Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Parma, sez. I, 18 settembre 2025 n. 285
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Ricorrente_2, dipendente della S.r.l. Società_1, nonché la moglie Ricorrente_1, hanno impugnato l’avviso n.THL05CU00XXX/2022 per l’anno d’imposta 2016, relativo ad IRPEF, Addizionale Regionale e Comunale oltre sanzioni ed interessi notificato in data 7.04.2022 (procedimento n.19/2023 R.g.) e, il solo Ricorrente_2, quello n.——/2023 per l’anno d’imposta 2017, notificato in data 20.12.2023 (proc. n.146/2024), con i quali l’Ufficio determinava un maggior reddito da lavoro dipendente, rappresentato dall’ammontare dei compensi corrisposti dalla Società ma non dichiarati, né sottoposti a tassazione, pari rispettivamente ad € 35.558,00 ed € 35.990,00.
La Guardia di Finanza, per il tramite della Tenenza di Fidenza, aveva segnalato alla Direzione Provinciale dell’Agenzia dell’Entrate di Parma che, nel corso delle operazioni di verifica nei confronti di diverse società, era stato riscontrato l’uso consolidato e generalizzato, ma illegittimo, della corresponsione ai lavoratori
dipendenti, di corpose dazioni di denaro, fuori busta, mascherate come rimborsi spese; questi controlli, che accertavano, nello specifico, un evidente sistema di elusione delle ritenute sui compensi dei lavoratori, si inserivano nell’ambito di una più ampia indagine di Polizia Giudiziaria, a livello nazionale, finalizzata all’emersione di un collaudato modus operandi posto in essere da “un sodalizio criminoso avvezzo alle frodi fiscali” dedito, in particolare, all’utilizzo di fatture per prestazioni di servizi oggettivamente inesistenti, nonché a riequilibrare, artificiosamente, le poste di bilancio.
Fra le società controllate figurava la Società_1 Srl, con sede legale a Sede_1, operante nel settore della meccanica, che svolgeva lavori specializzati di riparazione e manutenzione di macchinari, su tutto il territorio nazionale.
Detta società, attualmente dichiarata fallita, negli anni indicati, in relazione al rapporto di lavoro dipendente intrattenuto con il Ricorrente_2, avrebbe corrisposto a quest’ultimo, secondo la tesi dell’Ufficio, oltre agli importi regolarmente sottoposti agli obblighi fiscali e contributivi un’ulteriore somma, non sottoposta a tassazione e che trovava riscontro nella contabilità societaria in quietanze, denominate “Rimborso spese”, sottoscritte dal dipendente ed allegate alle singole buste paga.
Le suddette quietanze, – come nel caso di tutti gli altri lavoratori dipendenti, anche di altre società, interessati dal sopra descritto modus operandi, contenevano sempre la seguente dicitura: “dichiaro di aver consegnato in data odierna tutti i documenti comprovanti detti anticipi”; nulla, però, era stato rinvenuto durante le perquisizioni presso la sede legale/operativa della società che fosse idoneo a comprovare l’effettivo sostenimento di dette spese da parte del dipendente ed il loro rimborso da parte della Società_1 Srl; parimenti, nessun documento era stato esibito, a tal fine, dai rappresentanti della società stessa, nonostante le specifiche richieste effettuate dai verificatori.
La difesa dei ricorrenti, con articolata argomentazione di cui a ciascun ricorso, eccepisce la carenza di prova dei presupposti dell’accertamento per inutilizzabilità delle dichiarazioni allegate siccome formalmente disconosciute dal Ricorrente_2 e la mancanza di altra prova idonea a fondare la tesi di compensi erogati ai dipendenti oltre a quelli di cui alla busta paga; inoltre, dichiarando espressamente di non accettare alcuna inversione dell’onere probatorio, hanno prodotto agli atti copie delle buste paga, richiamate ma non allegate dall’Ufficio, nonché copia dell’estratto conto del ricorrente e della moglie, argomentando la corrispondenza tra i bonifici Società_1 e le relative buste paga.
Si é ritualmente costituito in ciascun giudizio l’Ufficio resistente controdeducendo la piena legittimità dell’atto impugnato, con articolata argomentazione di cui alla memoria di costituzione, e chiedendo il rigetto del ricorso con il favore delle spese; con memoria in corso di giudizio ha prodotto distinte dei bonifici multipli, per ciascuna annualità, compiuti dalla cit. Società a favore dei lavoratori impiegati, incluso il ricorrente dai quali emergerebbe la corresponsione di ulteriori somme oltre gli stipendi risultanti nelle buste paga.
All’udienza i giudizi sono stati riuniti e, dopo discussione, il Collegio ha trattenuto in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso merita accoglimento.
A ben guardare, allo stato degli atti processuali, l’accertamento si fonda, in sostanza, su uno specifico elemento, di carattere prettamente indiziario, vale a dire le dichiarazioni allegate alle buste paga, con le quali anche l’odierno ricorrente avrebbe attestato la ricezione di somme a titolo di rimborso spese documentate.
Sul punto rileva in primo luogo la Corte che la sua difesa ha esplicitamente disconosciuto l’autenticità della firma del Ricorrente_2 sulle ricevute relative ai mesi di gennaio, marzo, aprile, giugno, luglio, agosto, settembre e novembre 2016 (pag.9 ricorso).
Quando la scrittura è disconosciuta, non ha l’efficacia probatoria di cui all’art.2702 c.c. e, pertanto, la parte che ha prodotto la scrittura, se vuole conferire al documento efficacia probatoria ha l’onere di chiederne la verificazione.
Sarebbe pertanto spettato all’Ufficio, che intenda valersi della scrittura disconosciuta l’onere di chiederne la verificazione, a norma dell’art. 216 c.p.c., ammissibile anche nel corso del processo tributario, previa sospensione di questo ai sensi del d.lgs. n. 546/1992, artt. 1, comma 2, e 39, che hanno soppresso le limitazioni poste, nel precedente regime del contenzioso tributario, dal D.P.R. n. 636/1972, art. 39.
Questa Corte non può pertanto tenere conto delle suddette dichiarazioni ai fini probatori.
Riguardo alle ricevute per i restanti mesi dell’anno 2016 e per tutto il 2017, si legge nei ricorsi introduttivi (pag.10 e pagg.11-12) che il Ricorrente_2 disconosce il contenuto delle ricevute per difetto di contestualità tra la sottoscrizione e la compilazione dei documenti stessi, che risultano tutti emessi a Sede_1, per cui quand’anche la sottoscrizione fosse autografa, sostiene che ignorava il contenuto di quanto a suo tempo sottoscritto.
Quanto precede non consente di giungere ad una inopponibilità ed inutilizzabilità delle dichiarazioni allegate.
In verità, in forza degli artt.214 e 215 n.2, c.p.c., colui contro il quale è prodotta una scrittura privata”, se intende disconoscerla, è tenuto a negare formalmente la propria scrittura o la propria sottoscrizione, negazione di autenticità – a ben guardare – non ricavabile da ciascun ricorso introduttivo, nel quale, come evidenzia l’Ufficio resistente ad essere disconosciute dal ricorrente sono i documenti, non le firme.
Ciò chiarito, la Corte ritiene, peraltro, non raggiunta la prova dell’effettiva ricezione da parte del Ricorrente_2 delle somme riportate nelle relative ai mesi di febbraio, maggio, ottobre e dicembre 2016 e per tutti quelli del 2017.
In proposito il ricorrente ha prodotto agli atti copie delle proprie buste paga, richiamate ma non allegate nell’avviso di accertamento nonché copia dell’estratto del conto corrente intestato al medesimo ed alla moglie, negli anni in esame.
Dal contenuto e dal raffronto dei suddetti documenti, pacifici siccome non contestati da parte resistente, si evince che, alla voce entrate, sono indicati unicamente gli stipendi di cui alle buste paga e gli emolumenti derivanti dalla pensione mentre non figurano altri accrediti inerenti presunti e non provati rimborsi spese fittizi.
Gli importi dei bonifici corrispondono perfettamente a quelli delle buste paga. Si veda, in particolare per l’anno 2017, a titolo esemplificativo e non esaustivo:
busta paga Gennaio 2017 con un netto in busta di € 502,00 ed il relativo bonifico di € 502,00 effettuato da Società_1 in data 16.02.2017;
busta paga Febbraio 2017 con un netto in busta di € 498,00 ed il relativo bonifico di € 498,00 effettuato da Società_1 in data 16.03.2017;
busta paga Marzo 2017 con un netto in busta di € 499,00 ed il relativo bonifico di € 499,00 effettuato da Società_1 in data 18.04.2017.
Contraddittoria l’argomentazione difensiva dell’Ufficio su questo punto.
Argomenta infatti l’agenzia delle Entrate che “Alla luce del quadro complessivo riscontrato, ben può desumersi che siano state erogate anche somme in contanti o altro, poi riassunte nelle quietanze di maggior importo; nel caso di specie, non appare credibile che la Società_1 abbia erogato al Sig. Ricorrente_2 solo le somme documentate dai bonifici, alla luce delle quietanze rilasciate.”
Tale assunto, oltre ad essere evidentemente inidoneo all’assolvimento dell’onere probatorio incombente sull’Ufficio, confligge altresì con le verifiche compiute dalla G.d.F. da cui origina l’avviso di accertamento impugnato ovvero che “Le somme in questione…. (venivano) solitamente bonificate insieme allo stipendio ufficiale”
Peraltro, la presunzione che gli importi siano stati erogati in contanti confligge anche con la tesi della G.d. F. secondo cui il metodo fraudolento serviva a “riequilibrare, artificiosamente, le poste di bilancio.”
Non si comprende infatti come possano essere riequilibrate le poste di bilancio erogando effettivamente al lavoratore, in nero, rimborsi spese viceversa fittizi ma contabilizzati.
Per completezza, rileva la Corte che, come visto, l’Ufficio, con le memorie depositate il 26.02.2025, ha prodotto le distinte dei bonifici mensili multipli, per ciascuna annualità, compiuti dalla cit. Società a favore dei lavoratori, ebbene in corrispondenza del nominativo dell’odierno ricorrente, sul conto corrente con Iban corrispondente a quello i cui estratti conto sono stati allegati dalla sua difesa, risultano, appunto, soltanto le somme riportate nelle buste paga, non nelle .
Le spese seguono la soccombenza, vengono liquidate tenuto conto della ripetitività delle questioni affrontate.
P.Q.M.
accoglie i ricorsi riuniti e, per l’effetto, annulla gli avvisi di accertamento n. ——/2022 per l’anno d’imposta 2016 e n. ——/2023 per l’anno d’imposta 2017. Condanna l’Ufficio resistente alla refusione delle spese di lite che liquida in € 120,00 per spese e 2.500,00 per competenze, oltre a rimborso forfettario15%, IVA e C.p.a. come per legge
COMMENTO REDAZIONALE– La pronuncia in commento conferma l’estensibilità al processo tributario, a norma dell’art. 1, comma 2, D.lgs. 546/1992 (a decorrere dal 1° gennaio 2026, art. 45, comma 2, del Testo unico allegato al D.lgs. 175/2024), della disciplina in materia di disconoscimento della scrittura privata (artt. 214-220 c.p.c.).
In particolare, anche nel processo tributario, nel caso in cui la scrittura privata venga disconosciuta dal suo presunto autore, la parte che intenda comunque avvalersene ha l’onere di richiedere la sua verificazione, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e producendo o indicando le scritture che possono servire di comparazione (art. 216, comma 1, c.p.c.).
In applicazione di tale principio, avendo il contribuente disconosciuto la sottoscrizione sulle dichiarazioni allegate alle buste paga, che avrebbero attestato la ricezione di somme a titolo di rimborso spese, l’Agenzia delle Entrate avrebbe avuto l’onere di proporre istanza di verificazione delle stesse.
Non avendo provveduto in tal senso, le predette dichiarazioni non potevano assumere l’efficacia probatoria di cui all’art. 2702 c.p.c.
Per tale motivo, in accoglimento del ricorso del contribuente, l’avviso di accertamento impugnato viene annullato.