Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Venezia, sez. II, 10 luglio 2024 n. 507
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il signor F. C., per quanto in motivazione e con le conclusioni in epigrafe riportate, con ricorso notificato in data 11/12/2023 impugna l’Avviso di accertamento n. T63011LS00724/2020, per IRPEF anno d’imposta 2014, notificato il 12/10/2023, con cui l’Agenzia delle Entrate-Direzione Provinciale di Venezia accertava in capo al ricorrente un maggior reddito per euro 135.017,00 oltre sanzioni.
Si è costituita l’Agenzia Entrate che controdeduce alle eccezioni di parte ricorrente, eccependo la infondatezza dei motivi di ricorso e confermando la legittimità e la fondatezza dell’atto impositivo oggetto di impugnazione. Chiede alla Corte il rigetto del ricorso e la condanna di parte avversa al pagamento delle spese di lite.
Con successiva memoria depositata il 24/5/2024, in vista dell’odierna pubblica udienza, il ricorrente ribadiva i motivi eccepiti con il ricorso, in particolare, la decadenza del potere accertativo considerata la ipotetica trasmissione della notizia di reato alla Procura di Venezia, per la quale non risulterebbe provato l’effettivo invio, il vizio di motivazione in ordine ai due rilievi, e il difetto di sottoscrizione del direttore delegante dell’atto di delega, che permarrebbe pur a seguito del deposito dei documenti da parte dell’Ufficio.
L’Ufficio depositava memoria in data 30/5/2024 con allegati due documenti: uno riguardante la comunicazione di notizia di reato alla Procura di Venezia, depositando la copia con apposto timbro di ricevuta (doc. allegato 1 alla memoria), e l’altro relativo alla richiesta di rinvio a giudizio della stessa Procura di Venezia nei confronti dei tre indiziati C., S. e V..
Alla odierna pubblica udienza, tenutasi con le presenze e con le modalità come da verbale, la controversia è stata introitata per la decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
In fatto si espone quanto segue.
In data 07/03/2017 la Guardia di Finanza – Nucleo Operativo Metropolitano di Venezia ha iniziato una verifica fiscale nei confronti della società “M. P. M. S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (poi in fallimento)”, conclusa con PVC 4/10/2019, cui ha fatto seguito, per l’anno 2014, l’avviso di accertamento n. T6303LS02755/19 del maggiore reddito d’impresa di euro 5.500,00,notificato al curatore fallimentare, avviso divenuto definitivo per mancata impugnativa.
Essendo il sig. F. C. rappresentante legale e socio titolare della quota del 25% della Società, l’Agenzia Entrate accertava, ai sensi dell’art. 44 TUIR, un reddito di capitale non dichiarato pari a euro 684,00, quali utili di partecipazione in società di capitali a ristretta base partecipativa (n. 3 soci), limitati al 49,72% dell’ammontare.
Dalla verifica è altresì emerso che, per l’anno d’imposta 2014, il bilancio depositato in camera di commercio dalla Società differiva da quello redatto dal depositario delle scritture contabili sulla base del bilancino di verifica di fine anno fornito dalla Società stessa.
Nel mastrino del conto “denaro in cassa” è stata rilevata un’apertura al 01.01.2014 di € 451.614,85 e una chiusura al 31.12.2014 di €404.349,58, mentre nel bilancio depositato tale posta finanziaria viene ridotta ad € 1.350,00 con una differenza di € 403.000,00.
La GdF ha ritenuto, pertanto, che le modifiche al bilancio fossero finalizzate alla sottrazione di liquidità dall’aggressione dei creditori, tra i quali l’Erario, nella prospettiva di un futuro fallimento della Società, poi dichiarato con sentenza n. 81/2018 del Tribunale di Venezia.
La GdF ha conseguentemente individuato quali responsabili il sig. F. C., socio e rappresentate legale della società, e i sig.ri R. S. e P. V., amministratori di fatto della Società, secondo le dichiarazioni rilasciate dallo stesso C. alla GdF (doc. 7 allegato al PVC 4/10/2019, depositato in atti).
La GdF ha ritenuto altresì che i tre soggetti individuati fossero anche gli effettivi percettori, in parti uguali, del reddito occulto sottratto alla Società, procedendo penalmente alla comunicazione di notizia di reato alla Procura di Venezia (CNR del 4/10/2019, doc. 4 allegato alle controdeduzioni ADE, depositato in atti).
Successivamente l’Ufficio, nel confermare quanto accertato dalla GdF, ha emesso distinti avvisi di accertamento nei confronti del socio e legale rappresentante F. C., avviso di accertamento impugnato e oggi all’esame della Corte, e nei confronti degli amministratori di fatto R. S. e P. V., qualificando il maggior reddito contestato di € 134.133,00 ciascuno come “Altri redditi quadro RL-Redditi diversi”.
L’avviso di accertamento nei confronti di R. S. è stato impugnato con ricorso RGR 741/2023 pendente avanti a questa Corte, mentre l’avviso nei confronti di P. V. non risulta impugnato divenendo pertanto definitivo.
Il ricorrente F. C. ritenendo l’atto emesso nei suoi confronti illegittimo e infondato, in sintesi impugna per i seguenti motivi:
- vizio di motivazione in violazione degli articoli 42 DPR 600/1973 e 5-ter D.lgs. 218/1997;
 - infondatezza dell’avviso di accertamento nel merito;
 - difetto di sottoscrizione in violazione dell’art. 42 DPR 600/1973;
 - violazione dell’art.43 DPR 600/1973 per intervenuta decadenza.
 
Chiede alla Corte l’accoglimento del ricorso con vittoria di spese.
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente eccepisce la illegittimità dell’avviso impugnato per vizio di motivazione in violazione dell’art. 42 DPR 600/1973, nonché dell’art. 5-ter D.lgs. 218/1997 non avendo l’Ufficio tenuto conto dei chiarimenti forniti in sede di contraddittorio in ordine al proprio tenore di vita “sulla soglia della povertà” che comproverebbe il mancato ricevimento delle somme contestate nell’anno considerato.
Per l’Ufficio il motivo è infondato in quanto il ricorrente, quale socio e legale rappresentante della Società, era a conoscenza degli atti richiamati nell’avviso notificato, ed era abilitato ad accedere agli atti della Società, nella quale contribuiva nella gestione con i due amministratori di fatto, compreso l’avviso di accertamento notificato al curatore fallimentare e da questi non impugnato, con conseguente definitività dell’atto. In ordine al contradditorio con esito negativo, precisa l’Ufficio di aver esposto sufficientemente i motivi per cui non ha accolto le giustificazioni rese dal contribuente che non ha provveduto al deposito di ulteriore documentazione.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente eccepisce la infondatezza nel merito dell’avviso impugnato.
Per l’Ufficio il motivo è infondato, sul primo rilievo, in quanto essendo il ricorrente socio al 25% della società, non essendo stato impugnato l’avviso di accertamento della Società con conseguente definitività della pretesa, come già detto sopra, l’Ufficio legittimamente ha provveduto ex art. 44 TUIR nei confronti del socio, per la presunta distribuzione di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base societaria, nel caso di specie tre soci. Ciò in mancanza di prova contraria fornita dal contribuente.
Sul secondo rilievo, l’Ufficio precisa che l’avviso di accertamento è stato emesso ai sensi dell’art. 39, co. 1, lett. d), del DPR 600/1973 e pertanto correttamente si è proceduto in via presuntiva all’accertamento di un maggior reddito in capo al ricorrente sulla base di alcuni fatti noti, quali:
-la falsità del bilancio depositato presso la camera di commercio dalla società M. P. M. Srl che differisce dal bilancio redatto dal depositario delle scritture contabili sulla base del bilancino di verifica di fine anno fornito dalla Società stessa;
-la base sociale formata da un ristretto numero di soci;
– il ruolo di socio del ricorrente e i poteri di controllo dell’attività gestionale in capo ai soci.
Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente eccepisce la illegittimità dell’avviso di accertamento per difetto di sottoscrizione della delega di firma, in violazione dell’art. 42 DPR 600/1973.
Per l’Ufficio il motivo è infondato, provvedendo a tal fine al deposito dell’atto di delega, completo degli elaborati richiesti ai fini della sua validità, con il quale il Direttore Provinciale dispone la delega di firma ai funzionari delegati individuati, per un periodo determinato, indicandone le ragioni (doc. 7 e 8 allegati alle controdeduzioni di ADE, depositati in atti).
Con il quarto motivo di ricorso, il ricorrente eccepisce la illegittimità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art.43 DPR 600/1973 per intervenuta decadenza della potestà accertativa, in mancanza di prova sull’effettivo invio della CNR alla Procura di Venezia.
Per l’Ufficio il motivo è infondato, e legittimamente è stato applicato il raddoppio dei termini, in quanto la GdF ha trasmesso in data 04/10/2019 alla Procura di Venezia comunicazione di notizia di reato a carico di F. C., R. S. e P. V., per i reati di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 2621 c.c. e art. 11 D.lgs. 74/2000) e di bancarotta fraudolenta (art. 216 RD 267/1942), provvedendo quindi a depositare agli atti del ricorso la copia della comunicazione alla Procura di Venezia (CNR 4/10/2019 doc. 4 allegato alle controdeduzioni di ADE).
L’Ufficio, con le memorie in data 30/5/2024, ha provveduto al deposito di copia dello stesso documento con apposti la data e il timbro di ricevimento della Procura di Venezia (doc. allegato 1 memoria, depositato in atti), nonché copia (stralcio) dell’atto con cui la stessa Procura ha rinviato a giudizio i tre indiziati, per i reati di cui alla comunicazione della notizia di reato da parte della GdF (doc. allegato 2 memoria, depositato in atti).
Il Collegio considera quanto segue.
In ordine al primo motivo di ricorso, secondo cui l’Amministrazione non avrebbe formulato un’adeguata motivazione della pretesa erariale, ritiene il Collegio di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui la motivazione dell’atto, che si sostanzia anche nel richiamo del contenuto degli atti non allegati ma conoscibili, deve essere idonea a far conoscere al destinatario gli elementi essenziali atti ad escludere qualsivoglia lesione del diritto di difesa.
Considerato che il Ricorrente, oltre che il rappresentante legale era uno dei tre soci della Società, come tale partecipando alla gestione della Società (cfr. dichiarazioni rilasciate alla GdF citate) ha potuto conoscere anche gli atti notificati alla Società (nella persona del curatore fallimentare), quali il PVC 4/10/2019 con i relativi allegati, consegnato al curatore fallimentare della Società, e, trattandosi di società di capitale a ristretta base sociale, le contestazioni fatte alla Società con l’avviso di accertamento notificato, da cui sono conseguiti gli avvisi di accertamento notificati a lui e agli atri due soggetti. Appare evidente, pertanto, che il ricorrente ha potuto svolgere ogni necessaria attività difensiva, come avvenuto nel caso di specie, dimostrando che conosceva tutti gli elementi essenziali utilizzati dall’Ufficio e contenuti negli atti della società da cui consegue l’impugnato avviso. Inoltre, il ricorrente, pur eccependo la nullità dell’atto, non espone alcun pregiudizio derivante dall’asserita omessa motivazione.
D’altra parte, appare paradossale che, a fronte del dedotto vizio di difetto di motivazione, il ricorrente sia stato in grado di svolgere molteplici motivi di ricorso, per censurare l’avviso impugnato anche nel merito.
Le giustificazioni del ricorrente enunciate in sede di accertamento (sul suo non elevato tenore di vita) erano affermazioni a voce di contenuto generico che non richiedevano motivazione sul mancato accoglimento.
Vanno, pertanto, rigettate le eccezioni sul preteso difetto di motivazione.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce la infondatezza dell’avviso di accertamento nel merito, senza dedurre motivi personali riferibili esclusivamente a lui.
Secondo il Collegio, in ordine al primo rilievo, l’Ufficio ha operato correttamente laddove sulla base della contestazione in capo alla società M. P. M. Srl di maggiori ricavi per euro 5.500,00 in considerazione della ristretta base sociale e del fatto che il ricorrente deteneva il 25%, veniva contestato, ex art. 44 TUIR, un reddito di capitale non dichiarato pari a euro 684,00.
Sulla base della seconda contestazione nei confronti della società di ammanchi di cassa per euro 403.000,00, in considerazione della contestazione del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte nei confronti del sig. C. e dei signori Sezzi Rodolfo e Venerando Paolo, l’Ufficio imputava all’odierno ricorrente, unitamente agli altri due soggetti, il maggior reddito di euro134.333,00 pari a un terzo degli asseriti ammanchi di cassa.
Sulla prima contestazione va considerato che il ricorrente è socio al 25% della Società, che l’avviso notificato alla Società risulta non essere stato impugnato – affermazione contestata dal ricorrente- e che è divenuta definitiva la pretesa, quindi, correttamente l’Ufficio ha provveduto ex art. 44 TUIR nei confronti del socio.
Sulla eccezione del ricorrente in ordine alla non provata omessa impugnazione dell’avviso notificato alla Società, ritiene il Collegio che comunque, secondo l’orientamento consolidato della Corte di cassazione, nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale -come nel caso di specie- è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, in quanto il fatto noto è dato dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che spetta poi al contribuente fornire la prova contraria della mancata distribuzione (ex multis, Cass. sez. V, sentenza n. 2752 del 30 gennaio 2024; Cass. n. 26171 del 2023).
Sulla seconda contestazione, va considerato che l’Ufficio fornisce in via presuntiva la prova dell’avvenuta distribuzione delle somme accertate anche al ricorrente, indicando i fatti più sopra richiamati, ai sensi dell’art. 39, co. 1, lett. d), del DPR 600/1973 il quale dispone che “se l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione e nei relativi allegati risulta dall’ispezione delle scritture contabili (…) ovvero dal controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni contabili sulla scorta delle fatture e degli altri atti e documenti relativi all’impresa, (…) ” L’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti.”.
Le presunzioni poste dall’Ufficio a fondamento dell’atto impositivo, secondo il Collegio, presentano la gravità, precisione e concordanza richieste dall’art. 2729 cc, e possono concorrere a formare il convincimento del giudice, in quanto sorrette da idonei elementi. Nel caso di specie, infatti, sussistono le dichiarazioni rese dal ricorrente che mostrano la conoscenza dello stesso di tutta la gestione della società, da parte anche degli altri due soggetti ritenuti responsabili. Detti riscontri risultano essere attendibili laddove sono stati confermati dalla Procura di Venezia che ha proceduto al rinvio a giudizio di C., Sezzi e Venerando (doc. allegato 1 alla memoria Ufficio 30/5/2024) sulla base dei risultati conseguiti alla verifica fiscale.
Il Collegio ritiene pertanto di poter fondare il proprio convincimento sulla documentazione richiamata e depositata agli atti, ritenuta idonea a tal fine, quali l’atto contenente le dichiarazioni di C. e l’atto della Procura. A nulla rilevando tutte le affermazioni del ricorrente in ordine al proprio tenore di vita, nonché la dichiarazione della suocera che appare generica e superflua (doc. 7 allegato al Ricorso).
Con il terzo motivo di ricorso, il ricorrente eccepisce la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di sottoscrizione della delega di firma, in violazione dell’art. 42 DPR 600/1973.
L’Ufficio ha provveduto al deposito dell’atto di delega completo degli elaborati richiesti ai fini della sua validità, ma il ricorrente tuttavia ha ribadito con la successiva memoria l’assenza di una idonea firma sull’atto di delega in quanto in formato PDF.
Il Collegio ritiene di condividere l’orientamento consolidato della Corte di cassazione secondo cui la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento, ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del DPR n. 600 del 1973, ha natura di delega di firma – e non di funzioni – senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante. Conseguentemente, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione della delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, che consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (ex multis, Cass. civile, sez. V, ordinanza n. 5826 del 27 febbraio 2023; Cass. n. 28850 del 2019).
Sul quarto motivo, ritiene il Collegio che per l’annualità 2014 operi il raddoppio dei termini di accertamento e che la pretesa dell’Ufficio sia legittima con conseguente rigetto della doglianza.
Infatti, l’atto impositivo riguardante l’anno d’imposta 2014, in applicazione dell’art. 43, DPR 600/1973, avrebbe dovuto essere notificato entro il 31 dicembre 2019, mentre è stato notificato il 20/7/2023, sul presupposto del raddoppio dei termini in presenza di notizia di reato nei confronti dei tre soggetti responsabili, trasmesso alla Procura di Venezia dalla GdF in data 4/10/2019 (CNR 4/10/2019, doc. 4 allegato alle controdeduzioni ADE, depositato in atti).
Relativamente al raddoppio dei termini di accertamento, come nel caso di specie, il Collegio ritiene necessario richiamare le modifiche intervenute prima con il D.Lgs. 128/2015 (che ha subordinato il raddoppio alla presentazione della denuncia entro la decadenza ordinaria) e successivamente con la Legge n. 208/2015 (legge di stabilità 2016) che ha abrogato l’istituto prevedendo un nuovo regime transitorio.
In particolare, le disposizioni contenute nel D.Lgs. 128/2015 trovano applicazione agli atti impositivi notificati successivamente alla sua entrata in vigore (settembre 2015).
La legge di stabilità per il 2016, riscrivendo la disciplina dei termini da rispettare a pena di decadenza per gli accertamenti, abrogando l’istituto del raddoppio dei termini (dal 2016), ha previsto espressamente un regime transitorio secondo cui per gli accertamenti in corso valgono le vecchie regole sul raddoppio solo se la notizia di reato sia stata presentata entro la scadenza ordinaria del termine di accertamento.
Nel caso di specie, risulta documentato che la GdF ha trasmesso in data 04/10/2019 alla Procura di Venezia comunicazione di notizia di reato a carico di F. C., R. S. e P. V., per i reati di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (art. 2621 c.c. e art. 11 D.lgs. n. 74) e di bancarotta fraudolenta (art. 216 RD 267/1942), provvedendo a depositare agli atti del ricorso la copia della comunicazione redatta dalla GdF.
Successivamente, in vista dell’odierna udienza, a fronte della contestazione di parte ricorrente contenuta nella memoria depositata il 24/5/2024, l’Ufficio ha ritenuto di fornire quanto necessario a dissipare il dubbio, e cioè la copia dello stesso atto come ricevuto da parte della Procura di Venezia, con apposto il timbro datario di arrivo.
Il procuratore di parte ricorrente, tuttavia, ha eccepito nel corso dell’odierna udienza la tardività del deposito dell’atto da parte dell’ufficio.
Su quanto sopra il Collegio considera che l’Ufficio aveva già provveduto al deposito dell’atto tempestivamente e che solo a fronte delle contestazioni di parte ricorrente sull’effettivo invio o meno del CNR, sul quale questo Collegio non ha formulato alcun dubbio trattandosi della dichiarazione di un Pubblico Ufficiale, ha ritenuto di dover depositare una nuova copia dello stesso atto, già validamente acquisito in atti del ricorso.
Pertanto, il Collegio rigetta l’eccezione di parte ricorrente, in quanto infondata.
Deve quindi ritenersi che per l’annualità 2014 operi il raddoppio dei termini di accertamento e che la pretesa dell’Ufficio sia legittima con conseguente rigetto della doglianza.
Infine, in via istruttoria, chiede il ricorrente, in caso di contestazione della dichiarazione della signora P. C., ai sensi del comma 4 dell’articolo 7 del D.lgs. 546/1992 di ammettere prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis cpc, sulle circostanze dedotte nel documento n. 7 allegato al ricorso.
Sulla richiesta in ordine alla prova testimoniale, considera il Collegio che il nuovo articolo 7, comma 4, del D.Lgs. 546/1992, entrato in vigore in data 6/9/2022, ha disciplinato tra le prove ammesse la testimonianza scritta.
La norma dispone “4. Non è ammesso il giuramento. La Corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l’accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all’articolo 257-bis del codice di procedura civile. Nei casi in cui la pretesa tributaria sia fondata su verbali o altri atti facenti fede sino a querela di falso, la prova è ammessa soltanto su circostanze di fatto diverse da quelle attestate dal pubblico ufficiale.”.
L’ammissibilità della prova è rimessa alla scelta del giudice, nei casi in cui la ritenga “necessaria ai fini della decisione”.
Nel nostro caso pare al Collegio che la dichiarazione rilasciata dalla suocera, che avrebbe versato mensilmente una somma per permettere al ricorrente di vivere, sia superflua perché generica e non idonea a smentire le risultanze contenute nell’atto impugnato, cioè che i maggiori redditi accertati non sono stati a lui distribuiti nel periodo d’imposta considerato.
Per quanto sopra esposto, ogni altra istanza ed eccezione disattesa, il Collegio ritiene il ricorso sia da respingere.
Le spese di causa, come specificate in dispositivo, seguono il principio generale della soccombenza di cui all’art. 15 del Dlgs. 546/1992 e sono da determinarsi in base all’attività svolta, tenendo presente lo scaglione di riferimento in base al valore del procedimento (da € 52.000 a 260.000), la non rifusione del contributo studio del 15% e la riduzione del 20% per difesa tramite funzionario interno.
P.Q.M.
Il Collegio
- A) rigetta il ricorso;
 - B) condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte resistente le spese di causa liquidate in euro 7.573,00 per compensi, oltre accessori di legge, se dovuti.
 
Venezia, 6 giugno 2024
COMMENTO REDAZIONALE- Nell’ambito del processo tributario, l’ammissibilità della prova testimoniale, nella forma della testimonianza scritta di cui all’art. 257-bis c.p.c., è rimessa alla scelta discrezionale del giudice, che può ammetterla nei casi in cui la ritenga “necessaria ai fini della decisione“.
Nel caso di specie, parte ricorrente, volendo dimostrare di non avere percepito utili extra-bilancio da parte di una società a ristretta base azionaria di cui era socio, chiedeva ammettersi la testimonianza scritta della propria suocera, la quale dichiarava di avergli versato mensilmente una somma per sopperire alle basilari esigenze di vita, essendo egli di fatto nullatenente.
La prova richiesta non viene ammessa, in quanto ritenuta superflua, generica e non idonea a smentire le risultanze contenute nell’atto impugnato, con il quale era stata contestata l’indebita percezione di utili extra-bilancio da parte di una società a ristretta base azionaria.
Viene in tal modo confermato come, anche nell’ambito del processo tributario, così come nel processo civile (art. 244 c.p.c.), la prova testimoniale risulti ammissibile solo allorché dotata del requisito di specificità.