Cass. civ., sez. V, sent., 05 giugno 2024 n. 15790


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta da

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere rel.

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 26111/2017 R.G. proposto da

A.A., con domicilio eletto in Roma, …., presso lo studio dell’avvocato A. B., rappresentato e difeso dall’avvocato T. B.;              – ricorrente –

contro

Comune di Sciacca, in persona del suo Sindaco p.t., con domicilio eletto in Roma, …, presso lo studio dell’avvocato P. D. A., rappresentato e difeso dall’avvocato P.F.;                                                                                                                                                 – controricorrente –

avverso la sentenza n. 1498/9/17, depositata il 24 aprile 2017, della Commissione tributaria regionale della Sicilia;

Udita la relazione svolta, nella pubblica udienza del 28 febbraio 2024, dal Consigliere dott. Liberato Paolitto;

uditi l’avvocato Aloisia Bonsignore, per delega dell’avvocato Tommaso Bonsignore;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Stanislao De Matteis, che ha concluso chiedendo che la Corti rigetti il ricorso.

Svolgimento del processo

  1. – Con sentenza n. 1498/9/17, depositata il 24 aprile 2017, la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha accolto l’appello proposto dal Comune di Sciacca, così pronunciando in integrale riforma della decisione di prime cure che aveva accolto l’impugnazione di un avviso di accertamento (“n. omissis del 07.12.2011”) recante recupero a tassazione della TARSU dovuta dal contribuente per gli anni dal 2005 al 2010.

1.1 – Il giudice del gravame ha rilevato che:

– secondo la disciplina posta dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 65, comma 2, e 68, le tariffe del tributo dovevano essere determinate, per categorie omogenee di attività, tenendo conto del costo del servizio e della idoneità a produrre rifiuti dei locali ed aree sottoposte a tassazione;

– nella fattispecie, la contribuente non aveva dato prova dell’esclusiva produzione di rifiuti speciali – “cosa che si sarebbe potuta fare ad esempio allegando il registro (obbligatorio per legge) di carico e scarico dei “rifiuti speciali”” – né aveva dato conto delle ragioni di riduzione della (ovvero di esclusione dalla) tassazione dietro presentazione della dichiarazione (anche) di variazione;

– per di più i rifiuti prodotti dovevano ritenersi legittimamente assimilati a quelli urbani.

  1. – A.A. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di otto motivi, ed ha depositato memoria.

Il Comune di Sciacca resiste con controricorso.

Motivi della decisione

  1. – Il ricorso è articolato sui seguenti motivi:

1.1 – il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., espone la denuncia di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento all’omesso esame dell’eccezione di inammissibilità dell’atto di appello che risultava sottoscritto dal dirigente del settore Finanze e tributi piuttosto che dal Sindaco (ai sensi dell’art. 75 cod. proc. civ.);

1.2 – il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 75 cod. proc. civ., ed al d.l. 31 marzo 2005, n. 44, art. 3-bis, comma 1, conv. in l. 31 maggio 2005, n. 88, così il ricorrente riproponendo, sotto distinto parametro del sindacato di legittimità, l’oggetto della questione processuale posta col primo motivo e che, dunque, il potere rappresentativo dell’Ente locale andava ascritto (anche secondo lo Statuto) al solo Sindaco quanto alla proposizione del gravame, la legitimatio ad processum del dirigente potendosi riconoscere nel solo caso di resistenza al giudizio da altri (il contribuente) introdotto;

1.3 – col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per violazione degli artt. 82, 83 e 125 cod. proc. civ. deducendo che il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare la nullità (insanabile) dell’atto di appello per difetto di procura ovvero, così come nella fattispecie, per difetto di legitimatio ad processum in quanto l’atto di appello sottoscritto dal dirigente comunale piuttosto che dal Sindaco;

1.4 – il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., reca la denuncia di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, con riferimento ad un allegato della consulenza di parte prodotta in giudizio, atto questo che aveva ad oggetto un “concordamento”, perfezionatosi tra le parti in causa – con riferimento ad una cartella di pagamento emessa dietro iscrizione a ruolo della Tarsu dovuta da esso esponente per gli anni dal 1992 al 1994 – in ordine alla superficie tassabile, in quell’accordo identificata in mq. 190; accordo, questo, che il Comune di Sciacca non aveva disconosciuto in corso di giudizio e che, nei suoi contenuti, aveva determinato l’assolvimento (mai contestato dal Comune) dell’obbligo di versamento del tributo;

1.5 – col quinto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge in relazione alla l. 27 luglio 2000, n. 212art. 10, ed alla disposizione, di regolamento comunale Tarsu, di cui al punto B.1.8.4, deducendo, in sintesi, che l’avviso di accertamento era stato emesso su base (meramente) cartolare (dati catastali), senz’alcun previo contraddittorio col contribuente e verifica dell’attività effettivamente svolta nonché della tipologia dei rifiuti prodotti; per di più in violazione del legittimo affidamento ingenerato nel contribuente dal concordamento della superficie tassabile come conseguito alla notifica della cartella di pagamento relativa alla Tarsu dovuta per gli anni dal 1992 al 1994;

1.6 – il sesto motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 62 e 73 nonché del regolamento comunale Tarsu, art. 6, assumendo il ricorrente, per un verso, che illegittimamente il giudice del gravame aveva rilevato l’omessa presentazione di una denuncia di variazione quando, in ragione del ridetto concordamento intercorso tra le parti, alcuna variazione si era verificata quanto alla superficie imponibile (allora) concordata (per un’estensione di mq. 190); e, per il restante, che, nella fattispecie, veniva in considerazione la produzione di rifiuti speciali

rispetto ai quali il potere di assimilazione dell’Ente impositore predicava il rispetto del criterio quali-quantitativo;

1.7 – col settimo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, comma 3, e del regolamento comunale, punti B.1.2, B.1.3.1., B.1.4.1., B.1.5.1., B.1.5.6., B.1.8.4., deducendo, in sintesi, che delle disposizioni di disciplina del potere di assimilazione non era stata fatta applicazione – il Comune di Sciacca avendo omesso le valutazioni quali-quantitative ivi prescritte, così come reso esplicito dal silenzio serbato, sul punto, nell’avviso di accertamento – e che una siffatta deduzione non era stata esaminata dal giudice del gravame;

1.8 – l’ottavo motivo di ricorso, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, art. 43, commi 1 e 2, ed al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 62, sull’assunto che – avuto riguardo ai rilievi emergenti dalla prodotta consulenza di parte, e tenuto conto della natura dell’attività esercitata nonché del contratto concluso con società incaricata del relativo smaltimento – il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare che, nella fattispecie, veniva in considerazione (solo) la produzione di imballaggi terziari, rispetto ai quali, peraltro, ricorreva l’interesse alla relativa restituzione in ragione del loro valore economico, così come per i residui di attività (spezzoni di ferro) conferiti, a prezzo di mercato, presso centri di recupero.

  1. – Il ricorso – che pur prospetta plurimi profili di inammissibilità – è, nel suo complesso, destituito di fondamento e va senz’altro disatteso.
  2. – Quanto ai primi tre motivi di ricorso – che vanno congiuntamente esaminati perché sottendono una medesima quaestio iuris di fondo – va premesso che (proprio) la pronuncia resa dalle Sezioni Unite della Corte, ed evocata dal ricorrente, – statuendo che, nel nuovo sistema istituzionale e costituzionale degli enti locali, il sindaco conserva l’esclusiva titolarità del potere di rappresentanza processuale del Comune, ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 50, in difetto di diverse previsioni statutarie – ebbe a rimarcare che rimanevano salve “le ipotesi, legalmente tipizzate, nelle quali l’ente può stare in giudizio senza il ministero di un legale: v. da ultimo, in relazione al processo tributario, l’art. 3 bis del d.l. n. 44 del 2005, convertito, con modif., nella l. n. 88 del 2005 …” (Cass. Sez. U., 16 giugno 2005, n. 12868).

Proprio, dunque, in relazione a detta disposizione – alla cui stregua “L’ente locale nei cui confronti è proposto il ricorso può stare in giudizio anche mediante il dirigente dell’ufficio tributi, ovvero, per gli enti locali privi di figura dirigenziale, mediante il titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio.” (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 11, comma 3) – la Corte ha statuito che lo jus postulandi deve ritenersi attribuito al dirigente dell’ufficio tributi (anche) ai fini della proposizione dell’appello (Cass., 22 giugno 2007, n. 14637; v., altresì, Cass., 28 giugno 2012, n. 10832; Cass., 20 marzo 2009, n. 6807); conclusione, questa, cui la Corte è pervenuta (anche) in relazione alla disposizione – di omologo contenuto – portata dal secondo comma dell’art. 11, cit. (v. Cass., 31 gennaio 2019, n. 2901; Cass., 25 gennaio 2019, n. 2138; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27570; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27570; Cass., 26 luglio 2016, n. 15470; Cass., 21 marzo 2014, n. 6691; Cass., 15 gennaio 2009, n. 874).

3.1 – Per di più, si è rilevato che la rappresentanza processuale dell’ente locale, così attribuita al dirigente dell’ufficio tributi, da tale dirigente, con apposita determinazione, può essere delegata ad un funzionario dell’unità organizzativa da lui diretta, quale assistente dell’ente locale, al fine della proposizione dell’impugnazione (v. Cass., 28 gennaio 2010, n. 1812; Cass., 9 giugno 2009, n. 13230); nonché -questa volta con riferimento alla specifica disciplina della Tarsu (D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 74) – che, avuto riguardo all’ampiezza dei poteri dispositivi di natura sostanziale conferiti, dalla citata disposizione, al funzionario responsabile, “deve ritenersi che tra le competenze del funzionario responsabile sia compresa anche la gestione dell’eventuale contenzioso, rappresentando essa non già un’attività diversa ed ulteriore, ma soltanto l’attività successiva necessaria al fine di difendere in giudizio la pretesa tributaria dell’ente come già in precedenza affermata negli atti impositivi”, così che a detto funzionario deve riconoscersi lo jus postulandi anche nel grado di appello (v. Cass., 14 febbraio 2017, n. 3941; Cass., 28 gennaio 2010, n. 1855; v. altresì, in tema di TARI, Cass., 11 febbraio 2021, n. 3439).

3.2 – In disparte, allora, l’improprio riferimento di cui al primo motivo di ricorso – il cui contenuto, nella sostanza, va ascritto ad una censura di omesso esame – resta, al fondo, che l’eccezione di inammissibilità dell’appello – che può essere esaminata in questa sede non implicando accertamenti di fatto – è manifestamente destituita di fondamento.

  1. – Quanto, ora, al quarto ed al quinto motivo di ricorso – che anch’essi vanno congiuntamente esaminati siccome connessi – rileva, innanzitutto, la Corte che viene in considerazione una questione nuova che non ha formato oggetto di esame da parte del giudice del gravame e che, per di più, sarebbe stata introdotta in giudizio nella forma, per come assume lo stesso ricorrente, di un allegato alla consulenza di parte.

Il quarto motivo, difatti, non espone in senso proprio una denuncia di omesso esame di un fatto decisivo – da intendere quale fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) – quanto piuttosto una denuncia di violazione di legge, e di regolamento, (in tesi) rilevante ai fini della determinazione della superficie tassabile, in quanto l’avviso di accertamento in contestazione emesso in violazione del legittimo affidamento ingenerato nel contribuente dal cd. “concordamento” della superficie tassabile, accordo perfezionatosi tra le parti in causa con riferimento ad una cartella di pagamento emessa dietro iscrizione a ruolo della Tarsu dovuta dal contribuente per gli anni dal 1992 al 1994.

4.1 – Orbene, come anticipato, è la stessa parte ricorrente a dedurre che le questioni (così) rilevanti ai fini della tassazione erano state introdotte in giudizio dietro produzione, nel corso del giudizio, di una consulenza di parte, epperò della proposizione di dette questioni -quali ragioni di impugnazione dell’atto impositivo secondo il principio della domanda – la stessa parte non dà alcun conto, non rinvenendosene traccia nella gravata pronuncia né nella stessa esposizione dei fatti di causa (e dei motivi in esame).

Come, poi, la Corte ha avuto modo di statuire, la tutela del legittimo affidamento, sancita in materia tributaria dall’art. 10, comma 1, della l. n. 212 del 2000 ed espressione dei principi di cui agli artt. 32353 e 97 Cost., resta assoggettata al rispetto delle regole generali del processo, sicché il contribuente che intende contestare una pretesa ritenuta illegittima, anche per violazione dello stesso, ha l’onere di proporre tempestivamente ricorso avverso il relativo atto impositivo (Cass., 28 febbraio 2018, n. 4614).

E, per quel che più rileva, deve rimarcarsi che (sinanche) la consulenza tecnica d’ufficio – che non è mezzo istruttorio in senso proprio, avendo la finalità di coadiuvare il giudice nella valutazione di

elementi acquisiti o nella soluzione di questioni che necessitino di specifiche conoscenze – non può essere utilizzata al fine di supplire alla deficienza delle allegazioni di parte (Cass., 26 luglio 2023, n. 22694Cass., 12 aprile 2019, n. 10373Cass., 15 dicembre 2017, n. 30218Cass., 8 febbraio 2011, n. 3130).

L’inammissibilità dei due motivi, quanto dunque all’evocazione di un legittimo affidamento, consegue allora dalla loro novità, venendo in considerazione questioni della cui deduzione, con i motivi di ricorso, la stessa parte non dà alcun conto e la cui introduzione in giudizio sarebbe conseguita – piuttosto che con i motivi di impugnazione dell’atto impositivo – dietro produzione della ridetta consulenza di parte.

Il giudizio di cassazione, difatti, ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicché sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino, così come nella fattispecie, indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (Cass., 5 luglio 2023, n. 19098; Cass., 12 giugno 2018, n. 15196; Cass., 6 giugno 2018, n. 14477; Cass., 25 ottobre 2017, n. 25319; Cass., 31 gennaio 2006, n. 2140; Cass., 7 agosto 2001, n. 10902; Cass., 12 giugno 1999, n. 5809; Cass., 29 marzo 1996, n. 2905).

4.2 – Quanto, poi, alle residue ragioni di censura portate dal quinto motivo di ricorso, osserva la Corte che:

– inapplicabile, nella fattispecie, la novella legislativa di cui al D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219, art. 1, lett. a), nn. 2 e 3, e lett. e), in tema di contraddittorio endoprocedimentale le Sezioni Unite della Corte hanno statuito che “l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia

assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito”.” (Cass., Sez. U., 9 dicembre 2015, n. 24823); e il principio di diritto in questione è stato, poi, più volte ribadito dalla Corte (v., ex plurimis, Cass., 27 gennaio 2023, n. 2585; Cass., 23 febbraio 2021, n. 4752; v., altresì, Corte Cost., 21 marzo 2023, n. 47), anche con riferimento ai tributi locali (v. Cass., 12 febbraio 2024, n. 3885; Cass., 5 maggio 2022, n. 14357; Cass., 15 aprile 2021, n. 9978);

– il ricorrente non dà alcun conto, nemmeno in sintesi descrittiva, dell’effettivo contenuto dell’avviso di accertamento impugnato, e (così) nemmeno mette la Corte nella condizione di poterne verificare i relativi presupposti; come, difatti, la Corte ha ripetutamente rimarcato, la censura involgente la congruità della motivazione dell’avviso di accertamento necessariamente richiede che il ricorso per cassazione riporti i passi della motivazione dell’atto che, per l’appunto, si assumano erroneamente interpretati o pretermessi (v. Cass., 13 agosto 2004, n. 15867 cui adde, ex plurimis, Cass., 19 novembre 2019, n. 29992; Cass., 28 giugno 2017, n. 16147; Cass., 19 aprile 2013, n. 9536; Cass., 4 aprile 2013, n. 8312; Cass., 29 maggio 2006, n. 12786);

– il denunciato deficit dei presupposti accertativi collide con gli accertamenti in fatto svolti dal giudice del gravame, accertamenti che, come in immediato seguito si dirà, non hanno formato oggetto di specifica censura e che involgono, da un lato, il presupposto impositivo, nella fattispecie rilevante, e, dall’altro, l’insussistenza di ragioni idonee a fondare la detassazione delle superfici possedute.

  1. – I residui motivi di ricorso (sesto, settimo e ottavo) sono, da ultimo, inammissibili.

5.1 – Va premesso, al riguardo, che i motivi in questione – seppur prospettano censure di violazione di legge – involgono, diversamente, gli accertamenti in fatto operati dal giudice del gravame e (così) devolvono alla Corte, da un lato, un non consentito riesame delle conclusioni probatorie cui il giudice del merito è pervenuto e, dall’altro, l’esame in fatto (insussistenza di variazioni fattuali rispetto al ridetto “concordamento” della superficie tassabile) di una questione che, come si è anticipato, non risulta aver formato oggetto di una eccezione proposta in giudizio.

In disparte, poi, che la denuncia di violazione di legge, di cui al sesto motivo, nemmeno specifica in ragione di quali criteri regolamentari (alla stregua, dunque, del regolamento evocato in punto di esercizio del potere di assimilazione) l’assimilazione, nella fattispecie operata, dovrebbe ritenersi illegittima, rimane al fondo delle censure (ora) in esame che non ha formato oggetto di motivo alcuno di ricorso l’accertamento svolto dal giudice del gravame sulla tipologia dei rifiuti prodotti, e sulle relative modalità di produzione stessa.

Come anticipato, difatti, il giudice del gravame ha rilevato che la contribuente non aveva dato prova dell’esclusiva produzione di rifiuti speciali né aveva dato conto delle ragioni di riduzione della (ovvero di esclusione dalla) tassazione.

Gli accertamenti in questione si conformano, poi, agli orientamenti interpretativi della Corte, essendosi rilevato che la causale di esenzione dalla TARSU, posta dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, con riferimento alle superfici ove si producono (di regola) rifiuti speciali tossici o nocivi (“allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori stessi in base alle norme vigenti”), costituisce deroga alla regola generale (di cui allo stesso D.Lgs. n. 507, cit., art. 62, comma 1) secondo la quale il pagamento del tributo è dovuto da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (v., ex plurimis, Cass., 16 aprile 2019, 10634; Cass., 5 settembre 2016, n. 17622; Cass., 24 luglio 2014, n. 16858; Cass., 6 luglio 2012, n. 11351; Cass., 9 marzo 2012, n. 3756; Cass., 14 gennaio 2011, n. 775), ed integra, pertanto, il contenuto di un’eccezione “i cui presupposti spetterà al contribuente allegare e provare” (così Cass., 19 aprile 2019, 11035).

La Corte ha, altresì, precisato che lo stabilire se determinati locali di uno stesso edificio, benché destinati ad uffici, depositi, mostre ecc. e non propriamente all’attività produttiva, siano parimenti idonei a produrre rifiuti speciali, costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito (Cass., 22 dicembre 2016, n. 26725; Cass., 11 agosto 2004, n. 15517; Cass., 17 febbraio 1996, n. 1242); ed ha rimarcato che il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3, con riferimento alla nozione di superficie “ove per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi”, va interpretato nel senso che l’esclusione dalla tassa riguarda la sola “parte della superficie in cui, per struttura e destinazione, si formano solo rifiuti speciali” (Cass., 10 gennaio 2022, n. 368; Cass., 13 settembre 2017, n. 21250; Cass., 4 aprile 2012, n. 5377; v., altresì, Cass., 24 luglio 2014, n. 16858).

5.2 – Alla stregua, allora, degli accertamenti in questione, inammissibili rimangono le censure di violazione di legge che involgono la tipologia dei rifiuti prodotti (imballaggi terziari), e proprio perché non risulta censurato lo stesso accertamento in fatto sulla inidoneità della documentazione prodotta in giudizio alla prova di una siffatta tipologia di rifiuti (prova che, come rimarcato dal giudice del merito, si sarebbe potuta fornire ” … ad esempio allegando il registro (obbligatorio per legge) di carico e scarico dei “rifiuti speciali””), e perché, ad ogni modo, indimostrata la stessa esclusiva produzione di rifiuti speciali sulle superfici possedute dal contribuente.

  1. – Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parte ricorrente nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, c. 1-quater).

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2024.


COMMENTO REDAZIONALE – Viene respinto il ricorso per Cassazione del contribuente volto a far valere, tra l’altro, l’inammissibilità dell’atto di appello del Comune, in quanto sottoscritto dal dirigente del Settore Finanze e Tributi, anziché dal Sindaco.

Parte ricorrente sosteneva in particolare che, quanto alla proposizione del gravame, il potere rappresentativo dell’Ente locale andasse ascritto, anche in base allo Statuto, al solo Sindaco, in quanto la legitimatio ad processum del dirigente sarebbe limitata al solo caso di resistenza al giudizio da altri introdotto.

Tale assunto viene respinto e viene ribadito il principio secondo cui, in base all’art. 11, comma 3, D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, lo jus postulandi deve ritenersi attribuito al dirigente dell’ufficio tributi anche ai fini della proposizione dell’appello.

Il predetto dirigente può inoltre, con apposita determinazione, delegare la rappresentanza processuale dell’Ente locale, compresa la facoltà di proporre impugnazione, ad un funzionario dell’unità organizzativa da lui diretta, quale assistente dell’Ente locale. 

Tra le competenze del funzionario responsabile è compresa anche la gestione dell’eventuale contenzioso, rappresentando essa non già un’attività diversa ed ulteriore, ma soltanto l’attività successiva necessaria al fine di difendere in giudizio la pretesa tributaria dell’Ente, come già in precedenza affermata negli atti impositivi.

Pertanto, in conclusione, deve essere riconosciuto lo jus postulandi, anche ai fini della proposizione di appello, sia al dirigente dell’Ufficio tributi (o, per gli Enti locali privi di figura dirigenziale, al titolare della posizione organizzativa in cui è collocato detto ufficio), sia al funzionario, appartenente all’unità organizzativa da lui diretta e delegato a tal fine con apposita determinazione dirigenziale.