Cass. civ. Sez. V, Ord.,  30 giugno 2021, n. 18395


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. D’AURIA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26768 del ruolo generale dell’anno 2013 proposto da:

… s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, per procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. …, presso il cui studio in …, è elettivamente domiciliata;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, è domiciliata;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, n. 62/30/2013, depositata in data 12 aprile 2013;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 22 febbraio 2021 dal Consigliere Giancarlo Triscari.

Svolgimento del processo

che:

dall’esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli aveva notificato a … s.r.l. un avviso di pagamento dell’accisa in considerazione del venir meno del regime di sospensione di imposta delle accise in conseguenza della revoca nei confronti della contribuente della licenza fiscale di esercizio del deposito fiscale presso cui era detenuto un quantitativo di alcole; avverso il suddetto atto impositivo la società aveva proposto ricorso, deducendo la sua illegittimità in via derivata, essendo a sua volta illegittimo l’atto presupposto consistente nel provvedimento di revoca della licenza, peraltro già impugnato in via gerarchica e, successivamente, dinanzi al tribunale amministrativo regionale; la Commissione tributaria provinciale di Alessandria aveva rigettato il ricorso; la società aveva proposto appello;

la Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello della contribuente, in particolare ha ritenuto che: poiché nessun motivo di appello era stato proposto dalla società sul punto della decisione con cui era stata ritenuta legittima la pretesa tributaria a seguito della revoca della licenza di esercizio, era intervenuto il giudicato interno, avendo la società limitato l’impugnazione alla sola statuizione relativa al diniego di sospensione del processo; con riferimento alla sola domanda di sospensione, pertanto, il ricorso era inammissibile per difetto di interesse, ai sensi dell’art. 100 c.p.c.;

la società ha quindi proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato a un unico motivo di ricorso, cui ha resistito l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli depositando controricorso, illustrato con successiva memoria.

Motivi della decisione

che:

con l’unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art.360 c.p.c., comma 1, n. 4), per violazione dell’art. 100 c.p.c., e dell’art.112 c.p.c., in materia di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, nonché in relazione agli artt. 295 e 337 c.p.c., comma 2;

in particolare, parte ricorrente evidenzia che già con il ricorso introduttivo del giudizio non era stato messo in discussione il fatto che per legge la revoca della licenza di esercizio comportasse la presunzione dell’immissione in consumo del prodotto e, quindi, il pagamento dell’accisa, ma era stata solo prospettata la circostanza che, essendo stato impugnato dinanzi al giudice amministrativo l’atto presupposto, consistente nella revoca della licenza fiscale di esercizio, si rendeva necessaria, stante il rapporto di pregiudizialità, la sospensione del processo;

sotto tale profilo, parte ricorrente evidenzia, da un lato, che non poteva formarsi giudicato interno sulla questione della spettanza del pagamento dell’accisa a seguito della revoca della licenza fiscale di esercizio, e che, inoltre, diversamente da quanto sostenuto dal giudice del gravame, doveva dirsi sussistente il proprio interesse all’impugnazione, dovendo questo essere considerato con riferimento alla sospensione del processo tributario in attesa della definizione di quello amministrativo;

il motivo è infondato;

il giudice del gravame, accogliendo l’eccezione pregiudiziale prospettata dalla appellata, ha posto l’attenzione sulla circostanza che, con riferimento alla questione della legittimità della pretesa, su cui si era pronunciato il giudice di primo grado in senso sfavorevole alla contribuente, la stessa non aveva prospettato alcuna ragione di doglianza, limitandosi solo a chiedere la sospensione del processo; deve, quindi, in primo luogo, escludersi che possa porsi una questione di violazione dell’art.112 c.p.c., per violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, posto che, come detto, la questione è stata risolta dal giudice del gravame dando rilevanza all’eccezione pregiudiziale dell’appellata, ritenendo conseguentemente preclusa la necessità di procedere all’esame della ulteriore questione relativa alla ritenuta illegittimità della sentenza di primo grado per avere escluso che sussistessero i presupposti per la sospensione necessaria del processo;

con riferimento, poi, agli ulteriori profili di censura, relativi al difetto di interesse della ricorrente nonchè alla formazione del giudicato interno sulla legittimità della pretesa impositiva, va osservato che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 39, che regola i rapporti tra processo tributario e altri processi (cd. pregiudizialità esterna), prevede la sospensione solo ove sia stata presentata querela di falso o debba essere risolta una questione di stato o capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio (Cass. civ., 20 gennaio 2016, n. 999), uniche questioni che il giudice tributario non può risolvere incidenter tantum (Cass. civ., 28 maggio 2014, n. 12008; Cass., civ., 28 dicembre 2012, n. 24107), potendo negli altri casi il giudice conoscere e risolvere incidentalmente le questioni (Cass. civ., 30 dicembre 2019, n. 34693);

ne deriva che, con riferimento al rapporto tra il giudizio tributario e quello amministrativo, il giudice tributario, in forza della disposizione normativa citata, è tenuto a pronunciarsi sulla illegittimità della pretesa tributaria, risolvendo, ove necessario, incidenter tantum anche questioni che attengano alla legittimità di atti amministrativi strettamente connessi con l’atto impositivo oggetto di controversia; sotto tale profilo, non solo non può porsi una questione di sospensione necessaria del processo tributario in caso di pendenza del giudizio amministrativo relativo ad un atto connesso all’atto impositivo, ma, come detto, il contribuente non può impugnare l’atto impositivo dinanzi al giudice amministrativo senza far valere, dinanzi al medesimo giudice, la illegittimità dell’atto amministrativo presupposto, posto che su di esso, come detto, seppure incidenter tantum, il giudice tributario è tenuto a pronunciarsi;

sotto tale prospettiva, correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che, non avendo parte ricorrente prospettato alcuna ragione di doglianza relativa alla illegittimità della pretesa tributaria, il motivo di impugnazione, relativo alla statuizione della sentenza che aveva ritenuto non sussistenti i presupposti per la sospensione necessaria del processo, era da considerarsi inammissibile per difetto di interesse, ai sensi dell’art. 100 c.p.c.;

invero, il requisito dell’interesse ad impugnare, di cui all’art. 100 c.p.c., deve essere valutato dal giudice tenendo conto della idoneità a soddisfare un interesse della parte alla pronuncia del giudice sulla domanda dallo stesso proposta;

la circostanza, evidenziata dallo stesso ricorrente, che “non era stato messo in discussione che per legge la revoca della licenza di esercizio comporta la presunzione della immissione in consumo del prodotto e, quindi, il pagamento dell’accisa” elimina in radice ogni interesse alla eventuale pronuncia sulla sola domanda di sospensione del processo dalla stessa proposta con l’atto di appello, posto che la richiesta di sospensione è necessariamente strumentale all’accertamento della legittimità della pretesa, sicchè postula che su di essa debba comunque pronunciarsi il giudice;

ne consegue che, posto che l’interesse ad agire postula la sussistenza di una situazione giuridica subiettiva di vantaggio sostanziale, il cui riconoscimento viene posto ad oggetto della pretesa fatta valere nel giudizio, lo stesso non può dirsi sussistente nel caso, quale quello di specie, in cui la pretesa del ricorrente è limitata alla sospensione del giudizio, senza, tuttavia, che fosse stata prospettata alcuna ragione di doglianza avverso la statuizione del giudice che aveva ritenuto, nel merito, la legittimità dell’atto impositivo;

è dunque, anche sotto il profilo del giudicato interno formatosi che la pronuncia del giudice del gravame deve dirsi corretta;

se con l’atto introduttivo parte ricorrente ha richiesto la pronuncia di illegittimità dell’atto impositivo per illegittimità derivata dell’atto presupposto, cioè il provvedimento di revoca della licenza fiscale, quest’ultimo profilo avrebbe dovuto essere coltivato anche in sede di appello, impugnando la sentenza del giudice di primo grado che aveva ritenuto che, nel merito, non poteva esservi alcuna illegittimità del provvedimento impositivo attesa la autonomia del giudizio tributario rispetto al giudizio amministrativo; ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite;

si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M. 

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del giudizio che si liquidano in complessive Euro 22.500,00 oltre spese prenotate a debito;

dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2021


Massima:  Con riferimento al rapporto tra il giudizio tributario e quello amministrativo, poiché l’art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992 prevede la sospensione del processo solo ove sia stata presentata querela di falso o debba essere risolta una questione di stato o capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio, il giudice tributario è tenuto a pronunciarsi sulla illegittimità della pretesa tributaria, risolvendo, ove necessario, “incidenter tantum” anche questioni che attengano alla legittimità di atti amministrativi strettamente connessi con l’atto impositivo oggetto di controversia, senza che possa porsi una questione di sospensione necessaria del processo tributario.