Cass. civ., sez. V, sent., 10 giugno 2024 n. 16105


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta da

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere rel.

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere

Dott. BILLI Stefania – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 11278/2017 R.G. proposto da

Consorzio Icaro – Consorzio Cooperative Sociali O.N.L.U.S., in persona del suo legale rappresentante p.t., con domicilio eletto in Roma, via ………., presso lo studio del prof. avvocato P.C., rappresentato e difeso dall’avvocato U.G.;                            – ricorrente –

contro

Comune di S. Giorgio a Cremano;                                                                                                                      – intimato –

avverso la sentenza n. 9297/16, depositata il 24 ottobre 2016, della Commissione tributaria regionale della Campania;

Udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del 30 aprile 2024, dal Consigliere dott. Liberato Paolitto;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Giovanni Battista Nardecchia, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del terzo e del sesto motivo, con assorbimento dell’esame del settimo motivo ed il rigetto dei residui motivi di ricorso.

Svolgimento del processo

  1. – Con sentenza n. 9297/16, depositata il 24 ottobre 2016, la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l’appello proposto dalla parte, odierna ricorrente, così confermando il decisum di prime cure che aveva disatteso l’impugnazione di un avviso di accertamento (n. 2/2014) emesso dal Comune di S. Giorgio a Cremano in relazione alla TARSU dovuta dal contribuente per gli anni dal 2009 al 2011.

1.1 – A fondamento del decisum, il giudice del gravame ha rilevato che:

– ai fini dell’integrazione del presupposto impositivo rilevava “il fatto di detenere nel territorio comunale a qualsiasi titolo locali o aree scoperte”, così che – secondo dicta della giurisprudenza di legittimità – “per le aree di proprietà comunale concesse in uso alla società dallo stesso Comune per la gestione della sosta a pagamento dei veicoli e dei servizi accessori, la concessionaria è soggetto passivo dell’imposta sui rifiuti”;

– correttamente l’Ente impositore aveva dato applicazione, nella fattispecie, alla tariffa prevista per “autoparchi, autorimesse coperte” (categoria 16) tenuto conto dell’utilizzazione del parametro costituito dalla medesima destinazione delle aree a parcheggio, e costituendo detto parametro “il più idoneo rispetto allo scopo della individuazione della “capacità” di produrre rifiuti” (Cass. 7916/2016);

– le attività oggetto di concessione non potevano essere ricondotte all’uso stagionale o non continuativo previsto dalla disposizione di cui al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507art. 66, comma 2, e, ad ogni modo, la corrispondente riduzione tariffaria avrebbe dovuto essere richiesta dal contribuente “in sede di denuncia”;

– non poteva prospettarsi legittimo affidamento in ordine al difetto di esercizio della pretesa impositiva nei confronti del precedente concessionario del servizio in quanto “l’inadempimento di un obbligo di legge non è certamente scusato dalla circostanza che altro soggetto sia stato inadempiente e che tale inadempienza, per avventura, sia stata tollerata”;

– “le sanzioni erano state applicate nella misura minima possibile”, così che destituito di fondamento rimaneva “anche l’ultimo motivo di doglianza”.

  1. – Il Consorzio Icaro – Consorzio Cooperative Sociali O.N.L.U.S. ricorre per la cassazione della sentenza sulla base di sette motivi, ed ha depositato memoria.

Il Comune di S. Giorgio a Cremano non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

  1. – Il ricorso è articolato sui seguenti motivi:

1.1 – il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 58 e 62, commi 1 e 2, ed al regolamento comunale TARSU, deducendo la ricorrente che, nella fattispecie, difettava tanto il presupposto oggettivo del tributo – e, dunque, l’idoneità delle aree destinate a parcheggio a produrre rifiuti diversi ed ulteriori rispetto a quelli producibili dalla generalità dei cittadini sulle strade comunali – quanto il presupposto soggettivo, venendo (qui) in considerazione la (mera) gestione di un servizio di parcheggio che andava ascritto alla disponibilità dell’Ente concedente e che, pertanto, non implicava alcuna detenzione in capo ad esso esponente;

1.2 – col secondo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 62 e 63, ed alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, comma 1, assumendo, in sintesi, che la pretesa impositiva era stato esercitata in violazione dei principi di legittimo affidamento e di buona fede in quanto l’Ente impositore non ne aveva mai fatto richiesta al precedente gestore del servizio di parcheggio, gestione, questa, la cui convenzione configurava una mera sostituzione del concedente piuttosto che lo svolgimento di un’attività di impresa;

1.3 – il terzo motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., espone la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507artt. 62 e ss., alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, ed al regolamento comunale TARSU, sull’assunto che – in difetto di un’assimilazione fondata su di una medesima e omogenea idoneità a produrre rifiuti – il giudice del gravame avrebbe dovuto rilevare l’illegittimità della tariffa applicata – ad un parcheggio pubblico scoperto – con riferimento alla voce di tariffa che contemplava “autoparchi, autorimesse coperte”;

1.4 – col quarto motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., avendo il giudice del gravame omesso di pronunciare sull’eccezione di nullità dell’atto impositivo per difetto di motivazione, avuto riguardo all’omessa indicazione dei criteri di computo della superficie tassata (solo riassuntivamente indicata in mq. 2495);

1.5 – il quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 66, comma 2, lett. c), 77, comma 1, ed al regolamento comunale TARSU, artt. 11 e 14, sull’assunto che illegittimamente il giudice del gravame aveva escluso il presupposto della richiesta riduzione tariffaria (artt. 66, comma 2, lett. c), cit., e art. 11 del regolamento comunale cit.) in relazione alla relativa omessa denuncia da parte di esso esponente siccome venendo in considerazione un uso temporaneo – e, comunque, non continuativo – noto allo stesso Ente impositore che aveva rilasciato la concessione e disciplinato il servizio pubblico di parcheggio;

– soggiunge il ricorrente che – tenuto conto degli orari di svolgimento del servizio che, rapportati a giornate, somministravano un uso non superiore a 117 giorni annui – nella fattispecie ricorreva (altresì) il presupposto di applicazione della tariffa giornaliera prevista per un uso temporaneo “inferiore a 183 giorni di un anno solare, anche se ricorrente” (art. 77, comma 1, cit., e art. 14 del regolamento comunale, cit.);

1.6 – col sesto motivo, sempre ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di legge con riferimento al D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, alla l. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, ed al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 12, assumendo, in sintesi, l’illegittimità del trattamento sanzionatorio applicato in quanto:

– non poteva configurarsi omessa dichiarazione TARSU a fronte della conoscenza, da parte dell’Ente impositore, delle aree ove veniva svolto il servizio di parcheggio;

– sanzioni ed interessi non potevano, ad ogni modo, trovare applicazione in ragione del legittimo affidamento indotto dal Comune che, nei confronti del precedente detentore delle aree e concessionario del servizio, non aveva esercitato alcuna pretesa impositiva così mostrando di considerare il concessionario del servizio quale “mero “braccio esecutore” del Comune medesimo”;

– detta condotta aveva integrato gli estremi (anche) di una “prassi contraddittoria” idonea a determinare condizioni di obiettiva incertezza normativa;

– l’illecito costituito dall’omessa denuncia, alfine, non avrebbe potuto essere sanzionato per ciascuna annualità d’imposta dovendo trovare applicazione l’istituto del cumulo giuridico di cui all’art. 12, cit.;

1.7 – col settimo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente denuncia nullità della gravata sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in ragione dell’omessa pronuncia sul motivo di appello che involgeva quei profili di illegittimità del trattamento sanzionatorio di cui al precedente sesto motivo.

  1. – Il primo motivo di ricorso – che pur prospetta profili di inammissibilità – non può trovare accoglimento.

2.1 – Secondo quanto accertato dal giudice del gravame, il presupposto impositivo si correlava, nella fattispecie, alla detenzione di aree che – rinvenienti da una concessione dell’Ente locale – risultavano destinate al servizio pubblico di parcheggio.

L’accertamento (così) svolto dal giudice del gravame – che per vero ha confermato, sul punto, le conclusioni cui era pervenuto il giudice del primo grado – viene allora censurato in completa anomia di riferimenti al contenuto dell’atto concessorio, e delle relative clausole, che il ricorrente prospetta nei termini di una (mera) riproposizione degli argomenti spesi in punto di insussistenza di un’autonoma detenzione.

Come, difatti, la Corte ha già statuito, l’interpretazione di un atto amministrativo, risolvendosi nell’accertamento della volontà della P.A., è riservata al giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e immune dalla violazione delle norme sull’interpretazione dei contratti, applicabili anche agli atti amministrativi, tenendo conto dell’esigenza di certezza dei rapporti e del buon andamento della P.A., così che la denuncia di un’erronea interpretazione, in sede di merito, di un atto amministrativo, impone alla parte, a pena di inammissibilità del ricorso, di indicare quali canoni o criteri ermeneutici siano stati violati; in mancanza, l’individuazione della volontà dell’ente pubblico è censurabile non quando le ragioni addotte a sostegno della decisione siano diverse da quelle della parte, bensì allorché esse si rivelino insufficienti o inficiate da contraddittorietà logica o giuridica (Cass., 23 febbraio 2022, n. 5966; Cass. Sez. U., 25 luglio 2019, n. 20181; Cass., 23 luglio 2010, n. 17367; Cass., 24 gennaio 2007, n. 1602).

Per di più, la Corte ha già rilevato che la convenzione stipulata inter partes tra un comune ed un consorzio relativamente ad aree scoperte demaniali concesse dall’ente per la gestione della sosta di autoveicoli va interpretata, in mancanza di una esplicita previsione relativa al pagamento dell’imposta, in ragione dell’equo contemperamento degli interessi delle parti ai sensi dell’art. 1371 cod. civ., da ravvisarsi nell’obbligo del pagamento dell’imposta da parte di chi di fatto occupa le aree scoperte ex art. 62, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 507 del 1993, nonché del canone di cui all’art. 1369 cod. civ., per essere più conforme alla natura e all’oggetto di un contratto di concessione di area demaniale la regolamentazione del canone invece che la disciplina di ulteriori imposte (Cass., 20 aprile 2016, n. 7916).

2.2 – In termini generali si è, altresì, rilevato che il presupposto impositivo della TARSU è costituito, ai sensi dell’art. 62 del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, dal solo fatto oggettivo della occupazione o della destinazione del locale o dell’area scoperta, a qualsiasi uso adibiti, e prescinde, quindi, del tutto dal titolo, giuridico o di fatto, in base al quale l’area o il locale sono occupati o detenuti; ne consegue che è dovuta la tassa dal soggetto che occupi o detenga un’area per la gestione di un parcheggio affidatagli dal Comune in concessione, restando del tutto irrilevante l’eventuale attinenza della gestione stessa alla fase sinallagmatica del rapporto con il Comune (Cass., 23 gennaio 2004, n. 1179 cui adde Cass., 17 dicembre 2020, n. 29020; Cass., 16 maggio 2019, n. 13185; Cass., 13 marzo 2015, n. 5047, in motivazione; Cass., 16 maggio 2012, n. 7654).

2.3 – Quanto, poi, alla dedotta inidoneità delle aree (destinate a parcheggio) a produrre rifiuti (diversi ed ulteriori rispetto a quelli producibili dalla generalità dei cittadini sulle strade comunali) è appena il caso di rilevare che (anche qui) la censura viene articolata nei termini di una (mera) violazione di legge quando la Corte ha ripetutamente statuito (sul punto) che ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 1, il presupposto impositivo della TARSU è costituito dalla disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, la tassa è dovuta unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, ad eccezione di quelle pertinenziali o accessorie ad abitazione, mentre le deroghe indicate dall’art. 62, comma 2, e le riduzioni delle tariffe stabilite dal successivo art. 66 non operano in via automatica in base alla mera sussistenza delle previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti. L’art. 62 cit. pone dunque una presunzione iuris tantum di produttività che può essere superata solo dalla prova contraria del detentore dell’area (Cass., 9 marzo 2020, n. 6551; Cass., 23 maggio 2019, 14037; Cass., 14 settembre 2016, n. 18054; Cass., 23 settembre 2004, n. 19173; Cass., 18 dicembre 2003, n. 19459).

  1. – Del pari destituito di fondamento è il terzo motivo di ricorso.

Diversamente da quanto formava oggetto del precedente evocato (in memoria) dal ricorrente (Cass., 24 febbraio 2023, n. 5744; v. altresì, in termini, gli altri precedenti ivi richiamati) – ove, dunque, la categoria di tariffa applicata dall’Ente impositore aveva riguardo a “depositi, magazzini, autorimesse, autolavaggi, garage” – nella fattispecie viene in considerazione una categoria di tariffa che contemplava “autoparchi, autorimesse coperte”; ov’è, allora, evidente che lo stesso autoparco – inteso quale “Luogo dove stazionano autoveicoli; autoparcheggio” – risulta ascritto a detta categoria tariffaria indipendentemente dal suo presentarsi quale area scoperta o meno.

E la Corte – come ben rilevato dal giudice del gravame – ha già avuto modo di osservare – con riferimento ad una categoria di tariffa che contemplava “autorimesse e simili – locali chiusi” – che l’applicazione di detta categoria alla fattispecie, connotata dalla detenzione di aree scoperte demaniali concesse per la gestione della sosta di autoveicoli, “non appare erronea in quanto utilizza il parametro della medesima destinazione a parcheggio che sembra essere quello più coerente e logico. E questo perché il ridetto parametro della destinazione appare praticamente il più idoneo rispetto allo scopo della individuazione della “capacità” di produrre rifiuti. E del resto, l’adombrata possibilità che le aree scoperte destinate a parcheggio producano meno rifiuti delle aree coperte aventi identica destinazione, appare aprioristica” (Cass., 20 aprile 2016, n. 7916).

Conclusione, questa, che risulta del resto coerente con la disciplina posta dal D.Lgs. n. 507 del 1993 con riferimento ai criteri di legittimità tariffaria del prelievo tributario (artt. 65, commi 1 e 2, 68, commi 1 e 2, 69, comma 2), disciplina dalla quale si desume che la tassa può essere commisurata, in relazione al “costo di smaltimento”, alla potenzialità di produzione di rifiuti (ed alla loro qualità) ovvero alla quantità di rifiuti effettivamente prodotta dai detentori (art. 65, comma 1); che, ancora, la classificazione in categorie (ed eventuali sottocategorie) dei produttori di rifiuti – operata in relazione ad una “omogenea potenzialità di rifiuti” – va articolata tenendo conto di “gruppi di attività o di utilizzazione” individuati dalla disposizione normativa (solo) “in via di massima” (art. 68, commi 1 e 2).

Va, da ultimo, rimarcato che lo stesso regolamento che ha introdotto il metodo cd. normalizzato ai fini della “definizione delle componenti di costo da coprirsi con le entrate tariffarie e per la determinazione della tariffa di riferimento relativa alla gestione dei rifiuti urbani” (D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158) ha espressamente previsto – a riguardo dei criteri di determinazione della parte variabile della tariffa che, a sua volta, è correlata “alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione” (d.P.R. cit., art. 3, comma 2) – una unitaria categoria di tariffa (prevista per “Autorimesse e magazzini senza alcuna vendita diretta”) cui rapportare “un sistema presuntivo” (dei rifiuti conferiti dalle singole utenze) articolato “prendendo a riferimento per singola tipologia di attività la produzione annua per mq ritenuta congrua nell’ambito degli intervalli indicati nel punto 4.4 dell’allegato 1.” e, così, una sostanziale omogeneità del coefficiente potenziale di produzione dei rifiuti (in kg/m2 anno).

  1. – Nemmeno il quarto motivo di ricorso può trovare accoglimento.

Per quanto la censura corrisponda ad un’eccezione (di nullità) non esaminata dal giudice del gravame, alla stregua della sua concreta articolazione ne emerge la possibilità di esame da parte della Corte in quanto, alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111, secondo comma, Cost., nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 cod. proc. civ. ispirata a tali principi, deve ritenersi che alla Corte sia consentito di decidere nel merito dell’eccezione della quale si assume l’omesso esame, alla stessa stregua dei fatti introdotti in giudizio dalle parti e non risultando, per l’appunto, necessario alcun ulteriore accertamento in fatto (Cass., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962).

4.1 – Il fondo del motivo di censura, difatti, confonde il profilo che involge la motivazione dell’atto impositivo – e, dunque, un requisito di validità dell’atto – con quello che (diversamente) attiene al riscontro probatorio dei fatti posti a fondamento della pretesa impositiva (causa petendi dell’atto), essendosi in più occasioni rimarcato che l’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento deve ritenersi adempiuto mediante l’enunciazione del criterio sulla cui base la pretesa impositiva viene esercitata, con le specificazioni necessarie per consentire al contribuente l’esercizio del diritto di difesa e per delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nell’eventuale successiva fase contenziosa, nella quale l’Amministrazione ha l’onere di provare l’effettiva sussistenza dei presupposti per l’applicazione del criterio prescelto, ed il contribuente ha la possibilità di contrapporre altri elementi sulla base del medesimo criterio o di altri parametri (v., ex plurimis, Cass., 24 agosto 2021, n. 23386; Cass., 30 gennaio 2019, n. 2555; Cass., 24 gennaio 2018, n. 1694; Cass., 8 novembre 2017, n. 26431; Cass., 5 luglio 2017, n. 16620; Cass., 14 dicembre 2016, n. 25709; Cass., 17 giugno 2016, n. 12658; Cass., 10 novembre 2010, n. 22841; Cass., 11 giugno 2010, n. 14094; Cass., 15 novembre 2004, n. 21571).

E, con specifico riferimento alla TARSU, la Corte ha, per l’appunto, statuito che la verifica dell’adeguatezza della motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica va condotta in base alla disciplina dettata, per l’accertamento dei tributi di competenza degli enti locali, dall’art. 1, comma 162, della L. n. 296 del 2006, sicché, ove la rettifica venga effettuata sulla base della variazione della superficie tassabile o della tariffa o della categoria, deve ritenersi sufficiente l’indicazione nell’atto della maggiore superficie accertata o della diversa tariffa o categoria ritenute applicabili, in quanto tali elementi, integrati con gli atti generali (quali i regolamenti o altre delibere comunali), sono idonei a rendere comprensibili i presupposti della pretesa tributaria, senza necessità di indicare le fonti probatorie e le indagini effettuate per rideterminare la superficie tassabile, potendo ciò avvenire nell’eventuale successiva fase contenziosa (Cass., 31 luglio 2019, n. 20620).

  1. – Manifestamente destituito di fondamento è poi il quinto motivo di ricorso.

Il ricorrente (anche qui) opera un’indebita trasposizione (questa volta) a riguardo degli elementi costitutivi della fattispecie impositiva – e, in particolare, del presupposto impositivo connotato, come anticipato, dal fatto oggettivo della occupazione o detenzione del locale o dell’area scoperta – cui vengono correlate le modalità (orarie) di esercizio dell’attività che consegue dal ridetto presupposto di imposta.

E’, allora, del tutto evidente che le nozioni di stagionalità, non continuatività e temporaneità – così come assunte dalle disposizioni che disciplinano riduzioni tariffarie o criteri di determinazione della tariffa (D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 66, comma 2, lett. c), e 77, comma 1) – hanno riguardo alla connotazione del titolo che integra il presupposto impositivo (la detenzione per l’appunto) e non anche all’articolazione dell’attività il cui svolgimento consegua dal possesso di quel titolo.

Così che, nella fattispecie, a nulla rilevano gli effettivi orari di svolgimento del servizio pubblico di parcheggio a fronte di una detenzione che non ha alcuno dei caratteri (stagionalità, non continuatività e temporaneità) che possono fondare le evocate riduzioni ovvero la concreta articolazione (giornaliera) della tariffa applicabile.

Il che la Corte ha già espresso nel rilevare che l’art. 77, cit., “in base al quale i comuni devono istituire la tassa di smaltimento da applicare in base a tariffa giornaliera per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani prodotti dagli utenti che occupano o detengono temporaneamente locali o aree pubbliche, non è applicabile ai concessionari del lido, atteso che questi ultimi, in virtù della concessione pluriennale, detengono stabilmente l’area, sebbene l’esercizio dell’attività di balneazione sia limitato nel tempo.” (Cass., 17 maggio 2022, n. 15676).

  1. – Il sesto motivo di ricorso, dal cui esame – condotto unitamente al secondo motivo in ragione di reciproca connessione – consegue l’assorbimento del settimo motivo, è fondato, e va accolto, nei soli limiti in appresso precisati.

6.1 – L’infondatezza del secondo motivo consegue, dunque, dal rilievo secondo il quale l’applicazione del principio del legittimo affidamento, di cui in prosieguo meglio si dirà, ai sensi della l. n. 212 del 2000art. 10, cit., comporta (solo) l’esclusione degli aspetti sanzionatori, risarcitori ed accessori conseguenti all’inadempimento colpevole dell’obbligazione tributaria, ma non incide sulla debenza del tributo, che prescinde del tutto dalle intenzioni manifestate dalle parti del rapporto fiscale, dipendendo esclusivamente dall’obiettiva realizzazione dei presupposti impositivi (Cass., 24 maggio 2022, n. 16691; Cass., 11 luglio 2019, n. 18618; Cass., 18 maggio 2016, n. 10195; Cass., 25 marzo 2015, n. 5934).

6.2 – Quanto, invece, ai cennati profili risarcitori e sanzionatori, deve escludersi che, nella fattispecie, possa configurarsi un qualche legittimo affidamento del contribuente.

Come la Corte ha ripetutamente rilevato, il legittimo affidamento, quale situazione giuridica soggettiva tutelata dall’art. 10, cit., presuppone che sussista: – un’apparente legittimità e coerenza dell’attività dell’Amministrazione finanziaria, in senso favorevole al contribuente; – la buona fede del contribuente stesso, rilevabile dalla sua condotta, in quanto connotata dall’assenza di qualsiasi violazione del dovere di correttezza gravante sul medesimo; – l’esistenza di circostanze specifiche e rilevanti, idonee a indicare la sussistenza dei due presupposti che precedono.

Infatti, i casi di tutela espressamente enunciati dal comma secondo del cit. art. 10 (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), riguardanti situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, non limitano la portata generale della regola, idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (v., ex plurimis, Cass., 15 settembre 2022, n. 27242; Cass., 11 maggio 2021, n. 12372; Cass., 14 gennaio 2015, n. 537; Cass., 9 novembre 2011, n. 23309; Cass., 22 settembre 2003, n. 14000; Cass., 10 dicembre 2002, n. 17576).

Il dato che l’amministrazione (in tesi) non aveva esercitato alcuna pretesa impositiva nei confronti del precedente detentore delle aree e concessionario del servizio, non solo ex se esplicita una mera inerzia ma, per di più, si correlava ad un rapporto tributario che, come si dirà, prospettava (anche) un inadempimento del contribuente che alcuna dichiarazione aveva presentato a fini TARSU.

Come, difatti, si è già condivisibilmente rilevato, sinanche il mero silenzio, serbato dall’amministrazione su di un’istanza del contribuente, non è idoneo a giustificare un legittimo affidamento, non assumendo carattere univoco (Cass., 15 settembre 2022, n. 27242, cit.).

6.2.1 – Del pari deve escludersi che – dalla sopra rievocata condotta (di mera inerzia) dell’Ente impositore – potesse conseguire una qualche “prassi contraddittoria” idonea a determinare condizioni di obiettiva incertezza normativa.

La Corte ha precisato che l’incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, “postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione. Tale verifica è censurabile in sede di legittimità per violazione di legge, non implicando un giudizio di fatto, riservato all’esclusiva competenza del giudice di merito, ma una questione di diritto, nei limiti in cui la stessa risulti proposta in riferimento a fatti già accertati e categorizzati nel giudizio di merito.” (così Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde, ex plurimis, Cass., 1 febbraio 2019, n. 3108; Cass., 23 novembre 2016, n. 23845; Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588; Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522; Cass., 27 luglio 2012, n. 13457; Cass., 16 febbraio 2012, n. 2192).

E si è, in particolare, rimarcato – a riguardo dei cd. fatti indice dell’incertezza normativa oggettiva (v. Cass., 28 novembre 2007, n. 24670 cui adde, ex plurimis, Cass., 12 aprile 2019, n. 10313; Cass., 13 giugno 2018, n. 15452; Cass., 17 maggio 2017, n. 12301) – che concorrono a determinare detta incertezza la ricorrenza di contrasti giurisprudenziali (nella giurisprudenza di legittimità e anche di merito; cfr. Cass., 23 novembre 2016, n. 23845Cass., 2 dicembre 2015, n. 24588) ovvero di una pluralità di disposizioni “il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso, per l’equivocità del loro contenuto” (così Cass., 24 febbraio 2014, n. 4394; Cass., 22 febbraio 2013, n. 4522).

Escluso, dunque, che l’inerzia dell’amministrazione potesse dar luogo ad un dato (positivo) connotante una “prassi contraddittoria”, tanto i dati normativi di fattispecie quanto la loro stessa interpretazione giurisprudenziale escludevano ogni incertezza in ordine alla ricorrenza, nella fattispecie, dei presupposti tutti del rapporto giuridico tributario (v. la già citata Cass., 23 gennaio 2004, n. 1179).

6.3 – La circostanza, poi, che l’Ente impositore avesse conoscenza (quale concedente) delle aree ove veniva svolto il servizio di parcheggio oggetto di concessione, per nulla poteva elidere l’obbligo dichiarativo gravante (a fini fiscali) sul concessionario, dall’assolvimento della dichiarazione – secondo i contenuti delineati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 70 – conseguendo, difatti, svariati effetti sullo stesso rapporto tributario secondo il principio dell’imputazione diretta al contribuente degli effetti della sua dichiarazione (v. Cass., 2 marzo 2018, n. 4967; Cass., 1 ottobre 2007, n. 20646; Cass., 6 maggio 2005, n. 9433).

6.4 – Da ultimo è fondato e va, per converso, accolto, il profilo di censura del sesto motivo che ha riguardo al trattamento sanzionatorio in concreto applicato.

In tema di TARSU, si è difatti rilevato che qualora l’originaria denunzia sia stata incompleta, infedele oppure omessa, l’obbligo di formularla si rinnova annualmente, in quanto ad ogni anno solare corrisponde un’obbligazione tributaria, con la conseguenza che l’inottemperanza a tale obbligo, sanzionata dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 76, comporta l’applicazione della sanzione anche per gli anni successivi al primo (Cass., 8 ottobre 2019, n. 25063; Cass., 7 agosto 2009, n. 18122; Cass., 7 agosto 2008, n. 21337).

Ciò non di meno, la Corte ha avuto modo di statuire che l’istituto della continuazione, delineato dal D.Lgs. n. 472 del 1997art. 12, comma 5, trova senz’altro applicazione alle sanzioni tributarie previste per i tributi locali (D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 473, art. 16; in tema di ICI v. Cass., 30 dicembre 2015, n. 26077; Cass., 2 marzo 2012, n. 3265; Cass., 17 luglio 2008, n. 19650; in tema di TARSU/TARI v. Cass., 12 febbraio 2024, n. 3885; Cass., 18 maggio 2019, n. 13486; Cass., 21 dicembre 2011, n. 27970; Cass., 9 giugno 2010, n. 13869; Cass., 19 maggio 2010, n. 12268; Cass., 11 febbraio 2005, n. 2821; v. altresì, con riferimento all’omessa denuncia ex D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 1, Cass., 30 giugno 2021, n. 18447; Cass., 19 gennaio 2021, n. 728; Cass., 29 marzo 2019, n. 8829; Cass., 16 settembre 2016, n. 18230; Cass., 17 luglio 2008, n. 19650).

La continuazione – il cui riconoscimento è collegato all’oggettivo perpetrarsi dell’illecito tributario in periodi d’imposta diversi – si arresta in caso di cd. interruzione che si realizza, ex art. 12, comma 6, D.Lgs. n. 472 del 1997, per effetto della contestazione della violazione che fissa il punto di arresto per il riconoscimento del beneficio, senza che rilevi la sua definitività e inoppugnabilità o la sua mancata impugnazione, così che ciò che si pone a monte dell’atto, se della stessa indole, deve essere unito ai fini della determinazione della sanzione, mentre ciò che invece si pone a valle, resta escluso dal cumulo giuridico, salvo riconoscersi, ove plurime siano le violazioni anche da questo lato, una autonoma e rinnovata applicazione del medesimo istituto di favore (Cass., 9 giugno 2021, n. 16017; v altresì, in tema di ICI, Cass., 16 giugno 2020, n. 11612; Cass., 7 luglio 2010, n. 16051); e, in particolare, si è rimarcato che allorché le sanzioni per le diverse annualità siano state irrogate con avvisi notificati contemporaneamente al contribuente, la continuazione si applica per tutte le violazioni antecedenti a tale contestazione, operando l’interruzione solo per quelle successive (Cass., 7 luglio 2010, n. 16051, cit.).

Nella fattispecie, pertanto, l’illecito costituito dall’omessa denuncia non avrebbe potuto essere sanzionato per ciascuna annualità d’imposta dovendo trovare applicazione l’istituto del cumulo giuridico di cui all’art. 12, cit., in relazione ad illeciti contestati contestualmente (e con un medesimo avviso di accertamento) per i distinti periodi di imposta presi in considerazione.

  1. – L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata in relazione al profilo di censura articolato col sesto motivo di ricorso, e accolto, con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia attenendosi ai principi di diritto sopra esposti (sub par. 6.4).

P.Q.M.

La Corte accoglie, per quanto di ragione, il sesto motivo, rigetta i motivi di ricorso dal primo al quinto, dichiara assorbito il settimo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione al profilo di censura accolto e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2024.

Depositato in Cancelleria il 10 giugno 2024.


COMMENTO REDAZIONALE – La sentenza in commento accoglie parzialmente il ricorso per Cassazione del contribuente, limitatamente al motivo di censura relativo al trattamento sanzionatorio in concreto applicato dall’Ente locale.

Viene in proposito ribadito come, in materia di TARSU, qualora l’originaria denuncia sia stata incompleta, infedele oppure omessa, l’obbligo di formularla si rinnovi annualmente, in quanto ad ogni anno solare corrisponde un’autonoma e distinta obbligazione tributaria, con la conseguenza che l’inottemperanza a tale obbligo, sanzionata dall’art. 76 D.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, comporta l’applicazione della sanzione anche per gli anni successivi al primo.

Tuttavia, anche alle sanzioni tributarie previste per i tributi locali trova applicazione l’istituto della continuazione, disciplinato dall’art. 12, comma 5, D.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472.

Si tratta di un istituto collegato all’oggettivo perpetrarsi dell’illecito tributario in periodi di imposta diversi e che si arresta, per cd. “interruzione”, unicamente per effetto della contestazione della violazione. Quest’ultima, anche in assenza di un carattere definitivo o inoppugnabile, fissa comunque il punto di arresto per il riconoscimento del beneficio, impedendo di includere nel trattamento sanzionatorio più favorevole del “cumulo giuridico” ciò che si pone a valle di essa.

Nel caso di specie, l’illecito costituito dall’omessa denuncia non avrebbe potuto essere sanzionato dall’Ente locale distintamente per ciascuna annualità di imposta, dovendo trovare applicazione l’istituto del cd. “cumulo giuridico” in relazione ad illeciti contestati contestualmente, con un medesimo avviso di accertamento, per i distinti periodi di imposta presi in considerazione.

La pronuncia impugnata viene quindi annullata con rinvio al Giudice di secondo grado per un nuovo esame nel merito della controversia, alla luce dei principi sopra illustrati.