Cass. civ., sez. V, ord., 22 luglio 2021 n. 21006


FATTI DI CAUSA

In data 22.05.2012, la D.P. di Brindisi notificò a (OMISSIS), nonché a (OMISSIS)- quali pretesi eredi di (OMISSIS) (OMISSIS), deceduto il (OMISSIS) e già titolare della ditta individuale (OMISSIS) (OMISSIS), avviata l’11.1.2005 e cessata alla data della sua morte- un avviso di accertamento per il recupero di IRES, IRAP e IVA, relative all’anno di imposta 2005, e ciò in relazione ad una fattura emessa per l’importo imponibile di € 250.000,00.

Proposto ricorso dai predetti, la C.T.P. di Brindisi lo rigettò con sentenza n. 113/4/08; la C.T.R. per la Puglia, sez. st. di Lecce, accolse però l’appello di (OMISSIS), nonché di (OMISSIS), riformando la prima decisione ed in particolare osservando che- al di là dei profili, pure denunciati, circa la fittizietà dell’attività d’impresa per essere essa ascrivibile a terzi ignoti, stante l’incapacità di intendere e volere del de cuius nel periodo in cui l’attività sarebbe stata svolta- era intervenuta nelle more (nel corso del 2012) la rinuncia all’eredità degli stessi appellanti, non preclusa dalla presentazione di dichiarazione di successione, sicché essi non potevano considerarsi eredi di (OMISSIS).

L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per Cassazione, sulla base di un unico motivo, cui resistono con controricorso, illustrato da memoria, (OMISSIS), nonché (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1.– Con l’unico motivo, si deduce violazione degli artt. 480, 521 e 525 c.c., nonché dell’art. 65, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. Osserva la ricorrente che, benché gli appellanti avessero dichiarato di rinunciare all’eredità, ai sensi dell’art. 525 c.c. è possibile comunque revocare la rinuncia entro il termine per accettare l’eredità stessa, ossia dieci anni dall’apertura della successione, sempre che non sia intervenuta l’accettazione da parte di altri chiamati; ne consegue che detta rinuncia non è opponibile all’Agenzia e che la sentenza impugnata è erronea, non avendo considerato la non definitività della rinuncia stessa, il che comporta che la sola delazione dell’eredità è sufficiente ai fini della configurabilità della soggettività passiva dei chiamati.

2.1.– Il ricorso è infondato.

Va preliminarmente evidenziato che l’Agenzia non contesta la valutazione operata dal giudice d’appello circa la mancata definitiva acquisizione della qualità di eredi da parte degli odierni controricorrenti, come pure ben avrebbe potuto fare- specie ove si consideri che la rinunzia all’eredità è sopravvenuta in corso di appello (v. Cass. 23989/2020)-, ma incentra l’intera impugnazione sulla tesi per cui la rinunzia stessa, per essere opponibile ad essa Agenzia, deve consolidarsi al decennio dalla data dell’apertura della successione ex art. 480 c.c., stante la possibilità di sua revoca entro detto termine prescrizionale, ai sensi dell’art. 525 c.c. Il carattere devolutivo dell’impugnazione, dunque, impone di limitare lo scrutinio del ricorso al solo motivo regolarmente proposto, inerente a questa sola ultima questione.

Ciò chiarito, a parte la considerazione che la tesi dell’Agenzia risulta comunque superata dai fatti, non essendo emerso che gli odierni controricorrenti abbiano provveduto a revocare la rinunzia entro il 15 aprile 2015, data di maturazione della prescrizione (ex art. 480 c.c.), essa è comunque destituita di fondamento.

Infatti, per effetto della rinuncia all’eredità- che non a caso non può essere fatta sotto condizione o a termine o solo per parte (art. 520 c.c.)- il rinunciante “è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato” (art. 521 c.c.), sicché trovano applicazione le disposizioni di cui agli artt. 522 e 523 c.c. in tema di devoluzione nella successione, rispettivamente, legittima e testamentaria. Quanto alla prima- che sembra aver operato nella vicenda che occupa (nessuna delle parti ha fatto riferimento ad una delazione testamentaria)- l’art. 522, ult. periodo, c.c. stabilisce che “Se il rinunziante è solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse”, regola ovviamente applicabile ove a rinunciare siano tutti i chiamati legittimi, in pari grado. In sostanza, dunque, l’effetto derivante dalla dichiarazione di rinuncia è immediato, e consiste nella decadenza dal diritto di accettare e nella devoluzione dell’eredità ad un successibile di grado posteriore; vero è che il rinunziante può, entro il termine di dieci anni dalla morte del de cuius, revocare la rinuncia, così accettando l’eredità e succedendo al predetto a titolo universale, con effetto ex tunc (art. 459 c.c.), ma solo qualora il nuovo chiamato non abbia frattanto accettato, definitivamente acquistando l’eredità.

Contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia, dunque, il chiamato all’eredità, che non abbia accettato e che vi rinunci, non può essere considerato in alcun modo titolare della soggettività passiva rispetto ai debiti del de cuius, neanche in ambito tributario (non è affatto casuale che l’art. 65, comma 1, d.P.R. n. 600/1973, individui proprio gli eredi del contribuente quali i soggetti tenuto in solido al pagamento delle imposte gravanti sullo stesso de cuius), giacché il fisco, alla stregua di qualsiasi creditore, ben può utilizzare gli strumenti offerti dal codice civile a tutela della relativa posizione, come ad esempio l’impugnazione della rinuncia (art. 524 c.c.), ovvero la richiesta di nomina di un curatore dell’eredità giacente (art. 528 c.c.), al quale validamente notificare l’avviso di accertamento (arg. ex art. 529 c.c.; v. Cass. 16428/2009), onde evitare di incorrere nella relativa decadenza per intempestività, pericolo palesato dall’Agenzia a sostegno della correttezza della propria tesi, ma all’evidenza insussistente.

Può quindi ribadirsi il principio affermato da Cass. n. 15871/2020, secondo cui “Il chiamato all’eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del “de cuius”, neppure per il periodo intercorrente tra l’apertura della successione e la rinuncia, neanche se risulti tra i successibili “ex lege” o abbia presentato la dichiarazione di successione (che non costituisce accettazione), in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art. 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili”.

3.1- In definitiva, il ricorso è rigettato. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla refusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 7.000,000 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario in misura del 15%, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella  camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno 15.4.2021

Depositato in Cancelleria il 22 luglio 2021


COMMENTO– La vicenda trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento IRES, IRAP ed IVA da parte dei pretesi eredi del titolare di un’impresa individuale.

Mentre in primo grado il ricorso veniva respinto, la Commissione Tributaria Regionale accoglieva l’appello dei contribuenti, sul presupposto che essi non potessero essere considerati eredi del titolare dell’impresa, stante l’avvenuta rinuncia all’eredità (quest’ultima non preclusa dalla denuncia di successione). 

Avverso la sentenza di secondo grado l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo, lamentando violazione di legge (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) in relazione agli artt. 480, 521 e 525 c.c., nonché in relazione all’art. 65, comma 1, D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600. Sosteneva infatti che la sola delazione dell’eredità fosse sufficiente per fondare la soggettività passiva dei chiamati, posto che la loro rinuncia all’eredità era ancora suscettibile di revoca ai sensi dell’art. 525 c.c. e non risultava quindi opponibile all’Agenzia delle Entrate.

Preliminarmente, la Corte di Cassazione rileva come l’Agenzia non abbia contestato la valutazione operata dal giudice d’appello circa la mancata definitiva acquisizione della qualità di eredi da parte dei contribuenti.

Secondo quanto statuito da Cass. civ., sez. V, ord., 29 ottobre 2020 n. 23989, i chiamati all’eredità che impugnano un avviso di accertamento censurando solo il merito, senza eccepire il proprio difetto di legittimazione passiva, determinano una implicita accettazione dell’eredità, non rilevando la circostanza che, in data successiva, sopravvenga una rinuncia eseguita con atto notarile. La rinuncia effettuata successivamente al primo atto difensivo avverso l’avviso ricevuto non può, infatti, ritenersi in grado di spiegare i propri effetti, perché effettuata non già da un mero chiamato all’eredità, bensì da un erede divenuto tale a seguito di accettazione tacita.

Sulla base di questo principio, l’Agenzia delle Entrate ben avrebbe potuto contestare la conclusione dei giudici di appello secondo cui i contribuenti non avevano mai acquisito la qualità di eredi del de cuius, specie in considerazione del fatto che la rinuncia all’eredità era sopravvenuta soltanto nel corso del giudizio di secondo grado.

Tuttavia, tale motivo di impugnazione non era stato nel caso di specie proposto. 

Il carattere devolutivo dell’impugnazione per Cassazione imponeva pertanto di limitare lo scrutinio del ricorso al solo motivo regolarmente proposto, inerente l’opponibilità della rinunzia all’eredità all’Agenzia delle Entrate, nonostante la possibilità di una sua successiva revoca.

L’ordinanza in commento respinge integralmente tale motivo di ricorso, con conseguente conferma della sentenza di secondo grado impugnata.

Tale conclusione viene motivata non solo sotto il profilo fattuale- posto che, nel caso di specie, era frattanto decorso il termine di dieci anni dall’apertura della successione, senza che la rinuncia all’eredità fosse stata revocata- ma soprattutto sul piano giuridico.

La rinuncia all’eredità non può essere fatta sotto condizione o a termine o solo per parte, a pena di nullità (art. 520 c.c.).

Per effetto di essa, il rinunciante “è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato” (art. 521, comma 1, c.c.), con conseguente applicazione degli artt. 522 e 523 c.c. (i quali regolano, rispettivamente, la devoluzione nelle successioni legittime e quella nelle successioni testamentarie).

Nel caso di specie, in cui nessuna delle parti aveva fatto riferimento ad una delazione testamentaria, opera l’art. 522 c.c., il cui ultimo periodo dispone che “Se il rinunziante è solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse”.

Tale disposizione rende evidente come l’effetto derivante dalla dichiarazione di rinuncia sia immediato, e consista nella decadenza dal diritto di accettare e nella devoluzione dell’eredità ad un successibile di grado posteriore.

A norma dell’art. 525 c.c., i chiamati che hanno rinunciato all’eredità possono sempre accettarla, revocando così la propria rinuncia. Tale revoca deve tuttavia intervenire entro il termine di prescrizione del diritto di accettare l’eredità (e, quindi, entro dieci anni dall’apertura della successione, ossia entro dieci anni dalla morte del de cuius) e risulta efficace solo se nessuno dei nuovi chiamati abbia frattanto accettato, così definitivamente acquistando l’eredità.

Pertanto, anche in ambito tributario, così come in ambito civile, il chiamato all’eredità, che vi abbia rinunciato, non può essere considerato in alcun modo titolare di soggettività passiva rispetto ai debiti del de cuius.

Non a caso l’art. 65, comma 1, D.P.R. n. 600/1973 individua proprio “gli eredi”- e non i meri “chiamati all’eredità”- del contribuente quali soggetti obbligati in solido al pagamento delle imposte gravanti sullo stesso de cuius.

Anche il Fisco, come qualsiasi altro creditore, potrà eventualmente tutelare il proprio credito mediante gli strumenti offerti dal Codice civile, quali l’impugnazione della rinuncia all’eredità da parte dei creditori (art. 524 c.c.) o la richiesta di nomina di un curatore dell’eredità giacente (art. 528 c.c.).

Come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. V, 15 luglio 2009 n. 16428), quest’ultimo, pur non essendo un rappresentante del chiamato all’eredità, è legittimato sia attivamente che passivamente in tutte le cause che riguardano l’eredità stessa, anche quando sia venuta meno la situazione di giacenza, per l’adempimento degli obblighi che attengono al periodo di gestione dell’eredità. 

Di conseguenza, al curatore dell’eredità giacente l’Agenzia delle Entrate può validamente notificare l’avviso di accertamento emesso contro il de cuius (art. 529 c.c.), evitando in tal modo di incorrere in eventuali decadenze.

In conclusione, quindi, l’ordinanza in commento ribadisce il principio (già affermato da Cass. civ., sez. V, ord., 24 luglio 2020 n. 15871) secondo cui il chiamato all’eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del de cuius, neppure per il periodo intercorrente tra l’apertura della successione e la rinuncia e neanche se risulti tra i successibili ex lege o se abbia presentato la dichiarazione di successione (la quale non costituisce in alcun caso accettazione dell’eredità). Ciò in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art. 521 c.c., il rinunciante è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili.

 

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano- Roma