Cons. Stato, Sez. VI, 25 luglio 2023, n. 7253


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 7108 del 2019, proposto da A.M., rappresentato e difeso dall’avvocato …, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Surbo, direttore pro tempore Area Tecnica – Settori Edilizia Urbanistica e Lavori del Comune di Surbo, non costituiti in giudizio;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia sezione staccata di Lecce (Sezione Terza) n. 00310/2019, resa tra le parti, concernente dichiarazione di nullità

– dell’ordinanza n. 2 (prot. n. (…) – prot. UTC n. (…)) del 6.3.2009 – successivamente conosciuta dal ricorrente – con cui il Direttore dell’Area Tecnica – Settori Edilizia Urbanistica e Lavori del Comune di S. ha ordinato “l’acquisizione gratuita al patrimonio Comunale dell’immobile ad uso residenziale e di tutta l’area di sedime, di fatto non superiore a 10 volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita, realizzato abusivamente su un’area posta in S. alla via P. e distinto in Catasto al Fg. (…) P.lla (…) sub (…) e (…).

– di ogni altro atto ad esso presupposto, consequenziale o comunque connesso, ancorchè non conosciuto, ivi compresi ove occorra: il Verbale di Constatazione e Verifica prot. n. (…) del 10.2.2006 del Comando di Polizia municipale del Comune di Surbo; l’ordinanza di demolizione n. 3 (prot. n. (…) – prot. UTC n. (…)) del 9.3.2005 del Direttore dell’Area Tecnica del Comune di Surbo.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 8 giugno 2023 il Cons. Oreste Mario Caputo e udito per parte appellante l’avv. …;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.È appellata la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce (Sezione Terza) n. 00310/2019, di reiezione del ricorso proposto dal sig. A.M. avverso l’ordinanza (n. 2 del 06/03/2009) del Comune di Surbo d’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivo sito nel territorio del Comune di Surbo alla Via P.N. – distinto in Catasto al Fg. (…) P.11a (…) sub (…) e (…) – costituito da un piano seminterrato, ad uso garage, e un piano rialzato, ad uso abitazione.

L’acquisizione fa seguito al diniego opposto nel 2005 dal Direttore dell’area tecnica del Comune di Surbo a due istanze di condono ex art. 32 D.L. n. 269 del 2003, nonché all’ordinanza d’ingiunzione di demolizione n. 3 del 09/03/2005 ed al verbale di constatazione e verifica (prot. n. (…) del 10/02/2006) del Comando di Polizia Municipale.

  1. A sostegno del gravame, il ricorrente ha dedotto la plurima e concorrente violazione e falsa applicazione degli artt. 27 e 31 e 44 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, dell’art. 97 Cost., degli artt. 3, 7 e 10 bis L. n. 241 del 1990.
  1. Il Tar ha ritenuto le censure infondate ed in parte irricevibili per tardività quelle formulate avverso l’ordinanza di demolizione n. 3 del 09/03/2005, precisando che l’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale non richiede alcuna specifica motivazione, né comparazione con gli interessi privati coinvolti e sacrificati.
  1. Appella la sentenza il sig. A.M..
  1. Alla pubblica udienza dell’8 giugno 2023 la causa, su richiesta della parte, è stata trattenuta in decisione.
  1. Nei motivi d’appello si denunciano gli errori di giudizio nel qualificare gli atti del procedimento d’acquisizione gratuita al patrimonio comunale dell’immobile abusivo.

Segnatamente i giudici idi prime cure avrebbero omesso di verificare la violazione del contraddittorio nel procedimento, la genericità dell’ordinanza nell’individuazione dell’immobile e delle aree acquisite al patrimonio, l’intrinseca contraddittorietà dell’ordinanza e, da ultimo, lo stato di necessità abitativo del nucleo familiare del ricorrente che ha originato l’abuso e giustificherebbe ipso facto il possesso dell’immobile ad uso residenziale.

7.1 I motivi sono infondati.

Nell’ordine.

Il verbale di accertamento di inottemperanza all’ordine di demolizione, contrariamente a quanto supposto dal ricorrente, non deve essere notificato prima dell’adozione dell’ordinanza d’acquisizione,.

Il verbale è atto endo-procedimentale: ha efficacia dichiarativa delle operazioni effettuate dalla Polizia Municipale, alla quale – va sottolineato – non è attribuita la competenza all’adozione di atti di amministrazione attiva.

L’autorità amministrativa decidente fa proprio l’esito delle predette con formale atto di accertamento, sicché, conclusivamente, il verbale non ha alcun effetto lesivo che ne giustifichi la previa notifica.

L’effetto lesivo è interamente riconducibile all’atto formale di accertamento ex art. 31, comma 4, del D.P.R. n. 380 del 2001, col quale l’autorità amministrativa recepisce gli esiti dei sopralluoghi effettuati dalla Polizia Municipale e adotta il titolo ricognitivo idoneo all’acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio comunale (cfr., Cons. Stato, sez. V, 17 giugno 2014 n. 3097).

Né l’asserita carenza, denunciata dall’appellante, “d’indicazione della superficie dell’area da acquisire al patrimonio comunale nonché della esatta ubicazione nel territorio comunale, della perimetrazione topografica, dei dati catastali, dei dati risultanti dalla conservatoria dei registri immobiliari dell’area medesima” determina l’illegittimità dell’ordinanza d’acquisizione.

Le opere abusive e l’area di sedime acquisiti sono stati indicati e delimitati nel provvedimento impugnato con il riferimento ai dati catastali dell’area.

È stata individuata la superficie da acquisire, parametrandola alle prescrizioni urbanistiche alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive e non superiore al limite di cui all’articolo 31, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001, ossia dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita.

Né sussiste la censurata illogicità e contraddittorietà dell’ordinanza di acquisizione gratuita gravata.

L’acquisizione è conseguente all’inottemperanza dell’ordinanza di demolizione: ha natura sanzionatoria dell’inottemperanza, cui fanno seguito gli atti esecutivi quali l’immissione in possesso e la trascrizione nel registro immobiliare.

Ad analoga conclusione deve giungersi con riguardo alla censura denunciante il difetto di motivazione dell’ordinanza di acquisizione.

L’acquisizione gratuita al patrimonio comunale delle opere abusive, prevista dall’art. 31 comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001, è atto dovuto senza alcun contenuto discrezionale, ed è subordinato unicamente all’accertamento dell’inottemperanza e al decorso del termine di legge (novanta giorni) fissato per la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi (cfr., Cons. Stato, sez. V, 18 dicembre 2002, n. 7030; Id., sez. IV, 29 settembre 2017, n. 4547).

Conseguentemente, in ragione della natura del procedimento, non sono pertinenti le censure dedotte sul registro della violazione degli artt. 7, 8 e 10 L. n. 241 del 1990 ed, in genere, del principio del giusto procedimento basate sull’assunto che “il procedimento si è svolto senza che all’odierno ricorrente sia stata data comunicazione né dell’avvio del procedimento, né della persona del responsabile del procedimento medesimo e neppure, infine, dello svolgimento di un eventuale sopralluogo al fine di verificare l’ottemperanza alla citata ingiunzione di demolizione”.

L’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce attività vincolata e, ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, L. n. 241 del 1990 e ss.mm., i vizi non incidenti sul contenuto sostanziale del provvedimento non inficiano la legittimità degli atti “qualora, – come nel caso in esame – per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Da ultimo, nella memoria conclusiva depositata in vista dell’udienza pubblica, il ricorrente si duole dell’omesso scrutinio dello stato di necessità “quale causa di esclusione della responsabilità, in quanto, l’abuso concerneva un manufatto adibito ad unica abitazione del ricorrente e del proprio nucleo familiare” in violazione c.d. “indiretta” delle norme del diritto comunitario”.

S’afferma nel motivo d’appello in esame che la casa di abitazione del ricorrente è stata realizzata con il sacrificio del proprio lavoro, e che, alla stregua del principio di proporzionalità, si sostanzierebbe l’obbligo di preservarne l’uso abitativo “da parte dell’Amministrazione ogni volta venga in gioco il diritto della persona al rispetto della vita privata e del domicilio ex art. 8 della CEDU”.

Al di là della considerazione che la violazione c.d. “indiretta” delle norme del diritto comunitario riferita al diritto d’abitazione prospettata ai sensi dell’art. 8 della C.E.D.U. rimanda allo scrutinio di costituzionalità secondo il “parametro della norma interposta” per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost. (cfr. Corte cost. nn. 347 e 348 del 2007), e non alla diretta disapplicazione della norma statale, l’interesse pubblico al ripristino dell’assetto urbano violato prevale sull’ interesse dell’autore dell’illecito edilizio, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione d’illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto (cfr., Cons. Stato, ad plen. n 7 del 2017).

Pertanto, il legittimo affidamento riferito al nucleo familiare contrapposto dal ricorrente all’atto impugnato, – ancorché qualificato formalmente dal diritto al rispetto della vita privata e del domicilio quali manifestazioni di libertà fondamentali riconosciute a livello sovranazionale – è un’estensione meramente verbale di un criterio o concetto giuridico, ordinariamente, non invocabile a fronte dell’esigenza di tutela dell’interesse pubblico generale alla salvaguardia del territorio. Tale principio di rispetto della vita privata deve e può considerarsi rilevante nella definizione delle successive modalità di eventuale rilascio dell’immobile che in questa sede non possono essere scrutinate trattandosi di attività amministrative future.

  1. Conclusivamente l’appello deve essere respinto.
  1. Nulla sulle spese processuali, in ragione dell’omessa costituzione in giudizio del Comune resistente.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Nulla sulle spese del grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2023 con l’intervento dei magistrati:

Giancarlo Montedoro, Presidente

Oreste Mario Caputo, Consigliere, Estensore

Giordano Lamberti, Consigliere

Davide Ponte, Consigliere

Lorenzo Cordi’, Consigliere


MASSIMA: Il verbale di accertamento di inottemperanza all’ordine di demolizione, contrariamente a quanto supposto dal ricorrente, non deve essere notificato prima dell’adozione dell’ordinanza d’acquisizione. Il verbale è atto endo-procedimentale: ha efficacia dichiarativa delle operazioni effettuate dalla Polizia Municipale, alla quale, va sottolineato, non è attribuita la competenza all’adozione di atti di amministrazione attiva. L’autorità amministrativa decidente fa proprio l’esito delle predette con formale atto di accertamento, sicché, conclusivamente, il verbale non ha alcun effetto lesivo che ne giustifichi la previa notifica. L’effetto lesivo è interamente riconducibile all’atto formale di accertamento ex art. 31, comma 4, del D.P.R. n. 380/2001, col quale l’autorità amministrativa recepisce gli esiti dei sopralluoghi effettuati dalla Polizia Municipale e adotta il titolo ricognitivo idoneo all’acquisizione gratuita dell’immobile al patrimonio comunale