Etica del prelievo fiscale e della digitalizzazione: una prospettiva multidisciplinare
Prima di affrontare la problematica relativa alla natura e ai limiti dell’autotutela tributaria, il presente intervento deve necessariamente premettere un breve raffronto tra quest’ultima e la più generale autotutela amministrativa.
Tradizionalmente, il potere di autotutela costituisce una prerogativa di cui è titolare la Pubblica Amministrazione, intrinsecamente connaturata al compito istituzionale di perseguire la miglior cura dell’interesse pubblico che le è affidato.
L’autotutela amministrativa trova fondamento nei principi costituzionali di legalità e buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Costituzione) ed ha trovato compiuta espressione nella Legge 11 febbraio 2005, n. 15, che ha modificato ed integrato la legge sul procedimento amministrativo (Legge 07 agosto 1990, n. 241), introducendo il Capo IV-bis e, in particolare, gli artt. da 21-quinquies a 21-novies.
Essa si articola nelle tre diverse forme dell’autotutela sanzionatoria (ossia il potere di irrogare sanzioni), dell’autotutela esecutoria (quale potestà di portare ad esecuzione unilateralmente e coattivamente i propri provvedimenti, senza necessità di intervento dell’Autorità giurisdizionale) e dell’autotutela decisoria (intesa come potere di riesaminare discrezionalmente i propri atti, in base a criteri di legittimità o anche solo di opportunità, disponendone la conferma, la modifica, la revoca o l’annullamento, anche d’ufficio, e senza necessità di un’istanza di parte in tal senso).
L’autotutela amministrativa può quindi essere definita come il potere della Pubblica Amministrazione di intervenire, entro determinati termini di volta in volta stabiliti dalle norme, al fine di modificare l’assetto degli interessi coinvolti nella singola vicenda, in forza del generale principio di inesauribilità del potere amministrativo in funzione della cura dell’interesse pubblico.
L’autotutela tributaria costituisce certamente una species del più ampio genus dell’autotutela amministrativa.
Anche l’autotutela tributaria, come quella amministrativa, consiste nel potere dell’Amministrazione di annullare o rettificare un proprio atto, che risulti affetto da un vizio, sia su istanza di parte che d’ufficio. Entrambi i poteri sono ancorati al soddisfacimento di un interesse pubblico che, nel caso dell’autotutela tributaria, consiste nel pronto e sollecito reperimento delle entrate fiscali legalmente accertate.
Pertanto, anche l’autotutela tributaria, come quella amministrativa, si realizza mediante un procedimento di secondo grado, in quanto oggetto del riesame è l’atto impositivo precedentemente adottato (e non, direttamente, la pretesa fatta valere con quest’ultimo).
Entrambe tali tipologie di autotutela possono concludersi con un provvedimento di annullamento, modifica o convalida dell’atto viziato, e, in caso di annullamento, con l’adozione di un nuovo atto, che sostituisca integralmente il primo e che risulti emendato dai vizi di quest’ultimo (cd. autotutela sostitutiva).
Al di là di tali analogie, gli istituti dell’autotutela amministrativa e dell’autotutela tributaria presentano senz’altro anche sensibili differenze.
L’autotutela amministrativa è un’attività caratterizzata dalla discrezionalità amministrativa a fronte di interessi legittimi. Diversamente, l’autotutela tributaria interviene su posizioni di diritto soggettivo, ossia il diritto del contribuente a non subire una tassazione non conforme alle previsioni normative, lesiva del principio di capacità contributiva ex art. 53 Costituzione.
In ambito tributario, resta pertanto esclusa la possibilità di una rimozione o di una modifica dell’atto impositivo per ragioni di mera opportunità o “convenienza”, pur non venendo meno la valutazione discrezionale dell’Amministrazione finanziaria (intesa come valutazione dell’interesse generale alla revisione dell’atto, particolarmente evidente per i tributi di matrice unionale, relativamente ai quali viene in considerazione l’esigenza prioritaria di assolvere agli obblighi che derivano dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea).
L’autotutela tributaria trova il proprio fondamento costituzionale nei principi di solidarietà sociale (art. 2 Costituzione), di legalità dell’imposizione (art. 23 Costituzione), di capacità contributiva e progressività (art. 53 Costituzione) e di buon andamento e imparzialità della Pubblica Amministrazione, ivi inclusa quella finanziaria (art. 97 Costituzione): dall’insieme di tali principi si ricava il cd. principio di perennità, in forza del quale il potere dell’Amministrazione finanziaria persiste anche dopo esser stato esercitato ed assolve all’esigenza di assicurare la continua e puntuale aderenza dell’azione amministrativa all’interesse pubblico a reperire le entrate fiscali legittime.
La stretta derivazione dall’originario potere impositivo delinea alcuni limiti all’autotutela tributaria.
Il primo limite, di natura strutturale, è rappresentato dall’avvenuta decadenza del potere di accertamento, ed assume particolare rilievo quando l’illegittimità dell’atto abbia comportato un beneficio per il contribuente ed un corrispondente pregiudizio per l’Erario: in questo caso, l’atto successivo, con cui viene richiesta al contribuente una maggiore imposta, può venire legittimamente ad esistenza solamente se il potere dell’Amministrazione finanziaria non sia venuto meno e, dunque, solo entro i termini di decadenza previsti per l’esercizio dell’attività di accertamento per il singolo tributo.
Un secondo limite, di natura funzionale, è costituito dal giudicato di merito favorevole all’Amministrazione: il controllo di merito in sede giurisdizionale, che abbia attestato con efficacia di giudicato la correttezza dell’esercizio della potestà impositiva, preclude radicalmente la possibilità di esercizio di qualsiasi potere di autotutela da parte dell’amministrazione finanziaria.
Normativamente, l’istituto dell’autotutela tributaria è stato regolamento per la prima volta dall’art. 68 D.P.R. 27 marzo 1992 n. 287 (“Tutela dei diritti dei contribuenti e trasparenza dell’azione amministrativa“) – successivamente abrogato dall’art. 26 D.P.R. 26 marzo 2001 n. 107– e dall’art. 2-quater del D.L. 30 settembre 1994 n. 564, convertito con modificazioni dalla Legge del 30 novembre 1994 n. 656, nonché dal relativo Regolamento attuativo adottato con D.M. 11 febbraio 1997 n. 37.
Tale quadro normativo è stato innovato con il D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 219 che:
- ha abrogato l’art. 2-quater D.L. 564/1994 e il D.M. n. 37/1997;
- ha modificato l’art. 13 della Legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del contribuente), eliminando l’esplicito riferimento in esso contenuto all’autotutela;
- ha introdotto gli artt. 10-quater e 10 quinquies della Legge 27 luglio 2000 n. 212 (Statuto del contribuente), disciplinanti rispettivamente l’autotutela obbligatoria e l’autotutela facoltativa.
Contestualmente, con il D.lgs. 30 dicembre 2023 n. 220, è stato modificato l’art. 19, comma 1, D.lgs. n. 546/1992, inserendo due nuove ipotesi di atti impugnabili mediante ricorso tributario, ossia:
- il rifiuto espresso o tacito sull’istanza di autotutela obbligatoria (lettera g-bis);
- il rifiuto espresso sull’istanza di autotutela facoltativa (lettera g-ter).
Tali fattispecie sono state integralmente riprodotte nell’art. 65, comma 1, lettere l) e m), D.lgs. 14 novembre 2024 n. 175 (“Testo unico della giustizia tributaria”), che è entrato in vigore il 29 novembre 2024, ma che troverà applicazione a decorrere dal 1° gennaio 2026.
Anche recentemente, peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha avuto occasione di ribadire che il sindacato giurisdizionale sul diniego, espresso o tacito, di autotutela può riguardare soltanto eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione finanziaria, in relazione alle ragioni di rilevante interesse generale che giustificano l’esercizio di tale potere, mentre non può riguardare la fondatezza della pretesa tributaria, posto che, in caso contrario, si verificherebbe un’indebita sostituzione del giudice nell’attività amministrativa o un’inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo (in tal senso, tra le altre, Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Milano, sez. IX, 17 gennaio 2025 n. 178 che, sulla base di tale principio, ha ritenuto l’autotutela obbligatoria un istituto di carattere eccezionale, che non può essere esteso oltre i casi tipici e tassativi in esso considerati. Il predetto istituto è finalizzato alla rimozione di vizi dell’atto tributario che appaiono evidenti ictu oculi, mentre non si presta a valutazioni articolate e complesse, anche sotto il profilo istruttorio, quali quelle che erano state sollevate nel caso di specie dalla società contribuente, la quale avrebbe dovuto proporle mediante un ricorso tributario avverso l’originario avviso di accertamento, nella specie invece divenuto definitivo).
In ogni caso, la regolamentazione operata dal Legislatore dell’istituto dell’autotutela ha perseguito in via prioritaria lo scopo di consentire l’emersione delle ipotesi in cui l’invalidità, formale o sostanziale, dell’atto impositivo si riverberi in danno del contribuente.
Ciò risulta evidente, tenuto conto della sostanziale conformità tra le ipotesi (pacificamente non tassative) di autotutela previste dall'(oggi abrogato) art. 2 del D.M. n. 37/1997 e i casi (da ritenere invece tassativi) in cui l’autotutela è obbligatoria ex art. 10-quater Statuto del contribuente.
Sempre nell’ottica di incentivare l’autotutela in favore del contribuente, trova spiegazione la limitazione della responsabilità contabile del funzionario, che abbia esercitato l’autotutela (sia obbligatoria, sia facoltativa), alle sole ipotesi di dolo, con esclusione invece della responsabilità contabile del predetto funzionario nelle fattispecie di colpa grave. Tale limitazione trova significato unicamente nelle ipotesi in cui il funzionario, mediate un cattivo utilizzo dell’istituto dell’autotutela, abbia indebitamente annullato o rettificato un atto in favore del contribuente, determinando quindi una corrispondente ingiustificata perdita per l’Erario, che possa causare la sua responsabilità contabile. Ratio della norma è quella di non scoraggiare i funzionari pubblici dall’utilizzo dello strumento dell’autotutela, ma anzi di incoraggiarli in tal senso, mediante la rassicurazione che una loro valutazione eventualmente erronea potrà essere sanzionata a titolo di responsabilità contabile verso l’Erario solo nelle ipotesi di dolo (e, quindi, di vera e propria intenzionalità e mala fede), e non anche in quelle di colpa grave (ossia di negligenza, imprudenza, imperizia, ancorché macroscopica). Rassicurazione che diviene particolarmente importante in relazione all’autotutela facoltativa, laddove il margine di discrezionalità della Pubblica Amministrazione è più ampio, mancando una rigida tipizzazione normativa delle fattispecie nelle quali la stessa può estrinsecarsi.
L’autotutela favorevole al contribuente non esaurisce tuttavia l’ambito applicativo di tale istituto, che può riguardare anche situazioni nelle quali l’illegittimità dell’atto originario si risolva in un pregiudizio per l’Erario.
Situazioni quali l’errore di calcolo o l’errore sul presupposto d’imposta comprendono infatti ogni ipotesi di illegittimità dell’imposizione, sia in senso favorevole al contribuente, sia in senso favorevole all’Erario.
Come recentemente ribadito anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sezioni Unite, sent., 21 novembre 2024 n. 30051), la disciplina non opera alcuna distinzione tra atti in bonam partem o in malam partem, in quanto il potere di autotutela non costituisce soltanto uno strumento di protezione del contribuente, ma può essere esercitato dall’Amministrazione finanziaria sulla base di valutazioni largamente discrezionali, tenendo presente l’interesse pubblico primario alla corretta esazione dei tributi.
Quando l’atto illegittimo abbia determinato un’ingiusta percezione di somme, non dovute, da parte dell’Agenzia fiscale, tale interesse tende in sostanza a coincidere con quello del contribuente a corrispondere solo la “giusta” imposizione, ed appare quindi senza dubbio conforme al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Costituzione.
Tuttavia, anche nell’ipotesi opposta, l’applicazione doverosa delle norme fiscali comporta un aggravamento del trattamento impositivo, che non può ritenersi lesivo di tale principio. L’originario atto impositivo illegittimo, infatti, determinava l’assoggettamento del contribuente ad un’esazione inferiore a quella dovuta in forza dei presupposti di legge, sicché la sua posizione di interesse non si può fondare sul principio di capacità contributiva ed è recessiva rispetto all’interesse dell’Erario alla corretta (e doverosa) esazione.
Pertanto, in conclusione, nel caso di annullamento in malam partem, non è invocabile a favore del contribuente la lesione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 Costituzione, la cui valenza, piuttosto, accresce l’importanza e la cogenza dell’illegittimità dell’atto.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte concludono pertanto per la piena razionalità e compatibilità con l’ordinamento costituzionale e tributario dell’esercizio del potere di autotutela anche in malam partem, nella quale viene accertato a carico del contribuente un maggiore imponibile.
L’Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento previsto per il singolo tributo e sull’atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa.
La Suprema Corte a Sezioni Unite ha infine affrontato il quesito se all’autotutela sostitutiva in malam partem possa essere di ostacolo il principio di buona fede e di legittimo affidamento del contribuente, sancito dall’art. 10 Legge 212/2000 (“cd. “Statuto del contribuente”), concludendo che l’errore commesso dall’Amministrazione finanziaria in senso favorevole al contribuente non possa valere di per sé solo a fondare la buona fede di quest’ultimo.
A ciò è di ostacolo il generale dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, in forza degli artt. 2 e 53 Cost.
Può invece assumere rilievo, ai fini della configurabilità del legittimo affidamento, l’esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell’Agenzia fiscale, che siano state poste in essere anteriormente all’adozione dell’atto illegittimo, qualora le somme pretese siano state compiutamente versate e ricorrano ragioni di certezza e stabilità.
Analoghi principi sono stati ulteriormente ribaditi, ancor più recentemente, da Cass. civ., sez. V, 25 febbraio 2025 n. 4941 e Cass. civ., sez. V, 04 marzo 2025 n. 5801.
L’esercizio dell’autotutela sostitutiva in malam partem pone il problema di tracciare una “linea di confine” tra quest’ultima e l’accertamento integrativo, che l’art. 43, comma 3 (ex comma 4), D.P.R. 600/1973 (in materia di imposte sui redditi) e l’art. 57, comma 4, D.P.R. 633/1972 (in materia di IVA) ammettono unicamente in presenza di “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” da parte dell’Agenzia delle Entrate.
I due istituti dell’autotutela in malam partem e dell’accertamento integrativo hanno in comune il fatto di apportare una modifica all’accertamento iniziale di segno sfavorevole per il contribuente, determinando entrambi un aumento dell’imposizione inizialmente accertata.
Al di là di tale analogia, i due istituti appaiono tuttavia intrinsecamente diversi tra loro.
L’autotutela sostitutiva è infatti un procedimento di secondo grado, fondato sull’esistenza di un primo atto del quale è rilevata l’illegittimità in base ad una valutazione compiuta ex novo ed ex post; conseguentemente a tale nuova valutazione, il primo atto deve essere espressamente annullato e sostituito con quello nuovo. Per tale motivo, il potere di autotutela non si consuma fino a quando non siano maturati i termini di decadenza dell’accertamento.
L’accertamento integrativo presuppone invece che il primo atto sia valido, efficace e destinato a permanere inalterato, non ponendosi neppure in astratto l’esigenza di una nuova valutazione degli elementi di fatto e diritto in base ai quali esso è stato emesso. L’accertamento integrativo presuppone l’esistenza del primo atto solamente al fine di poterne evidenziare gli elementi di novità sopravvenuti, che giustificano il potere di procedere ad un nuovo accertamento e che devono essere specificamente individuati nella motivazione. Esso, pertanto, dà luogo ad un procedimento di primo grado, fondato sulla rilevata esistenza di nuove circostanze non conosciute in precedenza.
In altri termini, il tratto qualificante dell’autotutela sostitutiva è costituito dalla valutazione di un atto illegittimo, che viene posto nel nulla e sostituito sulla base dei medesimi elementi già considerati; diversamente, il tratto qualificante dell’accertamento integrativo è la sopravvenienza di nuovi e non conosciuti elementi rispetto all’originario accertamento, che permettono l’adozione di un nuovo atto accertativo, il quale si affianca e si aggiunge a quello originario.
Pertanto, pur potendosi ravvisare fattispecie “al confine” tra i due istituti, autotutela sostitutiva ed accertamento integrativo non appaiono in alcun modo sovrapponibili, ma anzi restano del tutto autonomi e distinti. Di conseguenza, il requisito della “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” non si applica per il provvedimento emesso in autotutela sostitutiva, ancorché fonte di una maggiore imposizione.
Dott.ssa Cecilia Domenichini
Cultore della materia presso la Cattedra di Diritto Processuale Telematico Tributario
Unicusano-Roma