14, commi 16 e 20, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214).
1.3 – Quanto, invece, all’eccezione di giudicato esterno – rispetto alla quale non è configurabile una decisione implicita di rigetto, così come prospettata dal PG, in quanto, come già rilevato dalla Corte, laddove sia eccepito il giudicato esterno, la statuizione di rigetto nel merito della questione principale non può essere intesa come rigetto implicito dell’eccezione medesima, in quanto il principio per il quale giudice può evitare di esaminare ogni singola tesi difensiva qualora risulti incompatibile con la soluzione adottata, riguarda gli argomenti, di fatto e di diritto, e non le eccezioni di parte che, come le domande, devono essere sempre oggetto di decisione (Cass., 5 marzo 2019, n. 6413) – le Sezioni Unite della Corte hanno rilevato che “Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo”; nonchè che detta efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, “non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente.” (così Cass. Sez. U., 16 giugno 2006, n. 13916 cui adde, ex plurimis, Cass., 16 maggio 2019, n. 13152; Cass., 3 gennaio 2019, n. 37; Cass., 1 luglio 2015, n. 13498; Cass., 30 ottobre 2013, n. 24433; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675; Cass., 22 aprile 2009, n. 9512; v. altresì, in tema di ICI, Cass., 19 gennaio 2018, n. 1300; Cass., 16 settembre 2011, n. 18923; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675).
È (proprio) con riferimento alla disciplina dell’imposizione correlata alla produzione di rifiuti, la Corte ha ripetutamente rimarcato che l’accertamento relativo allo smaltimento in proprio dei rifiuti speciali integra – così come del resto la stessa produzione di detti rifiuti – elemento di fattispecie che non ha connotazione di durevolezza in quanto suscettibile di modifiche, e variazioni, dall’uno all’altro periodo di imposta (v., in tema di Tari, Cass., 7 luglio 2022, n. 21490; v. altresì, in tema di TARSU, Cass., 30 marzo 2023, n. n. 8990; Cass., 7 luglio 2022, n. 21555; Cass., 29 luglio 2021, n. 21680; Cass., 1 ottobre 2020, n. 20969; Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741).
2- Col quarto motivo, e sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per difetto di motivazione sulla questione, posta nel grado di appello, con riferimento all’entità della pretesa impositiva che (riproposta nell’importo di complessivi Euro 183.856,03) non teneva conto dei versamenti medio tempore eseguiti (per Euro 7.855,37, quanto agli uffici, e per Euro 28.224,58 “per le restanti superfici coperte nei primi due mesi del 2013”).
2.1 – Rileva la Corte che la denuncia di error in procedendo – per difetto di motivazione sulla questione, posta nel grado di appello, con riferimento all’entità della pretesa impositiva che non teneva conto dei versamenti medio tempore eseguiti – intercetta, nella fattispecie, l’espresso riconoscimento dei versamenti in questione da parte del Comune di Brescia, così che – come ben conclude lo stesso PG – sulla questione in discorso deve ritenersi cessata la materia del contendere.
3- I residui motivi di ricorso espongono le seguenti censure:
3.1 – col quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione di legge con riferimento all’art. 191 del TFUE, alla direttiva 2008/98/CE, del 19 novembre 2008, art. 14, all’art. 117 Cost., al D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 3, al D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 art. 14, comma 10, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214, ed all’art. 8 del regolamento comunale Tares, deducendo, in sintesi, che illegittimamente il giudice del gravame aveva accolto il primo ed il sesto motivo di appello – che involgevano l’identificazione del presupposto impositivo, di cui al D.L. n. 201 del 2011, art. 14, comma 3, cit., anche con riferimento alla produzione di rifiuti assimilati – con ciò senza considerare che – in conformità al principio unionale fondato sul “chi inquina paga” – dovevano considerarsi escluse da tassazione le superfici ove si producevano in via prevalente, e continuativa, rifiuti speciali (art. 14, comma 10, cit.), così come nella fattispecie avvenuto a riguardo di rifiuti non assimilati (da imballaggi, ferro e acciaio) che essa esponente aveva avviato al recupero a proprie spese;
3.2. – il sesto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., reca la denuncia di nullità della gravata sentenza per motivazione apparente e, ad ogni modo, in ragione di irriducibile contrasto tra motivazione e dispositivo, assumendo la ricorrente che il giudice del gravame aveva accolto l’appello di controparte (il quarto motivo) – e rigettato “il ricorso introduttivo della società contribuente” – pur rilevando che “giurisprudenza costante afferma la non assimilabilità ai rifiuti urbani degli imballaggi terziari, da ciò deducendo l’esclusione dalla tassa delle superfici ove essi si formano”;
3.3. – col settimo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione di legge in relazione al D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 114, art. 4, comma 1, lett. a) e b), ed al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 217, 218 e 226, comma 2, deducendo, in sintesi, che – risolta dal giudice del gravame, in termini generici e fumosi, la distinzione tra commercio all’ingrosso e commercio al dettaglio che, diversamente, ha uno specifico fondamento normativo in relazione ai tratti tipologici dell’attività svolta (art. 4, comma 1, lett. a) e b), cit.) – i dati normativi di disciplina degli imballaggi rendono (diversamente) evidente che – articolandosi la distinzione degli stessi in ragione della funzione assolta piuttosto che della rispettiva composizione merceologica – gli imballaggi costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro gestione (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento), così che ne consegue il divieto di immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani gli imballaggi terziari e, quanto agli imballaggi secondari, essendone consentito il conferimento al servizio pubblico solo nel caso di imballaggi non restituiti all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio, e purchè attivata la raccolta differenziata;
3.4. – l’ottavo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione di legge con riferimento al D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 art. 14, comma 4, conv. in L. 22 dicembre 2011, n. 214, ed all’art. 8, comma 2, del regolamento comunale Tares; – premesso che, nella legislazione in tema di rifiuti, quantomeno a decorrere dal 1997 si è introdotta la distinzione tra superfici scoperte operative e aree scoperte pertinenziali od accessorie a locali tassabili, – e che, secondo lo stesso regolamento comunale Tares (art. 8, comma 2, cit.), si debbono intendere per aree scoperte operative quelle “sulle quali si svolge un’attività atta a produrre autonomamente ed apprezzabilmente rifiuti, come le aree adibite alla medesima attività svolta nei locali ed aree coperti o ad attività complementari nonché quelle adibite a deposito”, con conseguente detassazione delle aree “scoperte pertinenziali ed accessorie, come i piazzali (di transito, di manovra, di carico e scarico, di sosta), le zone di viabilità interna e le aree verdi” – nella fattispecie il giudice del gravame erroneamente aveva escluso la detassazione delle superfici destinate a parcheggio gratuito per la clientela – secondo il rilievo che l’area risultava “completamente coperta da pensiline” – atteso che l’esistenza delle pensiline non escludeva, ad ogni modo, la natura pertinenziale dell’area (attesa la sua destinazione funzionale) né poteva integrarne una (supposta) natura operativa; e, per di più, rilevando che, secondo nozione di fatto di comune esperienza, alla destinazione a parcheggio dell’area in questione non poteva correlarsi un’apprezzabile, e significativa, produzione di rifiuti;
3.5. – col nono motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., avendo il giudice del gravame ritenuto assorbito l’esame delle questioni da essa esponente poste con riferimento alla legittimità costituzionale, ed eurounitaria, di disposizioni nazionali legittimanti l’imposizione tributaria pur a fronte di obblighi di gestione dei rifiuti (speciali, e da imballaggio, così come nella fattispecie) direttamente posti a carico degli operatori economici produttori, ed utilizzatori, di quegli stessi rifiuti.
4- Il sesto motivo di ricorso – dal cui esame consegue l’assorbimento dei motivi quinto, settimo e nono – è fondato e va accolto.
4.1. – Occorre premettere che la Corte ha già avuto modo di rilevare che, tenuto conto della normativa posta dal D.L. n. 201 del 2011, art. 14, cit., ben possono trovare applicazione, in tema di Tares, gli stessi principi di diritto posti dalla Corte con riferimento alla TARSU (Cass., 23 gennaio 2024, n. 2268; Cass., 11 gennaio 2022, n. 532), così che:
– il presupposto impositivo della Tares è costituito dalla disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, la tassa è dovuta unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, con una presunzione iuris tantum di produttività che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore dell’area (Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459);
– lo stabilire se determinati locali di uno stesso edificio, benché destinati ad uffici, depositi, mostre ecc. e non propriamente all’attività produttiva, siano parimenti idonei, o meno, a produrre rifiuti speciali, costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (Cass., 22 dicembre 2016, n. 26725; Cass., 11 agosto 2004, n. 15517; Cass., 17 febbraio 1996, n. 1242);
– la nozione di “superficie … ove si formano di regola rifiuti speciali” (art. 14, comma 10, cit.; v. il previgente D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3) va interpretata nel senso che l’esclusione dalla tassa riguarda la sola “parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali” (Cass., 10 gennaio 2022, n. 368; Cass., 11 febbraio 2021, n. 3437; Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 4 aprile 2012, n. 5377; v., altresì, Cass., 24 luglio 2014, n. 16858);
– tanto le deroghe alla tassazione quanto le riduzioni delle superfici e tariffarie non operano in via automatica, in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo, invece, i relativi presupposti essere di volta in volta dedotti nella denuncia originaria o in quella di variazione (Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde Cass., 17 settembre 2019, n. 23059; Cass., 3 marzo 2010, n. 5036; Cass., 15 aprile 2005, n. 7915; v., altresì, Cass., 23 febbraio 2018, n. 4602; Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 31 luglio 2015, n. 16235; nonché, tra le stesse parti, Cass., 12 dicembre 2019, n. 32741, cit.).
4.2. – Ciò non di meno, lo stesso Giudice delle leggi, e la Corte, hanno avuto modo di rimarcare – con riferimento alla tariffa di igiene ambientale (cd. TIA) ma con rilievi estensibili alla Tares stante il comune presupposto costituito dall’applicazione del metodo cd. normalizzato di cui al D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (v. il D.L. n. 201 del 2011, art. 14, comma 9, cit.) – alcune peculiarità applicative della Tariffa con riferimento, in specie, alla sua articolazione (in una quota fissa ed in una quota variabile; D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158, artt. 3 e ss.) ed alle conseguenti implicazioni sulla tassazione delle aree produttive di rifiuti urbani ovvero speciali, assimilati o meno (v. Cass., 22 marzo 2022, n. 9178; Cass., 27 febbraio 2020, n. 5360; Cass., 23 maggio 2019, n. 14038; Cass., 22 settembre 2017, n. 22127).
Si è, così, rilevato che il presupposto impositivo si correla al possesso o alla detenzione di superfici astrattamente idonee alla produzione di rifiuti, e che “la qualità e quantità di rifiuti prodotti incide nella determinazione della quota variabile della TIA che può essere legittimamente pretesa, in misura intera o ridotta, solo in presenza di una effettiva produzione di rifiuti urbani o assimilati, con conseguente esclusione dell’assoggettamento a tale parte del tributo di quelle superfici ove il contribuente dimostri di non produrre rifiuti o di produrre esclusivamente rifiuti speciali smaltiti, pertanto, autonomamente” (così Cass., 23 maggio 2019, n. 14038, cit.); ciò, del resto, in coerenza con la natura, cd. universale, della Tariffa – in quanto “Ogni edificio che si trovi sul territorio comunale, è normativamente considerato come potenzialmente idoneo, per le attività che vi si potrebbero svolgere, a produrre rifiuti urbani” (così Cass., 27 febbraio 2020, n. 5360) – ed in conseguenza della cennata articolazione tariffaria che – quanto alla quota fissa (“determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti”; D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 4), – “ha la funzione di coprire il costo dei servizi di smaltimento concernenti i rifiuti non solo “interni”, cioè prodotti o producibili dal singolo soggetto passivo che può avvalersi del servizio, ma anche “esterni”, quali i “rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico”, e quindi di coprire anche le pubbliche spese afferenti ad un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente” (così, ancora, Cass., 23 maggio 2019, n. 14038).
Così che l’applicazione di un coefficiente di riduzione proporzionale della tariffa incide (solo) sulla parte variabile della tariffa stessa e involge i (soli) rifiuti speciali assimilati (D.L. n. 201 del 2011, art. 14, comma 18; D.P.R. n. 158 del 1999, art. 7, comma 2).
4.3. – Quanto, poi, agli imballaggi, ed ai rifiuti di imballaggio, i dati normativi di fattispecie, di cui al D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, (ratione temporis e, per quel che qui rileva) dispongono nei seguenti termini:
“Ai fini della parte quarta del presente decreto e fatte salve le ulteriori definizioni contenute nelle disposizioni speciali, si intende per:
a) “rifiuto”: qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi” (art. 183, comma 1, lett. a); v., altresì, la Direttiva 2008/98/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008, art. 3, n. 1);
“Sono inoltre di competenza dello Stato:
La determinazione dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione, ai fini della raccolta e dello smaltimento, dei rifiuti speciali e dei rifiuti urbani. Con decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, d’intesa con il Ministro dello sviluppo economico, sono definiti, entro novanta giorni, i criteri per l’assimilabilità ai rifiuti urbani.” (art. 195, comma 2, lett. e));
“I comuni concorrono a disciplinare la gestione dei rifiuti urbani con appositi regolamenti che, nel rispetto dei principi di trasparenza, efficienza, efficacia ed economicità e in coerenza con i piani d’ambito adottati ai sensi dell’articolo 201, comma 3, stabiliscono in particolare:
l’assimilazione, per qualità e quantità, dei rifiuti speciali non pericolosi ai rifiuti urbani, secondo i criteri di cui all’articolo 195, comma 2, lettera e), ferme restando le definizioni di cui all’articolo 184, comma 2, lettere c) e d).” (art. 198, comma 2, lett. g));
– “Ai fini dell’applicazione del presente titolo si intende per:
rifiuto di imballaggio: ogni imballaggio o materiale di imballaggio, rientrante nella definizione di rifiuto di cui all’articolo 183, comma 1, lettera a), esclusi i residui della produzione;” (art. 218, comma 1, lett. f); vedi anche la direttiva 94/62/CE, del 20 dicembre 1994, art. 3);
“1. I produttori e gli utilizzatori sono responsabili della corretta ed efficace gestione ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio generati dal consumo dei propri prodotti.
Nell’ambito degli obiettivi di cui agli articoli 205 e 220 e del Programma di cui all’articolo 225, i produttori e gli utilizzatori, su richiesta del gestore del servizio e secondo quanto previsto dall’accordo di programma di cui all’articolo 224, comma 5, adempiono all’obbligo del ritiro dei rifiuti di imballaggio primari o comunque conferiti al servizio pubblico della stessa natura e raccolti in modo differenziato. A tal fine, per garantire il necessario raccordo con l’attività di raccolta differenziata organizzata dalle pubbliche amministrazioni e per le altre finalità indicate nell’articolo 224, i produttori e gli utilizzatori partecipano al Consorzio nazionale imballaggi, salvo il caso in cui venga adottato uno dei sistemi di cui al comma 3, lettere a) e c) del presente articolo.
Per adempiere agli obblighi di riciclaggio e di recupero nonché agli obblighi della ripresa degli imballaggi usati e della raccolta dei rifiuti di imballaggio secondari e terziari su superfici private, e con riferimento all’obbligo del ritiro, su indicazione del Consorzio nazionale imballaggi di cui all’articolo 224, dei rifiuti di imballaggio conferiti dal servizio pubblico, i produttori possono alternativamente:
a) organizzare autonomamente, anche in forma collettiva, la gestione dei propri rifiuti di imballaggio sull’intero territorio nazionale;
b) aderire ad uno dei consorzi di cui all’articolo 223;
c) attestare sotto la propria responsabilità che è stato messo in atto un sistema di restituzione dei propri imballaggi, mediante idonea documentazione che dimostri l’autosufficienza del sistema, nel rispetto dei criteri e delle modalità di cui ai commi 5 e 6.
Ai fini di cui al comma 3 gli utilizzatori sono tenuti a consegnare gli imballaggi usati secondari e terziari e i rifiuti di imballaggio secondari e terziari in un luogo di raccolta organizzato dai produttori e con gli stessi concordato. Gli utilizzatori possono tuttavia conferire al servizio pubblico i suddetti imballaggi e rifiuti di imballaggio nei limiti derivanti dai criteri determinati ai sensi dell’articolo 195, comma 2, lettera e).” (art. 221, commi 1, 2, 3 e 4);
“1. È vietato lo smaltimento in discarica degli imballaggi e dei contenitori recuperati, ad eccezione degli scarti derivanti dalle operazioni di selezione, riciclo e recupero dei rifiuti di imballaggio.
Fermo restando quanto previsto dall’articolo 221, comma 4, è vietato immettere nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani imballaggi terziari di qualsiasi natura. Eventuali imballaggi secondari non restituiti all’utilizzatore dal commerciante al dettaglio possono essere conferiti al servizio pubblico solo in raccolta differenziata, ove la stessa sia stata attivata nei limiti previsti dall’articolo 221, comma 4.” (art. 226, commi 1 e 2).
4.3.1. – Orbene, come reso esplicito dai dati di regolazione sopra ripercorsi, gli imballaggi usati secondari e terziari, ed i rifiuti di imballaggio secondari e terziari, vanno conferiti “in un luogo di raccolta organizzato dai produttori e con gli stessi concordato”, in particolare ricadendo sugli stessi produttori e utilizzatori gli oneri di gestione degli imballaggi secondari e terziari, e dei relativi rifiuti (art. 221, comma 10; v., altresì, la disciplina della raccolta differenziata di cui all’art. 222) e rimanendone consentito il conferimento al servizio pubblico (solo) previa determinazione “dei criteri qualitativi e quali-quantitativi per l’assimilazione”, ai sensi dell’art. 221, comma 4, cit. (che, a sua volta, rinvia all’art. 195, comma 2, lettera e)), criteri che non sono stati determinati con riferimento a detta tipologia di rifiuti (per la cui nozione v., ex plurimis, CGUE, 14 ottobre 2020, causa C-629/19, Sappi Austria Produktions e a., punti 41 e ss.).
Come, allora, la Corte ha già rilevato – con riferimento al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, ma con conclusioni che trovano conferma nella disciplina posta dal D.Lgs. n. 152 del 2006, artt. 216 bis e ss., – i rifiuti da imballaggio costituiscono oggetto di un regime speciale rispetto a quello dei rifiuti in genere, regime caratterizzato essenzialmente dalla attribuzione ai produttori ed agli utilizzatori della loro gestione (termine che comprende tutte le fasi, dalla raccolta allo smaltimento); ciò vale in assoluto per gli imballaggi terziari, per i quali è stabilito il divieto di immissione nel normale circuito di raccolta dei rifiuti urbani, cioè, in sostanza, il divieto di assoggettamento al regime di privativa comunale (v., ex plurimis, Cass., 1 febbraio 2024, n. 2993; Cass., 30 marzo 2023, n. 8962; Cass., 23 aprile 2020, n. 8088; Cass., 10 aprile 2019, n. 10010).
4.4 – Tanto premesso, le Sezioni Unite della Corte hanno statuito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54, D.L. 22 giugno 2012 n. 83, conv. in L. 7 agosto 2012 n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881; Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053).
Si è, quindi, ripetutamente precisato che deve ritenersi apparente la motivazione che, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non renda tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice (Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; v., altresì, Cass., 18 settembre 2019, n. 23216; Cass., 23 maggio 2019, n. 13977; Cass., 7 aprile 2017, n. 9105; Cass. Sez. U., 24 marzo 2017, n. 7667; Cass. Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16599).
4.5. – Nella fattispecie, la gravata sentenza, – che dà (solo) parzialmente conto del contenuto dei motivi di appello esaminati – a fronte del (complesso e articolato) quadro regolatorio, sopra ripercorso, si risolve, in punto di accertamento dell’attività produttiva di rifiuti e della relativa tipologia, in asserzioni che si pongono, tra di loro, in rapporto di reciproca contraddizione (se non anche di inconferenza) in quanto al tempo stesso affermano, ed escludono, l’imponibilità di superfici ove si producono rispettivamente “rifiuti assimilati agli urbani” ovvero di regola imballaggi terziari; profili decisori, questi, che nella gravata pronuncia non trovano alcun raccordo con specifico riferimento all’accertata tipologia dei rifiuti prodotti sulle superfici tassate – ed alle stesse modalità di produzione dei rifiuti – e che, per di più, evocano (in termini inconferenti) una sfumata differenza “tra commercio all’ingrosso e al dettaglio” cui (ancora un volta) non è dato correlare alcuna specifica ricaduta decisoria con riferimento alla tipologia dei rifiuti che, nella fattispecie, vengono in considerazione.
5 – L’ottavo motivo di ricorso va rigettato.
5.1. – Quanto, difatti, alla non imponibilità delle aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili, “ad eccezione delle aree scoperte operative” (D.L. n. 201 del 2011, art. 14, comma 4, come sostituito dal D.L. 8 aprile 2013, n. 35, art. 10, comma 3, lett. a), conv. in L. 6 giugno 2013, n. 6410), trattasi, come ben deduce la ricorrente, di causa di esclusione del tributo di risalente impianto, entrata, pertanto, nella disposizione in esame in sostanziale recepimento di quanto già previsto dal r.d. 14 settembre 1931, n. 1175, art. 269, comma 2 (come sostituito dal D.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, art. 21) e successivamente – nella vigenza del règime relativo alla TARSU (D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 1) – da una sequenza di dd.ll. (D.L. 25 novembre 1996, n. 599, art. 2, comma 4-bis, conv. in L. 24 gennaio 1997, n. 5; D.L. 29 settembre 1997, n. 328, art. 6, conv. in L. 29 novembre 1997, n. 410; D.L. 26 gennaio 1999, n. 8, art. 1, comma 3, conv. in L. 25 marzo 1999, n. 75) che ne hanno stabilizzato la disciplina a decorrere dal 1997 (v. altresì, con riferimento alla Tariffa di igiene ambientale, il D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 49, comma 3, e, quanto alla cd. TIA2, il D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 238, comma 1 nonché, quanto alla TARI, la L. L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1, comma 641).
Sia pur con varianti lessicali che, nella disposizione di cui all’art. 14, comma 4, cit., hanno trovato una più chiara formula espressiva – ov’è, dunque, evidente, che le “aree scoperte operative” ad ogni modo legittimano l’esercizio del potere impositivo, seppur aree in rapporto di connessione funzionale con “locali tassabili” – la fattispecie di esclusione in discorso è stata ricondotta dalla Corte, in precedenti arresti relativi al règime della Tarsu, – e con specifico riferimento alle aree destinate a parcheggio – alla disposizione di cui all’art. 62, comma 2, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, essendosi rilevato che detta disposizione, nell’escludere dall’assoggettamento al tributo i locali e le aree che non possono produrre rifiuti “per il particolare uso cui sono stabilmente destinati”, chiaramente esige che sia provata dal contribuente non solo la stabile destinazione dell’area ad un determinato uso, ma anche la circostanza che tale uso non comporta produzione di rifiuti (v. Cass., 26 luglio 2017, n. 18500; Cass., 13 marzo 2015, n. 5047).
Più di recente, in tema di Tares, si è rimarcato che la tassazione è esclusa solo per le aree scoperte che, ai sensi del codice civile, presentano la condizione della pertinenza soggettiva e oggettiva rispetto al locale o all’area principale e purché non siano operative; laddove l’operatività consiste nell’idoneità a produrre rifiuti ulteriori rispetto al locale e all’area principale che già versa il tributo e non rappresenta dunque un’ulteriore estensione dell’attività svolta (Cass., 26 maggio 2023, n. 14718).
Il nesso di pertinenzialità non esclude, pertanto, ex se l’imponibilità laddove detto nesso involga un’area da considerarsi operativa siccome luogo di esercizio di un’attività funzionale allo svolgimento dell’attività (principale) cui si raccorda lo stesso nesso pertinenziale.
E il parcheggio destinato alla clientela di un punto vendita aperto al pubblico deve, per l’appunto, ritenersi area operativa nella misura in cui – per quanto posta a servizio del bene tassabile e, dunque, in rapporto di pertinenzialità con lo stesso – concorre a quella stessa operatività della superficie cui accede, così rendendo possibile l’effettivo svolgimento dell’attività principale cui si connette la produzione di rifiuti (v. Cass., 16 luglio 2024, n. 19551).
5.2. – Nella fattispecie, come anticipato, il giudice del gravame ha ritenuto tassabile la superficie destinata a parcheggio e nel motivo di ricorso non si deduce alcun elemento utile ad affermare che le aree scoperte adibite a parcheggi dovessero considerarsi non operative sul piano della produzione dei rifiuti.
6- L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto (il sesto) con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che, in diversa composizione, procederà al motivato riesame della controversia.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il sesto motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo, il terzo e l’ottavo motivo; dichiara cessata, tra le parti, la materia del contendere relativamente al quarto motivo di ricorso; dichiara assorbiti i residui motivi di ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 12 giugno 2024.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2024.
MASSIMA: I parcheggi che sono pertinenze dei locali adibiti ad attività commerciali sono soggetti al pagamento della tassa rifiuti. I parcheggi, infatti, sono aree scoperte operative produttive di rifiuti se poste al servizio dell’attività commerciale principale.