T.A.R. Campania Napoli, Sez. VIII, Sent., 02 gennaio 2024, n. 20


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Ottava)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3372 del 2020, proposto da: F.P., M.T., A.T., rappresentati e difesi dall’avvocato …, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Cellole, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato …, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio … in …;

per l’annullamento:

1) del Provv. prot. n. (…) del 29 maggio 2020, emesso dal Comune di Cellole – Area Gestione del Territorio e Servizi Tecnici, notificato alla ricorrente F.P. il 17 giugno ed il 1 agosto successivi, avente ad oggetto: “Richiesta di Permesso di Costruire in Sanatoria: DINIEGO DEFINITIVO. Istanza di condono edilizio ai sensi della L. n. 326 del 2003 prot.(…) del 13/12/2004 relativa all’immobile realizzato in zona sottoposta al vincolo paesaggistico”;

2) del Provv. prot. (…) del 7 aprile 2020, emesso dal Comune di Cellole – Area Gestione del Territorio e Servizi Tecnici, avente ad oggetto: “L. 7 agosto 1990 n.241- Preavviso di diniego del rilascio del permesso di costruzione in sanatoria per inapplicabilità dell’art. 32, comma 25 e 26, L. 24 novembre 2003, n. 326;

3) del Provv. prot. (…) del 6 luglio 2020 emesso dal Comune di Cellole – Area Gestione del Territorio e Servizi Tecnici, avente ad oggetto: “Ingiunzione alla demolizione di opere realizzate in assenza di Permesso di Costruire n. 95 del 01/07/2020”;

4) del parere sfavorevole della Commissione per l’esame e definizione delle pratiche di Condono Edilizio ex L. n. 47 del 1985 – L. n. 724 del 1994 – L. n. 326 del 2003, espresso nella seduta del 27.2.2020 (verbale n. 303), richiamato nel provvedimento di diniego definitivo e nel preavviso di rigetto, mai notificato e/o comunicato alla ricorrente F.P.;

5) della determinazione del Responsabile dei Servizi Tecnici n. 201 del 24.9.2018 di costituzione ed incarico della Commissione per l’esame e definizione delle pratiche di Condono Edilizio ex L. n. 47 del 1985 – L. n. 724 del 1994 – L. n. 326 del 2003;

6) della Delib. commissariale n. 13 del 27 gennaio 2020 richiamata nel preavviso di rigetto, non notificata né comunicata alla ricorrente F.P.;

7) di ogni altro atto presupposto, connesso e/o consequenziale, eventualmente lesivo degli interessi delle ricorrenti.

E PER LA DECLARATORIA dell’intervenuta formazione del silenzio-assenso sull’istanza di condono presentata dalla ricorrente F.P. al Comune di Cellole (prot. (…)), ai sensi degli artt. 32, cc. 36 e 37, L. n. 326 del 2003 e 35, co. 18, L. n. 47 del 1985.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Cellole;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod. proc. amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 16 novembre 2023 il dott. Gianmario Palliggiano, nessuno presente in collegamento da remoto tra le parti costituite, preso atto della richiesta di passaggio in decisione senza discussione presentata dal Comune di Cellole;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- Con l’odierno ricorso, notificato il 16 settembre 2020 e depositato il successivo 5 ottobre, F.P., M.T., A.T. hanno impugnato, per l’annullamento, il Provv. prot. n. (…) del 29 maggio 2020, e gli atti ad esso collegati come in epigrafe indicati, col quale il Comune di Cellole aveva espresso il proprio diniego alla richiesta di permesso di costruire in sanatoria, prot. n. (…) del 13 dicembre 2004, presentata ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, convertito con modificazioni dalla L. n. 326 del 2003.

Oggetto d’impugnazione è anche la conseguente ordinanza di demolizione prot. n. (…) del 6 luglio 2020 del manufatto ormai valutato abusivo.

Le ricorrenti hanno dedotto le seguenti censure:

1) violazione e falsa applicazione dell’art. 42 Cost. violazione e falsa applicazione dell’art. 32, co. 25, 26 e co. 27, lett. d) della L. n. 326 del 2003 e della L. n. 1497 del 1939. Violazione e falsa applicazione della L. n. 431 del 1985. Violazione e falsa applicazione del D.M. 28 marzo 1985. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 42 del 2004. Violazione e falsa applicazione del principio di legittimo affidamento. Eccesso di potere per errore sui presupposti, carenza d’istruttoria. Irragionevolezza della motivazione.

Il diniego espresso dal Comune di Cellole si fonda sulla presunta insanabilità dell’abuso oggetto della domanda presentata dalla ricorrente F.P., in quanto ricadente in un’area sottoposta a vincolo paesistico d’inedificabilità, ai sensi del D.M. 28 marzo 1985 e sulla quale grava, ad avviso del comune, il regime di inibitoria assoluto, imposto dall’art. 1-quinquies L. n. 431 del 1985.

In senso contrario, i ricorrenti sostengono che l’invocato vincolo paesaggistico sarebbe inesistente, atteso che l’area in questione è stata sottoposta a tutela ai sensi del R.D. n. 1497 del 1939 (Protezione delle bellezze naturali), con prescrizioni di carattere generico e non comportanti un limite assoluto d’inedificabilità. Ciò fino all’emanazione del richiamato D.M. 28 marzo 1985 (adottato ai sensi dell’articolo 2 del D.M. 21 settembre 1984, confermato dalla L. n. 431 del 1985), il quale vietava “fino al 31 dicembre 1985, modificazioni dell’assetto del territorio, nonché opere edilizie e lavori fatta eccezione per i lavori di restauro, risanamento conservativo e per quelli che non modificano l’aspetto esteriore dei luoghi”.

L’articolo 1-quinques della L. n. 431 del 1985 stabiliva, inoltre, che “le aree e i beni individuati ai sensi dell’articolo 2 del citato D.M. 21 settembre 1984 sono inclusi tra quelli in cui è vietato, sino all’adozione dei piani di cui all’articolo 1 bis ogni modificazione dell’assetto del territorio, nonché ogni opera edilizia”.

Il richiamato articolo 1- bis della L. n. 431 del 1985 ha disposto una proroga del termine previsto dal D.M. 28 marzo 1985 precisando che la redazione dei piani paesistici avrebbe dovuto essere approvata entro il 31 dicembre 1986. Avendo questo termine carattere perentorio, ne consegue che la mancata redazione di apposito piano paesistico entro il 31 dicembre 1986 ha fatto decadere il vincolo di inedificabilità assoluta di cui al D.M. 28 marzo 1985 (sulla perentorietà del termine di cui all’art. 1 bis della L. n. 431 del 1985, parte ricorrente cita Cons. Stato n. 5549/2014).

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 3, 10-bis L. n. 241 del 1990. Eccesso di potere nelle figure sintomatiche di carenza d’istruttoria, irragionevolezza, carenza di motivazione, erroneità dei presupposti di fatto. Violazione dei principi del legittimo affidamento, di trasparenza, del giusto procedimento.

I provvedimenti impugnati si fondano su una motivazione insufficiente nonché su un procedimento viziato da eccesso di potere sotto i diversi profili sopra menzionati.

3) violazione e falsa applicazione degli artt. 42 e 97 Cost. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 7, 21-nonies L. n. 241 del 1990. Violazione del principio del legittimo affidamento. Difetto di motivazione. Eccesso di potere. Carenza di istruttoria. Arbitrarietà. Errore sui presupposti

Il provvedimento impugnato è stato emesso in cospicuo ritardo, ben 16 anni, dalla presentazione della domanda, generando nella richiedente un legittimo affidamento circa il buon esito del procedimento o, quantomeno, essere preso in considerazione nella motivazione

4) Intervenuta formazione del silenzio assenso ai sensi dell’art. 32, co. 36 e 37 D.L. n. 269 del 2003 (conv. in L. n. 326 del 2003) e dell’art. 35, co. 18 L. n. 47 del 1985. Violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 20, L. n. 241 del 1990. violazione del principio del legittimo affidamento.

Sull’istanza di sanatoria presentata dalla ricorrente il 10 dicembre 2004 si è formato il silenzio assenso ai sensi dell’art. 32, commi 36 e 27, D.L. n. 269 del 2003.

5) Incompetenza, eccesso di potere per violazione del principio di separazione dei poteri, di trasparenza, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000; violazione e falsa applicazione del D.L. n. 269 del 2003, convertito in L. n. 326 del 2003. Il provvedimento di diniego è stato adottato dal Segretario comunale, soggetto non competente ad emettere l’atto in parola.

6) Illegittimità dell’ingiunzione a demolire per violazione dell’art. 31 D.P.R. n. 380 del 2001, per falsa applicazione del PRG comunale e delle relative norme attuative.

Il Comune di Cellole si è costituito in giudizio per chiedere il rigetto del ricorso in quanto infondate le censure di parte ricorrente.

La causa, inserita nel ruolo dell’udienza del 16 novembre 2023, fissata nell’ambito del programma per lo smaltimento dell’arretrato, è stata trattenuta dal Collegio per essere decisa.

2.- Il ricorso è infondato.

2.1. – Le prime tre censure, che costituiscono il perno delle tesi di parte ricorrente, sono esaminate congiuntamente in considerazione dei profili di connessione dei relativi contenuti.

Le stesse sono infondate.

I ricorrenti avevano realizzato in C., nella località S. L., su un terreno identificato nel Catasto di Sessa Aurunca, foglio (…), particelle (…) e (…), un fabbricato in muratura composta da un piano fuori terra, con copertura a due falde della superficie complessiva di circa mq 72 e con conseguente incremento anche volumetrico.

Il fabbricato non è sanabile posto che l’area sulla quale lo stesso insiste è soggetta a vincolo d’inedificabilità disposto dal D.M. 28 marzo 1985, con “dichiarazione di notevole interesse pubblico”, confermato dall’art. 1-quinques della L. n. 431 del 1985.

Secondo consolidata e condivisa giurisprudenza, l’art. 32, comma 26, lett. a), della L. n. 326 del 2003 ha distinto le tipologie di illecito di cui all’allegato 1, numeri da 1 a 3 (opere realizzate in assenza o in difformità dal titolo abilitativo, interventi di ristrutturazione edilizia in assenza o in difformità dal titolo edilizio), per le quali è ammissibile la sanatoria edilizia sull’intero territorio nazionale. Va tuttavia considerato la particolarità dettata per le aree sottoposte a vincolo, per le quali la sanatoria è ammissibile solo per le “tipologie di illecito di cui all’allegato 1 numeri 4, 5 e 6, opere di restauro e risanamento conservativo (tipologia 4 e 5), opere di manutenzione straordinaria, opere o modalità di esecuzione non valutabili in termini di superficie o di volume (tipologia 6).

La sanatoria edilizia di opere abusivamente realizzate in aree sottoposte a specifici vincoli è applicabile esclusivamente agli interventi di minore rilevanza indicati ai numeri 4, 5 e 6 dell’allegato 1 della L. n. 326 del 2003 (restauro, risanamento conservativo e manutenzione straordinaria) e previo parere favorevole dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo, mentre non sono in alcun modo suscettibili di sanatoria le opere abusive di cui ai numeri 1, 2 e 3 del medesimo allegato, anche se l’area è sottoposta a vincolo di inedificabilità relativa e gli interventi risultano conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici (Cons. Stato, sez. VI, 2 agosto 2016 n. 3487; Id., Sez. IV, 16 agosto 2017, n. 4007).

Non sono dunque sanabili le opere comportanti la realizzazione di nuove superfici e nuova volumetria in zona assoggettata a vincolo paesaggistico, sia esso di natura relativa o assoluta, o comunque d’inedificabilità, anche relativa (Cons. Stato, sez. VI, 2 maggio 2016 n. 1664; Id., 17 marzo 2016 n. 1898, Id., sez. IV, 21 febbraio 2017, n. 813; Id., 27 aprile 2017, n.1935; in questo senso si è espressa anche al Cassazione penale, sez. III, 20 maggio 2016, n. 40676).

Non ha quindi pregio la censura che si appella al lasso di tempo trascorso tra la data dell’abuso e quella dell’ordine di demolizione.

Sul punto è sufficiente rinviare alle statuizioni dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr. sentenza 17 ottobre 2017 n. 9) secondo cui: “il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso neanche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso” (anche, TAR Lazio, sez. II quater, 24 giugno 2019, n. 8237).

D’altra parte, ormai pacifica e condivisa giurisprudenza amministrativa ha, da tempo, stabilito (cfr. menzionata AP n. 9 del 2017) che: “l’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo non richiede una particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della legittimità violata, e ciò nonostante sia decorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso. In base all’orientamento in parola deve infatti escludersi la configurabilità di un legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso o al suo avente causa nonostante il decorso del tempo dal commesso abuso” (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2016, n. 1774; id. 23 ottobre 2015, n. 4880; id., 11 dicembre 2013, n. 5943).

Inoltre, l’ordine di demolizione, al pari degli altri provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né – ancora – una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (in tal senso: Cons. Stato, IV, 28 febbraio 2017, n. 908).

2.2.- Infondato è il quarto motivo.

Come chiarito da costante e condivisa giurisprudenza, la formazione del silenzio assenso sulla domanda di sanatoria di abusi edilizi presuppone che il contenuto della domanda medesima rispondente ai requisiti previsti dalla legge perché possa prodursi l’effetto sanante (cfr. Cass. pen., sez. III, 25 ottobre 2022, n. 727; Cons. Stato, sez. VI, 8 luglio 2022, n. 5746).

Ciò non si verifica nel caso in esame, dove, per di più, l’area interessata dalla costruzione abusiva è soggetta a vincolo paesaggistico e, sino all’adozione dell’impugnato provvedimento di diniego, non era intervenuto alcun parere ad opera dell’autorità preposta alla tutela del vincolo. Ne consegue che alcun silenzio assenso si era formato (ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 24 maggio 2016 n. 2179).

2.3.- Non ha pregio il quinto motivo.

Sia il provvedimento di diniego sia il conseguente ordine di demolizione sono stati firmati congiuntamente dal responsabile del procedimento e, in adesione alle conclusioni di quest’ultimo, dal responsabile ad interim dell’area tecnica gestione del territorio e dei servizi tecnici, ufficio competente nel settore del contrasto all’abuso edilizio, in coerenza alla disciplina posta in generale dalla L. n. 241 del 1990 sul procedimento amministrativo ed alle regole del riparto di competenze gestorie secondo il D.Lgs. n. 267 del 2000.

2.4.- Alla luce di quanto sopra, risulta infondato pertanto il sesto motivo, posto che l’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo, in questo caso provvedimento conseguente logicamente al diniego di permesso di costruire, non richiede una particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della legalità violata, ciò nonostante sia decorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso. In base all’orientamento in parola deve infatti escludersi la configurabilità di un legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso o al suo avente causa nonostante il decorso del tempo dal commesso abuso, proprio perché la posizione di partenza consiste nella commissione di un illecito amministrativo (in tal senso, ex multis, Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2016, n. 1774; id., 23 ottobre 2015, n. 4880; id., 11 dicembre 2013, n. 5943).

3.- Le spese seguono la soccombenza e sono determinate nella misura indicata in dispositivo, con attribuzione al legale patrocinatore dell’amministrazione comunale resistente per dichiarato anticipo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Ottava), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Condanna in solido le ricorrenti al pagamento, in favore del comune di Cellole, delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi € 2.000,00, oltre accessori di legge, con attribuzione al legale di parte per dichiarato anticipo.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione

Così deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 16 novembre 2023, tenutasi da remoto ai sensi dell’art. 87 comma 4-bis c.p.a., con l’intervento dei magistrati:

Guglielmo Passarelli Di Napoli, Presidente

Gianmario Palliggiano, Consigliere, Estensore

Lorenzo Ieva, Primo Referendario


COMMENTO: L’ordinanza di demolizione di un manufatto abusivo non richiede una particolare motivazione in ordine alla sussistenza di uno specifico interesse pubblico al ripristino della legittimità violata, e ciò nonostante sia decorso un considerevole lasso di tempo dalla commissione dell’abuso. In base all’orientamento in parola deve infatti escludersi la configurabilità di un legittimo affidamento in capo al responsabile dell’abuso o al suo avente causa nonostante il decorso del tempo dal commesso abuso. Inoltre, l’ordine di demolizione, al pari degli altri provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né – ancora – una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.