Cass. civ. Sez. V, Ord., 15 maggio 2019, n. 12979


ORDINANZA
sul ricorso 13278-2016 proposto da:
…………., elettivamente domiciliato in ROMA VIA COSSERIA 2, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CRISCUOLO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FRANCESCO ANNARUMMA;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI ………………………….;
– intimato –
avverso la sentenza n. 4297/2016 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di SALERNO, depositata il 10/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/04/2019 dal Consigliere Dott. BALSAMO MILENA.

Svolgimento del processo

CHE:
1. La società ……. ricorre sulla base di due motivi per la cassazione della sentenza n. 4297/2016 depositata il 10.05.2016, con la quale la CTR della Campania affermava l’applicabilità della tari, per l’annualità 2014, alle aree scoperte e dei piazzali di proprietà della società, in difetto della prova del rapporto di pertinenzialità e accessorietà con i locali produttivi di rifiuti speciali, risultando essi del tutto autonomi e funzionalmente separati dallo stabilimento (trattandosi di edifici posti in comuni diversi). Il Comune di …………… non ha svolto difese.
Il ricorrente ha depositato documentazione il 2.04.2019.

Motivi della decisione

CHE:
2. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione del D.L. n. 147 del 2013, art. 1, commi 639, 641 e 649 ex art. 360 c.p.c., n. 3, per avere il decidente non correttamente interpretato la norma citata che dispone l’esenzione dalla Tari delle aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali tassabili non operative e delle aree condominiali di cui all’art. 1117 c.c., nonchè delle zone interessate alla produzione di rifiuti speciali da smaltirsi ad opera dei soggetti produttori, affidando al Comune solo la possibilità di individuare ulteriori superfici produttive di rifiuti speciali da sottrarsi alla Tari. In particolare, la ricorrente deduce che la normativa in esame ha individuato come discrimen la tipologia dei rifiuti prodotti, rendendo tassabili solo le aree idonee a produrre rifiuti urbani ed assimilabili, escludendo le aree idonee a produrre rifiuti speciali nonchè le aree scoperte o accessorie a quelle tassabili e le aree non operative, le aree condominiali, le superfici dove si formano rifiuti speciali in via continuativa e prevalente sempre che il produttore dimostri l’avvio al recupero a proprie spese e cure.
Sostiene dunque il ricorrente che la CTR ha erroneamente interpretato la normativa escludendo il rapporto di pertinenzialità ed accessorietà tra le aree che si intendono escludere dalla tassazione e le superfici destinate a produrre rifiuti speciali, mentre era sufficiente accertare che le aree fossero funzionalmente ed esclusivamente collegate all’esercizio di attività produttive di rifiuti speciali seppure in via prevalente e non esclusiva, imputando, altresì, ai giudici territoriali di aver omesso l’esame della documentazione prodotta nel giudizio di merito volta a dimostrare il collegamento tra i locali siti in (OMISSIS) e quelli ubicati nel comune di ………….
3. Con la seconda censura si lamenta la violazione delle medesime disposizioni ex art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè omesso esame delle deduzioni della ricorrente in ordine alla prova della produzione esclusiva di rifiuti speciali, per avere il giudicante omesso di esaminare la documentazione depositata dalla contribuente nel giudizio di merito (formulari e relazioni), limitandosi ad affermare che la ricorrente non aveva fornito la prova che i piazzali e le aree scoperte erano funzionalmente connesse allo stabilimento di (OMISSIS); denunciando che il secondo giudice non ha indicato le ragioni per cui la documentazione prodotta non costituiva idonea prova contraria, 4. La prima censura è priva di pregio.
5. La Tassa rifiuti (TARI) ha sostituito, a decorrere dal 1^ gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti ai comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti (noti in precedenza con gli acronimi di TARSU e, successivamente, di TIA e TARES), conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria. L’imposta è dovuta, ai sensi della L. 27 dicembre 2013, n. 147, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti, mentre le deroghe indicate e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica in base alla mera sussistenza della previste situazioni di fatto, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti. Ai sensi della L. 27 dicembre 2013, n. 147, art. 1 comma 649, nella determinazione della superficie assoggettabile alla TARI non si tiene conto di quella parte di essa ove si formano, in via continuativa e prevalente, rifiuti speciali, al cui smaltimento sono tenuti a provvedere a proprie spese i relativi produttori, a condizione che ne dimostrino l’avvenuto trattamento in conformità alla normativa vigente.
Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il Comune con proprio regolamento può prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantità che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero.
6. Ciò premesso, estendendo alla TARI l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di TARSU, con riguardo al D. Lgs 15 novembre 1993, n. 507, art.62 comma 3, la tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale, salva l’applicazione sulla stessa di un “coefficiente di riduzione proporzionale alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi” e chiaramente presuppone l’assoggettamento all’imposta dei soli rifiuti urbani e salvo il diritto ad una riduzione della tassa in caso di produzione di rifiuti assimilati “smaltiti in proprio” (Cass. n. 6359 del 2016).
In tale materia grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione, atteso che, pur operando il principio secondo il quale è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, esso non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, o addirittura l’esenzione, costituendo questa, un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Cass. n. 9731 del 2015; N. 17622 del 2016; N. 26725 del 2016; Cass. n. 22130/2017).
7. Per i produttori di rifiuti speciali non assimilabili agli urbani non si tiene altresì conto della parte di area dei magazzini, funzionalmente ed esclusivamente collegata all’esercizio dell’attività produttiva, occupata da materie prime e/o merci, merceologicamente rientranti nella categoria dei rifiuti speciali non assimilabili, la cui lavorazione genera comunque rifiuti speciali non assimilabili. Resta fermo l’assoggettamento dei magazzini destinati allo stoccaggio di semilavorati e/o prodotti finiti connessi a lavorazioni produttive di rifiuti assimilati, dei magazzini di attività commerciali, dei magazzini relativi alla logistica, dei magazzini di deposito di merci e/o mezzi di terzi.
Ebbene, l’esenzione prevista dalla legge di stabilità riguarda in primo luogo solo le aree accessorie ai locali tassabili (balconi, terrazzi) e non anche quelle accessorie alle aree esenti perchè produttive di rifiuti speciali; queste aree possono ritenersi esenti solo in quanto aree funzionalmente ed esclusivamente collegate all’esercizio dell’attività produttiva e comunque produttive di rifiuti speciali.
Da tanto discende che correttamente la CTR ha interpretato la normativa in esame, ritenendo quanto meno necessario il requisito della pertinenzialità e delle accessorietà funzionale ai locali produttivi di rifiuti, esclusa dal decidente nella presente fattispecie.
8. La seconda censura non contravviene al principio per cui nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento in questo caso svolto. Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. 83/2012, art. 54 comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012). Ai sensi del D.L. 83/2012, art. 54 comma 3, la riformulazione dell’ art. 360 c.p.c., n. 5, si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (id est, alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012).
Ebbene, nel caso in esame, mentre la prima decisione respingeva il ricorso non riconoscendo l’esenzione dalla tassa per le aree funzionalmente collegate alle aree produttive, la sentenza di appello ha ammesso l’esenzione dalla Tari per le aree pertinenziali ed accessorie, escludendola, tuttavia, nella fattispecie, per il difetto di prova del rapporto di connessione funzionale tra aree scoperte e locali produttivi di rifiuti.
9. Il motivo è tuttavia inammissibile sotto altri profili.
In primo luogo, il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione(Cass. n. 14784 del 15/07/2015; Cass. n. 4980 del 04/03/2014).
Peraltro, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. n. 16812 del 26/06/2018; Cass. n. 19159/2016).
In altri termini, occorre non solo che la parte precisi dove e quando il documento asseritamente ignorato dai primi giudici o da essi erroneamente interpretato sia stato prodotto nella sequenza procedimentale che porta la vicenda al vaglio di legittimità; ma al fine di consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (761/14; 24448/13; 22517/13), occorre altresì che detto documento ovvero quella parte di esso su cui si fonda il gravame sia puntualmente riportata nel ricorso nei suoi esatti termini (3748/14; 15634/13). L’inosservanza anche di uno soltanto di questi oneri viola il precetto di specificità di cui al citato art. 366, comma 1, n. 6, e rende il ricorso conseguentemente inammissibile (Cass. n. 14216/13; Cass. n. 23536/13; Cass. n. 23069/13).
A tanto va soggetto il ricorso in esame relativamente al secondo motivo di impugnazione in quanto la parte, nel dolersi del fatto che il giudice di secondo grado non abbia valutato la sua documentazione, pur allegando di aver prodotto i documenti con il ricorso introduttivo, ha tuttavia omesso di riprodurne nel ricorso il relativo contenuto specifico con ciò precludendo a questa Corte di poterne apprezzarne la concludenza ai fini di giudicare la fondatezza del motivo.
Nulla va liquidato per le spese, in quanto l’ente comunale non ha svolto difese.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione:
Rigetta il ricorso;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione tributaria, il 18 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2019


 

COMMENTO

La tariffa deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali, o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti