Cass. Civ. sez. V, sent. 17 maggio 2022, n. 15676
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. CANDIA Ugo – Consigliere –
Dott. PICARDI Francesca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17657/2016 R.G. proposto da:
… s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dagli Avv. …, con domicilio eletto presso lo studio del primo in …;
– ricorrente –
contro
Comune di Acicastello, in persona del sindaco p.t., elettivamente domiciliato in …, presso lo studio dell’avv. … rappresentato e difeso dall’Avv. …, dell’Avvocatura comunale di Acicastello;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. della Commissione tributaria regionale di Sicilia – Sezione distaccata di Catania, n. 136/34/2016, pronunciata il 9 dicembre 2015 e depositata il 18 gennaio 2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 aprile 2022, dal Consigliere Dott. Francesca Picardi;
lette le conclusioni della Procura Generale presso la Corte di cassazione.
Svolgimento del processo
1.La … s.r.l. ha impugnato l’avviso di accertamento n. 1474 del 2009 relativo alla Tarsu (di importo Euro 12.912,00) dovuta per il lido balneare nell’anno 2008, denunciando il difetto di motivazione e la violazione di legge, in considerazione della necessità di applicare il D.Lgs. n. 507 del 1992, art. 77 e di calcolare l’imposta a giorni, con abbattimento del 50% per la superficie scoperta, e chiedendo la disapplicazione della Delib. comunale 13 marzo 2008.
2.La Commissione tributaria provinciale di Catania ha dichiarato non dovute le sanzioni, rigettando il ricorso nel resto.
3.La Commissione regionale tributaria della Sicilia ha rigettato l’appello proposto.
4.Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la contribuente.
5.Il Comune di Acicastello si è tardivamente costituita con controricorso, ma ha altresì presentato memoria difensiva.
6.Fissato all’udienza pubblica del 27 aprile 2022, il ricorso è stato trattato in camera di consiglio, in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in L. n. 176 del 2020, e dal sopravvenuto D.L. n. 105 del 2021, art. 7, conv. in L. n. 126 del 2021, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositato conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, che non hanno fatto richiesta di discussione orale.
Motivi della decisione
- La contribuente ha dedotto: 1) la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 62 e 77e dell’art. 53 Cost., essendo stata esclusa la tassazione a giorni, nonostante l’occupazione del demanio pubblico, in relazione al lido balneare, si sia protratta per un periodo inferiore a 1/4 dell’anno; 2) la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, avendo ritenuto la Commissione tributaria regionale precluso il sindacato incidentale di legittimità sulla delibera comunale, di cui l’avviso di accertamento costituisce applicazione, nonostante le specifiche censure formulate, costituite dalla dedotta violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 184, del D.L. n. 152 del 2006, art. 238 nonché dall’irrazionalità, eccesso di potere e disparità di trattamento alla luce della successiva Delib. comunale 30 maggio 2008; 3) la violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 162, non essendo stato riconosciuto il difetto di motivazione in ordine ai rilievi formulati con ricorso proposto avverso il provvedimento del 4 agosto 2008, presupposto di quello odierno; 4) la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 65 e 67non essendo stata ritenuta applicabile la riduzione del 50% per le aree scoperte, prevista dalla Delib. comunale 28 novembre 1996; 5) la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, e art. 61 nonché dell’art. 111, comma 6, e art. 6 Cedu, essendo stata omessa, nella sentenza impugnata, l’indicazione dello svolgimento del processo, delle richieste delle parti e delle censure formulate.
- La Procura Generale presso la Corte di cassazione ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso e rigetto degli altri motivi.
- Il primo motivo, avente ad oggetto l’applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 77è infondato. La disposizione invocata, ai sensi della quale, per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni o equiparati prodotti dagli utenti che occupano o detengono temporaneamente (e, cioè, per meno di 183 giorni all’anno), con o senza autorizzazione, locali od aree pubbliche, di uso pubblico, o aree gravate da servitù di pubblico passaggio, i comuni devono istituire, con il regolamento di cui all’art. 68, la tassa di smaltimento da applicare in base a tariffa giornaliera, non è applicabile al concessionario del lido, il quale, in virtù della concessione, che ha durata pluriennale, detiene stabilmente l’area, sebbene l’esercizio dell’attività di balneazione sia limitato nel tempo. Tale regola opera, difatti, nei confronti di coloro che hanno una disponibilità temporalmente limitata e circoscritta del bene pubblico, quali, ad esempio, i venditori ambulanti o categorie similari, e non di coloro i quali, al contrario, esercitano diritti e poteri di natura stabile e duratura. Al contrario gli stabilimenti balneari sono espressamente previsti dall’art. 68, comma 2, lett. b, ai fini della individuazione delle categorie e sotto-categorie omogenee, che i comuni devono individuare con regolamento per la determinazione delle tariffe. Nella risoluzione ministeriale n. 147 del 15 settembre 1998, del resto, si fa riferimento non all’art. 77, ma alla possibilità di applicare la riduzione prevista dall’art. 66 per le attività stagionali, laddove, in considerazione delle limitazioni imposte dalle competenti attività, la durata dell’attività di balneazione sia stata effettivamente circoscritta nel tempo, o di riconoscere ulteriori agevolazioni in considerazione della ridotta produttività di rifiuti.
- In ordine alla seconda censura, avente ad oggetto la omessa disapplicazione – D.Lgs. n. 507 del 1993, ex art. 7 – della Delib. comunale 19 marzo 2008, asseritamente invalida in quanto in violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 184, e del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 238oltre che disparità di trattamento, alla luce delle delibere successive, deve premettersi che, nel caso in cui si discuta della corretta interpretazione di norme di diritto, il controllo del giudice di legittimità investe direttamente anche la decisione e non è limitato soltanto alla plausibilità della giustificazione, sicché, come desumibile dall’art. 384 c.p.c., comma 4, il giudizio di diritto può risultare incensurabile anche se mal giustificato perché la decisione erroneamente motivata in diritto non è soggetta a cassazione ma solo a correzione quando il dispositivo sia conforme al diritto (Sez. 2, n. 20719 del 13/08/2018, Rv. 650017 – 01). Va, quindi, ribadito che, in tema di TARSU, il giudice tributario, nell’ambito della cognizione dei motivi di impugnazione contro l’atto impositivo, ha il potere-dovere di disapplicare, anche d’ufficio, la Delib. comunale presupposta, qualora sia illegittima, in applicazione del principio generale di cui alla L. n. 2248 del 1865, art. 5, All. E., con l’unico limite dell’eventuale giudicato amministrativo che abbia affermato la legittimità di tale Delib. (Sez. 5, n. 1952 del 24/01/2019, Rv. 652367 – 01). Tuttavia, nel caso di specie, non sussiste la illegittimità prospettata dalla contribuente, né come violazione di legge né come eccesso di potere, atteso che della L. n. 296 del 2006, art. 1, il comma 184, lett. a, (ai sensi del quale, nelle more della completa attuazione delle disposizioni recate dal D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni, il regime di prelievo relativo al servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti adottato in ciascun comune per l’anno 2006 resta invariato anche per l’anno 2007 e per gli anni 2008 e 2009), va interpretato non come immutabilità delle tariffe vigenti, ma piuttosto come una proroga del tributo (in alternativa a quello neoistituito) e di tutto il relativo sistema normativo, che comprende i poteri di regolamentazione dei Comuni (e conseguentemente anche il potere di aumentare, come di diminuire le tariffe). Difatti, la formula usata, nel rinviare al regime “adottato in ciascun comune”, fa riferimento al regime tributario ed all’alternativa tra il pre-vigente tributo e quello di nuova introduzione e non alle specifiche tariffe vigenti in ogni Comune, che sarebbero state altrimenti espressamente menzionate.
- Il terzo motivo, con cui si è denunciato il difetto di motivazione dell’atto impugnato, richiamando i rilievi formulati in altro ricorso, avverso altro atto, definito quale presupposto di quello oggetto del presente giudizio, non è auto-sufficiente, non illustrando, neppure in modo sintetico o conciso, né il contenuto delle doglianze (rispetto alle quali si lamenta la mancanza di risposta) nè il collegamento tra i due atti e la proiezione delle lacune dell’altro su quello in esame. In proposito deve ricordarsi che, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, deve procedersi ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, nonché alla specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso (Sez. 1, n. 5478, del 07/03/2018, Rv. 647747 – 01).
- Per quanto concerne il quarto motivo, avente ad oggetto la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, artt. 65 e 67non essendo stata ritenuta applicabile la riduzione del 50% per le aree scoperte, prevista dalla Delib. comunale 28 novembre 1996, la ricorrente invoca una disciplina non più vigente, in quanto la Delib. de qua deve ritenersi travolta dall’abrogazione D.L. n. 328 del 1997, ex art. 6 convertito in L. n. 410 del 1997, del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 66, comma 1, che ne costituiva il fondamento, per cui la lacunosa motivazione sul punto risulta irrilevante, non riscontrandosi alcun errore in diritto.
- In ordine all’ultima censura, relativa alla violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 36 e 61, art. 111Cost. e art. 6 Cedu, nel caso di specie, la sentenza impugnata consente di comprenderne l’iter processuale, le ragioni di doglianza della contribuente e le ragioni della decisione adottata, mostrando di condividere la riportata motivazione del giudice di prime cure, che è stata, in modo conciso, integrata. Peraltro, le lacune motivazionali sussistenti rispetto alle questioni giuridiche prospettate risultano irrilevanti, essendo i giudici di merito pervenuti a soluzioni corrette. In proposito può rinviarsi all’orientamento risalente e consolidato secondo cui l’omesso esame di tesi giuridiche, prospettate da una delle parti, non riferendosi all’accertamento ed alla valutazione dei fatti rilevanti per la decisione, non integra gli estremi del difetto di motivazione, deducibile autonomamente come motivo di ricorso per cassazione, ma può soltanto valere a sorreggere od a completare le censure di violazione o falsa applicazione di norme di diritto mosse alla sentenza. Pertanto, allorché con un motivo di ricorso per cassazione si prospetti un difetto di motivazione che non riguarda un punto di fatto, ma un’astratta questione di diritto, il giudice di legittimità – investito, a norma dell’art. 384 c.p.c., del potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata – è chiamato a valutare se la soluzione adottata dal giudice del merito sia oggettivamente conforme alla legge piuttosto che a sindacarne la motivazione, e persino l’eventuale mancanza di questa deve considerarsi irrilevante, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame (Sez. L, n. 3652 del 05/06/1981, Rv. 414278 – 01).
- In conclusione, il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità a favore del Comune di Acicastello – spese liquidate come in dispositivo in base ai parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014. In particolare, nella liquidazione delle spese si è tenuto conto del principio secondo cui, in tema di condanna alle spese nel giudizio di legittimità, il controricorso inammissibile non può essere posto a carico del ricorrente soccombente nel computo dell’onorario di difesa da rimborsare alla parte resistente, poiché in tale ipotesi detta condanna deve limitarsi all’attività successiva eventualmente svolta in modo rituale – nel caso di specie, al deposito della memoria che, attesa la trattazione della causa in base alla disciplina dettata dal D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, conv. in L. n. 176 del 2020, e dal sopravvenuto D.L. n. 105 del 2021, art. 7, conv. in L. n. 126 del 2021, ha sostituito la partecipazione alla pubblica udienza (in senso analogo, v., tra le altre, Sez. 5 -, ord., n. 21105 del 24/08/2018, Rv. 649941 – 01).
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente Lido Esagono s.r.l. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.000,00, oltre rimborso forfettario del 15% e i.v.a. e c.p.a. se dovuti.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 aprile 2022.
Depositato in Cancelleria il 17 maggio 2022
MASSIMA- L’art. 77 del D.Lgs. 507 del 1993, ai sensi del quale, per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani interni o equiparati prodotti dagli utenti che occupano o detengono temporaneamente (e, cioè, per meno di 183 giorni all’anno), con o senza autorizzazione, locali od aree pubbliche, di uso pubblico, o aree gravate da servitù di pubblico passaggio, i Comuni devono istituire, con il regolamento di cui all’art. 68, la tassa di smaltimento da applicare in base a tariffa giornaliera, non è applicabile al concessionario del lido, il quale, in virtù della concessione, che ha durata pluriennale, detiene stabilmente l’area, sebbene l’esercizio dell’attività di balneazione sia limitato nel tempo. Tale regola opera, difatti, nei confronti di coloro che hanno una disponibilità temporalmente limitata e circoscritta del bene pubblico, quali, ad esempio, i venditori ambulanti o categorie similari, e non di coloro i quali, al contrario, esercitano diritti e poteri di natura stabile e duratura. Al contrario gli stabilimenti balneari sono espressamente previsti dall’art. 68, comma 2, lett. b, ai fini della individuazione delle categorie e sotto-categorie omogenee, che i Comuni devono individuare con regolamento per la determinazione delle tariffe. Nella risoluzione ministeriale n. 147 del 15 settembre 1998, del resto, si fa riferimento non all’art. 77, ma alla possibilità di applicare la riduzione prevista dall’art. 66 per le attività stagionali, laddove, in considerazione delle limitazioni imposte dalle competenti attività, la durata dell’attività di balneazione sia stata effettivamente circoscritta nel tempo, o di riconoscere ulteriori agevolazioni in considerazione della ridotta produttività di rifiuti.